N. 349 SENTENZA 11 - 20 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimento gia' in corso durante
 la vigenza del vecchio codice - Operativita' del giudizio immediato -
 Condizioni - Necessita' del previo interrogatorio dell'imputato -
 Impossibilita' di ritenere adempiuta tale condizione nel caso di
 ordine di comparizione rimasto senza effetto (ritenuto non e
 equiparabile al rifiuto di  rispondere all'interrogatorio) non
 seguito da accompagnamento coattivo - Prospettata lesione del diritto
 di difesa inteso come  diritto di non rispondere all'interrogatorio -
 Possibilita' per  l'imputato di bloccare l'azione penale limitandosi
 a non aderire all'invito a presentarsi - Mancata previsione della
 impugnazione dell'ordinanza di rigetto del g.i.p. della richiesta di
 giudizio immediato avanzata dal p.m. con conseguente disparita' di
 trattamento rispetto a fattispecie analoghe (decreto di condanna) -
 Esclusione - Non fondatezza della questione.
 
 (C.P.P. 1988, art. 453).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 76 e 112).
(GU n.31 del 1-8-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 453 del codice
 di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il  27  gennaio 1990 dal G.I.P. presso il
 Tribunale di Catania  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Greco
 Salvatore,   iscritta  al  n.  163  del  registro  ordinanze  1990  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,  prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
     2)  ordinanza  emessa  il  27  gennaio  1990 dal G.I.P. presso il
 Tribunale di Catania nel  procedimento  penale  a  carico  di  Parisi
 Giuseppe, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1990 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  19,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 26 giugno 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con due ordinanze datate 27 gennaio 1990, il Giudice per le
 indagini  preliminari  presso  il  Tribunale   di   Catania,   previo
 dichiarazione  di rilevanza e non manifesta infondatezza, trasmetteva
 integralmente a questa Corte la proposta di questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  453  codice  procedura  penale 1988 che il
 pubblico ministero aveva eccepito, in due distinti processi per frode
 fiscale,   con   riferimento  agli  artt.  3,  24,  76  e  112  della
 Costituzione.
    La  questione  e'  sorta  in occasione della richiesta di giudizio
 immediato avanzata in ambo i  processi  dal  pubblico  ministero.  Il
 giudice  aveva pero' rilevato che l'imputato, benche' gli fosse stato
 notificato -  prima  dell'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice  di
 procedura  penale  -  ordine di comparizione, non si era presentato a
 rispondere all'interrogatorio:  sicche'  non  si  era  verificata  la
 condizione  del  "previo  interrogatorio  dell'imputato".  Ne' poteva
 ritenersi  l'equipollenza,  nel  nuovo  sistema  processuale,   della
 mancata  presentazione  al  rifiuto di rispondere all'interrogatorio:
 effetto che semmai il pubblico ministero avrebbe  potuto  raggiungere
 chiedendo  l'autorizzazione  all'uso di mezzi coercitivi per avere la
 presenza dell'imputato: libero, poi, questi di  non  rispondere.  Per
 tali ragioni aveva restituito gli atti al pubblico ministero.
    Questi,  pero',  replicava  rilevando che la coercizione (art. 376
 cod. proc. pen.)  trova  la  sua  legittimazione  nell'interrogatorio
 diretto    ad    acquisire   elementi   per   le   indagini,   mentre
 l'interrogatorio di cui all'art.  453,  primo  comma,  avendo  natura
 garentistica,  non  postula  la presenza coatta dell'imputato: ragion
 per cui egli escludeva di richiedere l'autorizzazione  cui  accennava
 il giudice.
    Insisteva,  percio',  il pubblico ministero nella sua richiesta di
 giudizio immediato ma, se il  giudice  riteneva,  invece,  di  tenere
 fermo  il  suo  punto di vista, allora chiedeva che venisse sollevata
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  453  cod.  proc.
 pen. in riferimento ai parametri sopra indicati.
    Secondo il pubblico ministero, infatti, l'accompagnamento coattivo
 violerebbe,  nella  specie,  il  diritto  di  difesa,   non   essendo
 l'imputato  tenuto  a  presentarsi  per le ragioni indicate: e, se il
 giudice  non  intende  riconoscere   l'equipollenza   della   mancata
 presentazione  al rifiuto di rispondere, l'imputato potrebbe bloccare
 a  suo  piacimento  l'esercizio  dell'azione  penale,  in  violazione
 dell'art. 112 della Costituzione.
    Ne' egli avrebbe alcun rimedio contro la detta interpetrazione del
 giudice: il che sarebbe in contrasto conl'art. 3  della  Costituzione
 per  la disparita' di trattamento che verrebbe a verificarsi rispetto
 all'ipotesi del decreto penale di condanna, per il quale e',  invece,
 prevista l'opposizione.
    Contrasto  che  coinvolgerebbe  anche,  per l'irrazionalita' della
 situazione che verrebbe cosi' a determinarsi, l'art. 2 punto 44 della
 legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, che  ha
 chiesto declaratoria d'infondatezza della sollevata questione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  due  ordinanze prospettano identica questione, riferita
 agli stessi parametri costituzionali; i  giudizi,  pertanto,  possono
 essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    2.  -  La  questione  sorge  dal dissenso fra pubblico ministero e
 Giudice delle indagini preliminari  circa  l'interpetrazione  di  una
 delle  condizioni  poste  dall'art.  453  codice procedura penale per
 l'operativita' del giudizio immediato. Si allude  all'inciso  "previo
 interrogatorio dell'imputato".
    Nella  specie l'imputato aveva lasciato senza effetto un ordine di
 comparizione ritualmente notificato dal pubblico ministero prima  che
 entrasse  in  vigore  il nuovo codice di procedura penale: ritiene il
 pubblico ministero  che  cio'  equivalga  al  rifiuto  di  rispondere
 all'interrogatorio.
    Di avviso diverso e' il giudice, secondo cui il pubblico ministero
 dovrebbe,    in     tal     caso,     richiedere     l'autorizzazione
 all'accompagnamento     coattivo    dell'imputato    per    procedere
 all'interrogatorio:  libero,  poi,  l'imputato  di  non   rispondere.
 Conseguentemente restituiva gli atti al pubblico ministero.
    Ma    questi,    rilevando    che    non    intendeva   richiedere
 l'accompagnamento   coattivo   perche'   l'interrogatorio    previsto
 dall'art.  453,  primo  comma,  codice  di procedura penale ha natura
 garentistica, mentre l'accompagnamento  coattivo  e'  previsto  dalla
 legge  quando  con l'interrogatorio si debbano acquisire elementi per
 le indagini, aggiungeva che, se il giudice intendeva tenere ferma  la
 sua   interpetrazione,  egli  chiedeva  allora  che  venga  sollevata
 questione di legittimita' costituzionale:
      I)  perche'  l'accompagnamento coattivo violerebbe il diritto di
 difesa  dell'imputato  che  ha  diritto  a  non  presentarsi,   cosi'
 dimostrando di non voler rispondere all'interrogatorio (art. 24 della
 Costituzione);
      II)   perche',   se  il  giudice  insiste  nel  non  riconoscere
 l'equipollenza  della  mancata  comparizione  alla  volonta'  di  non
 rispondere all'interrogatorio, cio' significa che l'imputato potrebbe
 bloccare quando crede l'esercizio dell'azione  penale  limitandosi  a
 non   aderire   all'invito   a   presentarsi,  determinando  evidente
 incompatibilita' rispetto  al  principio  di  cui  all'art.112  della
 Costituzione;
      III)  perche', in tal caso, contro l'interpetrazione del giudice
 egli non avrebbe alcun rimedio. Il che integrerebbe la violazione del
 parametro  di  cui all'art. 3 della Costituzione per la disparita' di
 trattamento che verrebbe  ad  instaurarsi  rispetto  all'ipotesi  del
 decreto  penale  di  condanna  contro  il  quale  e'  invece prevista
 opposizione.
    Rileva,  anzi,  il pubblico ministero che, per tali ragioni, anche
 l'art.2 punto 44 della delega sarebbe irrazionale.
    3.  -  Il  giudice, riportando senza alcun commento tali richieste
 del pubblico ministero, si limita a trasmettere  gli  atti  a  questa
 Corte  chiedendo,  con  la  sua  ordinanza,  che le questioni vengano
 decise.
    E'  intervenuto  nel  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 chiesto declaratoria d'infondatezza della sollevata questione.
    4.  -  Non puo' non osservarsi la scarsa ortodossia del metodo che
 il giudice di Catania vorrebbe instaurare, riportando senza far motto
 le  questioni  di legittimita' che il pubblico ministero propone, fra
 l'altro nemmeno plausibilmente. Il potere di sollevare  le  questioni
 di  legittimita'  costituzionale  spetta  soltanto  al  giudice: e se
 questi intende fare sue le proposte avanzate dal pubblico  ministero,
 deve dirlo esplicitamente sollevandole in modo specifico ed ordinato,
 e debitamente motivate.
    Detto  questo,  essendo  evidente  che  l'interpetrazione, secondo
 scienza e coscienza, della norma processuale spetta al giudice e  non
 alla  Corte,  va  esaminato  il  merito. Le questioni di legittimita'
 costituzionale proposte sono infondate.
    Tale  sicuramente  e'  innanzitutto  quella  concernente l'art. 24
 della Costituzione perche' il giudice ha dato la sua  interpetrazione
 del  valore  che deve assumere la mancata presentazione dell'imputato
 (rispetto all'invito a presentarsi  emesso  dal  pubblico  ministero)
 agli  effetti  del  "previo  interrogatorio"  di  cui all'articolo in
 contestazione. E, a  fronte  di  cio',  non  essendo  concepibile  un
 conflitto,  il  pubblico ministero o si adegua o prosegue con il rito
 ordinario. In ogni caso,  avendo  egli  dichiarato  che  non  intende
 assolutamente  chiedere al giudice di essere autorizzato ad avvalersi
 dei poteri coercitivi, una questione  in  ordine  all'art.  24  della
 Costituzione non si profila nemmeno.
    Ma  parimenti  infondata  e'  la  questione concernente l'art. 112
 della Costituzione perche', qualunque  sia  per  essere  la  corretta
 interpetrazione   del   comportamento   dell'imputato   agli  effetti
 dell'inciso di cui si  discute,  questi  non  potrebbe  mai  impedire
 l'esercizio  dell'azione  penale  da parte del pubblico ministero; al
 piu' riuscirebbe soltanto  a  non  rendere  operativo  uno  dei  riti
 speciali,   facendo  mancare  una  delle  condizioni  essenziali.  Ma
 l'azione penale, di cui all'art. 112 della  Costituzione,  resterebbe
 pur sempre esperibile nel rito ordinario.
    Del  tutto improponibile, infine, il confronto della situazione di
 cui si va parlando con quella  concernente  l'opposizione  contro  il
 decreto  penale  di  condanna.  Si tratta di situazioni assolutamente
 diverse che escludono ogni possibilita' di richiamare l'art. 3  della
 Costituzione.  Il  decreto,  infatti,  con  il quale il giudice delle
 indagini preliminari restituisce  gli  atti  al  pubblico  ministero,
 perche' non ritiene ricorrere le condizioni per il rito immediato, e'
 un provvedimento ordinatorio del  processo  che  lascia  al  pubblico
 ministero  ampia  liberta'  di scelte ulteriori. Il decreto penale di
 condanna,  al  contrario,   incide   direttamente   sugli   interessi
 dell'imputato  e,  in  ipotesi  di  conversione,  anche  sulla di lui
 liberta' personale, sicche' e' ovvio  che  un'opposizione  dev'essere
 prevista.  Per  tacere,  peraltro,  che  l'opposizione  e' consentita
 esclusivamente a favore  dell'imputato  e  della  persona  civilmente
 responsabile per la pena pecuniaria.
    Inutile   dire   che  tutto  questo  mette  in  luce  altresi'  la
 razionalita' dell'art. 2, punto 44, della legge di delegazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 453  codice  procedura  penale,
 promossa,   in   riferimento   agli   artt.3,  24,  76  e  112  della
 Costituzione,  dal  giudice  delle  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale di Catania con le due ordinanze, datate 27 gennaio 1990, di
 cui all'epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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