N. 350 SENTENZA 11 - 20 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza sociale - Crediti previdenziali nei confronti
 dell'I.N.P.S. - Inapplicabilita' della disciplina (rivalutazione
 monetaria e interessi legali) prevista dall'art.  429, terzo comma,
 in caso di ritardato adempimento per i crediti  di lavoro - Richiesta
 di sentenza additiva che determinerebbe una grave anomalia nel
 sistema normativo impostato sulla distinzione tra le controversie di
 lavoro e in materia previdenziale - Inammissibilita' della questione.
 
 (C.P.C., art. 429, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.31 del 1-8-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 429, terzo
 comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza  emessa
 il 17 novembre 1989 dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile
 vertente tra l'INPS e Martini Elisa, iscritta al n. 206 del  registro
 ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  dell'INPS  e  di Martini Elisa
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi  l'avv.  Luigi  Maresca  per l'INPS e l'Avvocato dello Stato
 Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Nel   giudizio   sul   ricorso   proposto  dall'INPS  per
 l'annullamento  della  sentenza  del  Tribunale   di   Firenze   che,
 confermando   la   decisione  del  Pretore,  lo  aveva  condannato  a
 corrispondere a Elisa Martini  l'assegno  ordinario  di  invalidita',
 decorrente  dal  1Π febbraio  1986,  con  la rivalutazione monetaria
 secondo gli  indici  ISTAT  e  gli  interessi  legali,  la  Corte  di
 cassazione,  con  ordinanza  del  17  novembre 1989, ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 429 cod.proc.civ. "nella parte
 in cui non consente la sua applicazione ai  crediti  per  prestazioni
 previdenziali".
    Secondo  il  giudice  remittente nell'evoluzione giurisprudenziale
 successiva alla sentenza n. 162 del 1977 di questa Corte e'  prevalsa
 l'interpretazione  dell'art.  429, terzo comma, cod. proc. civ., come
 norma la quale, al momento dell'inadempimento, trasforma  il  credito
 retributivo  da  credito  di  valuta  in  credito di valore, o almeno
 applica al risarcimento dei danni una "tecnica di liquidazione affine
 a  quella  corrente  per  le  obbligazioni  di  valore". Deve percio'
 ritenersi superata la ricognizione della ratio dell'art.  429,  terzo
 comma,  compiuta  dalla citata sentenza n. 162: scopo della norma non
 e'  tanto  la  dissuasione  dei   datori   di   lavoro   da   ritardi
 ingiustificati  nell'adempimento  delle  loro  obbligazioni,  quanto,
 oggettivamente,  la  difesa  del  potere  di  acquisto  di  chi  deve
 utilizzare il reddito di cui e' creditore per soddisfare gli ordinari
 bisogni  della  vita.  Questa  ratio  non  e'  peculiare  ai  crediti
 retributivi,  ma  "potenzialmente  estesa  anche  alla situazione del
 modesto creditore  previdenziale";  conseguentemente  la  restrizione
 dell'ambito  applicativo dell'art. 429 ai crediti retributivi "appare
 potenzialmente lesiva del principio di eguaglianza".
    La  violazione  in  atto  dell'art. 3 Cost. e' stata esclusa dalla
 Corte costituzionale, nuovamente investita della  questione,  con  la
 sentenza  n.  408  del  1988,  sul  riflesso  che  la  norma generale
 dell'art. 1224 cod.civ., in ordine alla quale si e'  pure  verificata
 nel  contempo una incisiva evoluzione giurisprudenziale, "assicura al
 modesto creditore previdenziale una tutela in parte qua  assimilabile
 a quella che il ius singulare dell'art. 429 cod.proc.civ. assicura al
 credito di lavoro". Senonche' le Sezioni unite, con  la  sentenza  n.
 5299   del   1989,   respingendo   l'orientamento   prevalente  nella
 giurisprudenza  della  Sezione  lavoro,   hanno   statuito   che   la
 rivalutazione  monetaria  calcolata  a  norma dell'art. 1224, secondo
 comma, in quanto rappresenta l'intero danno effettivamente patito dal
 creditore,  non e' cumulabile con gli interessi moratori previsti dal
 primo comma. Cosi' interpretato l'art. 1224 cod.civ.  attribuisce  al
 modesto creditore previdenziale una tutela analoga a quella dell'art.
 429 cod.proc.civ. dal lato rivalutazione monetaria, ma non  dal  lato
 interessi   legali   sulla   somma  rivalutata.  Tale  disparita'  di
 trattamento rispetto ai crediti di lavoro  e'  ritenuta  contrastante
 col principio di eguaglianza.
    L'argomentazione  cosi'  sintetizzata  e'  integrata  da ulteriori
 considerazioni tendenti a far emergere anche  un  contrasto  con  gli
 artt.  36 e 38 Cost., in quanto non sarebbero assicurati al creditore
 della prestazione previdenziale mezzi adeguati alle esigenze di vita,
 commisurati al valore delle ultime retribuzioni percepite.
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituito l'INPS ed e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato
 dall'Avvocatura  dello Stato, chiedendo entrambi che la questione sia
 dichiarata infondata.
    In  ordine  alla  pretesa  violazione dell'art. 3 Cost., la difesa
 dell'INPS  osserva  che  la  ratio  della  norma  denunciata  non  si
 esaurisce  nella  funzione  di  difesa  del  potere  di  acquisto del
 creditore, ma include anche due funzioni specificamente  inerenti  ai
 crediti    retributivi,    quella    di    scoraggiare   il   ritardo
 dell'adempimento da parte del datore di lavoro e  soprattutto  quella
 di   ristabilire   in   termini   reali   la  corrispettivita'  delle
 prestazioni, onde solo per i crediti di lavoro, derivanti da rapporti
 contrattuali  sinallagmatici,  si  puo'  giustificare il cumulo della
 rivalutazione monetaria con gli  interessi  corrispettivi  decorrenti
 dal  giorno  della  maturazione  del  diritto.  D'altro lato, occorre
 considerare che nel campo di applicazione dell'art. 1224 cod.civ.  la
 non  cumulabilita'  della  rivalutazione  monetaria con gli interessi
 legali e' compensata dalla possibilita' che il  "maggior  danno"  sia
 riconosciuto  in misura superiore al tasso di inflazione, per esempio
 nella misura del rendimento dei titoli di Stato.
    In   una   memoria   depositata   nell'imminenza  dell'udienza  di
 discussione l'INPS ha integrato le conclusioni dedotte  nell'atto  di
 costituzione   in  giudizio,  chiedendo  in  via  principale  che  la
 questione sia dichiarata inammissibile in quanto  l'art.  429,  terzo
 comma,  cod.proc.civ.  "e' una norma eccezionale che non tollera, per
 definizione, estensioni operate in nome dell'art. 3 Cost., cosi' come
 non ammette applicazioni analogiche".
    3.  -  L'Avvocatura  dello  Stato osserva che nel caso del modesto
 creditore previdenziale, che e'  il  referente  delle  argomentazioni
 svolte  dal  giudice  a quo, la pretesa di cumulo della rivalutazione
 monetaria con gli interessi legali e' contraddittoria perche' non  si
 puo'  ipotizzare  in pari tempo, da un lato, che il creditore avrebbe
 consumato le somme dovutegli per  provvedere  agli  ordinari  bisogni
 della  vita,  dall'altro  che  le  avrebbe  risparmiate  lucrando gli
 interessi.
    In  generale,  il  mantenimento dei crediti previdenziali sotto il
 regime delle  obbligazioni  di  valuta  si  giustifica  razionalmente
 considerando che la prestazione previdenziale, a differenza di quella
 retributiva, non inerisce a  un  rapporto  sinallagmatico  ed  e'  la
 risultante, nella sua concreta entita', di un punto di equilibrio tra
 diverse esigenze,  il  cui  raggiungimento  dipende,  sulla  base  di
 modelli  econometrici,  da  considerazioni  di  struttura del sistema
 assicurativo sociale e da valutazioni  attinenti  alle  modalita'  di
 alimentazione  del  bilancio  dell'ente  pubblico  erogatore  e  alla
 necessita' di evitare scompensi finanziari nella gestione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  di  cassazione  mette  in dubbio la legittimita'
 costituzionale dell'art. 429, terzo comma, cod.civ.,  in  riferimento
 agli  artt.  3,  36  e 38 della Costituzione, "nella parte in cui non
 consente   la   sua   applicazione   ai   crediti   per   prestazioni
 previdenziali".
    2. - La questione e' inammissibile.
    L'art.  429  e'  collocato  nel capo I del titolo IV del libro II,
 titolo interamente sostituito dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973,
 n.  533.  Poiche'  nel  capo  I  sono  disciplinate  le "controversie
 individuali di lavoro", mentre  delle  "controversie  in  materia  di
 previdenza  e  di  assistenza  obbligatoria" si occupa il capo II, il
 terzo comma dell'art. 429, nel dettare la regola della  rivalutazione
 automatica,  non  puo'  avere  riguardo  che ai crediti derivanti dai
 rapporti  (lato  sensu)  di  lavoro  elencati  nell'art.  409.  Nella
 disposizione  impugnata  l'espressione  "crediti  di lavoro" non puo'
 assumere in alcun modo il valore precettivo ritenuto  dal  giudice  a
 quo, nel senso di non consentire l'applicazione della medesima regola
 anche  ai  crediti  previdenziali:  essa  ha  soltanto  una  funzione
 definitoria  del  campo  di  applicazione  che  alla norma compete in
 ragione della sua ben determinata posizione sistematica.
    Nei  termini  in  cui  e'  formulata,  la  questione prospetta una
 sentenza additiva che determinerebbe una grave anomalia  nel  sistema
 normativo,  impostato  sulla  distinzione  tra  le  due  categorie di
 controversie teste' rammentate. Nell'ambito operativo  di  una  norma
 concernente  i  diritti di credito derivanti da rapporti contrattuali
 con prestazioni corrispettive sarebbero inclusi i  crediti  derivanti
 dai  rapporti previdenziali, la cui struttura e' radicalmente diversa
 e la cui disciplina prevede condizioni differenti di  esigibilita'  e
 di liquidazione dei diritti che ne derivano.
    L'inapplicabilita'  ai  crediti  previdenziali  di  un criterio di
 rivalutazione automatica analogo a quello previsto per i  crediti  di
 lavoro  dipende  da  un'altra  norma,  collocata  all'inizio del capo
 secondo di questo titolo del codice di  rito,  cioe'  dall'art.  442,
 considerato  che  la  Corte  di  cassazione  interpreta il rinvio ivi
 operato alle disposizioni di cui al capo primo limitandone la portata
 alle  norme  di  natura processuale e cosi' escludendo il terzo comma
 dell'art. 429, che e' norma di diritto sostanziale.
    Si  puo'  rilevare,  inoltre,  una  incoerenza  tra il dispositivo
 dell'ordinanza di rimessione e la motivazione. Il primo  propone  una
 estensione  indiscriminata  dell'articolo piu' volte citato a tutti i
 crediti previdenziali, mentre la complessa argomentazione svolta  dal
 giudice   a  quo,  per  corroborare  il  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale  della  mancata  inclusione  nella  disciplina   delle
 controversie  previdenziali  di  una regola analoga a quella prevista
 per i crediti di lavoro, ha come termine costante di  riferimento  la
 figura  del  "modesto  creditore  previdenziale" che destina le somme
 oggetto del credito al consumo per il soddisfacimento degli  ordinari
 bisogni della vita, ossia la sola ipotesi in cui, secondo la sentenza
 di questa Corte n. 408 del 1988, potrebbe  emergere  una  irrazionale
 disparita' di trattamento ove si dimostrasse che l'applicazione della
 regola generale dell'art. 1224 cod.civ. non attribuisce al  creditore
 una  tutela  assimilabile  a  quella dell'art. 429, terzo comma, cod.
 proc. civ.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  429,  terzo  comma,  del  codice  di   procedura   civile,
 sollevata,  in  riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione,
 dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: MENGONI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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