N. 353 ORDINANZA 11 - 20 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimenti speciali Applicazione
 della pena su richiesta delle parti - Accordo fra p.m. e imputato non
 sindacabile dal giudice - Omessa motivazione  della rilevanza -
 Manifesta inammissibilita' della questione.
 
 (C.P.P., artt. 563, primo e terzo comma, 444, primo e secondo comma,
 445, 447, primo comma, 448, primo e secondo comma, 555, primo comma,
 e 563, secondo e quarto comma).
 
 (Cost., artt. 101, secondo comma, e 27 terzo comma).
 
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimenti speciali Applicazione
 della pena su richiesta delle parti - Accordo fra p.m. e imputato non
 sindacabile dal giudice - Prospettata lesione dei principi della
 riserva di giurisdizione e del giudice naturale - Pretesa
 disponibilita' da parte dell'imputato  di diritti inviolabili quale
 la liberta' personale - Violazione  dell'obbligo di motivare i
 provvedimenti giurisdizionali Questioni gia' dichiarate infondate -
 Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 563, primo e terzo comma, 444, primo e secondo comma,
 445, 447, primo comma, 448, primo e secondo comma, 555, primo comma,
 e 563, secondo e quarto comma).
(GU n.32 del 8-8-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 563, primo e terzo comma, 447, primo  comma,  448,  primo
 comma  e 562 codice di procedura penale in relazione agli artt. 132 e
 133 del codice penale; combinato disposto degli artt.  563,  primo  e
 terzo comma, 444, primo e secondo comma, 445, 447, primo comma e 448,
 primo e secondo comma, codice di procedura penale; combinato disposto
 degli  artt.  555,  primo  comma, lettera e), e 563, secondo e quarto
 comma, codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa  il
 29  gennaio  1990  dal  G.I.P.  presso  la  Pretura  di  Verbania nel
 procedimento penale a carico di Perazzi Gianni, iscritta  al  n.  194
 del  registro  ordinanze  1990  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 13 giugno 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
    Ritenuto  che  il  Giudice  per  le indagini preliminari presso la
 Pretura circondariale di Verbania  ha  sollevato,  con  ordinanza  29
 gennaio  1990,  questione  di legittimita' costituzionale degli artt.
 563 primo e terzo comma, 444 primo e secondo comma,  445,  447  primo
 comma,  448  primo  e secondo comma, 555 primo comma, lett. e), e 563
 secondo e quarto comma, codice procedura penale 1988, in  riferimento
 agli  artt.  3  primo  comma,  13 primo e secondo comma, 24, 25 primo
 comma, 27 primo e secondo comma, 101 secondo comma, 102 primo  comma,
 111 primo e secondo comma, 112 della Costituzione;
      che,  secondo  quanto  e'  riferito  nell'ordinanza,  il giudice
 avrebbe dovuto applicare la sanzione di Lit. 500 mila  di  multa,  in
 sostituzione della pena di giorni venti di reclusione, ad un imputato
 del reato di cui all'art. 612 secondo comma, codice penale  (minaccia
 grave) che l'aveva richiesta con il consenso del pubblico ministero;
      che,  pero',  il  giudice, pur trovando corretto il procedimento
 mediante cui le parti erano pervenute a richiedere la  pena  entro  i
 detti  limiti,  senza  esprimere  alcun giudizio sulla sua congruita'
 lamenta che le norme applicabili  non  consentono  al  giudice  alcun
 sindacato  circa  la  legalita' della pena e circa la sua congruita',
 secondo i criteri dettati dagli  artt.  132  e  133  cod.  pen.,  ne'
 consentono  almeno,  in tali casi, la trasformazione del rito ex art.
 562 cod. proc. pen.;
      che    una   siffatta   situazione   comprometterebbe   altresi'
 l'esercizio  della  giurisdizione,  in  quanto  non  sarebbe  nemmeno
 consentito    l'accertamento    della    responsabilita',    ne'   il
 proscioglimento fuori dei casi di cui all'art. 129 detto codice,  si'
 che  ne  resterebbe  sacrificato anche il principio di presunzione di
 non colpevolezza, nonche' la necessaria  funzione  rieducativa  della
 pena;
      che  se  poi la richiesta di applicazione concordata dalle parti
 riguarda una pena detentiva, l'imputato finirebbe per disporre  della
 propria liberta', che e' diritto indisponibile garentito dall'art. 13
 della Costituzione;
      che  le  nuove disposizioni avrebbero anche reso piu' angusta la
 riserva di giurisdizione di cui  all'art.  102,  primo  comma,  della
 Costituzione,  che sotto il codice previgente era invece estesa anche
 al pubblico ministero;
      che   non   potrebbe  ritenersi  "motivazione"  quella  prevista
 nell'art. 444 cod.proc.pen. in discorso, mentre poi la concessione di
 incentivi  soltanto per chi rinunzia al giudizio ordinario violerebbe
 il diritto di difesa;
      che,  infine, significherebbe distogliere l'imputato dal giudice
 naturale  consentirgli  di  scegliere  a   quale   giudice   affidare
 l'applicazione della pena su richiesta;
      che  si  e'  costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato,  la
 quale  ha  opposto  l'inammissibilita'  della  questione  concernente
 l'art. 13 della Costituzione perche' la pena di specie e' pecuniaria,
 sia  pure  in  quanto  sanzione sostitutiva, e l'infondatezza di ogni
 altra questione;
    Considerato  che,  per  quanto  si riferisce all'illegalita' della
 pena  e  alla   mancata   previsione,   per   tale   ipotesi,   della
 trasformazione  del rito, e cosi' pure per quanto concerne la mancata
 previsione del potere del giudice di sindacare  la  congruita'  della
 pena  proposta, e' assolutamente carente nell'ordinanza l'esame della
 rilevanza e ogni inerente motivazione;
      che,  infatti,  il  giudice  non  definisce illegale o incongrua
 nella  specie  ne'  la  pena  principale  ne'  quella   proposta   in
 sostituzione,  ne'  comunque spiega per quali ragioni tali dovrebbero
 essere considerate,  in  guisa  che  la  questione  sollevata  assume
 carattere  di  problema  astratto  proposto  su di un piano del tutto
 teorico; tanto piu' che non e' desumibile ex re ipsa  ne'  l'uno  ne'
 l'altro vizio, non essendo di per se' stessa la pena proposta esclusa
 dalla legge per specie e per quantita'  (ipotesi  d'illegalita')  ne'
 essendo  manifestamente  incongrua,  visto  che  nonostante  la tenue
 entita' del reato (fra i minori  previsti  dal  codice),  e  pur  non
 risultando    dall'ordinanza    l'entita'    del    fatto    (ipotesi
 dell'incongruita'), la pena tuttavia non e'  stata  nemmeno  proposta
 nel minimo;
      che,  per quanto concerne la riserva di giurisdizione (art. 102,
 primo comma della  Costituzione),  non  deve  stupire  che  sotto  la
 vigenza  del  codice  di  procedura  penale  del  1988 essa non possa
 riguardare il  pubblico  ministero,  dato  che  l'attuale  codice  ha
 chiaramente attribuito a questi ruolo e qualita' di parte;
      che  nemmeno  e' ravvisabile alcuna violazione del principio del
 giudice naturale per il solo fatto che  l'imputato  possa  richiedere
 l'applicazione  della  pena  nell'una  o  nell'altra  fase  fino alla
 dichiarazione di  apertura  del  dibattimento,  trattandosi  soltanto
 della  previsione  di  un termine ultimo ed essendo ovvio che in ogni
 fase intercorrente l'imputato sia abilitato ad avanzare la richiesta,
 senza  che  cio' significhi sottrazione al giudice naturale, giacche'
 e' pur sempre la legge che precostituisce il  giudice  competente  ad
 applicare la pena nelle varie fasi durante la pendenza del termine;
      che  nemmeno  puo'  essere  accolta  l'inammissibilita'  opposta
 dall'Avvocatura Generale alla questione riguardante l'art.  13  della
 Costituzione,  sotto il riflesso che la sanzione sostitutiva proposta
 ha carattere pecuniario. Ai sensi, infatti,  dell'art.  102  cod.pen.
 esiste   sempre  la  possibilita'  che  il  problema  della  liberta'
 personale si riproponga, in quanto le pene  pecuniarie  non  eseguite
 per  insolvibilita'  si  convertono pur sempre in istituti limitativi
 della liberta' personale, quali la liberta' controllata o  il  lavoro
 sostitutivo  (art.  102 cod.pen.); e se poi queste sanzioni dovessero
 non essere osservate, ritorna addirittura  la  vera  e  propria  pena
 detentiva (art. 108 cod.pen.);
      che,  comunque,  l'ora  detta  questione,  e  tutte  le  residue
 sollevate dall'ordinanza, sono  gia'  state  esaminate  dalla  citata
 sentenza  26 giugno 1990 n. 313 che le ha dichiarate non fondate, ne'
 l'ordinanza ha prospettato ragioni o profili  nuovi  che  inducano  a
 discostarsi da quella decisione;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte Costituzionale;
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita',  della  questione  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 563,  primo  e  terzo  comma,
 444,  primo  e  secondo  comma,  445,  447  primo comma, 448, primo e
 secondo comma, 555 primo comma, lett. e), e  563,  secondo  e  quarto
 comma,  codice  procedura  penale 1988, in riferimento agli artt. 101
 comma 2Œ, e 27, comma tre, della Costituzione, sollevata dal  Giudice
 delle   indagini  preliminari  presso  la  Pretura  circondariale  di
 Verbania con ordinanza 29 gennaio 1990;
    Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
 costituzionale delle norme predette sollevate  dallo  stesso  giudice
 con  la  medesima ordinanza in riferimento agli artt. 3, primo comma,
 13, primo e secondo comma, 24, 25, primo  comma,  102,  primo  comma,
 111, primo e secondo comma, e 112 della Costituzione;
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0943