N. 54 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 luglio 1990
N. 54 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 24 luglio 1990 (della regione Sardegna) Trasporti pubblici - Concorso dello Stato nel finanziamento degli oneri economici derivanti dall'applicazione del nuovo contratto collettivo degli autoferrotranvieri nella misura di 190 miliardi di lire per l'anno 1990 - Ripartizione annuale di detta somma con decreto del Ministro dei trasporti di concerto con il Ministro del tesoro, tra le regioni a statuto ordinario, per le aziende di competenza statale, e tra le aziende ferroviarie in concessione e le gestioni governative - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria regionale delle regioni a statuto speciale escluse da detta ripartizione - Accollo alle regioni a statuto speciale di un onere economico senza previsione della copertura finanziaria. (D.L. 15 giugno 1990, n. 151). (Cost., artt. 3, 81, 97, 116 e 119; statuto regione Sardegna, artt. 3, lett. g), 4, lett. g), 6, e titolo terzo, artt. 7-14).(GU n.36 del 12-9-1990 )
Ricorso della regione Sardegna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore on. Mario Floris, giusta deliberazione della giunta n. 30/63 del 10 luglio 1990, rappresentato e difeso, in virtu di mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof. Sergio Panunzio e presso di esso elettivamente domiciliato in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, per la dichiarazione di incostituzionalita' del d.-l. 15 giugno 1990, n. 151, recante "Disposizioni urgenti in materia di trasporti locali" con particolare riguardo all'art. 1, secondo e terzo comma. F A T T O A seguito dell'approvazione del Contratto nazionale collettivo degli autoferrotranvieri, siglato il 2 ottobre 1989 tra il Ministro dei trasporti ed i rappresentanti dei sindacati, lo Stato stabili' di assumere a proprio carico i relativi oneri finanziari, provvedendo ad inserire tale copertura nella tabella A allegata alla legge finanziaria 1990 (legge 27 dicembre 1989, n. 407). L'inserimento per l'assegnazione delle relative somme in favore delle regioni, che a loro volta avrebbero dovuto assegnarle alle aziende pubbliche e private di trasporto, presupponeva l'emanazione di un apposito disegno di legge che, secondo le intenzioni del Governo, doveva essere approvato in tempi brevi dal Parlamento. Il Governo, difatti, presento' alla Camera il disegno di legge n. 4229, che correttamente prevedeva l'attribuzione di tali somme a favore di tutte le regioni: anche di quelle a statuto speciale. Tuttavia l'iter di approvazione di tale disegno di legge subiva considerevoli rallentamenti ai tempi previsti. Di conseguenza, anche a seguito delle previsioni nel frattempo esercitate dalle organizzazioni delle aziende di trasporto pubbliche e private (che avevano applicato immediatamente il contratto ed elargito ai propri dipendenti le somme stabilite nel nuovo accordo, ma che per fare cio' avevano dovuto richiedere anticipazioni bancarie e dunque si trovavano gravemente esposte dal punto di vista finanziario), il Governo ha ritenuto necessario intervenire con il decreto-legge 15 giugno 1990, n. 151, pubblicato nella Gazzeta Ufficiale n. 140 del 18 giugno u.s. Come risulta dal preambolo, il d.-l. n. 151/1990 e' stato adottato "Vista la legge 27 dicembre 1989, n. 407, con la quale sono stati stanziati lire 450 miliardi per l'anno 1990, lire 910 miliardi per l'anno 1991 e lire 1.350 miliardi per l'anno 1992 come concorso dello Stato negli oneri per il rinnovo contrattuale nel settore dei pubblici trasporti, a fronte dell'accantonamento negativo di lire 260 miliardi per l'anno 1990 e per lire 300 miliardi per ciascuno degli anni 1991 e 1992, derivante dalle misure di razionalizzazione in materia di trasporti, per le quali e' all'esame del Parlamento apposito disegno di legge (atto Camera n. 4229)". L'art. 1 del d.-l. n. 151, che maggiormente rileva ai fini del presente ricorso, e' composto di tre commi che recitano: "1. - E' autorizzato un primo concorso dello Stato nel finanziamento degli oneri derivanti dall'applicazione del nuovo contratto nazionale collettivo degli autoferrottranvieri, siglato il 2 ottobre 1989, nella misura di lire 190 miliardi per l'anno 1990. 2. - Il Ministro dei trasporti, con proprio decreto adottato di concerto con il Ministro del tesoro, provvede a ripartire il contributo di cui al comma primo tra le regioni a statuto ordinario, per le aziende di propria competenza esercenti pubblici servizi di trasporto di persone, e tra le aziende ferroviarie in concessione e le gestioni governative. 3. - Il Ministro dei trasporti, con proprio decreto adottato di concerto con il Ministro del tesoro e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, provvede annualmente a ripartire tra le regioni a statuto ordinario, per le aziende di propria competenza, e tra le aziende feroviarie in concessione e le gestioni governative gli importi del concorso statale di cui al secondo comma con riferimento alla quota di incremento retributivo pro-capite del personale dipendente delle aziende". Il decreto-legge in questione, dunque, stabilisce che l'onere derivante dall'accordo nazionale venga assunto dallo Stato solo per le regioni ad autonomia ordinaria. La regione autonoma della Sardegna, cosi' come le altre regioni ad autonomia speciale, viene esclusa dalla ripartizione nonstante che il contratto nazionale degli autoferrotranvieri si applichi anche alle aziende di trasporto pubbliche e private operanti in Sardegna. Cio' significa che la regione Sardegna dovra' intervenire per far fronte al nuovo onere finanziario delle aziende di trasporto sarde o utilizzando la propria quota del Fondo nazionale per il ripristino dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto, di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151 (cosi' come essa gia' aveva fatto in passato in occasione di analoghi aumenti derivanti da accordi nazionali, ma questa volta senza che vi sia stato un corrispondente intervento statale per l'incremento della quota del Fondo nazionale trasporti), o comunque utilizzando le proprie risorse finanziarie. In ogni caso senza alcuna, neppure parziale, assunzione dell'onere da parte dello Stato. Poiche' la surriferita disciplina del decreto-legge n. 151/90 e' gravemente lesiva dall'autonomia costituzionalmente garantita alla regione Sardegna, questa si vede costretta ad impugnarla per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 3, lett. g); 4 lett. g); 6; e del titolo III (artt. 7-14) dello statuto speciale della Sardegna e relative norme d'attuazione (spec. artt. 59 e segg. del decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348); nonche' violazione degli artt. 3, 81, 97, 116 e 199 della Costituzione. E' ben noto che l'autonomia delle regioni e delle province di Trento e Bolzano trova il suo essenziale supporto nella loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21 del 1956 - le regioni e province autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad adempiere alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119 della Costituzione) nello statuto speciale della regione Sardegna (legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), spec. artt. 7 e segg. (titolo III) anche in relazione agli artt. 3 e 6 e nelle relative norme d'attuazione. Se poi si considera come anche per le regioni ad autonomia speciale e per le due province autonome di Trento e Bolzano, la massima parte delle loro risorse finanziarie sia costituita da una finanza "derivata", e cioe' consistente nei periodici trasferimenti di risorse da parte dello Stato, ben si comprende come non solo la quantita', ma anche la regolarita', la tempestivita' e, in una parola, la affidabilita' di tatli trasferimenti sia essenziale per garantire alle regioni e province autonome una effettiva autonomia nell'esercizio delle loro funzioni, il buon andamento delle loro amministrazioni e dei servizi pubblici di loro competenza, la programmabilita' della loro azione. Cio' premesso, la disciplina stabilita dal d.-l. n. 151/1990 risulta essere sotto vari aspetti censurabile e lesiva della autonomia della regione Sardegna. In primo luogo perche' essa costituisce un ennesimo esempio di quel tipo di intervento contingente e disorganico che - secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 307/1983) - non e' ammissibile in una materia cosi' delicata come e' quella dell'autonomia finanziaria delle regioni. Inoltre perche' esso, concludendo la regione Sardegna (e le altre regioni ad autonomia speciale) da un trasferimento finanziario che peraltro concerne attivita' e spese che la regione deve comunque effettuare (per vincolo costituzionale e di legge), lede l'autonomia della stessa regione: sia quella finanziaria sia quella funzionale. Infine perche', con una discriminazione del tutto irrazionale ed odiosa, cio' che viene negato alla regione Sardegna viene invece elargito dallo Stato alle regioni ad autonomia ordinaria. La esclusione della regione Sardegna dal trasferimento finanziario disciplinato dall'art. 1 del decreto-legge in questione e' di particolare gravita' sia per l'entita' dell'onere finanziario che cosi' si addossa alla regione, sia per la essenzialita' dei servizi su cui tale "taglio" dei finanziamenti finisce per incidere. Cio' che, soprattutto, merita di essere sottolineato e' che con il decreto-legge impugnato lo Stato nega alla regione le risorse finanziarie che ad essa sono necessarie al fine di garantire la prestazione di servizi publici, e di fare fronte alle correlative spese. prestazioni e spese che sono obbligatorie per la regione e "rigide" nella loro entita': comunque, non dipendenti da autonome scelte regionali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato. In proposito e' sufficiente qui osservare come la disciplina in questione incida particolarmente in una materia di competenza regionale di grado primario, quale e' quella in materia di trasporti di interesse regionale di cui all'art. 3, lettera g), dello statuto (oltre che in quella concorrente in materia di servizi pubblici di interesse regionale, ex art. 4, lettera g), dello statuto; ma si considerino anche le commesse competenze in materia di trasporti, delegate dallo stato: v. decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, art. 8; e decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348, artt. 59 e segg., spec. 61). Si tratta dunque di una disciplina che comporta per la regione un onere di spesa che attiene all'espletamento di un servizio pubblico essenziale di propria competenza, quale e' quello dei trasporti, diretto a soddisfare rilevanti valori costituzionali (come quelli inerenti al diritto dei cittadini ad avere mezzi idonei per circolare nel territorio, anche per motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un servizio il cui espletamento la regione e' dunque obbligata a garantire, pur avendo in gnenere poteri assai limitati di controllo sulla relativa spesa (si pensi, per esempio, ai poteri dello Stato in ordine alla determinazione delle tariffe: cfr. anche il d.-l. 4 marzo 1989, n. 77, convertito in legge n. 160/1989). Ma in particolare del tutto priva di poteri di controllo della spesa e' la regione nello specifico caso in questione, dato che l'accordo nazionaale degli autoferrotranvieri si applica alle aziende di trasporto regionale pur non essendo stato sottoscritto, ne' approvato dalla regione. La regione Sardegna, dunque, come tutte le altre regioni italiane, ma a diferenza delle altre senza il sostegno finanziario dello Stato, dovra' intervenire a favore delle aziende di trasporto pubblico al fine di sollevarle dagli oneri conseguenti agli aumenti contrattuali. Per fare cio' potra' utilizzare una parte della quota a Lei assegnata del Fondo nazionale trasporti di cui all'art. 11 della legge n. 151/1981. Si dovra', in ogni modo, o una corrispondente riduzione delle risorse finanziarie stanziate in bilancio per gli interventi gia' programmati in materia di trasporti pubblici, oppure - come sembra necessario data la rigidita' della spesa per i trasporti publici - si dovranno stornare risorse finanziarie proprie della regione (di finanza "non derivata"), gia' destinate al finanziamento di altre attivita' necessarie per l'esercizio delle funzioni di propria competenza. Riassuntivamente, con la disciplina in questione, si pone a carico della regione un aumento - indipendente dalla sua volonta' - della spesa per i servizi di trasporto, senza che la regione abbia gli strumenti per controllare complessivamente tale spesa, e tanto meno per ridurla; e quindi la si costringe a ripianare il deficit risultante dal mancato intevento finanziario dello Stato destinando a tali spese le risorse proprie che debono quindi essere distolte dai loro impieghi, cosi' riducendo altri tipi di interventi regionali, ostacolando l'esercizio delle normali funzioni della regione, impedendole una razionale programmazione degli interventi, sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio. Dunque, la disciplina statale impugnata, che attribuisce alla regione ricorrente la responsabilita' per un aumento (non da essa voluto) della spesa per un servizio volto a soddisfare un diritto costituzionale dei cittadini, senza fornirle i mezzi finanziari necessari per farvi fronte (ne' strumenti per il controllo ed il governo della spesa stessa, viola - ad un tempo - il principio costituzionale di ragionevolezza della legge (art. 3 della Costituzione), e quello di autonomia finanziaria della regione (artt. 3, lettera g), 4, lettera g), 6, e titolo terzo, dello statuto) da cui discende pure - come anche da ultimo ribadito da codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 314/1990) - la "garanzia della proporzionalita' delle spese rispetto alle risorse disponibili e della certezza dei mezzi finanziari necessari" allo svolgimento delle funzioni regionali. Ed al tempo stesso tale disciplina viola anche il principio di copertura finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Un principio, quest'ultimno, che si estende anche alle spese accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato, e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 devono contenere la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci annuali e pluriennali". La fondatezza di tali censure trova sostegno, intero, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che in piu' occasioni (ma spec. con le sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e la responsabilita' della relativa spesa ha dichiarato la incostituzionalita'di norme legislative statali con le quali si veniva a far gravare sui bilanci delle regioni e delle province autonome - senza disporre i corrispondenti trasferimenti di risorse finanziarie - spese necessarie per il funzionamento (in quel caso) del Servizio sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro a tali enti, o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo le regioni stesse (e le province autonome) a prelevare le risorse necessarie a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o dalle corrispondenti entrate di parte previste dai corrispettivi ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale e le province autonome) o comunque dalla finanza "propria". Riassumendo. La disciplina stabilita dall'art. 1 del decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, primo luogo, perche' essa viola il rpincipio della copertura della spesa stabilita dall'art. 81 quarto comma, della Costituzione, come esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in quanto essa accolla alla regione ricorrente nuove spese senza prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte. Cosi' facendo la disciplina impugnata viola, al tempo stesso, l'autonomia finanziaria della regione (con i connessi principi della proporzionalita' delle spese rispetto alle risorse disponibili e della certezza dei mezzi finanziari necessari allo svolgimento delle funzioni) in materia - in primo luogo - di trasporti (artt. 3, lettera g), 4 lettera g), 6 e titolo III dello statuto, nonche' art. 59 e segg. del decreto del Presidente della Republica n. 348/1979, ed art. 119 della Costituzione, ma anche nelle altre materie di competenza propria (artt. 3 e 5 dello statuto). Cio' in quanto tale disciplina, senza tenere minimamente conto delle esigenze di coordinamento della spesa statale con quella regionale, scarica sul bilancio della regione spese di cui essa non ha il governo, e che non possono da essa essere sostenute altro che stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi, riducendo le capacita' di spesa e di intervento della regione anche nelle altre materie di propria competenza. Tale disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore profilo, per violazione anche degli artt. 3 e 116 della Costituzione. In modo del tutto irazionale ed ingiustificato essa, infatti, discrimina la regione ricorrente, nei confronti delle regioni ad autonomia ordinaria che ricevono il finanziamento previsto dall'art. 1 del decreto-legge impugnato; ma tale discriminazione in pejus, oltre che inammissibile in se', e' in contrasto proprio con le ragioni della specialita' dell'autonomia della regione ricorrente, sancita in primo luogo dall'art. 116 della Costituzione. In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra enti, ma fra gli stessi cittadini italiani, a seconda della loro resistenza. Poiche' mentre essi hanno tutti, egualmente, un diritto costituzionalmente garantito a potere fruire di un servizio pubblico di trasporto funzionale, ed adeguato alle esigenze dell'utenza, viceversa la disciplina impugnata (per quanto le regioni le Province autonome da essa discriminate possono cercare di far fronte ai nuovi oneri della spesa per i trasporti trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente sulla funzionalita' e qualita' dei servizi resi dalle aziende di trasporto della regione ricorrente, dando cosi' luogo ad una ingiustificata differenziazione di trattamento a scapito di cittadini della regione stessa. Infine, le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come la disciplina in questione determini, altresi', una violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, pregiudicando il buon andamento della amministrazione regionale e dei servizi pubblici di sua competenza. In conclusione, per i motivi sopra illustrati, non e' costituzionalmente corretto addossare - come ha fatto il decreto-legge impugnato - alle sole regioni ad autonomia speciale, escludendole dal riparto dell'apposito contributo statale, l'onere di finanziare eslusivamente con le proprie finanze le ulteriori spese delle aziende di trasporto conseguenti all'applicazione del nuovo contratto collettivo degli autoferrotranvieri. La incostituzionalita' della disciplina impugnata trova del resto conferma in quanto affermato in argomento da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 307/1983 (n. 15 della motivazione in diritto), che pure dichiaro' incostituzionale una analoga norma legislativa dello Stato che obbligava le regioni a ripianare i deficit delle aziende locali di trasporto attingendo alle proprie finanze. 2. - Violazione dell'art. 47 dello statuto speciale per la Sardegna e relative norme d.attuazione. La esclusione dal finanzamento statale disposta dalla disciplina impugnata riguarda solatnto le regioni ad autonomia speciale e le province di Trento e Bolzano. Non vi e' dubbio, quindi, che si tratta di una disciplina che "riguarda particolarmente" la regione ricorrente. Pertanto, ai sensi dell'art. 47, ultimo comma dello statuto, il presidente della regione doveva essere convocato per intervenire alla seduta del Consiglio dei Ministri del 15 giugno 1990, in cui venne deliberato il decreto-legge impugnato. Ma il presidente della giunta non e' stato convocato in occasione della deliberazione del Consiglio dei Ministri relativa al decreto-legge in questione. Cio' comporta una puntuale violazione della norma statutaria e dell'autonomia regionale, e quindi la incostituzionalita' della disciplina legislativa impuganta.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte dichiarare la illegittimita' costituzionale, in parte qua, del d.-l. 15 giugno 1990, n. 151. Roma, addi' 17 luglio 1990 Prof. avv. Sergio Panunzio 90C0971