N. 502 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 aprile 1990
N. 502 Ordinanza emessa il 13 aprile 1990 dal pretore di Nardo' nel procedimento penale a carico di Patera Salvatore Processo penale - Nuovo codice - Documentazione degli atti processuali e in particolare: udienza dibattimentale con rito direttissimo - Modalita' - Adozione della forma riassuntiva su accordo delle parti - Omessa previsione della registrazione su nastro o della stenotipia nel caso di impossibilita' o contingente indisponibilita' degli strumenti di riproduzione o degli ausiliari tecnici - Asserita violazione dei principi contenuti nella legge di delega e del diritto di difesa - Soggezione del giudice all'accordo delle parti relativo alla scelta sulle modalita' della funzione di documentazione degli atti processuali. (C.P.P. 1988, art. 567, terzo comma, in relazione agli artt. 134, terzo comma, e 140, primo e secondo comma). (Cost., artt. 3, 24, 76, 101 e segg.).(GU n.34 del 29-8-1990 )
IL PRETORE PREMESSO IN FATTO In data 24 marzo 1990, il p.m. dott. Antonio Paladini - con delega in pari data del procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce e previo avviso telefonico a questo pretore - presentava Patera Salvatore, nato in Galatina il 13 aprile 1962 e residente in Aradeo, via Osanna n. 17, in stato di arresto, per il reato gia' sopra precisato e chiedeva, come misura cautelare, gli arresti domiciliari, laddove detto arresto fosse stato convalidato. Quindi, veniva autorizzato il vice brigadiere dei carabinieri di Galatone - il quale aveva eseguito l'arresto del Patera - ad una relazione orale sui fatti. Succesivamente, dopo aver declinato le sue generalita', lo stesso Patera chiedeva un termine a difesa poiche' il suo difensore di fiducia avv. Luigi Piccinni non era presente, essendo impedito per ragioni della sua attivita' professionale. In applicazione degli artt. 391 e 549 del c.p.p., questo pretore convalidava l'arresto, ricorrendo gli estremi di legge formali e sostanziali sulla base in quanto emerso dalle indagini svolte dalla p.g. e dal p.m. e, sulla opposizione di quest'ultimo, disponeva che il dibattimento avesse luogo con il rito direttissimo all'udienza del 28 marzo 1990, ordinando che il suddetto Patera, in luogo della casa mandamentale, rimanesse in stato di arresto nella propria abitazione, con le condizioni previste dalla legge. All'udienza fissata comparivano il p.m. avv. Antonio Paladini, nonche' il Patera, il maresciallo Montemurro e la parte lesa Vaglio Salvatore. Sull'accordo delle parti, questo pretore disponeva che il verbale di udienza fosse redatto in forma soltanto riassuntiva ex art. 567, terzo comma, del c.p.p. in relazione agli artt. 134 e 140 dello stesso codice. Non vi era invece accordo delle parti, per l'opposizione del p.m. perche' l'esame dei testimoni ecc. fosse condotto dal pretore sulla base delle domande e contestazioni proposte dal p.m. e dal difensore, e, conseguentemente, ex art. 567, primo e quarto comma, e 498 del c.p.p., l'istruzione dibattimentale si svolgeva con l'esame diretto e controesame, previsti da quest'ultima norma. Quindi, il p.m. relazionava in merito ai fatti e chiedeva prove con i testi Vaglio Salvatore e maresciallo Montemurro, nonche' l'acquisizione di un accendino, di due atti di convalida di sequestro eseguito dallo stesso p.m., del verbale di interrogatorio del Patera, della denuncia sporta dal vaglio, dei processi verbali di sopralluogo, e del verbale di spontanee dichiarazioni rese alla p.g. dal medesimo Patera ed, infine, del processo verbale di arresto in flagranza di quest'ultimo. Il difensore dell'imputato si opponeva all'acquisizione delle spontanee dichiarazioni rese dal Patera, il quale dichiarava spontaneamente che l'accendino rinvenuto dalla p.g. "non era suo e cio' non aveva mai detto", precisando, nell'interrogatorio reso al p.m. che egli era in possesso di un accendino uguale a quello mostratogli dagli inquirenti. Veniva, quindi, escusso il teste Vaglio Salvatore come parte lesa ed anche il maresciallo Montemurro Nicola della Stazione dei carabinieri di Galatone. Stante l'ora tarda, il processo veniva rinviato all'udienza del 30 marzo 1990, in tale udienza, comparivano il Patera con il suo difensore, nonche' il p.m. e questo pretore disponeva l'inserimento, nel fascicolo per dibattimento, di alcuni atti, cosi' come richiesto dal p.m., mentre ordinava la restituzione di altri, non utilizzabili. Quindi, sia questo stesso pretore, sia il difensore dell'imputato rilevavano l'estrema difficolta' ed, anzi, una vera e propria impossibilita' della redazione del verbale in forma soltanto riassuntiva e con la scrittura manuale, dovendosi procedere, come si e' gia' detto, all'esame diretto e al controesame ex art. 498 del c.p.p. Emergeva, inoltre, la stessa grave difficolta' di ottemperare a quanto previsto dall'art. 140, secondo comma, del c.p.p., secondo cui "quando e' redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva (come nel caso in esame), il giudice vigila affinche' sia riprodotta nella originaria e genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese, se queste possono servire a valutare la credibilita'". Contestualmente, questo pretore osservava che, ai sensi dell'art. 134, secondo comma, del c.p.p., "il verbale e' redatto in forma integrale o riassuntiva, con la stenotipia o altro strumento meccanico, ovvero, in caso di impossibilita' di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale" ed ancora che, ai sensi del terzo comma dello stesso articolo, "quando il verbale e' redatto in forma riassuntiva, e' effettuata anche la riproduzione fonografica"; infine che, ex art. 140 dello stesso codice, "il giudice dispone che si effettui soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva, quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza, ovvero quando si verifica una contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici". Orbene, non potendo questo pretore - quale giudice del dibattimento ed incaricato a dirigere la sezione distaccata della pretura di Nardo' compresa nella pretura circondariale di Lecce - dichiarare che ricorressero "l'impossibilita'" o la "contingente indisponibilita'" di cui agli artt. 124 e 140, teste' riportati, disponeva che si facesse richiesta alle competenti autorita', tramite il signor pretore dirigente della pretura circondariale di Lecce, di informazioni in merito, onde proseguire e concludere il dibattimento con regolarita' e nel rispetto della nuova disciplina del rito penale, le cui caratteristiche sono ormai abbastanza note e sono state fin qui - relativamente alla documentazione degli atti del dibattimento nel procedimento pretorile - specificatamente evidenziate. Pertanto, il dibattimento veniva rinviato all'udienza del 10 aprile 1990 al fine di consentire la richiesta di cui si e' gia' detto e il riscontro da parte delle competenti autorita'. Con nota del 9 aprile 1990, pervenuta in pari data, il signor consigliere pretore dirigente della pretura circondariale informava che "era stato sollecitato il Ministero per la fornitura a tutti gli uffici di pretura (sede e sezioni) dei mezzi tecnici di verbalizzazione... e poiche' all'evidenza non sara' possibile ottenere in breve tempo detti mezzi, la invito a concludere la trattazione del processo, nonche' quelli che potranno sopraggiungere nelle more con l'osservanza delle forme previste dagli artt. 134, n. 2, e 140, n. 1, del c.p.p. per i casi di contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione". All'udienza del 10 aprile 1990, le parti venivano informate di quanto comunicato dal consigliere pretore dirigente con la nota gia' richiamata e, mentre il p.m. dichiarava che nulla ostava, da parte sua, per la prosecuzione del dibattimento con la verbalizzazione degli atti con forma soltanto riassuntiva e con la scrittura manuale per il consenso manifestato dalle parti ex art. 567, terzo comma, in relazione all'art. 140 del c.p.p., il difensore dell'imputato chiedeva, in via principale, che il dibattimento venisse sospeso, mancando in questa pretura i mezzi di stenotipia e di registrazione, cosi' come previsto dal nuovo codice di procedura penale, e non risultava ne' la "impossibilita'" ex art. 134, secondo comma, del c.p.p., ne' la "contingente indisponibilita'" di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici ex art. 140, primo comma, del c.p.p. Subordinatamente, il difensore chiedeva che questo pretore volesse rimettere gli atti alla Corte costituzionale per quanto concerne l'art. 134 primo comma del c.p.p., avendo il legislatore, anzitutto, consentito una incontrollabile discrezionalita' di scelta per la redazione del verbale in forma integrale o riassuntiva, con una deroga, inoltre, all'uso della stenotipia o altro strumento meccanico, prescrivendo il ricorso alla scrittura manuale, sulla base della generica espressione "impossibilita' di ricorso a tali mezzi", senza alcuna precisazione in merito, mentre sarebbe stato necessario un'apposita norma di legge che fissasse i limiti temporali di tale impossibilita'; anche per evitare le eventualita' di orientamenti differenziati da parte dei vari organi competenti, connessi alla disponibilita' strutturale degli stessi. Il difensore dell'imputato osserva, inoltre, che l'art. 134, terzo comma, dello stesso codice, prescrive che "quando il verbale e' redatto in forma riassuntiva e' effetuata anche la riproduzione fonografica"; mentre, poi, con l'art. 140, primo comma, dello stesso codice, e' stabilito che il giudice dispone che si effettui soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva quanto gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando si verifica una contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici; circostanze entrambi dipendenti da scelte incontrollabili; ancora, che l'art. 140, primo comma, stabilisce una gravosissima vigilanza del giudice, nell'ipotesi in cui e' redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, affinche' sia riprodotta nella originaria e genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese se queste possono servire a valutarne la credibilita'; quindi, ex art. 567, terzo comma, del c.p.p. e' prevista, come regola, per il dibattimento dinanzi al pretore la forma soltanto riassuntiva, quando vi e' il consenso delle parti, con tutti gli inconvenienti evidenziati per quanto concerne tale tipo di radazione del verbale. A parere dello stesso difensore, doveva considerarsi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' di tutte le norme teste' elencate per violazione di alcuni principi fissati nella legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, che, certamente, hanno introdotto caratteristiche palesemente differenziate, nella disciplina del rito penale, in rapporto a quelle del codice di procedura penale del 1930, il quale, peraltro, prevedeva, accanto alla forma riassuntiva per la redazione del verbale di dibattimento, l'uso alternativo della stenografia e dei registratori (artt. 495, 496 e 496- bis del c.p.p. abrogato) e, conseguentemente, per violazione degli artt. 76 nonche' 3 e 24 della Costituzione, comportando, dette norme, disparita' di trattamento e pregiudizio del diritto di difesa, essendo incompatibile la scrittura manuale del verbale con la possibilita' di un controllo adeguato da parte del difensore dell'imputato al cospetto della complessita' del dibattimento previsto dal nuovo codice di procedura penale, specie laddove venga adottato l'esame diretto e il controesame dei testimoni ex art. 498 del nuovo c.p.p. Il medesimo difensore, nella successiva udienza del 13 aprile 1990 - cui veniva rinviato il dibattimento per consentire un'adeguata valutazione della proposta questione di costituzionalita' - osservava che, ex art. 567, terzo comma, del c.p.p., nel caso di specie, avendo le parti prestato il consenso per la forma riassuntiva del verbale del dibattimento, il pretore sarebbe tenuto ad adottare tale forma anche se si trattasse di atti con contenuto non semplice e non di limitata rilevanza e anche se vi fosse disponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 140 del c.p.p., con palese disparita' di trattamento tra coloro che vengono giudicati da questo giudice e quelli che sono sottoposti a giudizio dinanzi ad altri giudici, nonostante l'indiscutibile incidenza dei principi sostanziali stabiliti dalla legge delega del 1987, sia pure con criteri di massima semplificazione ex art. 2, n. 103, di quest'ultima legge. Il suddetto difensore faceva presente che il suo intento era di agevolare e non di ostacolare l'applicazione del nuovo codice di procedura penale, in considerazione, anche, di quanto stabilito dagli artt. 481 (contenuto del verbale del dibattimento), 482 (diritto delle parti in ordine alla documentazione) e 510 (verbale di assunzione dei mezzi di prova) del c.p.p. Osservava, infine, che la questione di costituzionalita' prospettata poteva considerarsi rilevante, in quanto la verbalizzazione, sia come prevista dalle norme impugnate, sia come in concreto era stata eseguita, nonostante l'impiego dell'ausiliario che assisteva, il giudice ex art. 135 del c.p.p. e del giudice stesso - non gli consentiva di svolgere ulteriormente la sua funzione di difensore in modo adeguato e di formulare conclusioni rispondenti a giustizia, avendo, all'uopo, gia' manifestato, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, notevoli perplessita' sul metodo, nonostante l'iniziale suo consenso alla "forma soltanto riassuntiva per la redazione dei verbali". Nella stessa udienza, dopo le definitive conclusione del pubblico ministerio, il quale si opponeva alle eccezioni sollevate dal difensore, questo pretore, ritiratosi in camera di consiglio, emetteva, poi, l'ordinanza che segue con il dispositivo letto in udienza. OSSERVANDO IN DIRITTO Con notevoli sforzi, questo pretore ha ricostruito in fatto quanto si e' verificato nel corso delle udienze dibattimentali sopra indicate, a causa della scrittura manuale dei verbali redatti, come prescritto dagli art. 135, 480 e 549 del vigente c.p.p., dall'ausiliario che lo ha assistito in udienza. Cio', sembra importante premettere, per quanto concerne la rilevanza della questione di costituzionalita', cosi' come precisata nel dispositivo letto in udienza. In relazione allo stesso dispositivo, e' necessario, comunque, tener presente che, ex art. 1 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, il Governo della Repubblica fu "delegato ad emanare il nuovo codice di procedura penale, secondo i principi ed i criteri direttivi e con le procedure previsti" dalla stessa legge. Con molta chiarezza, poi, con l'art. 2, il legislatore del 1987 stabiliva che "il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione ed adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso, inoltre, deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio secondo i criteri che seguono... ". A parere del giudicante, ovviamente, i ben 105 principi fissati dal legislatore delegante debbono considerarsi in collegamento tecnico, logico e giuridico, costituendo, insieme a quanto prescritto dai successivi artt. 3-12 della medesima legge, le fondamenta del nuovo edificio da realizzare con l'entrata in vigore del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447 e, cioe', il 25 ottobre 1989. Tuttavia si e' d'avviso che, ai fini della questione di costituzionalita' di cui si e' gia' fatto cenno, meritano particolare interesse i seguenti: "1) massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale; 2) adozione del metodo orale; 3) partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parita' in ogni stato e grado del procedimento; facolta' del p.m. e delle parti, dei difensori e della persona offesa di indicare elementi di prova e di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento; obbligo del giudice di provvedere senza ritardo e comunque entro termini prestabiliti sulle richieste formulate in ogni stato e grado del procedimento del p.m. dalle altre parti e dai difensori; 66) immediatezza e concentrazione del dibattimento; 73) esame diretto dell'imputato, dei testimoni e dei periti da parte del p.m. e dei difensori, con garanzie idonee ad assicurare la lealta', la genuinita' delle risposte, la pertinenza al giudizio e il rispetto delle persone, sotto la direzione e la vigilanza del presidente del collegio e del pretore che decidono immediatamente sulle eccezioni...; potere del presidente, anche se su richiesta di altro componente il collegio, o del pretore, di indicare alle parti temi nuovi od incompleti utili alla ricerca della verita' e di rivolgere domande dirette all'imputato, ai testimoni ed ai periti, salvo, in ogni caso, il diritto delle parti di concludere l'esame... 75) l'obbligo del giudice del dibattimento di assumere, salvo che risulti superfluo l'assumere, le prove indicate a discarico dell'imputato sui punti costituenti oggetto delle prove a carico, nonche' le prove indicate dal p.m. a carico dell'imputato sui punti costituenti oggetto dalle prove a discarico; 76)... facolta' delle parti di utilizzare per le opportune contestazioni, gli atti depositati ai sensi del n. 58; 78) potere del p.m. nel dibattimento di procedere alla modifica dell'imputazione e di formulare nuove contestazioni inerenti ai fatti oggetto del giudizio; previsione di adeguate garanzie per la difesa; 79) previsione che, fuori dei casi di particolare complessita', la motivazione della sentenza possa essere redatta contestualmente alla decisione e sia immediatamente letta in udienza; 103) disciplina del processo davanti al pretore in base ai principi generali di cui ai numeri precedenti, secondo i criteri di massima semplificazione, con esclusione dell'udienza preliminare e con possibilita' di incidenti probatori solo in casi eccezionali; distinzione delle funzioni di p.m. e di giudice; modifica dell'ordinamento giudiziario al fine di garantire tale distinta attribuzione di funzioni; 104) adeguamento di tutti gli istituti processuali ai principi e criteri innanzi determinati". L'art. 7 della legge delega stabilisce: "entro tre anni dalla entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale il Governo della Repubblica puo' emanare disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dagli artt. 2 e 3 su conforme parere della commissione prevista dall'art. 8 con uno o piu' decreti aventi valore di legge ordinaria". Per quanto concerne, specificamente, la documentazione degli atti processuali - che piu' interessa la questione di costituzionalita' di cui gia' si e' detto - il legislatore delegante stabiliva testualmente, nel n. 8 del richiamato art. 2 della legge n. 81/1987: "adozione di strumenti opportuni per la documentazione degli atti processuali; previsione della partecipazione di ausiliari tecnici nel processo per la redazione degli atti processuali con adeguati strumenti, in ogni sua fase; possibilita' che il giudice disponga l'adozione di una diversa documentazione degli atti processuali in relazione alla semplicita' o alla limitata rilevanza degli stessi ovvero alla contingente indisponibilita' degli strumenti o degli ausiliari tecnici". Il legislatore delegato, gia' con la redazione di un progetto preliminare e, successivamente, di un testo definitivo, ha chiaramente evidenziato le caratteristiche del nuovo codice di procedura penale, che si possono cogliere opportunamente - sia pure nei liniti della rilevanza per l'interprete dei c.d. lavori preparatori, ex art. 12 delle disposizioni della legge in generale - delle premesse al progetto ed al testo da parte del Ministro di grazia e giustizia, Vassalli, nonche' dalle relazioni ad entrambi pubblicata sul supplemento ordinario n. 2 della Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 24 ottobre 1988, serie generale n. 93. Sono seguiti poi numerosi contributi dottrinali nelle sedi piu' adeguate a tutti i livelli, e meritano, a parere del giudicante, particolare rilievo, per la compiutezza delle considerazioni ed anche per la partecipazione di numerosi avvocati, docenti universitari e magistrati (alcuni dei quali facenti parte delle varie commissioni nominate dallo stesso Ministro per la redazione dei progetti del nuovo codice di procedura penale, del nuovo processo penale a carico dei minorenni, delle norme di adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e delle norme transitorie e di coordinamento), gli "incontri di studio" organizzati dal Consiglio superiore della magistratura, prima ancora dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e pubblicati nella collana dei "Quaderni del Consiglio superiore della magistratura". Sono piu' recenti, invece, gli orientamenti giurisprudenziali in tema - successivi all'entrata in vigore dello stesso codice - sia da parte dei giudici di merito, sia di quelli di legittimita' sia da codesta Corte costituzionale. E' opportuno, comunque, a parere del giudicante, al fine di ricavarne gli aspetti piu' significativi del nuovo codice, riportare testualmente quanto sintetizzato dal Ministro Vassalli nella "premessa" alla relazione del progetto preliminare ed in quella al testo definitivo dello stesso codice. Nella prima di dette premesse, si afferma tra l'altro... (Omissis) "in ossequio alle direttive fondamentali della legge-delega, il progetto delle nuove disposizioni sul processo penale si e' ispirato a un modello a struttura tendenzialmente accusatoria, con partecipazione dell'accusa e della difesa in condizioni di parita' nel rispetto dei principi del contraddittorio e dell'oralita'. La scelta del modello accusatorio vule rispondere delle nostre istituzioni di realizzare nel nuovo processo una maggiore aderenza agli ideali di democrazia e alle apettative di tutela individuale. Aspettative che l'attuale sistema processuale delude a causa di un assetto inquisitorio cui conseguono effetti contrastanti con il diritto di difesa, quali i grandi poteri del pubblico ministero spesso ientici a quelli del guidice, la mancanza di terzieta' del giudice istruttore, la formazione segreta della prova, la destinazione del dibattimento a una sorta di verifica delle prove precedentemente acquisite. L'attuale sistema, definito, con riferimento alla configurazione assunta negli ultimi venti anni, di "garantismo inquisitorio", delude peraltro anche le aspettative - per un certo verso antagoniste - dell'affermazione delle esigenze punitive dello Stato. Se si pensa alla funzione di esemplarita', di rassicurazione della societa' e di recupero del colpevole, cui e' preordinato l'intervento penale, e' evidente il danno che deriva dallo svolgimento di processi e dalla pronuncia di sentenze quando del fatto accaduto e' rimasto solo un pallido ricordo nei protagonisti diretti. Di qui la necessita' di attuare, con la nuova normativa, non solo un modello di processo piu' rispondente ai rapporti intercorrenti tra cittadino e Stato in una moderna democrazia, ma anche le fondamentali esigenze di pronto ed efficace intervento a protezione dell'ordinato vivere sociale. E' evidente nel progetto lo sforzo di conciliare le esigenze di difesa della societa' e quelle di garanzia dei cittadini interpretandole in termini non necessariamente conflittuali. Sintomatica, in proposito, e' la scomparsa dalla figura del giudice istruttore, figura che da un lato si pone in rapporto di contraddizione con le caratteristiche di un processo di parti (operando tale organo come inquisitore ma al tempo stesso in posizione formale di peculiare "terzieta'"), mentre dall'altro centralizza la ricerca e la raccolta della prova, facendo scadere il dibattimento, come si e' sopra notato, a luogo di verifica di quanto gia' accertato e creando, all'inverso, prolungate segretezze e un macchinoso, lento procedere. Nel nuovo sistema, l'attivita' che precede il dibattimento ha invece una funzione esclusivamente endoprocessuale e a carattere investigativo (salve talune eccezioni riguardanti gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministro); e', invece nel dibattimento che la prova viene formata, pur se e' stata necessariamente prevista la possibilita' di procedere con "incidente probatorio" alla anticipata raccolta di prove non rinviabili. Il compito di investigazione cui si e' accennato e' attribuito in via esclusiva al p.m. al quale, per la posizione di "parte" che esso asume, e', invece, sottratto qualsiasi potere in tema di liberta' personale, fatta eccezione per quello di disporre il fermo": misura che, peraltro, ha carattere provvisorio e che presuppone la sussistenza di urgente necessita' di provvedere. (Omissis)... "La funzionalita' del sistema delineato nel progetto dipendera' dall'adattamento al nuovo rito dell'organizzazione della giustizia (adeguamento delle strutture, informatizzazione dei servizi, potenziamento e ridistribuzione del personale etc.); ma anche dalla cultura del processo che sono chiamati ad acquisire tutti gli operatori del settore. Un particolare sforzo in tal senso e' richiesto ai magistrati, specie a quelli che hanno finora esercitato funzioni requirenti, e agli avvocati. La indispensabile ed essenziale funzione di questi ultimi verra' arricchita in ragione delle esigenze del nuovo processo di parti, della sua dinamica e dei corrispondenti nuovi contenuti della funzione difensiva. Fra questi, e' certamente e precipuamente il diritto di partecipazione del difensore alla formazione della prova che il progetto attua consentendo in particolare l'esame diretto delle parti, dei testimoni e dei periti. Si tratta di uno strumento di assoluta novita' nel nostro sistema e che dovra' costruire non tanto l'aspetto scenograficamente piu' appariscente del dibattimento penale, quanto una delle qualificanti espresioni dello stesso 'processo di parti'. Il progetto di riforma del processo penale un radicale mutamento di rotta, lungamente atteso e preparato da un dibattito culturale durato oltre venticinque anni. Si tratta comunque del primo codice interamente riformato dopo l'avvento della Repubblica..." (Omissis). "Proprio per il grande apporto di novita' rappresentato dal sistema processuale delineato dai testi che si vengono a presentare, si e' ritenuto indispensabile acquisire il contributo di esperienza e di cultura giuridica proveniente dalla magistratura, dall'avvocatura e dal mondo accademico. Il governo si dichiara disponibile a prendere in esame tutti i rilievi e i suggerimenti intesi a un risultato di funzionalita' e di coerenza, nel quadro segnato dalla legge-delega. Sara' cura del governo segnalare tempestivamente alla commissione parlamentare le modifiche ritenute utili ai fini del perseguimento del risultato indicato"... (Omissis). Nella seconda premessa, sono state ribadite le affermazioni teste' esposte con quelle che seguono: (Omissis). "Il periodo di tempo assai lungo occorso per giungere al traguardo di una nuova codificazione sul processo penale ha consentito il formarsi di un ampio consenso sociale non solo sulla necessita' della riforma ma anche sulle caratteristiche fondamentali del nuovo sistema processuale. Tanto che negli anni piu' recenti i lavori di elaborazione del nuovo codice, condotti in esecuzione delle due successive deleghe, hanno spesso costituito per il parlamento un modello per gli interventi novellistici operati sul codice vigente, sino alla recentissima legge 5 agosto 1988, n. 330 sui provvedimenti restrittivi della liberta' personale. Gia' nella 'bozza' redatta nel 1963 da Francesco Carnelutti erano prefigurate in larga misura le linee lungo le quali si sarebbe dovuto muovere il nuovo processo penale, abbandonando gli schemi inquisitori che caratterizzano il codice vigente. Era netta in quella 'bozza' la separazione tra la fase preliminare denominata 'inchiesta preliminare', rimessa esclusivamente al p.m., e il giudizio; ed erano rigidamente contenuti i poteri del p.m., con il chiarimento, nella 'introduzione', che l'inchiesta differiva nettamente dall'istruzione sommaria, perche' questa 'tende a offrire immediatamente i suoi risultati al giudice del reato affinche' se ne serva al dibattimento, mentre l'inchiesta preliminare li offre soltanto al p.m.' Era chiara nella bozza Carnelutti la volonta' di cambiare in modo radicale il modello processuale. Un'analoga volonta' di cambiamento, per costruire diversamente il rapporto tra autorita' e persona, e' stata poi epressa nel preambolo dell'art. 2 della legge-delega del 1974 con l'affermazione che il nuovo codice 'deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio'; affermazione successivamente ribadita nei termini dell'art. 2 della legge-delega del 1987. Il preambolo dell'art. 2 indica una tendenza che si sviluppa 'secondo i principi ed i criteri' indicati di seguito nello stesso articolo e che deve armonizzarsi piu' in generale con altri principi anche di rango costituzionale, quali quelli sulla obbligatorieta' dell'azione penale e sulla posizione ordinamentale del p.m. E' in questo quadro che il nuovo processo risulta improntato dai 'caratteri del sistema accusatorio'; caratteri che emergono attraverso la netta differenziazione di ruolo tra p.m. e giudice; l'eliminazione del segreto negli atti del giudice e nella formazione della prova, l'accentuazione dei poteri delle parti e la parita' tra queste, la valorizzazione del dibattimento e dell'oralita'. Questi principi espressi dalla legge-delega hanno trovato ulteriore svolgimento nel codice, che ha sviluppato un processo di parti, curando di collocare le indagini preliminari del pubblico ministero in uno stadio preprocessuale, di garantire nel modo piu' ampio la parita' e di riconoscere, in tutti i casi in cui e' risultato possibile, alla concorde volonta' dell'imputato e del p.m. il potere di semplificare lo svolgimento del processo. La scelta accusatoria contenuta nella legge-delega, e fatta propria dal Governo nella redazione del codice, e' giustificata non solo da un'idea tradizionale di maggiore aderenza agli schemi democratici e di piu' ampia considerazione per la persona, ma anche dalla consapevolezza che quella scelta piu' di qualunque altra consente di coniugare garanzie ed efficienza, entrambe sacrificate nel sistema vigente, definito di 'garantismo inquisitorio' dopo le riforme intervenute dal 1955 in poi. In questo sistema infatti l'attivita' istruttoria e' stata via via appesantita attraverso avvisi, depositi e controlli, i quali sono riusciti a ridurne l'efficienza ma non anche ad eliminare gli aspetti piu' tipicamente negativi dell'impianto inquisitorio, come la mancanza nel giudice istruttore della posizione di terzieta', l'ampia segretezza e la formazione istruttoria della prova, con la riduzione del dibattimento a luogo di verifica e di valutazione delle prove precedentemente acquisite. Le ragioni della scelta risultano rafforzate dalla convinzione che le probabilita' di una decisione giusta sono maggiori quando la prova si forma nella dialettica processuale anziche' nella solitaria ricerca dell'organo istruttore, sia esso un p.m. o un giudice, le cui acquisizioni diventano fonte di pregiudizio ineliminabile per il giudice del dibattimento. Nel nuovo codice e' scomparsa l'istruzione: il giudizio e' preceduto dalle indagini preliminari del p.m., che hanno carattere investigativo e sono funzionali alle 'determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale'. Gli atti delle indagini preliminari normalmente non costituiscono prova, data la posizione di parte del p.m.; ne' a questo sono riconosciuti poteri in tema di liberta' personale, fatta eccezione per quello di disporre il 'fermo', che ha carattere provvisorio e presuppone l'esistenza di un'urgente necessita' di provvedere. Le misure cautelari possono essere disposte solo dal giudice per le indagini preliminari che, senza alcun compito di indagine, interviene episodicamente per il compimento di singoli atti su richiesta del pubblico ministero o dell'imputato. E' questo giudice che nel corso delle indagini preliminari, quando occorre, raccoglie una prova non rinviabile al dibattimento, provvedendo all'assunzione nel contradditorio delle parti e con le forme stabilite per il dibattimento". (Omissis). "Emerge cosi' la centralita' del dibattimento, luogo in cui l'accusa e' chiamata a superare la presunzione di non colpevolezza e si forma le prova nel contradittorio tra le parti ed attraverso l'esame incrociato. E alla presunzione di non colpevolezza che puo' logicamente collegarsi il venir meno della formula dubitativa, con la regola che 'il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando... insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato e' stato commesso da persona imputabile'. Si tratta di una regola che trova il suo fondamento nella legge-delega (art. 2, n. 11) e che nel codice e' stata espressamente estesa al dubbio sull'esistenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilita' (art. 530, terzo comma) per dare una risposta legislativa ad una questione ampiamente dibattuta nel sistema vigente e risolta in modo non soddisfacente dalla giurisprudenza". (Omissis). "Delle scelte di principio e del contenuto delle singole disposizioni e' stato dato diffusamente conto nella relazione al progetto preliminare redatta dalla commissione ministeriale (ed allegata alla presente relazione v. Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 1988, n. 250, secondo supplemento). Il progetto definitivo, inviato nel luglio 1988 alla commissione parlamentare, invece, non potuto essere accompagnato da una relazione illustrativa, a causa dei tempi ridottissimi imposti dalla legge-delega. Si e' ritenuto percio' opportuno, in questa sede, indicare le ragioni sia delle variazioni intervenute tra il progetto preliminare e quello definitivo, dopo il primo parere della commissione parlamentare, sia delle modificazioni apportate nel testo definitivo del codice, dopo il secondo parere della commissione" (Omissis). Per quanto concerne, in particolare, la documentazione degli atti, e' necessario far presente che il legislatore delegato, nella relazione al progetto preliminare del c.p.p., "titolo terzo, documentazione degli atti", cosi' si esprime: (Omissis). "In tema di documentazione degli atti la direttiva 8 della legge-delega stabilisce: 'adozione di strumenti opportuni per la documentazione degli atti processuali; previsione della partecipazione di ausiliari tecnici nel processo per la redazione degli atti processuali con adeguati strumenti, in ogni sua fase; possibilita' che il giudice disponga l'adozione di una diversa documentazione degli atti processuali in relazione alla semplicita' o alla limitata rilevanza degli stessi ovvero alla contigente indisponibilita' degli strumenti o degli ausiliari tecnici'. Direttive complementari sono le direttive 1 'massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale' e 2 'adozione del metodo orale'. Poiche' la direttiva 8 si referisce ad 'ogni fase' del processo, si e' dettata nel libro secondo una disciplina generale della documentazione, la quale va integrata con le disposizioni particolari relative all'udienza preliminare e al dibattimento. La documentazione degli atti del p.m. trova, una autonoma disciplina nell'ambito della normativa sulle indagini preliminari. La scelta chiaramente espressa dalla legge-delega e' quella di privilegiare per quanto e' possibile l'impiego di tecniche di documentazione diverse dalla redazione tradizionale del verbale in caratteri comuni. Si e' ritenuto di esprimere questa scelta sin dal primo articolo con cui si apre il titolo, ove sono enunciate le modalita' normali di documentazione (art. 133); il verbale viene redatto con la stenotipia, e quindi e' in grado di riportare integralmente gli atti assunti nel processo; qualora non si avvalga della stenotipia, al verbale tradizionale (redatto cioe' in forma riassuntiva) si affianca la riproduzione fonografica, che e' un mezzo di documentazione integrativa del verbale. In ogni caso, alla normale documentazione potra' affiancarsi la riproduzione audiovisiva, nei casi in cui essa sara' ritenuta dal giudice assolutamente indispensabile. Gli articoli successivi disciplinano le singole modalita' enunciate dall'art. 133, dopo che l'art. 134 ha dato la nozione di verbale. Questo articolo condensa la normativa oggi distribuita tra gli artt. 155 e 158. L'art. 155, infatti, e' stato ritenuto inutilmente definitorio, e si e' preferito fare emergere la nozione del verbale attraverso la sua funzione piuttosto che attraverso la sua descrizione, e quindi facendo perno sulla sua efficacia probatoria. E' parso, poi, opportuno dilatare l'enunciazione dell'attuale art. 155 (che lo limita alla 'operazioni compiute' ed alle 'dichiarazioni ricevute'), poiche' il verbale puo' far fede anche di quanto viene compiuto da soggetti diversi dal pubblico ufficiale, ed altresi' della realta' che viene constatata e descritta in termini statici (uno spunto in tal senso e' gia' racchiuso nell'art. 2700 del c.c.). Per questo si e' parlato di documentazione di 'quanto il pubblico ufficiale ha fatto o ha constatato o e' avvenuto in sua presenza'. Correlativamente, si e' eliminata la disposizione, contenuta nell'attuale art. 158, secondo il quale il verbale 'non pregiudica la libera valutazione da parte del giudice dei fatti attestati o delle dichiarazioni ricevute nel verbale medesimo'. Tale precisazione e' apparsa superflua, dal momento che il verbale deve bensi' documentare gli atti, ma non e' esso stesso fonte di prova, di modo che e' implicita la libera valutazione di quanto e' in esso racchiuso". (Omissis). "Particolare attenzione e' stata dedicata alla disciplina della riproduzione fonografica, sulla base della previsione che essa, sotto forma di registrazione, sara' prevedibilmente la modalita' piu' frequente di documentazione. Questa considerazione non priva di giustificazione la disciplina del titolo imperniata, come si e' visto, sul verbale stenotipico. La verbalizzazione e' una narrazione che non puo' essere confusa con la riproduzione fonografica dell'atto, la quale puo' integrare, ma non sostituire del tutto, la prima. L'impiego del mezzo tecnico di registrazione, da effettuarsi ogni qualvolta non si redigera' il verbale stenotipico (fatti salvi i casi particolari previsti nell'art. 140), si accompagna pertanto alla redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva (art. 139). Sul contenuto di questo verbale il secondo comma non pone previsioni specifiche, limitandosi ad imporre la sola indicazione del momento di inizio e di quello di cessazione delle operazioni di riproduzione fonografica o audiovisiva. L'elasticita' della previsione normativa si comprende se si tiene presente la soluzione data al problema del rapporto tra contenuto del verbale e risultato della registrazione. Al riguardo si e' confermato il rapporto che gia' oggi e' possibile desumere dall'ultimo comma del vigente art. 496- bis (divenuto sostanzialmente il terzo comma dell'art. 139). Se il prodotto della registrazione si e' formato in modo compiuto ed intelligibile, e' parso illogico accordare prevalenza al verbale riassuntivo, il quale e' suscettibile di errori od omissioni estremi alla documentazione fonografica. Se, invece, quest'ultima non ha avuto effetto o non e' chiaramente intelligibile, diventa inevitabile attribuire al verbale convenzionale piena efficacia probatoria. Tale disciplina vale anche quando la registrazione fonografica sia solo parzialmente imperfetta: l'inintelligibilita' di una parte non puo' evidentemente togliere valore alla parte perfettamente riuscita, e percio' si e' stabilito che il verbale convenzionale fa prova nella parte in cui la registrazione non abbia avuto effetto o non sia chiaramente intelligibile. Il contenuto in concreto del verbale in forma riassuntiva (redatto dal segretario) dipendera', percio' a seconda dei casi, dalla maggiore o minore affidabilita' delle operazioni di registrazione (di competenza di personale tecnico posto sotto la direzione del segretario), nel senso che la prevedibile buona riuscita di queste operazioni rendera' possibile la massima riduzione del contenuto del verbale sino alle sole indicazioni di inizio e fine delle operazioni medesime. In tal modo la prassi potra' conciliare i vantaggi in termini di velocita' e fedelta' offerti dalla registrazione con i costi che, in termini di verbalizzazione tradizionale, occorre sopportare per evitare il pericolo dell'assenza di qualsiasi documentazione derivante da una registrazione non riuscita. I successivi commi dell'art. 139 disciplinano la trascrizione delle registrazioni. Essa, effettuata di regola da personale tecnico giudiziario, puo' anche essere affidata dal giudice a personale estraneo all'amministrazione della giustizia. Il quinto comma da' la possibilita' al giudice di non disporre la trascrizione della registrazione quando vi sia il consenso delle parti (per esempio: nel caso in cui la sentenza non venga impugnata). Nelle disposizioni di attuazione verranno disciplinate le attivita' di custodia e le eventuali successive utilizzazioni delle registrazioni fonografiche, nei casi in cui non sia stata effettuata la trascrizione, ovvero si dubiti della conformita' di questa al testo registrato. L'art. 140 da' attuazione all'ultima parte della direttiva 8, prevedendo le tre ipotesi nelle quali non si fa ricorso ne' alla stenotipia ne' alla registrazione. In tali ipotesi si redige soltanto il verbale tradizionale, sulla cui stesura si e' affidato al giudice un generale potere di vigilanza. Infatti, poiche' la verbalizzazione riassuntiva introduce degli elementi di interpretazione rispetto alla realta' oggettiva, e' utile inserire in essa un controllo, che avra' normalmente efficacia dialettica, poiche' al potere del giudice si accompagnera' un collaterale intervento delle parti, in modo da garantire la migliore fedelta' possibile della documentazione. L'art. 141 non diverge dall'attuale art. 160 se non nella previsione del possibile impiego del mezzo meccanico anche a proposito delle dichiarazioni orali delle parti, che non si inquadrano in un atto processuale, ma che sono comunque 'attinenti al processo'. Infine l'art. 142 prevede circoscritte ipotesi di nullita', coordinate con la disciplina delle nullita' dettate nella sede generale corrispondente". (Omissis). Nella relazione al progetto definitivo, cosi' leggesi (vedi relazione al progetto definitivo pag. 179): (Omissis). "Gli artt. 134-142 (133-142), che disciplinano le modalita' di documentazione degli atti, hanno subito nel progetto definitivo alcune modifiche di carattere prevalentemente formale, ma volte anche a chiarire il contenuto e a eliminare talune ambiguita'. In effetti la formulazione degli artt. 134 (133) e 135 e' risultata poco felice dal momento che nell'originario art. 133 (ora 134) primo comma da un tanto si presupponeva un concetto che si trovava esplicitato nel successivo art. 135, secondo comma (il verbale e' redatto con il mezzo della stenotipia) e dall'altro non si chiariva che il verbale poteva essere redatto, in via alternativa, con il mezzo della stenotipia o in forma riassuntiva. Pertanto, nel progetto definitivo si e' concentrata nell'art. 134 (133) tutta la disciplina relativa alle modalita' di documentazione, prevedendosi che 'il verbale e' redatto con il mezzo della stenotipia ovvero in forma riassuntiva' - secondo comma (gia' 1- bis) - che 'quando il verbale e' redatto in forma riassuntiva e' effettuata anche la riproduzione fonografica' - terzo comma (gia' 1- ter) - e che alle predette modalita' puo' essere aggiunta la riproduzione audiovisiva, quando ritenuta assolutamente indispensabile - quarto comma (gia' 2) -. Nell'art. 135 sono invece individuati i soggetti cui compete la redazione del verbale, prevedendosi la possibilita' di far ricorso, nel caso in cui il verbale sia redatto con il mezzo della stenotipia, anche a personale estraneo all'amministrazione della giustizia. Gli artt. 134 e 136 del progetto preliminare sono stati nel pregetto definitivo unificati nell'art. 136, dal momento che entrambi disciplinavano il contenuto del verbale. Per tale motivo si e' anche modificata la rubrica dell'articolo, che, a differenza dell'art. 154 del codice vigente, riguarda esclusivamente il 'contenuto' del verbale e non anche la formalita' della sottoscrizione, disciplinata nel succesivo art. 137. Le ulteriori modifiche all'art. 136 sono di carattere formale. In conseguenza delle modifiche apportate all'art. 134 (133), non e' apparso piu' necessario precisare nell'art. 139, secondo comma, che, in caso di riproduzione fonografica, il verbale deve essere redatto in forma riassuntiva. La modifica al secondo comma dell'art. 141 e' di carattere formale. Nel testo del codice e' stata modificata ulteriormente la formulazione dell'art. 134 (133), secondo comma (gia' 1- bis), essendo apparso tecnicamente scorretto porre sullo stesso piano le modalita' di redazione del verbale (integrale o riassuntivo) con il mezzo attraverso il quale la redazione avviene (stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, nel caso di impossibilita' di ricorso a tali strumenti, scrittura manuale). Si e' pertanto previsto che 'il verbale e' redatto in forma integrale o riassuntiva, con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilita' di far ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale'. Nel quarto comma (gia' 2) si sono precisati meglio i presupposti in presenza dei quali puo' essere disposta la riproduzione audiovisiva. Le modifiche all'art. 135 conseguono a quanto si e' detto in merito all'art. 126 (125). La disciplina in tal modo riformulata, con la quale si prevede la possibilita' di far ricorso in via alternativa alla verbalizzazione manuale o a quella con mezzi meccanici nonche' di avvalersi, per la verbalizzazione meccanica, di personale estraneo all'amministrazione, tiene anche conto delle necessita' di realizzare un passaggio graduale delle tradizionali forme di verbalizzazione all'uso di piu' moderne tecniche; occorrera' infatti, un congruo lasso di tempo sia per dotare gli uffici delle apparecchiature necessarie, sia per reclutare o istruire il personale destinato ad utilizzarle". (Omissis). In ordine al dibattimento, cio' e' precisato: (Omissis). "Capo terzo. Istruzione dibattimentale. Le disposizioni del capo terzo (sull'istruzione dibattimentale) concernono, anzitutto, gli atti preliminari all'esame dei testimoni (art. 490). La sola modifica apportata alla corrispondente norma del progetto del 1978 afferisce all'ordine di assunzione dei testimoni: va in ogni caso rispettata la 'precedenza' nell'esame dei testimoni di accusa. Gli artt. 491, 492 e 493 sono stati dedicati all'esame testimoniale e alle condizioni da osservare nel porre le domande e per muovere le contestazioni. Veramente opportuna appare la disposizione del primo comma dell'art. 491: l'esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici, onde evitare che lo stesso si risolva nella mera 'ripetizione' di una testimonianza, predisposta nel suo complesso, e per consentire un 'efficace' controinterrogatorio. Le altre regole attengono al potere di direzione del presidente del collegio nel corso dell'esame: di qui i divieti in ordine alle domande 'che possono muovere alla sincerita' delle risposte'; di qui il controllo per un'escussione 'che non leda il rispetto della persona'; di qui le caute autorizzazioni 'a consultare documenti in aiuto alla memoria'; di qui infine la possibilita' d'intervento, prevista nel sesto comma e a chiusura di una disciplina, tuta da sperimentare. Il primo comma dell'art. 492 riproduce il testo della corrispondente norma del progetto del 1978. Il secondo comma introduce, invece, una sensata innovazione circa l'esame testimoniale del minorenne. In base alla nuova disposizione l'esame e' condotto dal presidente 'su domande e contestazioni proposte dalle parti'. Potra' proseguire, pero', con domande e con contestazioni direttamente effettuate dalle parti, se queste modalita' dell'esame non coincidano sulla 'serenita' del teste'. A rendersene conto dovrebbe essere proprio il presidente del collegio, che ha 'iniziato' l'esame. La possibile revoca dell'ordinanza varrebbe, comunque, a garantire il minore e la sua testimonianza. L'art. 493 regola la facolta' delle parti in ordine alle contestazioni, specifica il potenziale probatorio delle stesse e precisa i limiti entro i quali talune dichiarazioni, utilizzate per le contestazioni, sono acquisibili nel fascicolo per il dibattimento. Questi punti fermi di una disciplina che la pratica giudiziaria 'perfezionera'' in tutta la sua complessa articolazione: a) le contestazioni 'seguono' alla deposizione del teste; b) si basano sulle dichiarazioni rese dallo stesso nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare; c) possono essere mosse dalla parte 'leggendo' la precedente dichiarazione; d) non possono essere il surrettizio tramite di una 'prova' basata sui fatti affermati nella 'dichiarazione'. Solo alcune di queste dichiarazioni (specificatamente indicate nel quarto comma dell'art. 493) sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento ed assumono piena efficacia probatoria. Sempre che le stesse siano state utilizzate per le contestazioni". (Omissis)."I poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private (art. 499) appaiono improntati ad una piu' marcata immediatezza. L'indicazione dei "temi di prova nuovi o piu' ampi" puo' dipendere solo dai "risultati delle prove assunte nel dibattimento" o dalle "letture disposte a norma degli artt. 504, 505 e 506". Non puo' discendere, cioe', dalla valutazione di atti non formatisi al dibattimento (... in base ad un paradigma ipotizzato anche dal progetto del 1978). E' stato poi riformulato il secondo comma per adeguare la norma alla direttiva 73 della legge-delega, che non frappone alcun limite al potere di domanda del presidente. A differenza del progetto del 1978, che circoscriveva questo potere nell'ambito del tema di prova nuovo o piu' ampio, precedentemente indicato. Pure l'art. 500 ("Ammissione di nuove prove"), risulta ispirato all'innovazione introdotta dalla direttiva 73 della legge-delega, che concede al giudice piu' ampi poteri di iniziativa probatoria, rispetto al testo della precedente legge-delega del 1974. Gli artt. 501, 502 e 503 riproducono, salvo qualche marginale modifica, il testo delle corrispondenti disposizioni del progetto del 1978. Non sono stati riproposti l'ultima parte dell'art. 480 (ore 502) (perche' il terzo comma dell'art. 471 disciplina, in via generale, la materia degli 'avvisi" effettuabili al dibattimento) e il terzo comma dell'art. 481 (ore 503) (giacche' la lettura determina, di per se', l'utilizzabilita' dell'atto). La disposizione che disciplinava la redazione del verbale (art. 481, quarto comma, del progetto del 1978) non e' stata riproposta perche' ripeteva una prescrizione contenuta nelle disposizioni generali in tema di verbalizzazione degli atti. E' stato invece esplicitato il potere di vigilanza che su tali atti spetta al presidente del collegio. Omissis. "L'esigenza di riordinare in modo parzialmente diverso gli atti del dibattimento sta alla base della diversa formulazione dell'art. 508 rispetto all'art. 488 primo comma, del progetto del 1978. A suggerirla e' stata l'esigenza stessa di un fascicolo per il dibattimento. Di un fascicolo cioe', che deve raccogliere gli atti che ne costituiscono l'originaria ossatura o che vi vengono "allegati" in seguito alle "contestazioni"; ma che deve raccogliere anche gli altri atti letti al dibattimento e i documenti ammessi durante il suo svolgimento. Non e' stato invece riproposto il secondo comma dello stesso art. 488. La regola ivi espressa del divieto di allegazione e di utilizzazione ai fini della decisione dei verbali degli atti di cui e' vietata o non e' stata data lettura e' apparsa superflua. La prescrizione emerge in modo chiaro dalla corelazione tra le disposizioni relative alle "letture" e la previsione (art. 519), che impone al giudice di non utilizzare per la decisione prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento. (Omissis). Nella relazione al progetto definitivo, in tema, non vi sono espresse considerazioni di rilievo, in quanto la maggior parte delle norme contenute nel progetto preliminare sono riprodotte nel testo definitivo. Particolare rilevanza per la questione di costituzionalita' di cui si e' piu' volte fatto cenno, merita il disposto dell'art. 503 del progetto preliminare: "Verbale di asssunzione dei mezzi di prova. 1. Nel verbale sono indicate le generalita' dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e degli interpreti ed e' fatta menzione di quanto previsto dall'art. 490, secondo comma. 2. Il segretario documenta nel verbale lo svolgimento dell'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private, riproducendo integralmente in forma diretta le domande poste dalle parti o dal presidente nonche' le risposte delle persone esaminate. 3. Quando il giudice dispone che il verbale sia redatto solo in forma riassuntiva, i poteri di vigilanza previsti dall'art. 140 secondo comma sono esercitati dal Presidente"; e il corrispettivo art. 510 del testo definitivo: "1. Nel verbale sono indicate le generalita' dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e degli interpreti ed e' fatta menzione di quanto previsto dall'art. 497 secondo comma. 2. L'ausiliario (che assiste il giudice documenta nel verbale lo svolgimento dell'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private, riproducendo integralmente in forma diretta le domande poste dalle parti o dal presidente nonche' le risposte delle persone esaminate. 3. Quando il giudice dispone che il verbale sia redatto solo in forma riassuntiva, i poteri di vigilanza previsti dall'art. 140 secondo comma sono esercitati dal presidente". Per quanto riguarda, poi, il procedimento davanti al pretore, nella sua relazione al progetto preliminare del c.p.p., il legislatore delegato si esprimeva come segue: "Libbro ottavo. Procedimento davanti al pretore; la direttiva 103 della legge-delega, relativa alla disciplina del processo pretorile, contiene indicazioni molto sintetiche e generali, che lasciano ampi spazi al legislatore delegato nella descrizione analitica delle concrete modalita' di funzionamento del procedimento davanti al pretore. Anche i pochi accenni rinvenibili nei lavori preparatori sono estremamente laconici e generici e fanno per lo piu' esclusivo riferimento all'esigenza, segnalata nella direttiva 103, di distinguere le funzioni di p.m. e di giudice. Le indicazioni relative all'imposizione del procedimento avanti al Pretore si riducono alla previsione di una disciplina "in base ai principi generali di cui ai numeri precedenti, secondo criteri di massima semplificazione, con esclusione dell'udienza preliminare e con possibilita' di incidenti probatori solo nei casi eccezionali". Sulla base di questi tre principi, pare comunque possibile cogliere alcune indicazioni di fondo, che costituiranno le linee direttive del nuovo processo di pretura. In primo luogo, poiche' la direttiva 1 della legge-delega fissa gia' il principio della "massima semplificazione nello svolgimento del processo"; i "criteri di massima semplificazione" richiesti dalla direttiva 103 della legge-delega non possono che tradursi in una ulteriore semplificazione degli istituti e dei meccanismi "semplificati" previsti in via generale per il procedimento per i reati di competenza del tribunale. Ne consegue che il richiamo ai "principi generali di cui ai numeri precedenti" non deve essere interpretato come rigida adesione agli specifici istituti disciplinati dalla legge-delega per il procedimento avanti al tribunale, bensi' come riferimento ai principi generali ispiratori di quegli istituti, con possibilita' di modificarli e di interpretarli secondo criteri, appunto, di massima semplificazione, adeguati alle forme piu' snelle e rapide che si sono tradizionalmente accompagnate al procedimento pretorile. Si inserisce su questa indicazione di fondo l'esecuzione dell'udienza preliminare. Quella che il legislatore ha voluto escludere dal procedimento pretorile e' evidentemente l'udienza preliminare che e' stata definita "di smistamento", nel corso della quale il giudice valuta la fondatezza dell'ipotesi accusatoria del p.m. ai fini del passaggio alla fase del giudizio. Non vi e' infatti dubbio che l'esclusione di tale udienza e' corrente con i criteri di massima semplificazione del procedimento pretorile, posto che l'udienza preliminare introduce un momento di controllo e di contraddittorio che, necessario per i reati di maggiore gravita' di competenza del tribunale, per i quali le indagini preliminari possono protrarsi a lungo, costituirebbe un inutile appesantimento in relazione ai reati di competenza del pretore. Diverse sono invece le conclusioni in ordine a quell'udienza antecedente al giudizio nel corso della quale il giudice nei procedimenti per reati di competenza del tribunale puo' adottare provvedimenti di merito che concludono il procedimento ovvero comunque evitano il passaggio alla fase dibattimentale. Ritenere che il legislatore delegante, nell'escludere nel processo di pretura l'udienza preliminare, abbia voluto eliminare questi meccanismi semplificati porterebbe a conclusioni illogiche e contrastanti con i criteri di massima semplificazione della direttiva 103. Si sarebbe infatti costretti ad escludere, proprio nel processo pretorile, i meccanismi abbreviati e piu' celeri di cui alle direttive 45 (applicazione della pena su richiesta delle parti), 52 (sentenza di non luogo a procedere prima del giudizio), 53 (giudizio abbreviato). Al contrario, la massima semplificazione del processo pretorile deve essere perseguita attraverso la scelta di fondo di potenziare al massimo gli sbocchi diversi dal dibattimento, trasformando la relativa fase da situazione ordinaria - come e' nel processo di pretura che il nuovo codice si appresta a sostituire - in evenienza eccezionale o, quantomeno, residuale. In particolare, i riti alternativi al dibattimento devono divenire i mecanismi ordinari di definizione del procedimento di tutti i casi in cui il bagaglio probatorio acquisito in sede di indagini preliminari rende del tutto evidente le responsabilita' dell'imputato ovvero quando ha confessato o si presume che ammettera' la propria responsabilita'. In queste situazioni e' palesemente antieconomico ricorrere alla fase dibattimentale, che presente meccanismi complessi e sofisticati inidonei a perseguire i criteri di massima semplificazione che debbono sorreggere il procedimento pretorile. L'obiettivo e' di creare, sia attraverso la disciplina legislativa, sia soprattutto nel costume giudiziario, un sorta di incompatibilita' tra evidenza della prova e/o confessione dell'imputato e giudizio dibattimentale, salvo evidentemente che sia lo stesso imputato a chiedere che il procedimento trovi sbocco nel dibattimento. Disincentivazione del dibattimento e massima semplificazione sono quindi due finalita' che marciano parallele e trovano traduzione da un lato nell'ampio potere discrezionale del p.m. nell'impostare le fasi iniziali del procedimento in vista del perseguimento di questi obiettivi, dall'altro nell'utilizzazione di meccanismi premiali - peraltro previsti in via generale anche nel procedimento per i reati di competenza del tribunale - capaci di prospettare all'imputato consistenti vantaggi insiti nella rinuncia al dibattimento. Al p.m. e' stato attribuito il potere di emettere il decreto di citazione a giudizio, che gli consente appunto una incisiva attivita' di smistamento in vista dei vari sbocchi - alternativi o dibattimentali - del procedimento. Tale conclusione non contrasta con i principi della delega, ma si attaglia alla particolare struttura del procedimento pretorile, caratterizzato dalla espressa esclusione dell'udienza preliminare, che nel processo di tribunale e' il momento in cui il giudice valuta l'ipotesi accusatoria del p.m. e dispone, se del caso, il rinvio a giudizio. Mancando nel processo di pretura tale momento, e' del tutto congruo attribuire direttamente al p.m. i poteri di impulso processuale e di scelta del rito. D'altro canto nella delega sono previste specifiche ipotesi in cui il p.m. presenta direttamente l'imputato in giudizio, con riferimento ai tre casi di giudizio direttissimo disciplinati dalla direttiva 43. Il decreto di citazione a giudizio del p.m. (art. 548) e' il momento centrale del procedimento davanti al pretore, ed opportunamente contiene anche l'avviso che l'imputato entro un termine prestabilito puo' chiedere il giudizio abbreviato ovvero, sino all'apertura del dibattimento, l'applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 439. In particolare, ove il p. m. ritenga che il giudizio possa essere definito allo stato degli atti ovvero mediante l'applicazione della pena su richiesta, ne da' atto nello stesso decreto di citazione, indicando il rito per il quale e' disposto a prestare il proprio consenso. Solo nel caso in cui l'imputato non colga l'offerta del p. m. ovvero non chieda di sua iniziativa la definizione anticipata del procedimento, il decreto di citazione per il dibattimento svolgera' i suoi effetti tipici, mediante la notificazione alle parti, la formazione del fascicolo d'ufficio e la sua trasmissione al pretore del dibattimento. Il titolo terzo, che prevede appunto sotto la rubrica "Atti introduttivi del giudizio" questi due modelli di decreto di citazione a giudizio che potremmo definire a formazione successiva, si collega sistemativamente con il titolo successivo, che contiene le varie forme di definizione anticipata del procedimento, dal giudizio abbreviato all'applicazione della pena su richiesta, dall'udienza di conciliazione al procedimento per decreto. Nel titolo e' compreso il giudizio in caso di arresto inflagranza, in quanto anche in tale ipotesi l'imputato puo' presentare richiesta di giudizio abbreviato (art. 559 settimo comma). E' implicito che anche in tale caso l'imputato puo' comunque sempre chiedere, prima dell'apertura del dibattimento, l'applicazione della pena su richiesta. Non e' pertanto casuale che il giudizio in dibattimento sia disciplinato alla fine del libro ottavo, quasi a tradurre sistematicamente il carattere residuale che dovrebbe assumere questa forma di giudizio, ultima risorsa dopo che non hanno avuto corso le ipotesi di accordo premiale tra il p.m. e imputato. Il che non esclude evidentemente che vi siano situazioni in cui, a causa della particolare complessita' delle indagini preliminari, il procedimento si avvii sin dall'inizio verso lo sbocco naturale della verifica dibattimentale. Le esigenze di massima semplificazione del procedimento davanti al pretore trovano comunque riscontro anche in sede dibattimentale. L'art. 560 prevede infatti che il verbale di udienza venga redatto in forma riassuntiva e che, sull'accordo delle parti, il pretore possa procedere direttamente all'interrogatorio delle parti e all'esame dei testimoni, di periti e di consulenti sulla base delle domande poste dal p.m. e dai difensori. Attraverso l'introduzione di questi meccanismi il procedimento davanti al pretore dovrebbe divenire il banco di prova di un nuovo costume giudiziario, destinato ad estendersi anche ai reati piu' semplici di competenza del tribunale, che vede nei riti abbreviati e nelle forme di definizione anticipata lo sbocco normale del procedimento in tutti i casi in cui non vi e' contestazione sulla responsabilita' o, a contrario, sulla mancanza di responsabilita' dell'imputato. D'altro canto l'esistenza degli ordinamenti che da secoli prevedono un processo di tipo accusatorio insegna che tale modello processuale e' in grado di trovare pratica applicazione, stante il notevole dispendio di risorse richieste dalla formazione orale della prova in dibattimento e dalla cross examination, solo se ad esso si accompagnano forme di definizione anticipata del procedimento basate su modelli alternativi di tipo inquisitorio e premiale. Gli istitui del guilty plea e del plea bargaining del processo nord-americano costituiscono al riguardo esempio estremamente significativo, posto che consentono di risolvere senza ricorrere al dibattimento almeno il 90% dei casi per cui il p.m. ha iniziato l'azione penale". (Omissis). In ordine al "dibattimento dinanzi al pretore", la relazione al progetto preliminare e' la seguente: (Omissis). "L'art. 560 e' dedicato al giudizio in dibattimento. Fermo restando un rinvio generale alle norme stabilite per i reati di competenza del tribunale, l'alternativa piu' evidente che si poneva al legislatore delegato al fine di dare attuazione ai criteri di massima semplificazione era escludere come regola generale la cross examination, attribuendo al pretore il potere di rivolgere direttamente alle parti ed ai testimoni le relative domande, ovvero incidere sul verbale di udienza. La prima via e' peraltro parsa in contrasto con l'impostazione di fondo del nuovo processo, in quanto avrebbe comportato la necessita' di trasmettere al pretore gli atti di indagine preliminare, al fine di metterlo nelle condizioni, attraverso la conoscenza degli atti del procedimento, di procedere all'interrogatorio diretto delle parti ed all'esame dei testimoni. Si sarebbe cosi' reintrodotto il sistema della scrittura e della conservazione degli atti, in contrasto con i principi che sorreggono, quantomeno nella fase dibattimentale, il sistema accusatorio. Si e' scelta la via di mantenere come regola generale l'esame diretto ad iniziativa delle parti e di prevedere che in ogni caso il verbale redatto in forma riassuntiva; e' stato peraltro previsto che sull'accordo delle parti il pretore possa - ove la semplicita' del caso lo consenta - procedere direttamente all'interrogatorio delll'imputato ed all'esame dei testimoni sulla base delle domande formulate dalle parti. La soluzione adottata prevede dunque due modalita' di formazione della prova in dibatimento, mantenendo da un lato fermo il principio dell'esame diretto ad iniziativa delle parti, dall'altro consentendo alle parti di accordarsi per attribuire al pretore un potere di iniziativa nella direzione del dibattimento, cosi' introducendo un piu' celere e semplificato modello di formazione della prova. (Omissis). Nella relazione al progetto definitivo e' detto fra l'altro che "... l'attivita' del pretore del dibattimento ha una maggiore autonomia e comunque non presuppone un doppio passaggio di carte in andata e ritorno analogo a quello tra pubblico ministero e giudice per l'indagine preliminare... venendo all'esame dei singoli articoli, nessuna modifica e' stata apportata all'art. 549 (542), che si limita ad operare un generale rinvio alle norme per il procedimento davanti al tribunale". Con specifico riferimento all'art. 560 del progetto preliminare, nella relazione al testo definitivo leggesi testualmente "nell'art. 567 (560) sono state apportate prevalentemente modifiche di carattere formale o comunque tendenti a migliorare la formulazione. Cosi': la rubrica giudizio in dibattimento; il rinvio nel primo comma, alle norme stabilite per i reati di competenza del tribunale e' stato piu' esattamente espresso come rinvio alle norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale; la disposizione per la verbalizzazione riassuntiva e' stata formulata sostituendo l'espressione con l'accordo con quella sull'accordo". A tale proposito e' necessario riportare testualmente il terzo ed il quarto comma, dell'art. 567 del c.p.p.:... 3) Anche fuori dei casi previsti dall'art. 140, il verbale di udienza e' redatto soltanto in forma riassuntiva se le parti vi consentono; sull'accordo delle parti, l'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private puo' essere condotto dal pretore sulla base delle domande e contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori. Tutto cio' necessariamente premesso per compiutezza di indagine, occorre, a questo punto, evidenziare come il legislatore delegato ha disciplinato la "documentazione degli atti" in generale e con particolare riferimento al dibattimento dinanzi al tribunale ed al pretore. Il legislatore delegato ha stabilito, anzitutto, che alla documentazione degli atti si procede mediante verbale (art. 134, primo comma del c.p.p.); inoltre, che il verbale e' redatto dall'ausiliario che assiste il giudice (art. 135, primo comma, e 480, primo comma, del c.p.p.); ancora, che la forma del verbale puo' essere integrale o riassuntiva e che per la realizzazione di tali forme, deve usarsi o la stenotipia o altro strumento meccanico e, in caso di impossibilita', la scrittura manuale (art. 134, secondo comma, del c.p.p.). Lo stesso legislatore ha pure prescritto la riproduzione fonografica (art. 134, terzo comma, del c.p.p.) quando il verbale e' redatto in forma riassuntiva ed, infine, la redazione contestuale del verbale "soltanto in forma riassuntiva nei casi previsti dall'art. 140 del c.p.p. Trattasi, come e' agevole notare, di concetti distinti che meritano un esame particolare, anzitutto, a livello di interpretazione letterale ex 12 delle disposizioni delle leggi in generale. Invero, dovendo attribuire, nell'applicazione delle norme gia' richiamate soltanto "il senso fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse", deve considerarsi "forma integrale" quella comprensiva dell'intero contenuto delle operazioni, delle dichiarazioni, degli esami, ecc., sia usando la stenotipia, sia altro strumento meccanico e sia la scrittura manuale. Orbene, rileva il giudicante che l'ipotesi legislativa per ultima indicata, (scrittura manuale) appare in palese contrasto letterale e logico con i principi di cui si e' gia' fatto cenno, espressamente previsti dalla legge delega del 1987 e supportati dalle premesse alle relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, riportate all'uopo integralmente e che qui si richiamano. Devesi ricordare, infatti, che il legislatore delegante ha prescritto, in generale, - per i fini chiaramente indicati nell'art. 2 della legge-delega -, sia "la massima semplificazione nello svolgimento del processo", sia "l'adozione del metodo orale", sia "l'immediatezza e concentrazione del dibattimento", sia "l'esame diritto dell'imputato, dei testimoni e dei periti da parte del p.m. e dei difensori, con garanzie idonee ad assicurare la lealta' dell'esame, la genuita' delle risposte, la pertinenza al giudizio e il rispetto della persona, sotto la direzione e la vigilanza del Presidente del collegio e del pretore, che decidono immediatamente sulle eccezioni, sia l'adeguamento di tutti gli istituti processuali ai principi e ai criteri innanzi determinati" (art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, nei numeri 1, 2, 66, 73 e 104). Piu' specificamente, nei n. 8 dello stesso art. 2 sono stabilite esclusivamente, cosi' come nei precedenti progetti della legge-delega: "L'adozione di strumenti opportuni per la documentazione degli atti processuali, nonche' la previsione della partecipazione di ausiliari tecnici nel processo per la redazione degli atti processuali con adeguati strumenti, in ogni sua fase, e con possibilita' che il giudice disponga l'adozione di una diversa documentazione degli atti processuali in relazione alla semplicita' o alla limitata rilevanza degli stessi, ovvero alla contingente indisponibilita' degli strumenti o degli ausiliari tecnici". All'uopo, e con perfetta coerenza, nella premessa del Ministro di grazia e giustizia alla relazione al progetto preliminare del c.p.p., e' scritto a chiare lettere, come gia' precisato, che il nuovo processo penale e' "un processo di parti" ed "emerge cosi' la centralita' del dibattimento, luogo in cui l'accusa e' chiamata a superare la presunzione di non colpevolezza e si forma la prova nel contraddittorio delle parti ed attraverso l'esame incrociato". Cio', in evidente antitesi con quanto sotteso al codice di procedura penale che, vigente approvato con r. d. 10 ottobre 1930, n. 1399, che, tuttavia, prevedeva, sia pure come semplice e discrezionale alternativa, l'uso della stenografia nella compilazione del processo verbale del dibattimento e la riproduzione mediante apparecchi di registrazione delle dichiarazioni o deposizioni da riassumersi nel verbale stesso (art. 496 e 496- bis; aggiunto, quest'ultimo, con legge 6 dicembre 1965, n. 1369). Per quanto concerne la forma riassuntiva del verbale - cosi' come prevista dall'art. 134, secondo e terzo comma, del c.p.p. e riferibile anch'essa sia nel caso dell'uso della stenotipia, sia di altro strumento meccanico, sia di scrittura manuale, il giudicante rileva, anzitutto, che il legislatore delegato si e' riportato - in palese contrasto con i principi enunciati dalla legge-delega, sopra riportati integralmente - a quanto previsto per il verbale di dibattimento - dal gia' richiamato art. 495 del codice di procedura penale del 1930, con il quale veniva prescritto che "nel processo verbale il cancelliere deve riassumere le dichiarazioni dell'imputato, della persona civilmente obbligata per l'ammenda e del responsabile civile, le deposizioni dei testimoni, le conclusioni orali dei periti e dei consulenti tecnici, le relative conferme, variazioni o aggiunte e ogni altro elemento che puo' interessare", con il dovere del presidente o del pretore "affinche' sia riprodotto integralmente e nella sua originaria e genuina espressione quella parte delle dichiarazioni orali che egli ritiene essenziale ai fini della prova" e con la possibilita' per "il presidente o il pretore di dettare le predette, dichiarazioni o disposizioni o di invitare la persona che le ha rese a dettarle, facendo menzione di tale circostanza nel processo verbale". Si deve poi osservare che da quanto disposto dagli artt. 134, terzo e quarto comma, e 494, secondo comma del c.p.p. (dichiarazioni spontanee dell'imputato nel dibattimento) non si intravede con sicurezza a quali criteri deve far riferimento il giudice per scegliere la forma integrale o quella riassuntiva anche se, in tal caso, deve effettuarsi la riproduzione fonografica o addirittura quella audiovisiva, se assolutamente indispensabile. Sembra evidente, a parere del giudicante, che la mancanza di detti criteri (che invece sono espressamente previsti nel caso in cui sia disposta la redazione contestuale del verbale in forma soltanto riassuntiva, ex art. 140 del c.p.p., e di cui si dira' in seguito; comunque, in aderenza con quanto stabilito dall'art. 2, n. 8, della legge-delega del 1987), possa tradursi in una eccessiva discrezionalita', attribuita soltanto al giudice, nonostante "il processo di parti" di cui si e' gia' fatto cenno, mentre alle parti stesse non e' consentito alcun intervento tendente ad attuare la forma integrale di redazione del verbale, senza dubbio piu' aderente a tutti i principi direttivi della legge delega sopra elencati. Devesi, poi, rilevare che gli artt. 134 e 494 del c.p.p. teste' richiamati non precisano cosa debba intendersi per forma riassuntiva del verbale; ne' puo' condividersi con certezza la tesi di alcuni autori, secondo cui detta forma potrebbe desumersi dall'art. 140 secondo comma, nel senso "della riproduzione nell'originale genuina espressione della parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese se queste possono servire a valutare la credibilita'". Tutte le perplessita' di cui sopra non sembrano superabili dalla previsione di cui all'art. 134 terzo comma, del c.p.p. e cioe' "dalla doverosita' di effettuare anche la riproduzione fonografica, quando il verbale e' redatto in forma riassuntiva". Cio' perche', a tale chiara disposizione, non corrisponde, altrettanto chiaramente, in che cosa debba precisamente consistere l'attivita' dell'ausiliario del giudice del dibattimento (peraltro ben impegnato nella descrizione delle attivita' svolte in udienza, e nella riproduzione in modo integrale, dei provvedimenti, dati oralmente dal presidente o dal pretore, riportando, inoltre, sinteticamente, le richieste e le conclusioni del pubblico ministero e dei difensori, cosi' come disposto dall'artt. 481 e 567, primo comma, del c.p.p.), atteso che, mentre dal primo e secondo comma dell'art. 139 del c.p.p. sembrerebbe arguirsi che, nel caso in cui debba procedersi alla riproduzione fonografica o audiovisiva, il compito dell'ausiliario sia soltanto quello della direzione del personale tecnico, anche estraneo all'amministrazione dello Stato, che effettua tali riproduzioni, indicando nel verbale il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione, dal terzo comma dello stesso art. 139, puo' anche, desumersi che detto ausiliario debba, comunque, procedere pure alla redazione del verbale in forma riassuntiva, nel senso sopra precisato, in quanto, in tale comma, e' stabilito che "per la parte in cui la riproduzione fonografica per qualsiasi motivo, non abbia effetto o non sia chiaramente intellegibile, faccia prova il verbale redatto in forma riassuntiva". Tutto cio' con le conseguenze che possono derivare da una disciplina normativa cosi' contraddittoria, pur dovendo essere finalizzata alla concreta attuazione dai principi o dai criteri stabiliti dal legislatore delegante e piu' volte precisati. Nonostante le notevoli perplessita' gia' evidenziate per quanto concerne la documentazione degli atti, nel rapporto tra legislatore delegante e quello delegato, quest'ultimo, con l'art. 140 del testo definitivo del c.p.p., ha stabilito poi le "modalita' di documentazione in casi particolari", con il dovere del giudice di disporre che si effettui "soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o di limitata rilevanza, ovvero quando si verifica una contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzioni o di ausiliari tecnici". Con la stessa norma si aggiunge, come gia' si e' detto, che "quando e' redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, il giudice vigila affinche' sia riprodotta nella originale genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese, se queste possono servire a valutare la credibilita'". Tale modalita' di documentazione, oltre che in generale, e' prevista alternativamente alle altre forme, nel rispettto delle condizioni stabilite dall'art. 140, primo comma, dello stesso codice, nell'incidente probatorio ex art. 401, quinto comma, del c.p.p. e nel dibattimento avanti al tribunale ex art. 510 con riferimento al solo verbale di assunzione dei mezzi di prova; mentre e' prescritta: dall'art. 127 decimo comma, per i procedimenti in camera di consiglio; dall'art. 42, quinto comma, per il verbale dell'udienza preliminare; dall'art. 666 nono comma, per il procedimento di esecuzione; norma richiamata dall'art. 678 primo comma, per il procedimento di sorveglianza. Per quanto concerne, poi, il verbale di dibattimento avanti al pretore, l'art. 567, terzo comma, del c.p.p. stabilisce che "anche fuori dai casi previsti dall'art. 140, il verbale di udienza e' redatto soltanto in forma riassuntiva se le parti vi consentono". In ordine a quest'ultimo dibattimento si e' rilevato che il progetto preliminare al c.p.p. (art. 560, secondo comma) precedeva sempre la redazione del verbale in forma riassuntiva; il testo definitivo impone, invece, il consenso delle parti sia per la verbalizzazione soltanto in forma riassuntiva, sia per l'esame condotto dal pretore, dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private, sulla base delle domande e contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori. Orbene, tenuto conto dei verbi usati ("e' redatto" nel primo caso; "puo' essere condotto" nel secondo caso), si e' ritenuto che, per la redazione del verbale soltanto in forma riassuntiva, il relativo accordo delle parti sia vincolante per il giudice, che, invece, per l'esame delle parti effettuato dal pretore, sia necessario anche il consenso del pretore stesso (che potra' negarlo, ad esempio, quando non abbia sufficienti elementi, sulla base del fascicolo del dibattimento). Si e' aggiunto, poi, che, una volta raggiunto l'accordo sulla conduzione dell'esame o sulla verbalizzazione, puo' una parte revocare il consenso, lamentando, ad esempio, che il pretore non vigila sufficientemente sulla verbalizzazione o non conduce correttamente l'esame (g.i. Fontana, relazione svolta all'incontro di studi sul tema "Il pretore", Trevi 5 - 7 maggio 1989). E non trattasi di opinione isolata, atteso che, tra l'atro, come si e' gia' detto, nella relazione al testo definitivo del codice di procedura penale, leggesi testualmente,... la disposizione per la verbalizzazione riassuntiva e' stata formulata sostituendo l'espressione con l'accordo, con quella sull'accordo..., non dovendosi sottacere, pero', che l'art. 567, terzo comma, del c.p.p. sopra riportato, non prevede espressamente alcun accordo tra le parti in ordine alla verbalizzazione dell'udienza dibattimentale pretorile. Inoltre, nello stesso incontro di studi, sullo specifico argomento, Amos Pignatelli osserva che "e' ragionevole, infine, che, su semplice accordo delle parti, il verbale di udienza sia redatto soltanto in forma riassuntiva". Ancora, nella relazione svolta al seminario sul tema "Iniziative di aggiornamento professionale in relazione alla prossima entrara in vigore del nuovo c.p.p." Roma 16 - 20 dicembre 1988, Gennaro Marasca rilevava che "per la redazione del verbale in forma riassuntiva, sembrerebbe che, in caso di accordo delle parti, vi sia un vero e proprio obbligo da parte del giudice di procedere in tal modo". Infine, nella relazione svolta al seminario sul nuovo c.p.p. (Roma 30 gennaio-3 febbraio 1989), Mario D'Andrea (componente della Segreteria scientifica per la redazione del nuovo codice di procedura penale) affermava che "il terzo comma del c.p.p. stabilisce che, se vi e' il consenso delle parti, il verbale di udienza e' (e quindi "deve essere") redatto soltanto in forma riassuntiva, senza che contemporaneamente venga effettuata la riproduzione fonografica richiesta dall'art. 134, terzo comma, e cio', anche al di fuori dei casi previsti dall'art. 140; il giudice significa che, quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice e limitata rilevanza oppure quando non vi e' disponibilita' di personale o di strumenti necessari, il pretore puo' disporre, a norma dell'art. 140, che si faccia a meno della riproduzione fonografica e che, anche quando gli atti non sono semplici e di scarsa rilevanza e si vi e' disponibilita' di personale e strumenti di riproduzione, il, pretore deve disporre nello stesso modo, a norma dell'art. 567, se le parti vi consentono). Si e' gia' detto ampiamente - e ci si riporta - per quanto concerne i gravi inconvenienti conseguenziali alla redazione del verbale in forma riassuntiva; la quale, peraltro, nel dibattimento dinanzi al tribunale e' prevista soltanto, per disposizione del giudice, con riferimento alle "dichiarazioni spontanee dell'imputato" ex art. 494, secondo comma, del c.p.p., mentre e' prescritta la forma integrale per i provvedimenti dati oralmente dal presidente ex art. 481, secondo comma, e per le domande poste dalle parti o dal presidente, nonche' per le risposte delle persone esaminate, salvo che il giudice disponga che il verbale sia redatto soltanto in forma riassuntiva, quando, sembrerebbe, vi siano le condizioni di cui all'art. 140 del c.p.p., delle quali si e' gia' fatto cenno. A proposito di quest'ultime, si e' poco prima richiamato l'art. 140 del c.p.p., il quale prevede la doverosita' che il giudice disponga che si effettui soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva al cospetto di situazioni completamente differenziate, in quanto e' evidente che l'ipotesi di atti da verbalizzare che abbiano "contenuto semplice o limitata rilevanza" non ha alcun collegamento letterale o logico a quella conseguente al verificarsi di "una contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici". Orbene, per la prima di queste due ipotesi, a parere del giudicante, vi e' da osservare che "il contenuto semplice o la limitata rilevanza" degli atti da verbalizzare - a prescindere dalla genericita' e, forse, dalla incomprensibilita' delle espressioni usate e dei possibili arbitri in pregiudizio del nuovo intero sistema - non possono essere preventivamente stabiliti al fine di disporrre (peraltro da parte del giudice, in un processo "di parti", piu' volte descritto) soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva. Pertanto, in tale ipotesi, la sola redazione del verbale in forma riassuntiva dovrebbe inserirsi in un contesto in cui ben potrebbero rinvenirsi alcuni atti da verbalizzare con contenuto non semplice o di limitata rilevanza; pervenendosi, cosi', ad un'alternarsi di forme in palese contrasto con i principi fissati dalla legge-delega, piu' volte richiamati (in particolare, quelli di cui al primo comma e n. 1, 66 e 104 dell'art. 2 della stessa legge). Per quel che concerne poi, la seconda ipotesi di cui all'art. 140 del c.p.p. e cioe' la "contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici", il problema diventa ancora piu' complesso, in quanto l'art. 140, primo comma del c.p.p. deve essere, anzitutto, raccordato con gli artt. 134, secondo e terzo comma, 135, secondo comma, 138 e 139 del c.p.p.; ed, inoltre, confrontato con i principi della legge-delega e vagliato alla stregua di norme costituzionali ben precise. Orbene, raffrontando il medesimo art. 140, primo comma, del c.p.p. con gli articoli teste' indicati, puo' evincersi che, ricorrendo l'ipotesi in esame, il giudice deve disporre la relazione contestuale del verbale in forma soltanto riassuntiva in deroga a quanto stabilito dal terzo comma, dell'art. 134 del c.p.p., per una "contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione fonografica o di ausiliari tecnici" e, cioe', gli strumenti di riproduzione fonografica ex art. 139 del c.p.p. e gli ausiliari tecnici previsti per detta riproduzione e per la redazione del verbale riassuntivo con la stenotipia, nonche' quelli necessari per la trascrizione della stessa e della riproduzione fonografica, ex art. 135, secondo comma, e 139, quarto comma, del c.p.p. Il che significa, in mancanza di altre indicazioni, che l'ausiliario, nella medesima ipotesi, dovra' redigere il verbale cosiddetto "tradizionale" cioe' riassuntivo e con la scrittura manuale, di cui e' stato gia' detto allorquando si e' esaminato, in particolare, l'art. 134, secondo comma, del c.p.p. Il legislatore delegato, ha, quindi, stabilito, come si e' gia' rilevato, con l'art. 140, secondo comma, del c.p.p., che quando e' redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, il giudice (in particolare il presidente del collegio giudicante ex art. 510, terzo comma, del c.p.p. nel dibattimento dinanzi al tribunale ed il pretore nel dibattimento per i reati di sua competenza, ex art. 567, primo comma, del c.p.p.) deve "vigilare affinche' sia riprodotta nella originaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese se queste possono servire a valutarne la credibilita'". A questo punto, oltre a quanto gia' rilevato in ordine alla forma riassuntiva in generale, si impone anzitutto un raffronto tra quanto previsto dall'art. 140 del c.p.p. e la specifica previsione contenuta nel n. 8 dell'art. 2 della legge-delega, gia' integralmente trascritto. Sulla base di tale ultimo principio e criterio stabilito dal delegante "per attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio", o, comunque, un "processo di parti" - cosi' come gia' precisato -, sembra al giudicante che detto legislatore abbia chiaramente indicato al Governo della Repubblica l'adozione di nuovi strumenti per la documentazione degli atti processuali con la partecipazione di ausiliari tecnici e con la possibilita' di una diversa documentazione degli atti processuali, oltre che nel caso della semplicita' o della limitata rilevanza degli stessi - di cui si e' gia' detto - anche laddove vi fosse contingente indisponibilita' degli strumenti e degli ausiliari tecnici. Trattasi, quindi, di stabilire se il legislatore delegato si sia attenuto, con l'art. 140 del c.p.p., del suddetto principio. Cio' non sembra, in quanto, oltre alla forma integrale o riassuntiva e il ricorso alla scrittura manuale in caso di impossibilita' di usufruire di tali mezzi, - di cui si e' gia' ampiamente detto - il legislatore delegato ha tra l'altro riportato nell'art. 140 del c.p.p. la "contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici", senza alcuna doverosa indicazione dei limiti di tale contingenza (richiamata, peraltro, da ben lontani progetti della legge-delega) da parte dell'organo preposto per tale incombenza; non potendo cio' essere compito del giudice in generale, ne', tanto meno, di quello del dibattimento. Da cio' puo' conseguire che, contrariamente a quanto stabilito testualmente e razionalmente dal legislatore delegante, la "contingente" indisponibilita' di strumenti o di ausiliari si traduca, - come di fatto sta avvenendo a ben sette mesi dall'entrata in vigore del codice di procedura penale - in una persistente ed indeterminata indisponibilita'; snaturandosi, in tal modo, l'intera filosofia del "nuovo" codice di procedura penale, le cui caratteristiche sono state ampiamente evidenziate sulla base anche dei chiarissimi intenti dello stesso legislatore delegato, desumibili dai lavori preparatori, sopra riportati. Deve osservarsi, poi, che il ricorso alla forma riassuntiva con scrittura manuale non puo' certamente realizzare una documentazione degli atti in sintonia, soprattutto, con il c.d. "tiro incrociato", e cioe', l'esame diretto e il controesame dei testimoni ex art. 498 del c.p.p., neppure con la vigilanza del giudice prevista dall'art. 140, secondo comma, in quanto, a prescindere dalle concrete difficolta' di tale vigilanza al cospetto di colui che dirige un dibattimento nel corso del quale deve, indiscutibilmente, formarsi la prova in un "processo di parti", con tutti i compiti relativi, si constata che cio' che e' stabilito dal secondo comma dello stesso art. 140 riproduce, come si e' gia' detto, quasi alla lettera, il disposto dell'art. 495, primo comma, ultima parte, del vecchio codice, il quale, pero', prevedeva, al comma successivo, anche la possibilita', in ogni caso, per il giudice, di dettare (come di fatto nella prassi avveniva quasi sempre) le dichiarazioni o le deposizioni da verbalizzare. Tutto questo, nella nuova disciplina, dovrebbe essere inconcepibile, nonostante la buona volonta' di agevolare l'attuazione del primo codice della Repubblica, per alcuni suoi indiscussi pregi. In proposito e' stato giustamente osservato che, il ricorso alla scrittura manuale "con la penna biro", in forma riassuntiva, viene addirittura a perpetuare, nel nuovo codice, (che - come gia' detto - prefigura un processo di parti con la formazione della prova in dibattimento) gli inconvenienti gia' lamentati nella vigenza del codice Rocco, lasciando alla interpretazione del verbalizzante ed alla "vigilanza" del giudice la riproduzione, nella "originaria genuina espressione", della "parte essenziale" delle dichiarazioni e sostituendo, all'integrale acquisizione delle deposizioni, la selezione operata dagli stessi soggetti, con un giudizio del tutto personale sull'essenzialita' delle cose dette. In tema, non puo' considerarsi poi quanto affermato nella relazione al progetto preliminare al nuovo codice di procedura penale, secondo cui "poiche' la verbalizzazione riassuntiva introduce degli elementi di interpretazione rispetto alla realta' oggettiva, e' utile inserire in essa un controllo, che avra' normalmente efficacia dialettica, poiche' al potere del giudice si accompagnera' un collaterale intervento delle parti, in modo da garantire la migliore fedelta' possibile alla documentazione". Invero, cio', a parere del giudicante, e' palese contrasto con principi e criteri della legge-delega, non realizzandosi, in tal modo, ne' la massima semplificazione nello svolgimento del "nuovo" processo, ne' "l'adozione del metodo orale", ne' l'immediatezza e la concentrazione del dibattimento; essendosi, invece notevolmente allungata la durata dello stesso, specie per i reati piu' complessi, con grave danno per tutti come si e' appreso da fonte diretta e dai mass media piu' qualificati. Occorre prendere atto, poi, di quanto rilevato dai primi commenti all'art. 140 del c.p.p. secondo cui non e' prevista alcuna forma di opposizione alla decisione del giudice disporre, qualora ritenga sussistere taluna delle condizioni indicate nel primo comma di detto articolo, la redazione del verbale in sola forma riassuntiva, ne' e' prevista alcuna nullita' per il caso in cui tale forma di redazione sia stata adottata in assenza di dette condizioni (salva naturalmente, nei congrui casi, la eventuale responsabilita' disciplinare). Il che, ovviamente, aggrava i problemi e i contrasti tra quanto stabilito in tema dal legislatore delegante e da quello delegato. Come si e' gia' visto, per quanto concerne il dibattimento dinanzi al pretore, l'art. 567 del c.p.p. dispone testualmente che " anche fuori dai casi previsti dall'art. 140, il verbale di udienza e' redatto soltanto in forma riassuntiva se le parti vi consentono". Conseguentemente, per cio' che riguarda il procedimento pretorile, oltre agli inconvenienti gia' evidenziati ampiamente per la documentazione degli atti in generale ex 134 e segg. del c.p.p. (e di quelli del dibattimento dinanzi al tribunale, per il rinvio di cui all'art. 567 del c.p.p.), se ne aggiunge uno ulteriore e, cioe' che la sola forma riassuntiva senza la riproduzione fonografica anche fuori dei casi di cui all'art. 140 del c.p.p. e (quindi deve) essere adottata se le parti vi consentono. Se tale ultima dizione legislativa si e' gia' espressa la dottrina in tema, nel senso pure evidenziato ampiamente senza alcun noto contrasto (vedi considerazioni Fontana, Pignatelli, Marasca e D'Andria). Comunque sia aderendo alle tesi degli autori sopra citati, secondo i quali vi sarebbe un obbligo del pretore di far redigere il verbale in forma soltanto riassuntiva laddove venga raggiunto l'accordo delle parti in tal senso (ricordasi, in proposito quanto rilevato nella relazione al testo definitivo del codice pe cio' che concerne tale accordo, che pero', non compare nel nuovo codice, il quale prevede, soltanto l'accordo delle parti per l'esame, condotto dal pretore, dei testi, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private); sia, invece, opinando, (ma soltanto per mero scrupolo interpretativo, stante la non felice formula legislativa) la non obbligatorieta' da parte del pretore di disporre la sola forma riassuntiva, pur se vi sia accordo delle parti (traducendosi detto presunto accordo in un consenso necessario delle parti stesse) perche' il pretore possa - ma il codice dice "debba" - far redigere il verbale con detta forma, in entrambi i casi e' palese il contrasto e l'eccesso in relazione a quanto espressamente stabilito dal n. 8 dell'art. 2 della legge delega, secondo cui l'adozione di una diversa documentazione degli atti processuali, (peraltro consentita soltanto in caso di semplicita' o di limitata rilevanza degli stessi ovvero nella contingente indisponibilita' degli strumenti o degli ausiliari tecnici) e' affidata esclusivamente al giudice, senza alcun condizionamento, per l'evidente riconoscimento dell'importanza della documentazione del verbale d'udienza, specie con le caratteristiche del nuovo rito piu' volte, non a caso, ricordate. Ne' la disciplina teste' indicata potrebbe giustificarsi in considerazione del criterio della "massima semplificazione" del processo pretorile, - su cui si sono soffermati i lavori preparatori del codice di procedura penale e buona parte della dotttrina gia' citata, - in quanto, a parere del giudicante, quanto prescritto dal n. 103 dell'art. 2 della legge delega, non fa altro che stabilire, anzitutto, "la disciplina del processo davanti al pretore in base ai principi generali di cui ai numeri precedenti, secondo i criteri di massima semplificazione" gia' sanciti dal n. 1 dello stesso art. 2 e specificamente richiamati dal delegante; non certamente per creare una "massima semplificazione" oltre la "massima semplificazione", gia' essenziale per "attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio" (art. 2, prima parte, del c.p.p.). Si condivide, invece, quanto affermato da Oreste Dominioni (componente della commissione presieduta da Giandomenico Pisapia per la redazione e la relazione del progetto preliminare del c.p.p.) e cioe' che, la legge delega del 1988, nella direttiva n. 103, ha sostanzialmente recepito quanto elaborato nel progetto del 1978, stabilendo che il processo pretorile deve essere articolato: a) attuando i principi generali fissati per il nuovo sistema processuale penale; b) imprimendo i caratteri della massima semplificazione: tale ripetizione anche letterale della direttiva gia' fissata dal n. 1 non poteva che significare una sua maggiore accentuazione per la giustizia pretorile; c) escludendo dalla struttura processuale del pretore l'udienza preliminare; d) prevedendo il ricorso all'incidente probatorio solo in casi eccezionali; e) attuando (finalmente la distinzione delle funzioni di pubblico ministero e di giudice, anche mediante le necessarie modifiche dell'ordinamento giudiziario (relazione tenuta nel convegno di studio "Enrico De Nicola" dal Centro nazionale di prevenzione e di difesa sociale svoltosi in Lecce a cura del centro studi giuridico Michele De Pietro il 18-20 marzo 1988 sul tema "Verso una nuova giustizia penale". Nella stessa occasione, l'attuale vice presidente di codesta Corte Giovanni Conso affermava nella relazione di sintesi: (Omissis) "venendo alla problematica del procedimento di pretura, che coinvolge una pluralita' di piani, il primo a dover essere preso in considerazione e', ovviamente, il piano normativo. Balza subito all'occhio la collocazione finale del procedimento anzi dei procedimenti davanti al pretore in un libro a se' stante, l'ottavo, proprio ai margini del procedimento di primo grado, quasi a denotare una notevole perplessita' nella scelta del se e del come differenziarli, dal procedimento, anzi dai procedimenti, di competenza del tribunale. Sembra aver avuto il sopravvento la linea volta ad una diversificazione netta; ma se e' vero che esistono molti reati bagatellari nella competenza pretorile, neppure vi mancano reati gravi o addirittura gravissimi, per cui non si puo' affatto dire che questi ultimi abbisognano di garantire inferiori, a quelle previste per i meno gravi fra i reati di competenza del tribunale... ". A tal proposito si e' osservato che la direttiva n. 12 della legge delega del 1987 sulla competenza del pretore e' stata attuata dall'art. 7 del nuovo c.p.p. che dopo aver fissato il limite generale (reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria solo o congiunta alla predetta pena detentiva), indica dodici figure di reato le quali, pur prevedendo una pena detentiva superiore a quattro anni, vengono attribuite alla competenza del pretore. Trattasi, pero', di una cerchia di reati ancor piu' notevole, in virtu' del meccanismo stabilito dall'art. 4 per la determinazione della gravita' del reato agli effetti della competenza. E' evidente, poi, che la nuova competenza si estende anche alla legislazione penale speciale; cosi' ad es., il pretore sara' competente anche per i fatti di cui all'art. 72 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, secondo comma, sugli stupefacenti e, cioe', detenzione, trasporto e commercio di sostanze classificate nelle tabelle seconda e quarta della legge. Inoltre, per il combinato disposto del primo comma dell'art. 7 e della lettera D dell'art. 5 stesso codice ("la Corte di assise e' competente per i delitti previsti nel titolo primo del libro secondo del codice penale, Delitti contro le personalita' dello Stato, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni, sono assegnate alla competenza del pretore oltre quindici figure criminose gia' di competenza della Corte d'assise. Pertanto, la competenza del pretore, tutta in salita sin dal 1865, ha raggiunto limiti davvero raguardevoli sia sotto il profilo della quantita' (secondo autorevoli calcoli, il pretore dovrebbe trattare tra il 75 e l'80%, di tutti gli affari penali) che della qualita'. Si e' concluso, quindi, che il vero procedimento "ordinario", quanto meno sotto il profilo quantitativo, e' quello pretorile (Marasca, gia' citato). Pertanto, gia' si giustificano appena le forme semplificate dello stesso processo; soprattutto, con riferimento ai reati di minore importanza (maldestramente definiti "bagatellari", in quanto chi opera da moltissimi anni come pretore non puo' dimenticare quanta sofferta giustizia puo' emergere proprio per i reati, solo apparentemente, di lieve entita', peraltro con pressante tendenza ad ulteriori necessitate depenalizzazioni). Comunque, forme esemplificate dal punto di vista procedurale si estrinsecano, anzitutto, nell'esclusione dell'udienza preliminare e con possibilita' di incidenti probatori solo in casi eccezionali (gia' previste, come si e' detto, dalla direttiva n. 103 della legge delega) inoltre, nel termine massimo per le indagini preliminari, ancora, nelle differenze del decreto di citazione a giudizio ex art. 555 del c.p.p. e quello nei procedimenti davanti al tribunale e alla corte d'assise ex art. 429 del c.p.p.; inoltre, nella "richiesta" di definizione anticipata del procedimento ex art. 557 del c.p.p.; quindi, nella "trasmissione" degli atti al pretore ex art. 558 del c.p.p.; ancora, nella peculiarita' dei riti alternativi dinanzi al pretore (giudizio abbreviato e applicazione della pena su patteggiamento) e nel tentativo di conciliazione ex art. 564 c.p.p.; quindi, nel procedimento per decreto e nel giudizio direttissimo ex artt. 556 e 566 del c.p.p.; ancora, per quanto riguarda il dibattimento, nella possibilita' che, sull'accordo delle parti private, l'esame dei testimoni che sia condotto dal pretore sulla base delle domande e contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori ex art. 567, n. 4 del c.p.p. (con rilevante deroga a uno degli aspetti piu' peculiari del nuovo processo penale e cioe' l'esame diretto e contro esame dei testimoni ex art. 498 del c.p.p.); infine, nella redazione anche della motivazione contestualmente al dispositivo, a meno che non vi siano ragioni di particolare complessita' ex art. 567, n. 5, del c.p.p. A parere del giudicante, pero', la "massima semplificazione" non puo' e non deve incidere sulle modalita' di documentazione degli atti, specie se dibattimentali, se non nelle eccezionali ipotesi della direttiva n. 8 della legge delega; anche se con le difficolta' attuative di cui pure si e' fatto ampiamente cenno. A questo proposito debbono richiamarsi tutti i principi direttivi della stessa legge, piu' volte indicati (n. 1, 2, 66, 73 e 104 dell'art. 2), necessariamente, non obliterando, anzitutto, che il pretore, a differenza del collegio del tribunale e dei giudici togati e non della corte d'assise, specie nel dibattimento, e' giudice unico, con tutti i pregi e i difetti di tale figura, anche se vi e' un'ideale spinta verso il giudice unico di primo grado (tra gli altri Conso cit.). A cio' aggiungasi che il pretore, specie se gli viene consentito di condurre l'istruzione dibattimentale, non conosce, in difinitiva, gli atti del procedimento se non limitatamente a quelli contenuti nel fascicolo per il dibattimento, completamente distinto da quello del p.m. con tutte le conseguenze che possono derivare e che gia' si avvertono quanto si procede con il nuovo rito. All'uopo e' da rammentare che l'importanza della documentazione nel dibattimento non viene sminuita dall'auspicabile ricorso ai riti alternativi e che grandi sono le potenzialita' di applicazione insite in essi, al punto che dalle loro sorti potrebbero dipendere i destini dell'intero codice e che gia' e' in atto la smitizzazione del dibattimento, come pure la smitizzazione dell'idea che il processo abbia bisogno di percorrere tutti i gradi del giudizio (Conso, cit.). E' evidente comunque, che, in tal modo, si affronta il grave problema delle strutture, non certamente al fine di ostacolare indiscriminatamente l'attuazione del nuovo codice di procedura penale, ma con l'autentico impiego del contrario, trattandosi ormai di legge dello Stato che il giudice e' tenuto ad applicare con l'osservanza dei principi costituzionali, lasciando da parte ogni riserva mentale sulla nuova filosofia del rito penale; e cio', almeno da parte del giudicante, si e' tentato di dimostrare con l'impegno profuso, sia nelle prime esperienze anche dall'esame diretto" ex art. 498 del c.p.p. (essendo mancato, in alcuni procedimenti con il nuovo rito, svoltisi dinanzi a lui appena due mesi dopo l'entrata in vigore del nuovo c.p.p., l'accordo delle parti ex art. 567 quarto comma, del c.p.p.), sia nel redigere questa sofferta ordinanza, anche in previsione, naturalmente, dei numerosi e gravi processi col nuovo rito che cominciano a pervenire in un centro giudiziario di notevoli dimensioni. Ad avviso del giudicante, gli inconvenienti lamentati in ordine alla documentazione degli atti nel dibattimento pretorile cui si e' gia' diffusamente scritto (necessariamente, nel piu' ampio quadro della documentazione degli atti in generale), non possono considerarsi pure e semplici difficolta' di fatto, eventualmente e facilmente emendabili nei limiti di tempo previsti dall'art. 7 della legge delega. Per quanto riguarda, comunque, la notevole importanza delle strutture, quale conditio sine qua non per l'attuazione concreta del nuovo codice di procedura penale, e' doveroso ricordare anzitutto, le osservazioni critiche di carattere generale nei pareri ufficiali sul progetto di legge delega del 1978. (Omissis). Consiglio giudiziario presso la corte di appello di Caltanissetta. (Omissis). Sempre in tema di presupposti indispensabili alla concreta attuazione dei nuovi dettami normativi in materia di processo penale, va, poi, fermamente evidenziata da necessita' di una preventiva sollecita attuazione delle numerosissime riforme di struttura collegate alla vita stessa del nuovo codice processuale penale. Se queste riforme non verranno, il nuovo codice non potra' in concreto nascere, o quanto meno non nascera' vitale, perche' immediatamente ed automaticamente si determinera' una reazione a catena di modifiche normative frettolose e, ancor peggio, di degenerazioni applicative che saranno tollerate proprio perche' imposte dalla necessita'. Pertanto, la prospettiva, che sembra costituire negli ultimi tempi il ritrovato usuale al nostro legislatore ed al potere esecutivo per risolvere i problemi piu' delicati, di lanciare il nuovo codice allo sbaraglio per poi costringere chi di dovere alle necessarie riforme (il prezzo delle quali sarebbe, quindi, ancora una volta pagato dalla collettivita'), appare inaccettabile. L'alternativa e', dunque, quella sopra delineata dalla seria e sollecita definizione delle riforme collegate all'attuazione del nuovo codice, nella piena consapevolezza dell'ulteriore indifferibilita' del problema della giustizia penale. (Omissis). Consiglio giudiziario presso la corte d'appello di Milano. (Omissis). "Non e' infine inutile far presente che l'attuazione del progetto, qualora venisse lasciato inalterato, richiederebbe un aumento notevole di magistrati, di personale ausiliario, di mezzi e di locali senza di che la nuova procedura rischierebbe quasi certamente il naufragio". (Omissis). Consiglio giudiziario presso la corte di appello di Napoli. (Omissis). Strutture giudiziario. (Omissis). In uno dei convegni di studio tenuti nell'imminenza dell'ultima proroga di scadenza della legge delega (Parma, 5-6 maggio 1978) il relatore Pisani affermava: "E' degno di nota il fatto che, nel quarto rapporto sullo stato dei propri lavori (recante la data del 21 marzo 1978), questa seconda commissione ha tenuto ad esordire riaffermando il convincimento che "senza la predisposizione di mezzi (personale, uffici e strumenti tecnici)" poi indicati (e nella misura del "minimo indispensabile"), la nuova disciplina processuale "non solo restera' una pura esercitazione accademica, ma sicuramente aggravera' la gia' evidente crisi della Giustizia, determinando addirittura la paralisi della complessa macchina giudiziaria". (Omissis). Consiglio giudizidiario presso la corte d'appello di Roma... il consiglio formula un giudizio sostanzialmente negativo sull'intero progetto sotto i piu' diversi profili: da quello dell'osservanza dei principi costituzionali, alla luce della giurisprudenza della corte formatasi nei quattro anni della gestazione della riforma, a quello della puntuale corrispondenza alle direttive della legge delega; da quello della pratica attuabilita' in relazione al non modificato stato delle strutture giudiziarie. (Omissis). Consiglio giudiziario presso la corte d'appello di Torino. (Omissis). Tuttavia il discorso sulle strutture assume maggiore importanza quando venga svolto in ordine al nuovo codice. Una riforma della importanza e centralita' come quella del nuovo codice di procedura non puo' naufragare immediatamente per la mancanza delle strutture. Il naufragio del precedente sistema processuale e' cosa nota e non potra' ottenere la riviviscenza del sistema solo operando sulle strutture; ma il nuovo codice, una volta in vigore, disciplinera' il processo penale nei decenni avvenire e per questa ragione non puo' essere in vigore se non quando il contesto normativo e di strutture ne garantiranno il normale decollo. (Omissis). Consiglio giudiziario presso la corte d'appello di Venezia. (Omissis). D'altronde e' innegabile che l'attivita' giudiziaria si svolge ormai da decenni in una situazione patologica di carenza di personale e di mezzi, assolutamente squalificante per amministratori ed amministrati. Occorra quindi considerare che qualora il governo intenda attuare entro breve scadenza la riforma del processo penale secondo le direttive della legge delega, dovra' innanzitutto acquisire piena coscienza delle conseguenze immediate dell'impatto tra il nuovo rito penale e le attuali strutture giudiziarie e dovra' conseguentemente essere preparato a fronteggiare una situazione di crisi suscettibile di incidere sull'avvio della riforma con pesanti condizionamenti. (Omissis). Presidente della corte d'appello di Venezia. (Omissis). Per il numero limitato dei funzionari e ausiliari, per la limitazione degli orari normali e straordinari del personale disponibile, per la frequenza di assenze individuali e collettive, per le insufficienze di mezzi tecnici non sono presagibili ordinari svolgimenti degli atti giudiziari e valide forme di documentazione. (Omissis). Facolta' di giurisprudenza dell'Universita' degli studi di Cagliari. (Omissis). Osserveremo innanzitutto come la lettura del progetto susciti una preoccupazione fondamentale: che la sua approvazione, indubbiamente auspicabile pur con gli opportuni ritocchi, possa essere ostacolata o ritardata, anche pretestuosamente e quindi celando una sostanziale opposizione ad esso, denunciando la evidente carenza delle strutture necessarie per la sua attuazione. D'altro canto non puo' negarsi che, in caso di approvazione, la sua concreta attuazione potrebbe suggerire crtitiche, se non rivelarsi addirittura pregiudizievole per le esigenze della giustizia penale, qualora tale carenza non venisse tempestivamente eliminata. Si tratta peraltro di problemi in relazione ai quali nessun rimprovero puo' essere mosso ovviamente agli estensori del progetto, il cui compito, egregiamente assolto, era solo di proporre una nuova disciplina in conformita' dei criteri fissati dalla legge delega. (Omissis). Consiglio nazionale forense. (Omissis). L'entrata in vigore del nuovo codice comporterebbe una ancor piu' grave paralisi delle attivita' giudiziaria e frustrerebbe le finalita' del legislatore, ove non siano risolti preventivamente i problemi collaterali che consistono nelle nuove esigenze rappresentate: (Omissis ). b) dai requisiti particolari da richiedersi al personale giudiziario, oltre tutto da espertizzare in stenotipia o almeno in stenografia; pratiche ovviamente richieste per fotografare documentalmente il previsto interrogatorio incrociato, perche', in mancanza, la innovazione si risolverebbe soltanto in una affermazione di principio. (Omissis). Consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori di Cagliari. "E' stato concordemente rilevato il qualificato livello tecnico del progetto e l'opportunita' di molte innovazioni previste rispetto al sistema vigente. La prima osservazione di carattere decisamente preliminare ed assorbente e' peraltro quella della priorita', da considerarsi assolutamente essenziale ed irrinunciabile, dell'apprestamento delle strutture necessarie per il corretto funzionamento della nuova legge processuale prima che la stessa entri in vigore. Per l'accertamento delle qualita' e quantita' di tali strutture, ricomprendendosi sotto tale definizione, sia il personale, magistrati e collaboratori, che gli ambienti e le attrezzature, esistono previsioni di massima che peraltro vanno integrate". (Omissis). "Le proposte conclusive sugli emendamenti governativi della legge delega. (Omissis). Emendamento al criterio n. 7. L'adozione di mezzi meccanici per la documentazione degli atti processuali e' di valore decisivo perche' il nuovo processo penale possa ottenere i risultati che ci si prefigge. Sarebbe un grave fraintendimento pensare che si tratti di questione soltanto esteriore, di mera organizzazione materiale. Dalla sua adeguata soluzione, in realta', dipende la celerita' e concentrazione del giudizio, vale a dire le risorse e le specifiche caratteristiche su cui maggiormente punta il tipo di processo delineato dalla legge-delega. Non puo' pertanto non preoccupare la modifica che si vuole introdurre a questo proposito nel testo della delega, da "adozione di mezzi meccanici... " a "possibilita' di adozione di mezzi meccanici... ", e la cui motivazione e' ben esplicata nella relazione: "viene esclusa la perentorieta' dell'imposizione dell'adozione di mezzi meccanici... soprattutto non essendo possibile provvedere all'imponente trasformazione strutturale che l'applicazione del punto comporterebbe". E' necessario insistere su un punto determinante che ancora una volta sembra sfuggire: la cosiddetta "trasformazione strutturale", e cioe' la preordinazione di strutture materiali adeguate per qualita' e quantita' al nuovo processo penale, e' parte essenziale della riforma, non accessoria ne' rinviabile nel tempo. Dall'adeguatezza delle strutture materiali, non meno che dalla bonta' della disciplina normativa, dipendera' il successo dell'opera di riforma della giustizia penale. Non per nulla tale esigenza fu avvertita sin dall'origine di questi lavori, allorche' prese avvio, assieme alla commissione redigente, una commissione per le strutture. L'emendamento proposto sembra invece eludere il problema. In sua vece sarebbe pertanto consigliabile una diversa dizione, che rispecchi nella sostanza la flessibilita' di normativa che gia' ci si fece carico di mettere a punto nel progetto preliminare. Si ritiene, ad ogni modo, che l'opera di studio e preordinazione delle nuove strutture materiali per il processo penale debba ricevere un impulso deciso, pensando ai diversi mezzi di documentazione (stenotipia, stenografia, registrazione etc.), all'addestramento professionale, alla previsione al riguardo di titoli preferenziali nei bandi di concorso per segretari giudiziari e via dicendo". (Omissis). Meritano di essere ricordate, poi, le osservazioni dell'attuale v. presidente di codesta Corte prof. Giovanni Conso nel convegno di Lecce gia' ricordato: (Omissis). "Altri problemi attinenti alle strutture sono riecheggiate qui: quello delle aule e degli uffici, quello del personale ausiliario, quello della qualificazione dei magistrati e degli avvocati, quello della difesa d'ufficio, specialmente per gli imputati non abbienti. Soprattutto quest'ultimo si trasforma in una questione di civilta': se non risolto in conformita' agli schemi cosi' apprezzabili del codice nuovo, si ritorcerebbe a danno della civilta' giuridica. Come conciliare, allora, tante esigenze contrapposte? Far bene far presto, evitare che la riforma naufraghi, creare gli istituti necessari. E' stata ventilata, sia pur sommessamente, ed una volta anche molto autorevolmente, l'ipotesi di una proroga. Sarei poco propenso ad una soluzione di questo genere per la fase attualmente in corso, cioe' per la fase preordinata a dar vita al testo del nuovo codice di procedura penale entro il 30 settembre. Anche se il rispetto del termine previsto per l'emanazione del decreto, anzi dei decreti delegati, farebbe correre il rischio di non avvalersi pienamente dei pareri richiesti, si potrebbe pur sempre confidare che nel frattempo la commissione bicamerale e la commissione redigente provvedano, per quanto di rispettiva spettanza, alle incombenze piu' urgenti. Sara' nell'anno predisposto per la vacatio legis che dovranno essere affrontati in modo particolare i problemi delle strutture. Se allora, poi, la cosa si appalesasse indispensabile per evitare il naufragio della riforma, si potrebbe - anzi, si dovrebbe - prorogare l'entrata in vigore del nuovo codice. Non dimentichiamo, comunque, che un testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale acquisisce una forza di spinta e, al tempo stesso, una forza di attrazione incomparabili. Se e' un codice, diventa un monumento che incombe e, se e' un bel codice (e questo e' un codice molto bello), diventa un monumento in grado di farsi apprezzare in tutti i comuni della Repubblica. In ogni caso, durante il periodo di vacatio legis, ciascuno dovra' assumersi le proprie responsabilita' apertamente, con la consapevolezza che un eventuale insuccesso dopo la pubblicazione del codice, dopo, cioe', che le commissioni avranno portato a termine la loro principale incombenza, sarebbe inesorabilmente addebitabile a che non sapesse o non volesse far fronte al compito spettantegli in quella fase. Non vi sara' possibilita' di infingimenti, tanto chiari diventeranno a quel punto i termini del problema. Codice nuovo non vuol dire soltanto coraggio, vuol dire anche chiarezza. Due doti, queste, troppo spesso latenti nel nostro Paese. Il nuovo codice, un codice coraggioso e chiaro (l'augurio e' che diventi ancora piu' chiaro), mettera' tutti alla prova anche per un recupero di questi due valori fondamentali, il coraggio e la chiarezza, entrambi decisivi per far rialzare la testa ad una societa' da troppo tempo in crisi a causa delle tante umiliazioni e delusioni subite. Il codice consentira' di rialzare la testa a tutti, a cominciare da Governo e Parlamento, onoreranno le loro resposabilita'. Ne' varrebbe il dire che non si trovano i fondi, perche', pur essendo indiscutibile che la crisi economica esiste, e' altrettanto fuori dubbio che i fondi vanno trovati se non si vuole tradire il coraggio a sacrificare la chiarezza. La civilta' di questo Paese ha bisogno di una svolta". Pertinenti sembrano anche le osservazioni di Felice Lima nell'incontro di studio e documentazione per i magistrati tenutosi a Trevi dal 23 al 31 maggio 1988. (Omissis). "Vorrei aggiungere pochissime consdierazioni a quanto ha gia' detto il presidente Riggio - che condivido pienamente - sul problema della carenza di strutture. Vorrei evidenziare un aspetto forse non marginale delle conseguenze che - oltre a quelle che sono teste' cosi' bene illustrate da chi mi ha preceduto - potra' produrre sulla concreta applicazione del nuovo codice la carenza di adeguate strutture. Essa sembra non preoccupare tanti: ad un convegno svoltosi mesi fa a Palermo su questo tema, illustri uomini politici hanno dichiarato esplicitamente di esser certi che l'inidoneita' dei mezzi - che pure riconoscevano - sara' compensata dalla 'buona volonta'' degli operatori (magistrati, cancellieri, ecc.), che da sempre ha consentito al nostro Paese di andare avanti in qualche modo. Ed anche il prof. Siracusano, nel suo intervento appena conclusosi, mi e' sembrato abbastanza sereno, sicuro di una sorta di intervento di un provvidenziale deux ex machina che ci salvi dal tracollo. Io temo, invece, la mancanza di mezzi adeguati alle necessarie operativita' del nuovo codice (si pensi che l'incidente probatorio va fissato non oltre cinque giorni dopo la data del provvedimento che lo ammette e quest'ultimo va notificato non meno di tre giorni prima della data dell'udienza: cioe' in uno o al piu' due giorni); mancanza di mezzi che allo stato puo' prevedersi come certa, se si pensa che non si potrebbe disporre, entro l'ottobre 1989, del personale indispensabile alla riforma (magistrati, segretari, ufficiali giudiziari), neppure se si deliberasse domattina sui concorsi necessari all'assunzione, la cui durata media e' di due anni; mancanza di mezzi, dicevo, che puo' produrre, oltre alle difficolta' relative alla necessita' di lavorare di piu', di lavorare in condizioni ancor piu' inaccettabili di quelle attuali, anche uno snaturamento della riforma, il tradimento dei suoi principi ispiratori. Come e' stato giustamente osservato dal sen. Gallo nella presentazione del parere espresso sul progetto della commissione bicamerale che ne ha giudicato la conformita' alla legge delega, il nuovo codice potra' soddisfare le aspettative in esso riposte soltanto se si creeranno le premesse perche' i nuovi istituti in esso previsti possano funzionare in armonia pon il nuovo sistema processuale cui daranno vita. E non si puo' ignorare che la carenza di strutture incidera' proprio su questa funzionalita'". (Omissis). Per mero scrupolo di compiutezza, occorre, a questo punto, precisare che il problema delle strutture, ed, in particolare quella della documentazione degli atti, specie nel dibattimento del nuovo rito penale, incide, a parere del giudicante, anche all'auspicato necessario cambiamento di mentalita' del giudice (e non solo di questi, ma, pure, delle parti e dei vari operatori del settore) al fine di cogliere concretamente l'ideologia e i messaggi positivi che la nuova disciplina propone; con i quali pero' non sembrano in sintonia il ricorso alla scrittura manuale integrale, o peggio ancora riassuntiva o soltanto riassuntiva, che, come si e' piu' volte detto, costituivano la forma e il mezzo di documentazione degli atti dibattimentali piu' usati dal vecchio codice di procedura penale. In proposito, Raffaele Ceniccola, in una nota su Giurisprudenza di Merito del 1989 col titolo "Il nuovo codice di procedura penale: principi e presupposti per il buon funzionamento" cosi' si esprimeva: (Omissis). "Vi e' poi il problema delle strutture materiali e personali, che costituisce il punto cruciale del discorso sulla funzionalita' della riforma. E' evidente, infatti, che la prospettiva di un processo piu' rapido e giusto, e' destinata a fallire in assenza di un complesso organico di interventi relativi alla edilizia giudiziaria, all'automazione e meccanizzazione dei servizi, alla formazione ed aggiornamento del personale ausiliario. Sotto tale profilo e' sufficiente richiamare l'attenzione, a titolo di esempio, sulle esigenze imposte dal nuovo tipo di dibattimento in termini di funzionalita' delle aule giudiziarie e di tecnica di verbalizzazione che dovra' prevedere l'impiego di macchinette stenodattilografiche affidate a personale altamente specializzato, apparendo il sistema atuale di verbalizzazione a mano chiaramente incompatibile con il contingente di materiale da acquisire attraverso la cross examination ". (Omissis). Quanto si e' verificato nel dibattimento relativo al procedimento penale a carico di Patera Salvatore e' stato adeguatamente esposto all'inizio. E' necessario ribadire, anche ai fini della rilevanza della questione di costituzionalita' proposta dal difensore dell'imputato - pure ampiamente illustrata nella narrativa del fatto - che trattasi di procedimento con rito direttissimo e con l'istruttoria da svolgere merce' l'esame diretto e il controesame dei testimoni ex art. 498 del c.p.p., non essendovi stato accordo delle parti per consentire a questo pretore di condurre deto esame ex art. 567, terzo comma, del c.p.p. (peraltro, anche in questo caso, con le difficolta' di cui pure si e' fatto cenno, dovendo il giudicante procedere sulla base delle domande e contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori, cosi' come pure prescritto dalla norma teste' citata). Conseguentemente, vi e' una ragione in piu' per ritenere, nel caso di specie, un eccesso di delega nel senso sopraprecisato, a nulla rilevando, ovviamente - se la questione di costituzionalita', cosi' come impostata, potra' essere considerata non manifestamente infondata - che, sul verbale di udienza, risulta quanto segue: "sull'accordo delle parti, il pretore dispone che il verbale di udienza sia redatto soltanto in forma riassuntiva; le parti acconsentono"; potendosi, tra l'altro, ritenere revocato il consenso con le successive richieste del difensore dell'imputato, gia' precisate. Comunque, sempre in ordine alla rilevanza della questione di costituzionalita', cosi' come prospettata, e' necessario esaminare e tener presenti la stesura del verbale di udienza e le continue insuperabili difficolta' insorte per la redazione del verbale stesso con la scrittura manuale (penna a biro): cio' nonostante l'impegno dell'ausiliario che ha assistito questo pretore e la vigilanza ex art. 140, secondo comma, 510, 549 e 567 del c.p.p. Difficolta' ed inconvenienti che hanno indotto il giudicante a richiedere agli organi competenti notizie precise, sia sulla "impossibilita'" di ricorso al mezzo della stenotipia o ad altro strumento meccanico, prima di adottare la scrittura manuale, sia sulla "contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzioni o di ausiliari tecnici" ex art. 134 e segg. del c.p.p., con la risposta del sig. consigliere pretore dirigente di cui si e' detto compiutamente nella narrativa del fatto. Non trattandosi, poi, a parere del giudicante, gli atti da verbalizzare con "contenuto semplice o limitata rilevanza" ex art. 140, primo comma, del c.p.p., in considerazione delle caratteristiche - anche con riferimento al merito del reato contenstato - del procedimento a carico del Patera, ne' potendosi sottovalutare le pressanti preoccupazioni manifestate dal difensore dell'imputato circa la impostazione della linea difensiva con la verbalizzazione eseguita - purtroppo, necessariamente, per mezzo della scrittura manuale - nonostante l'iniziale consenso alla redazione contestuale del verbale con la sola forma riasuntiva, si e' palesata con evidenza la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 567, terzo comma, del c.p.p., in relazione agli artt. 134, terzo comma, 140, primo e secondo comma, dello stesso codice, per eccesso della legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81, ex artt. 2, parte prima, e n. 2, 8, 66, 103 e 104, in violazione dell'art. 76 della Costituzione italiana; richiamandosi, all'uopo, tutte le considerazioni, forse, troppo ampiamente gia' esposte, sia per completezza di indagine, sia per la consapevolezza della gravita' del problema. Per quanto concerne la violazione dell'art. 76 della Costituzione, il giudicante ritiene che debbano all'uopo richiamarsi le significative affermazioni di codesta Corte, contenute nella sentenza n. 28/1970, secondo cui "il potere delegato dal legislatore deve essere esercitato in modo conforme alle finalita' che lo hanno determinato e non divergente da dette finalita'. Sicche' alla delega e alla sua formula, a carattere normativo generale, deve risultare corrispondente l'esercizio del potere delegato". Inoltre, con sentenza n. 12/1981, codesta Corte ha stabilito che "quando al legislatore delegato e' lasciato un margine di discrezionalita', il sindacato della Corte costituzionale in relazione all'esercizio di tale potere non puo' andare oltre il controllo di ragionevolezza". Ritiene, inoltre, il giudicante che le norme del c.p.p. ora citate possano essere, in contrasto sia con gli artt. 3, primo e secondo comma, 24, 101 e segg. della Costituzione. Per quanto riguarda l'art. 3, primo comma, invero, non puo' disconoscersi la ingiustificata - formale e sostanziale - disparita' di trattamento per il dibattimento col nuovo rito a carico degli imputati per reati di competenza pretorile - le cui attuali caratteristiche quantitative e qualitative sono state diffusamente illustrate -, in rapporto a reati, anche meno gravi quod poenam, di competenza del tribunale per il cui dibattimento con il nuovo rito e' prescritta la forma integrale della verbalizzazione per l'asssunzione dei mezzi di prova, salvo le particolari ed eccezionali deroghe ex artt. 510, terzo comma, e 140, primo comma, del c.p.p. (pur con le riserve di incostituzionalita' ex art. 76 della Costituzione gia' manifestate per queste ultime norme); sia tra coloro i quali vengono giudicati attualmente con dibattimento del nuovo rito per i reati commessi dopo l'entrata in vigore del nuovo codice p.p. (e, anche anteriormente, fuori dalle ipotesi di cui agli artt. 241, e 242 delle disp. att. del c.p.p.) senza che ancora le strutture connesse a detto codice siano efficienti, pure nel loro interesse (come nel caso in esame), e coloro i quali verranno giudicati allorquando, necessariamente (anche se non si sa quando ed in relazione a quale volonta' o evento) avranno un dibattimento supportato da dette strutture, pur trattandosi dello stesso codice con le caratteristiche ampiamente evidenziate. A parere del giudicante, la verbalizzazione degli atti dibattimentali, cosi' come configurata dagli artt. 567, terzo comma, del c.p.p. in relazione agli artt. 134, terzo comma, 140, primo e secondo comma, dello stesso codice, per le ragioni sopra esposte, puo' incidere negativamente anche sul diritto di difesa nel processo penale, anzitutto sotto il profilo del "diritto al riconoscimento della propria innocenza". All'uopo, codesta Corte ha affermato, costantemente, dal 1967 (sentenza n. 151) al 1983 (sentenza n. 224), che il diritto di difesa non e' solo la pretesa al regolare svolgimento di un giudizio, che consenta liberta' di dedurre ogni prova a discolpa e garantisca piena esplicazione del contraddittorio, ma anche di ottenere il riconoscimento della completa innocenza. Inoltre, a giudizio della stessa Corte (sentenza n. 99/1975), "il diritto di difesa e' in primo luogo garanzia di contradittorio e puo' dirsi assicurato solo nella misura in cui si dia all'interessato la possibilita' di partecipare ad un'effettiva dialettica processuale". Il che non puo' dirsi realizzato nel caso in esame, - per gli inconvenienti della forma soltanto riassuntiva e della scrittura manuale, gia' evidenziati -, data l'importanza della verbalizzazione degli atti nel nuovo rito penale per il quale sembra indiscutibile a differenza sostanziale del rito previgente con le sue caratteristiche - che la formazione della prova debba avvenire, quasi totalmente, in dibattimento, in un "processo di parti". Aggiungasi altrettanta incidenza negativa sul diritto di difesa, determinata dalla scelta della forma riassuntiva degli atti dibattimentali, invece di quella integrale, e della impossibilita' dell'uso della stenotipia o di altro strumento meccanico ex art. 134 secondo comma, con il ricorso alla scrittura manuale, senza alcuna precisazione o predeterminazione modale e temporale da parte del legislatore. L'art. 567, terzo comma, del c.p.p., cosi' come formulato e sino ad oggi interpretato, puo' violare, infine, a parere del giudicante, anche gli artt. 101 e 104 della Costituzione; in generale, per i casi previsti dall'art. 140 del c.p.p., sulla base delle ragioni gia' esposte, stante la mancata predeterminazione legislativa nel caso della "impossibilita'" di ricorso al mezzo della stenotipia o di altro strumento meccanico, con la conseguenza della redazione dell'atto con la scrittura manuale, ed, inoltre, con riferimento alla "contingente" indisponibilita' di strumenti di riproduzione di ausiliari tecnici, ex art. 139 e 140, primo comma, del c.p.p. In tal modo, invero, il giudice finisce con ricorrere alla forma riassuntiva con la scrittura manuale, senza la esclusiva soggezione dello stesso alla legge ex art. 101, secondo comma, della Costituzione; adoperando, peraltro, forme e mezzi di documentazione degli atti in totale antitesi con le nuove caratteristiche del c.p.p., piu' volte precisate, e con quanto espressamente stabilita dallart. 2 della legge-delega del 1987 secondo cui il "(nuovo) codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione ed adeguarsi alle convenzione internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processso penale". Inoltre, collegata con la violazione di cui all'art. 3 della Costituzione, puo' considerarsi la piu' palese violazione degli artt. 101 e 104 della stessa, atteso che il pretore, nel dibattimento per i reati di sua competenza, deve, come si e' gia' detto, fare redigere il verbale con la sola forma riassuntiva se le parti vi consentono, anche fuori dei casi previsti dall'art. 140 del c.p.p. Occorre ricordare, in proposito, in che modo e' stata interpretata tale norma sulla base della sua non felice formulazione letterale in rapporto alla piu' chiara lettera del quarto comma dello stesso articolo. Per tale ragione si e' ritenuto, da alcuni autori gia' citati, che, in ogni caso, il pretore, quando vi e' l'accordo delle parti, e' obbligato (il verbale e' redatto... art. 567, terzo comma) a far redigere il verbale con la sola formula riassuntiva, e, quindi, con ricorso alla scrittura manuale (peraltro sotto dettatura, per le insuperabili difficolta' concrete di applicazione di quanto previsto dall'art. 140, secondo comma, del c.p.p., gia' rilevatesi col vecchio codice), e cio' anche nell'ipotesi in cui gli atti da verbalizzare non abbiamo contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando non si verifichi una contingente indisponibilita' di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici. Se tale interpretazione dovesse considerarsi la piu' corretta, ne conseguirebbe una eclatante violazione dell'art. 101 e segg. del c.p.p., per la soggezione palese del giudice, pretore in sede penale, esclusivamente ad un accordo delle parti, pur nell'esercizio della sua piena giurisdizione con riferimento all'importante funzione della documentazione degli atti del dibattimento col rito direttissimo e con l'esame diretto ed il controesame dei testimoni ex art. 498 del c.p.p., come nel caso di specie. Ma, anche se detta interpretazione non dovesse seguirsi, opinando invece, la insussistenza di un obbligo del pretore di adeguarsi, comunque, all'accordo delle parti per la redazione del verbale di udienza con la sola forma riassuntiva -, il pretore stesso dovrebbe richiedere il consenso delle parti - e quindi assoggettarsi alle stesse - laddove ritenesse di far redigere il verbale con tale forma, peraltro con tutti gli inconvenienti e le conseguenze negative evidenziate, ed, inoltre, con mancanza di alternativa per l'uso di forma diversa e di idonei strumenti di documentazione, per le carenze strutturali pure evidenziate. A proposito di queste ultime, si ribadisce, in conclusione, la convinzione dell'importanza, certamente non strumentale, per l'applicazione del nuovo codice di procedura penale (cui certamente, ad avviso di questo pretore, si prodigano i magistrati italiani, compresi i pretori itineranti nelle varie sezioni distaccate delle preture circondariali, nonostante le palesi e gravissime difficolta' in cui essi operano, con l'amara constatazione di dover far redigere i verbali in forma soltanto riassuntiva con la scrittura manuale che, di fatto, allunga notevolmente la durata dei processi piu' gravi e, potrebbe, addirittura bloccarli) di strutture adeguate ed idonee, indispensabili ed insuperabili, da approntarsi con estrema urgenza da parte degli organi competenti a tutti i livelli, all'uopo rammentando la priorita' dell'adeguamento degli istituti di giustizia alla Carta fondamentale dello Stato, con il rispetto, ovviamente, di quanto previsto anche dagli artt. 81, 110 e 97 della stessa. Sara', comunque, codesta Corte a stabilire se la questione proposta sia o meno manifestamente infondata e se, invece, tutti i problemi evidenziati possano o meno risolversi - in breve, naturalmente - con le disposizioni integrative e correttive di cui all'art. 7 della legge delega, considerando che il c.p.p. e' entrato in vigore da circa sette mesi e le strutture sono costantemente quelle gia' descritte, senza valide prospettive.
P. Q. M. Decidendo sulle eccezioni di costituzionalita' proposte dal difensore dell'imputato Patera Salvatore; Sentito il p.m. che si e' opposto alle stesse, dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 567, terzo comma, del c.p.p. in relazione agli artt. 134, terzo comma, 140, primo e secondo comma, dello stesso codice per eccesso della legge-delega del 16 febbraio 1987, n. 81, ex art. 2 p.p. e n. 2, 8, 66, 103 e 104 e per violazione degli artt. 76 e 3, primo e secondo comma, 24, 101 e seguenti della Costituzione italiana; Sospende, pertanto, il presente giudizio ed, in applicazione degli artt. 134 della Costituzine e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina a cura della cancelleria della sezione, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere. Nardo', addi' 13 aprile 1990 Il pretore: S O D O 90C0987