N. 504 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 1990
N. 504 Ordinanza emessa il 15 maggio 1990 dal tribunale di Savona sul procedimento su istanze di fallimento proposte da Ottoboni Monica ed altri contro ditta Fratelli Fontana Fallimento - Piccolo imprenditore - Nozione - Operativita' del concetto solo nel campo delle imprese individuali - Impossibilita' di considerare "piccolo imprenditore" la piccola impresa commerciale gestita in societa' - Conseguente obbligatorieta' della dichiarazione di fallimento esclusa solo per le piccole imprese individuali - Irragionevolezza - Richiamo alla sentenza n. 570/1989. (R.D.L. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, secondo comma, ult. propos.). (Cost., art. 3).(GU n.34 del 29-8-1990 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella procedura in corso, a seguito di istanza di fallimento proposta da Ottoboni Monica, Riders S.r.l. (elett. dom. presso lo studio e la persona dell'avv. Mauro Vanara in Savona via Poggi 1/1), Zodiaco S.r.l. (elett. dom. presso lo studio e la persona del dott. proc. Silvano Briozzo, in Ventimiglia, via Chiappori n. 22), Calzaturificio Giosman di Strambi, Mecca e C. S.n.c. (elett. dom. presso lo studio e la persona dell'avv. Carlo Aurely, corso Italia 18/3, Savona), nei confronti della ditta Fratelli Fontana corrente in Noli, via Colombo n. 5; Visti gli atti, udito il relatore; O S S E R V A 1. - A seguito delle istanze dei creditori sopra indicati si e' proceduto all'istruttoria prevista dalla legge fallimentare che ha posto in evidenza lo stato di insolvenza dell'impresa. Alle istanze di fallimento si aggiungono infatti numerose procedure esecutive individuali, con pignoramento di mobili, sia pure per importi di ammontare modesto. Il dissesto e' indubbio. 1.1. - Trattasi di impresa sociale, sia pure di fatto (art. 2297 del c.c.), in quanto al suo esercizio collaborano i due fratelli che ripartiscono tra loro gli utili in parti uguali. Si e', senza dubbio, in presenza di una piccola impresa: il capitale si compone delle sole scorte, costituite dalle confenzioni di vendita; il locale, di modestissima superficie, e' in locazione; nessuna attrezzatura, al di fuori di quelle indispensabili al servizio della clientela e di scarso o scarsissimo valore. 1.2. - Sembrano perfettamente attagliarsi al caso di specie le considerazioni svolte nella recente sentenza di codesta Corte 13-22 dicembre 1989, n. 570: quando "imprese molto modeste incorrono nelle procedure fallimentari", "vengono meno le finalita' del fallimento" poiche' "l'esiguo patrimonio attivo del fallimento puo' rimanere interamente assorbito dalle spese della complessa procedura e a volte risulta persino insufficiente a coprire le spese anticipate dall'erario", per cui "il fallimento finisce con l'essere un rimedio processuale impeditivo della tutela dei creditori e un mezzo di difesa insufficiente". La citata sentenza di codesta Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 1 della legge fallimentare, soltanto nella parte in cui prevede che "quando e' mancato l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attivita' commerciale nella cui azienda risulta investito un capitale non superiore a lire novecentomila". Non e' coinvolta nella dichiarazione di incostituzionalita' l'ultima proposizione del comma secondo: "... In nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le societa' commerciali". 1.3. - Il significato letterale della proposizione normativa sembra essere nel senso che il concetto di "piccolo imprenditore" sia destinato ad operare solo nel campo delle imprese individuali e che una piccola impresa sociale sia inammissibile. In passato, accorta ed autorevole dottrina non ha mancato di rilevare come possa benissimo concepirsi una piccola impresa nella quale sia investito un capitale minimo, che sia gestita da due persone, in sociale ed ha ravvisato la giustificazione razionale della soluzione legislativa nel fatto che il legislatore avrebbe visto, nella costituzione di una societa', quell'elemento dell'organizzazione che, assunto in senso rigoroso, distingue l'impresa normale dalla piccola impresa. Altri ne ha individuato la ragione, "piu' semplicemente, nell'esigenza pratica di semplificare al massimo l'accertamento della qualita' di imprenditore soggetto al fallimento" (in consonanza con la ratio generalmente attribuita alle precedenti proposizioni del comma secondo), per cui, "avendo deciso di utilizzare, a questi effetti l'accertamento fiscale, i compilatori della legge fallimentare non potevano ammettere l'esistenza di piccole imprese sociali sottratte al fallimento, perche' cio' avrebbe impedito ai giudici di utilizzare l'accertamento fiscale che conduceva alla classificazione in categoria C1 solo dei redditi delle 'persone fisiche' ossia degli imprenditori individuali". (In effetti mentre gli imprenditori medi erano inclusi, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, nella categoria B, relativa ai redditi alla produzione dei quali concorrono insieme il capitale e il lavoro, come quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali ai sensi dell'art. 2195 del c.c., e mentre la categoria C2 era riservata ai redditi di lavoro subordinato, nella categoria C1 erano inclusi i redditi di lavoro autonomo delle sole persone fisiche, come quelli prodotti nell'esercizio di arti, di professioni e di imprese, organizzate prevalentemente con il lavoro proprio del contribuente e dei componenti della sua famiglia, cioe' ai piccoli imprenditori secondo la formula dell'art. 2083 del c.c.). Qualunque sia la ratio della proposizione normativa, sembra al collegio non manifestamente infondato il dubbio che investe la sua legittimita' costituzionale con riferimento alle societa' di persone, per le quali (come nel caso di specie) vige la regola della illimitata responsabilita' patrimoniale dei soci, per violazione dell'art. 3, primo comma della Costituzione; la disparita' di trattamento tra le due categorie di persone appare infatti priva di giustificazione razionale, ove si rifletta che i soci illimitatamente responsabili (anch'essi imprenditori, secondo la prevalente dottrina, come gli imprenditori individuali) sono esposti al fallimento, come conseguenza automatica del fallimento della societa', ai sensi dell'art. 147, secondo comma della legge fallimentare. Tanto piu' irrazionale se si tien conto che vengono sottratte al fallimento, per giurisprudenza ormai consolidata della S.C. e dei giudici di merito (anche di questo tribunale) accanto agli artigiani imprenditori individuali, le societa' artigiane (Cass. 75/3661 e 75/28), a meno che non espandano oltre certi limiti le dimensioni dell'impresa, ed e' noto che, secondo la vigente legge quadro sull'artigianato, l'impresa artigiana, pur prevedendo come necessaria la prestazione del lavoro, anche manuale, dell'artigiano, e pur non potendo svolgere una lavorazione "del tutto automatizzata", puo' raggiungere limiti dimensionali decisamente elevati. Se - come indicato da codesta Corte nell'ordinanza 16 giugno 1970 (di rigetto per infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 2221 del c.c. e n. 1 della della legge fallimentare - i limiti, di assoggettabilita' o meno al fallimento "devono essere stabiliti in relazione all'attivita' svolta, all'organizzazione dei mezzi impiegati, all'entita' dell'impresa ed alle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale", (avendo "... le categorie di piccolo, medio e grande imprenditore... nell'ordinamento economico e giuridico... " posizioni nettamente differenziate), non par dubbio che, fermo il dato delle piccole dimensioni, sia irragionevole la discriminazione tra imprese individuali e sociali (nell'ipotesi, che qui interessa, di societa' di persone) e, conseguentemente, tra coloro che esercitano una piccola impresa in forma individuale o sociale. 1.4. - In dotttrina si e' detto che i criteri posti dall'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare (il primo abrogato implicitamente con la riforma tributaria, il secondo dichiarato incostituzionale con la sentenza di codesta Corte), potevano considerarsi presunzioni assolute dell'esistenza della qualita' di piccolo imprenditore, e che l'ultimo periodo dello stesso comma non e' che una mera eslusione della possibilita' di utilizzare tali presunzioni assolute per le societa' piccole imprenditori: per la loro identificazione ci si dovrebbe riferire dunque, in ogni caso, ai criteri posti dall'art. 2083 del c.c. Se cosi' fosse, l'eliminazione delle due prime proposizioni comporterebbe l'abrogazione implicita anche della terza ed ultima. Ma tale interpretazione non e' conforme a quella che, dei precedenti periodi del comma secondo dell'art. 1 della legge fallimentare, ebbe a dare la Corte di cassazione ed in base alla quale codesta Corte ha emesso la pronuncia di incostituzionalita' con la citata sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 570. 2. - Non e' dubbia la rilevanza della prospettata questione nel caso di specie poiche' dalla soluzione che di essa dara' codesta Corte dipende la dichiarazione di fallimento o il rigetto delle istanze.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata la prospettata questione di incostituzionalita'; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il controllo della legittimita' dell'ultima proposizione dell'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare approvata con r.d.-l. 16 marzo 1942, n. 267, per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Manda la cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Savona, addi' 15 maggio 1990 Il presidente: (firma illeggibile) L'estensore: FRASCHERELLI 90C0989