N. 506 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 giugno 1990

                                 N. 506
 Ordinanza  emessa  l'8  giugno  1990  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminare presso la pretura  di  Asti  nel  procedimento  penale  a
 carico di Micheletti Rino
 Processo  penale - Nuovo codice - Richiesta di archiviazione avanzata
 dal p.m. - Mancata condivisione - Omessa previsione, nei  giudizi  di
 competenza  pretorile, della possibilita' per il g.i.p. di richiedere
 ulteriori  indagini,  fissando  un  termine  al  p.m.  per  il   loro
 compimento  -  Ingiustificata  disparita'  di  trattamento rispetto a
 quanto previsto nei giudizi di competenza del tribunale - Lesione del
 principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, art. 554, secondo comma; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271,
 art. 157).
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.34 del 29-8-1990 )
                  IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Con informativa del 27 marzo 1990 la questura di Asti segnalava al
 procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale che  una
 pattuglia  della volante era intervenuta a seguito di richiesta fatta
 da Jebali Halima la quale lamentava che tale Micheletti Rino  si  era
 rifiutato  di  consegnarle  alcuni  indumenti  personali.  Nonostante
 l'intervento  della  polizia,  il  Micheletti  persistette  nel   non
 consegnare i suddeti indumenti.
    Pertanto,  con querela del 26 marzo la citata Jebali denunciava il
 Micheletti per l'appropriazione indebita  di  vari  indumenti;  nella
 querela  la  Jebali assumeva di essere stata collaboratrice domestica
 del Micheletti  da  circa  un  mese.  Per  tale  motivo  la  questura
 interessava  l'ispettorato del lavoro di Asti affinche' svolgesse gli
 opportuni  accertamenti  sull'esistenza  dell'asserito  rapporto   di
 lavoro.
    L'ispettorato   del  lavoro  raccoglieva  la  "dichiarazione"  del
 Micheletti e  solo  su  questa  base  inviava  al  procuratore  della
 Repubblica  una  missiva  con  cui  riferiva  che  "non  sono  emerse
 violazioni di legge a carico dell'indagato  non  essendosi  ravvisato
 rapporto di lavoro con la querelante".
    Il procuratore della Repubblica, senza svolgere altre indagini, ha
 chiesto a questo giudice per le indagini preliminari  l'archiviazione
 del procedimento per infondatezza della notizia di reato.
    Il  giudicante  non condivide questa richiesta. In primo luogo, va
 puntualizzato che il Micheletti e'  stato  denunciato  anche  per  la
 contravvenzione  di  cui all'art. 651 del c.p. rispetto alla quale la
 richiesta di archiviazione va senz'altro  disattesa  perche'  non  e'
 manifesta  l'infondatezza  della  notizia di reato e perche' esistono
 gli elementi sufficienti  per  sostenere  l'accusa  in  giudizio.  Di
 conseguenza,  per questa violazione si potrebbe disporre che il p. m.
 formuli l'imputazione per gli  adempimenti  previsti  dall'art.  554,
 secondo comma, del c.p.p.
   Il  vero  problema pero' sussiste in ordine all'altro fatto che dal
 pubblico ministero, e' stato qualificato con il titolo del  reato  di
 cui all'art. 646 del c.p. Il p. m. ha infatti chiesto l'archiviazione
 asserendo che non vi sono estremi di reato: in effetti,  e'  alquanto
 discutibile  che  sussista  nella  specie  il reato di appropriazione
 indebita e cio' a prescindere dall'esito degli accertamenti  compiuti
 dall'ispettorato  del lavoro. Infatti, se anche la Jalebi fosse stata
 collaboratrice domestica del Micheletti,  il  reato  in  oggetto  non
 parrebbe  ipotizzabile tenuto conto che non si capisce come poteva il
 Micheletti  avere  il  possesso  degli  indumenti   personali   della
 querelante.  Da  qui  sorge  il  dubbio  che il fatto costitusca piu'
 correttamente violazione dell'art. 624 del c.p.  Con  la  conseguenza
 che  non  appare accoglibile tout court la richiesta di archiviazione
 perche' non puo' negarsi un sia pur minimo fondamento alla notizia di
 reato.
    D'altra  parte,  non  sussistono  neppure  elementi idonei sia dal
 punto di vista qualitativo che quantitativo per  sostenere  un'accusa
 in giudizio: ne deriva che questo giudice per le indagini preliminari
 non potrebbe imporre al p.m. di rinviare  a  giudizio  il  Micheletti
 obbligandolo  cioe' a quella che viene definita l'imputazione coatta.
    La  fattispecie  avrebbe  richiesto  indagini ulteriori rispetto a
 quelle svolte dall'ispettorato  del  lavoro  della  cui  validita'  e
 utilita'  e' lecito dubitare. Sarebbe stato infatti opportuno sentire
 la querelante per ottenere, tra l'altro, puntualizzazioni  in  merito
 al motivo per il quale gli indumenti si trovavano nell'abitazione del
 Micheletti e in merito alle motivazioni che potevano aver determinato
 il  comportamento  illegittimo del predetto: cio' sia per qualificare
 il fatto sia per raccogliere, eventualmente, elementi sufficienti per
 il rinvio a giudizio dell'indagato.
    In   questa   situazione,   dunque  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari non  ritiene  possibile  optare  per  nessuna  delle  due
 opzioni   che   l'art.   554,  secondo  comma,  gli  riserva,  ovvero
 archiviazione del procedimento o ordinanza che impone  al  p.  m.  di
 formulare l'imputazione.
    Purtroppo,  l'art.  554,  secondo comma del c.p.p. non consente al
 giudice per le indagini preliminari di disporre che il p.  m.  svolga
 indagini  ulteriori  in  esito  alle quali si potrebbe riesaminare la
 richiesta di archiviazione (ove reiterata).
    Su  questa  premessa  prospettiamo  il  dubbio  della legittimita'
 costituzionale dell'art. 554 e dell'art. 157 delle disp. att.
    Il codice infatti mentre prevede nel giudizio davanti al tribunale
 una articolata disciplina nel caso di dissenso  del  giudice  per  le
 indagini  preliminari  fondato  sulla  necessita'  di nuove indagini,
 disciplina  che   salvaguarda   il   principio   dell'obbligatorieta'
 dell'azione  penale,  non altrettanto e' a dirsi nel giudizio davanti
 al pretore.
    In questo procedimento, nelle analoghe fattispecie, al giudice per
 le indagini preliminari non e' consentita altra scelta se non  quella
 di  archiviare  il procedimento, pur non ritenendosi d'accordo con il
 p. m., e di informare a norma dell'art. 157 delle disp.  att.  c.p.p.
 il  procuratore  generale presso la Corte di appello dell'esigenza di
 ulteriori  indagini.  il  p.  g.,  tuttavia,   una   volta   ricevuta
 l'ordinanza  del  giudice  per  le  indagini preliminari, richiede la
 riapertura delle indagini a norma dell'art. 414, solo "se ne  ravvisa
 i  presupposti". Orbene, questo sistema e' contrastante con gli artt.
 3 e 112 della Costituzione.
    Non  e'  chi  non veda che nei casi come quello di cui trattasi il
 controllo sulla correttezza del mancato esercizio dell'azione penale,
 per  infondatezza  della  notizia  di  reato  o per inidoneita' degli
 elementi raccolti,  al  definitivo  non  e'  appannaggio  dell'organo
 giurisdizionale,  bensi'  dello  stesso organo di accusa o di azione.
 Infatti,  per  un  verso  il  p.  m.  ha  gia'  manifestato  la   sua
 determinazione  di non esercitare l'azione penale e per l'altro verso
 il p. g., superiore gerarchico del procuratore della  Repubblica,  e'
 titolare di un'ampia (se non addirittura totale) discrezionalita' nel
 valutare se sussistono i presupposti per chiedere la riapertura delle
 indagini  onde  svolgere gli accertamenti indicati dal giudice per le
 indagini  preliminari.  In  questo   modo,   dunque,   svuotando   di
 effettivita'  la  funzione di controllo sull'operato del p. m. che il
 codice assegna al giudice per le  indagini  preliminari,  ne  risulta
 vulnerato  il  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione penale. In
 questa  ottica,  l'archiviazione  chiesta  dal  p.  m.,  rischia   di
 configurarsi come un vero e proprio atto dovuto per il giudice per le
 indagini preliminari se questi non possiede alcuno  strumento  idoneo
 di controllo e di propulsione sull'organo di azione.
    A sostegno di questa opinione, occorre riflettere sul fatto che il
 p. m. potrebbe decidere  volutamente  (se  badi,  che  questo  e'  un
 esempio  che  nulla  ha a che vedere con il caso oggetto del presente
 procedimento) di non svolgere alcun atto di indagine e presentare una
 richiesta  di  archiviazione basata proprio sulla insufficienza degli
 elementi a sostenere l'acccusa³ Ma cosi'  operano  il  "dominus"  del
 processo  e'  solo  il p. m. il quale potrebbe decidere di esercitare
 l'azione penale con i criteri insindacabili (e forse anche arbitrari)
 ben   sapendo   che   l'organo   garante  del  rispetto  della  norma
 costituzionale di cui all'art. 112 e' privo di  qualsiasi  potere  di
 provvedere   con   incisivita'   in   merito   ad  una  richiesta  di
 archiviazione non del tutto convincente. Non va peraltro  dimenticato
 che  il  giudizio  di Pretura e' destinato ad assorbire la gran parte
 dei reati viste le nuove regole  di  competenza:  cio'  dovrebbe  far
 riflettere  sulla  gravita'  della  carente disciplina introdotta per
 assicurare il controllo  giurisdizionale  sullo  svolgimento  o  meno
 dell'azione penale.
    Queste    argomentazioni    rendono    ragione   del   dubbio   di
 costituzionalita' prospettato in relazione all'art. 112. Il  sospetto
 di  incostituzionalita'  della normativa va pero' affacciato anche in
 relazione all'art. 3 in quanto la regola dell'uguaglianza di tutti  i
 cittadini  di  fronte  alla  legge verrebbe irrimediabilmente lesa se
 fosse mantenuto l'attuale doppio sistema di  archiviazione  in  forza
 del  quale  il  cittadino  processato  in  tribunale  vedrebbe sempre
 assicurate la verifica giurisdizionale sull'attivita' dell'organo  di
 accusa,  a  differenza del cittadino processato (magari per la stessa
 fattispecie di reato non  riunita  per  connessione  a  un  reato  di
 competenza superiore) davanti al pretore.
    Tenendo  conto  che  la  disciplina  codicistica  del procedimento
 davanti al Pretore  deve  essere  improntata  a  criteri  di  massima
 semplificazione  (direttiva 103 della legge delega), ritenimo che per
 trovare una soluzione del problema qui sollevato, si possa  escludere
 sia  la  necessita'  di pervenire a dichiarare totalmente illegittimo
 l'art.  554  del  c.p.p.  che  esportare  "automaticamente"  l'intera
 disciplina dettata per il giudizio davanti al tribunale (art. 409 del
 c.p.p.): di quest'ultima, invece, e' sufficiente che sia recepita  la
 norma  che  attribuisce  al  giudice  per  le indagini preliminari il
 potere-dovere  di  indicare  al  p.  m.  la  necessita'  di  svolgere
 ulteriori  indagini  e  di  fissare un termine per il loro compimento
 (quarto comma dell'art. 409).
    La   soluzione   proposta  non  mettte  del  tutto  al  riparo  da
 inconvenienti ricollegabili al mancato compimento da parte del p.  m.
 delle indagini sollecitazioni dal giudice per le indagini preliminari
 o al suo compimento intempestivo. Per questa  ragione,  opiniamo  che
 sia  non manifestatamente infondata e rilevante anche la questione di
 legittimita' dell'art. 157 disp. att. c.p.p. nella parte in  cui  non
 prevede  che  il  giudice  per le indagini preliminari, quando emette
 l'ordinanza in cui  indica  al  p.  m.  la  necessita'  di  ulteriori
 indagini   fissando   il   termine  per  compierle,  debba  informare
 ugualmente il procuratore generale presso la Corte di appello  per  i
 provvedimenti di sua competenza.
    Un  meccanismo cosi' congegnato dovrebbe risultare al tempo stesso
 semplice ed efficace. Esso, tuttavia, non potrebbe comunque eliminare
 l'inconveniente  piu'  grave  ovvero  che il p. m. (o il p. g.) senza
 svolgere le ulteriori indagini reiteri  la  originaria  richiesta  di
 archiviazione.  In  questo  caso,  l'unica  soluzione per non violare
 apertamente l'art. 112 della Costituzione potrebbe essere  quella  di
 disporre  che  il  p.  m.,  formuli  parimenti l'imputazione: in sede
 dibattimentale, se  del  caso,  il  giudice  potra'  utilizzare  (nel
 rispetto  del  sistema accusatorio a cui e' originalmente ispirato il
 nuovo processo penale) i poteri di ufficio per accertare  la  verita'
 (v.  artt. 506 e 507 del c.p.p.) e ovviare alla manifesta inerzia del
 p. m.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante nel procedimento in corso e non manifestamente
 infondata,  in  relazione  agli  artt.  3  e  112,  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  554,  secondo  comma c.p.p.,
 nella parte in cui  non  prevede  che  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari,   se   ritiene   necessarie  ulteriori  indagini,  possa
 indicarle al  p.  m.,  fissando  il  termine  indispensabile  per  il
 compimento  di  esse  e  dell'art.  157 delle disp. att. c.p.p. nella
 parte in cui non prevede che il giudice per le indagini  preliminari,
 quando  emette  l'ordinanza  in cui indica al p. m., la necessita' di
 ulteriori  indagini  fissando  il  termine   per   compierle,   debba
 informarne  il  procuratore generale presso la Corte di appello per i
 provvedimenti di sua competenza;
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento e la trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
     Dispone  che  la  copia della presente ordinanza sia notificata a
 cura della cancelleria al p. m. in sede, al Presidente del  Consiglio
 dei  Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
      Asti, addi' 8 Giugno 1990
      Il giudice per le indagini preliminari: (firma illeggibile)

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