N. 509 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 1990

                                 N. 509
 Ordinanza  emessa  il  19  aprile  1990  dal  giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di  Torino  nei  procedimenti  penali
 riuniti a carico di Simone Angelo
 Imposte  -  Infedele  dichiarazione  dei  redditi  - Estensione della
 punibilita',   secondo   il   "diritto   vivente"   (conforme    alla
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione), alla mera omissione di
 componenti positivi del reddito  e  alla  simulazione  di  componenti
 negativi  dello  stesso  -  Difformita'  dall'interpretazione accolta
 dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247/1989 (necessita'  di
 un'attivita'   preparatoria   fraudolenta)   -  Lamentata  incertezza
 sull'individuazione della fattispecie penale con particolare riguardo
 ai concetti di "simulazione e dissimulazione".
 (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7).
 (Cost., artt. 3 e 25).
(GU n.34 del 29-8-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  emesso la seguente ordinanza con riferimento alla questione di
 legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. relativamente all'art.
 4, settimo comma, della legge n. 516/1982, per asserito contrasto con
 i  principi  di  cui  agli  artt.  25,  secondo  comma  e   3   della
 Costituzione;
    Sentito il difensore che in via subordinata si e' associato;
                             O S S E R V A
    La  questione di costituzionalita' sollevata ripropone il problema
 dell'esatta definizione della fattispecie delittuosa di cui  all'art.
 4, n. 7 della legge 516/1982.
    Come  e' noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 247 del
 1989, ha ritenuto la legittimita' costituzionale della norma che  era
 stata   impugnata   per   asserita  indeterminatezza  della  condotta
 criminosa  e  conseguente  violazione  degli  artt.  3  e  25   della
 Costituzione.
    In particolare, la Corte aveva ritenuto di affrontare la questione
 di determinatezza dell'intera condotta  prevista  dalla  fattispecie,
 considerando  imprescindibile l'esame analitico di tutti gli elementi
 oggettivi del reato, e cio' anche  se  la  questione  innanzi  a  lei
 sollevata  si limitava all'asserita indeterminatezza dell'espressione
 "misura rilevante" in riferimento  alla  soglia  di  punibilita'.  La
 premessa  sul  punto  esplicitata  dalla Corte suonava infatti cosi':
 "Quel che non puo' essere in ogni caso  metodologicamente  consentito
 e'  "isolare"  la  "misura  rilevante"  degli  altri  elementi  della
 fattispecie nella quale tale "misura"  e'  inserita  per  confrontare
 quest'ultima,  e solo quest'ultima, con il precetto di determinatezza
 di cui  agli  artt.  25,  secondo  comma,  e  3  primo  comma,  della
 Costituzione.    Va    invero    ribadito   che   la   determinatezza
 dell'indicazione legislativa del significato di un termine (o di  una
 espressione)  non  puo'  stabilirsi  prescindendo dal rapporto che lo
 stesso termine ha con gli altri elementi della fattispecie....".
    Il giudizio, nel merito, della Corte costituzionale si basa su una
 delle interpretazioni che  erano  state  prospettate  da  dottrina  e
 giurisprudenza,   ossia   quella   secondo   la   quale  non  sarebbe
 sufficiente, ai fini dell'integrazione del reato, il solo simulare  o
 dissimulare  di cui parla la norma, ma sarebbe necessario un qualcosa
 di ulteriore, e cioe' un'attivita'  preparatoria  (fraudolenta)  alla
 dichiarazione  finale,  volta  all'alterazione  del  risultato  della
 dichiarazione stessa.
    Sulla  base  della  premessa metodologica di cui si e' gia' detto,
 altrettanto in termini di globale valutazione  della  fattispecie  e'
 stata  la  conclusione: "Va particolarmente sottolineato che soltanto
 la  predetta   interpretazione...   permette   di   dare   all'intera
 fattispecie   una   chiara,  netta  significazione  che  caratterizza
 l'intero disvalore offensivo  tipico,  a  prescindere  dalla  "misura
 rilevante".
    Quanto si e' appena detto permette di condividere l'assunto seondo
 il quale l'argomentazione svolta dalla  Corte  circa  l'essenzialita'
 del  quid  pluris  che deve accompagnare la condotta dissimulatoria o
 simulatoria non  si  pone  quale  divagazione  dottrinaria  ma  quale
 passaggio essenziale della pronuncia.
    Sulla  stessa  questione, si e' di recente pronunciata la Corte di
 cassazione (20 settembre 1989,  Sezione  terza,  presidente  Glinni),
 concludendo  in  termini  del  tutto opposti: ritenendo cioe' che per
 integrare  la  fattispecie  in  contestazione,  sia  sufficiente   un
 comportamento  semplicemente mandace, senza necessita' di particolare
 condotte artificiose.
    Le  argomentazioni  adottate  dalla  Corte  di cassazione appaiono
 convincenti; esse si  fanno  carico  di  confrontare  la  fattispecie
 sottoposta  ad  esame  con  altre di natura contravvenzionale (art. 1
 legge   516/1982),   escludendo   motivatamente    possibilita'    di
 sovrapposizione,   e   quindi   profili  di  incostituzionalita'  per
 disparita' di trattamento; esse si articolano, inoltre, nel  richiamo
 di   giurisprudenze  consolidate  e  mai  messe  in  discussione  con
 riferimento  a  fattispecie  penali  comuni,  quali   la   insolvenza
 fraudolenta.
    Sta di fatto che la medesima questione di diritto viene risolta in
 maniera diametralmente opposta dalle due Corti.
    Cio' determina un impasse che, in passato, la Corte costituzionale
 ha ritenuto presupposto sufficiente per un suo intervento di modifica
 del   quadro   legislativo,   sul   rilievo   che   il   giudizio  di
 costituzionalita' di una norma non puo' prescindere  dal  significato
 concreto  che  la  norma  stessa  viene  ad  assumere  nella  realta'
 quotidiana dell'esperienza applicativa giudiziaria.
    Passando  alla fattispecie concreta sottoposta all'esame di questo
 giudice, si osserva che appaiono sussistenti entrambi i requisiti  di
 rilevanza   e   non   manifesta   infondatezza   della  questione  di
 incostituzionalita' sollevata.
    Quanto  al primo punto, si nota che il p.m. ha richiesto il rinvio
 a giudizio dell'imputato per avere omesso di indicare  nella  propria
 dichiarazione  dei  redditi  componenti  positivi  di  reddito, senza
 peraltro avvalersi di particolari tecniche fraudolente;
    Ritiene   questo  giudice  per  le  indagini  preliminari  che  la
 questione della necessita' o meno  di  un  quid  pluris  rispetto  al
 semplice  mandacio  si  pone come indubbiamente rilevante ai fini del
 decidere.
    Quando alla non manifesta infondatezza della questione, si osserva
 che sul punto  la  Corte  costituzionale  ha  gia'  espresso  il  suo
 giudizio senza possibilita' di equivoco, laddove ha statuito che solo
 l'interpretazione offerta avrebbe potuto evitate un patente vizio  di
 incostituzionalita'  della fattispecie in questione, sotto il profilo
 della sua indeterminatezza.
    Questo  giudice  non  puo'  che adeguarsi a tale impostazione, per
 l'autorevolezza dell'Organo che l'ha assunta.
    Sotto  tale  profilo,  non  puo'  che  sottolinearsi  la  notevole
 importanza che assumerebbe  la  risoluzione  di  un  conflitto,  come
 quello  attuale, fra supreme cariche giurisdizionali, che attualmente
 rende difficoltosa la risoluzione  di  questioni  per  i  giudici  di
 merito,  con evidente pericolo di difformita' di giudicati sul punto.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, della legge  516/1982,
 con riferimento agli artt. 25, secondo comma e 3, secondo comma della
 Costituzione;
    Dispone che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e
 che copia della presente ordinanza venga notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento;
    Visto l'art. 18 lett. b) c.p.p.;
    Ordina    la    separazione    relativamente    alle   imputazioni
 contravvenzionali contestate per cui e'  possibile  pervenire  subito
 alla decisione;
    Dispone la sospensione del processo relativamente agli addebiti di
 cui all'art. 4 settimo comma della legge n. 516/1982 in attesa  della
 decisione della Corte costituzionale.
      Torino, addi' 19 aprile 1990
            Il giudice per le indagini preliminari: ROSSOTTI

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