N. 510 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 aprile 1990

                                 N. 510
 Ordinanza  emessa  il  27  aprile  1990  dal tribunale amministrativo
 regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sul  ricorso
 proposto da Ciaramella Gianni contro U.S.S.L. n. 53 di Crema ed altra
 Sanitario  - Primari ospedalieri e assimilati - Collocamento a riposo
 - Diritto al trattenimento in servizio sino al settantesimo  anno  di
 eta'  -  Mancata  previsione  - Irragionevole inversione di tendenza,
 rispetto al passato, nella disciplina del collocamento a  riposo  dei
 sanitari   apicali   -   Mancata   diversificazione  del  regime  del
 collocamento a riposo in ragione del  diverso  grado  di  carriera  e
 livello di responsabilita' - Prospettato contrasto con i principi che
 garantiscono la tutela  del  lavoro,  il  diritto  ad  una  piena  ed
 effettiva retribuzione ed il buon funzionamento della p.a.
 (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 35, 36, 38 e 97).
(GU n.34 del 29-8-1990 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordianza sul ricorso n. 1041 del 1989
 proposto da Ciaramella Gianni, rappresentato e  difeso  dagli  avv.ti
 Umberto  Giardini  e  Giuseppe Porqueddu ed elettivamente domiciliato
 presso quest'ultimo in Brescia, via V. Emanuele II, n. 1;
    Contro  l'U.S.S.L.  n. 53 di Crema, in persona del Presidente p.t.
 del Comitato di gestione, costituitasi in giudizio,  rappresentata  e
 difesa  dall'avv  Vincenzo Avolio ed elettivamente domiciliata presso
 la segreteria del tribunale amministrativo regionale in Brescia,  via
 Malta,  12;  e  nei confronti della regione Lombardia, in persona del
 presidente p.t. della giunta regionale, non costituitasi in giudizio;
 per l'annullamento, previa sospensione, della deliberazione (con nota
 al ricorrente) menzionata nella nota 19 giugno 1989, n. U. 6737,  del
 presidente  del  comitato  di  gestione dell'U.S.S.L. n. 53 di Crema,
 deliberazione con la quale il ricorrente e' stato collocato a riposo,
 al compimento del 65º anno di eta', con implicita reiezione della sua
 istanza di trattenimento in servizio sino al 70º anno o, quanto meno,
 sino  al  raggiungimento  dei  40  anni  di  iscrizione  obbligatoria
 (esclusi, cioe', i periodi riscattabili) alla cassa per  le  pensioni
 ai sanitari;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Vista  la  domanda,  incidentale  di sospensione del provvedimento
 impugnato;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimata U.S.S.L.;
    Vista  la propria ordinanza n. 212/1990 emessa nell'odierna camera
 di Consiglio;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito,  nella  Camera  di Consiglio del 27 aprile 1990 il relatore
 Renato Righi;
    Uditi,  altresi',  l'avv.  Giuseppe  Porqueddu per il ricorrente e
 l'avv. Vincenzo Avolio per l'U.S.S.L. resistente;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con atto notificato il 13 ottobre 1989, e depositato il successivo
 23 ottobre  1989,  il  ricorrente,  quale  primario  di  ruolo  della
 divisione  di  ortopedia  e  traumatologia  dell'ospedale Maggiore di
 Crema,   dell'U.S.S.L.,   n.   53,   ha   impugnato   -   chiedendone
 incidentalmente  la  sospensione - la delibera (menzionata nella nota
 19 giugno 1989, n. U. 6737 del presidente del comitato  di  gestione)
 con  la  quale egli e' stato collocato a riposo al compimento del 65º
 anno di eta' (e, quindi, con decorrenza  dal  10  aprile  1990),  con
 implicita  reiezione  della  sua istanza di trattenimento in servizio
 sino al 70º anno o, quanto meno, sino al raggiungimento dei  40  anni
 di  iscrizione  obbligatoria (esclusi, cioe', i periodi riscattabili)
 alla cassa per le pensioni ai sanitari.
    Avverso la suddetta deliberazione egli deduce:
    I)  Violazione  e falsa applicazione del combinato disposto di cui
 all'art. 53 e art. 83 del d.P.R. n. 761/1979, art. 131 del d.P.R.  n.
 3/1957,  art.  4,  secondo  comma,  d.P.R.  n.  1092/1973,  per  aver
 stabilito  la  decorrenza  del  collocamento  a  riposo  dal   giorno
 successivo,  al  compimento  del  sessantacinquesimo anno di eta' (10
 aprile 1990), anziche' dal primo giorno del mese  successivo  a  tale
 data (1º maggio 1990);
    II)  Eccesso  di  potere  per  omesso  esame  della  posizione del
 ricorrente quale risultante dal suo stato di carriera e di  servizio,
 prima di procedere al suo collocamento in quiescenza;
    III)   Illegittimita'   costituzionale  dell'art.  53  del  d.P.R.
 761/1979, in relazione all'art. 6 della legge n. 336/1964,  legge  n.
 627/1982, legge n. 459/1965 e legge n. 517/1968, con riferimento agli
 artt. 3 e 97 della Costituzione.
    Si  e'  costituita in giudizio l'intimata U.S.S.L. n. 53, la quale
 ha chiesto la relazione sia del ricorso che della contestuale domanda
 di  sospensione  del provvedimento impugnato, osservando tra l'altro,
 che qualora si computassero  i  periodi  riscattati  dal  ricorrente,
 quest'ultimo  avrebbe maturato, comunque, i 40 anni di servizio utile
 a pensione.
    Con separata ordinanza, pronunciata nella stessa odierna camera di
 consiglio, il collegio ha accolto - provvisoriamente - la  suindicata
 domanda   incidentale   di   sospensione  della  delibera  impugnata,
 rinviando ogni definitiva pronuncia in sede cautelare, all'esito  del
 promuovendo giudizio di costituzionalita'.
                             D I R I T T O
    Come  si  ricava  dalla  narrativa  in fatto, il ricorrente, quale
 primario ospedaliero, confluito  nel  ruolo  regionale  del  servizio
 sanitario  nazionale,  provvedendo  da un disciolto ente ospedaliero,
 ove e' entrato in carriera nel 1963, impugna la deliberazione con  la
 quale  il  comitato di gestione dell'U.S.S.L. di attuale appartenenza
 ha  disposto  il  suo  collocamento  a  riposo  al   compimento   del
 sessantacinquesimo  anno  di  eta'  (e, quindi, con decorrenza dal 10
 aprile  1990),  con  implicita  reiezione  della   sua   istanza   di
 trattenimento in serivizio sino al settantesimo anno, o quanto, meno,
 sino  al  raggiungimento  dei  40  anni  di  iscrizione  obbligatoria
 (esclusi,  cioe', i periodi riscattati) alla cassa per le pensioni ai
 sanitari.
    Egli  chiede,  in  via incidentale, la sospensione dell'esecuzione
 del provvedimento impugnato.
    Ai  fini  della  valutazione  complessiva del fumus boni iuris del
 ricorso - onde pronunciarsi definitivamente sull'istanza cautelare  -
 appare  al  collegio  rilevante l'eccepita questione di leggittimita'
 costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, dedotta,  con  il
 terzo motivo, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    Invero,  quanto agli altri due motivi di gravame si puo' osservare
 quanto segue.
    La  prima  censura  e',  palesemente,  proposta in via subordinata
 rispetto  al  motivo  principale,  incentrato  sul  denegato  preteso
 diritto al trattamento in servizio sino al settantesimo anno di eta'.
    Essa,  infatti, si limita a contestare la disposta decorrenza, del
 collocamento a  riposo,  dal  giorno  successivo  al  compimento  del
 sessantacinquesimo  anno  (10  aprile 1990), anziche' - come ritenuto
 giusto dal ricorrente - dal primo giorno del mese successivo  a  tale
 data (1º maggio 1990).
    Peraltro, il problema dell'individuazione del giorno di decorrenza
 del pensionamento potra'  assumere  rilevanza  solo  dopo  che  sara'
 risolta la previa questione della determinazione del limite dell'eta'
 pensionabile.
    Quanto al secondo motivo, con il quale si deduce eccesso di potere
 per omesso esame della posizione  previdenziale  e  di  carriera  del
 ricorrente,  quale  risultante  dal  suo  stato di servizio, prima di
 procedere alla sua messa in quiescenza, esso non appare al collegio -
 sia  pure  in  questa  fase  di sommaria deliberazione - assistito da
 consistenti elementi di fondatezza.
    Infatti,  il  collocamento  a  riposo  del personale sanitario per
 raggiunti limiti di eta' costituisce,  a  termini  dell'art.  53  del
 d.P.R.  761/1979,  un  atto  vincolato  al  semplice  verificarsi del
 compimento del 65º anno, indipendentemente da  ogni  altra  indagine,
 sia sull'anzianita' pregressa che sulla qualifica posseduta.
    Per  cui  si  appalesa  del  tutto inconferente la deduzione di un
 presunto vizio attinente il cattivo uso della discrezionalita', quale
 quello prospettato con il motivo suddetto.
    Quanto, inoltre, all'eccezione avanzata dalla resistente U.S.S.L.,
 secondo cui -  qualora  si  computassero  i  periodi  riscattati  dal
 ricorrente - quest'ultimo avrebbe gia' maturato, comunque, i quaranta
 anni di servizio utile a pensione, reputa il collegio come  essa  non
 faccia   venire   meno,   ne'   la   rilevanza   della  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. 761/1979, ne' l'interesse a
 coltivarla da parte del ricorrente medesimo.
    Invero,  sotto  un primo aspetto, i periodi ammessi a riscatto non
 sono affatto equivalenti al servizio effettivo, posto che  quelli,  a
 differenza  di  questo, oltre che particolarmente onerosi (v. art. 64
 della legge 6 luglio 1939, n. 1035 e successive  modificazioni)  sono
 anche  limitatamente rinunciabili (v., ad es., art. 67, ultimo comma,
 della citata legge n. 1035/1939).
    Secondariamente,  il  superamento  dei  40  anni di servizio utile
 (compresi  i   riscatti)   non   impedisce   l'ulteriore   incremento
 dell'ammontare  della  pensione  teorica  (che, a termini dell'art. 6
 della legge 3 maggio 1967, n. 315,  che  costituisce  una  delle  due
 componenti  del  trattamento  di  quiescenza  spettante  ai sanitari)
 calcolata sulle retribuzioni  pensionabili,  attribuite  per  ciascun
 anno solare, a partire dalla data di inizio del servizio stesso (cfr.
 tabelle allegate alla citata legge 315/1967).
    Dunque,  la  presente  fase  cautelare  non  puo'  essere definita
 prescindendo   dalla   risoluzione   dell'affacciata   questione   di
 costituzionalita'dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979.
    Essa   appare   al   collegio,   oltre  che  rilevante  anche  non
 manifestamente infondata, non solo in riferimento agli artt. 3  e  97
 della  Costituzione,  come  argomenta  il  ricorrente, ma altresi' in
 relazione agli artt. 35, 36 e 38 della Costituzione,  secondo  quanto
 la sezione ritiene di aggiungere d'ufficio.
    Infatti,  il  ripetuto  art.  53  del  d.P.R.  n.  761/1979, nello
 stabilire, al primo comma, la  regola  generale  del  collocamento  a
 riposo  obbligatorio,  per il personale medico del servizio sanitario
 nazionale, al compimento del  sassantacinquesimo  anno  di  eta',  fa
 salve,  al  secondo  comma,  "per  il  personale  trasferito ai ruoli
 regionali ai sensi della legge 28 dicembre 1978, n. 833,  le  vigenti
 norme  di  legge  e  regolamentari  che  fissano un diverso limite di
 eta'".
    Ora,  e'  ben  vero che le norme alle quali si riferisce il comma,
 ultimo  citato,  costituendo  delle  eccezioni,  non  possono  essere
 assunte  come  tertiun  comparationis per dimostrare l'irrazionalita'
 della regola in generale, cui esse derogano, valendo in proposito  il
 principio,  piu' volte enunciato della Corte costituzionale (cfr., ad
 es. sentenza n. 461 del 1989 e ordinanza n. 17 del 1990), secondo  il
 quale  una  norma derogatoria non puo' essere presa come parametro di
 costituzionalita' della regola generale dettata  in  una  determinata
 materia.
    Tuttavia,  si  deve  prendere  atto  che,  nel  corso  dell'ultimo
 trentennio, il legislatore ha derogato piu' volte  alla  disposizione
 generale  sul collocamento a riposo a sessantacinque anni, fissata da
 varie norme (es. artt. 47 e 76 t.u., n. 1265/1934; art.  18  r.d.  n.
 1631/1938;  art.  1  legge n. 336/1964) per i medici dipendenti dagli
 enti locali, territoriali e ospedalieri, prima della loro  confluenza
 nel servizio sanitario nazionale.
    A  titolo  esemplificativo  possono  qui  di seguito ricordarsi le
 varie leggi cronologicamente succedutesi nella soggetta materia,  pur
 dovendosi  riconoscere  che le prime di esse hanno ormai preso valore
 pratico:
      legge  24  luglio  1954,  n.  596  (articolo  unico), con cui si
 consentiva agli ufficiali sanitari e ai medici condotti, in  servizio
 di  ruolo  da data anteriore al 24 agosto 1934, di essere collocati a
 riposo non prima di aver maturato quaranta anni di servizio  utile  a
 pensione  e,  comunque, non oltre il compimento del settantesimo anno
 di eta';
      legge  20 febbraio 1956, n. 68 (articolo unico), recante analoga
 disposizione  derogatoria  in  favore  dei  sanitari  ospedalieri  in
 servizio di ruolo da data anteriore al 14 novembre 1938;
      legge  20  ottobre  1962,  n.  1552 (art. 1), con cui sono stati
 trattenuti in servizio sino al 30 giugno 1963 i sanitari  ospedalieri
 che avessero superato il limite dei sessantacinque anni;
      legge  20  dicembre 1962, n. 1751 (articolo unico), con la quale
 sono state estese agli altri medici dipendenti  dai  comuni  e  dalle
 province,  le  disposizioni derogatorie di cui alla sopracitata legge
 n. 596/1954;
      legge  4  agosto  1963,  n.  1011  (articolo  unico), recante la
 proroga al 30 giugno 1964 del termine,  previsto  dalla  surricordata
 legge  n. 1552/1962, relativo alla cessazione dal servizio dei medici
 ospedalieri;
      legge  3  febbraio  1964,  n.  22 (articolo unico), con cui sono
 state estese ai sanitari dei Consorzi provinciali antitubercolari  le
 norme derogatorie di cui alla sopraindicata legge n. 1751/1962;
      legge   10   maggio  1964,  n.  336  (art.  6),  concernente  il
 trattenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno di
 eta'  dei  primari  e degli altri sanitari apicali degli ospedali che
 occupassero un posto di ruolo,  in  tali  qualifiche,  alla  data  di
 entrata in vigore della legge medesima;
      legge  6  ottobre  1964,  n. 982, (articolo unico), con la quale
 sono state estese ai sanitari degli ospedali  psichiatrici  le  norme
 derogatorie  sui  limiti di eta', introdotti con la gia' citata legge
 n. 596/1954;
      legge  7  maggio  1965,  n.  459 (articolo unico), cui cui si e'
 concesso il trattenimento in  servizio  per  il  tempo  necessario  a
 raggiungere i quaranta anni di servizio utile a pensione e, comunque,
 non oltre il settantesimo anno di eta', agli ufficiali sanitari e  ai
 medici  condotti  (e, per effetto della sentenza additiva della Corte
 costituzionale n. 398 del 1988, anche agli  altri  medici  dipendenti
 dai  comuni  e  dalle  province,  di  cui  alla  ricordata  legge  n.
 1751/1962) che fossero in servizio all'entrata in vigore della  legge
 stessa e che fossero entrati in carriera fino al 31 dicembre 1952;
      legge   13   luglio   1965,  n.  80  (articolo  unico),  recante
 l'estensione ai sanitari degli Istituti provinciali per l'infanzia  e
 assimilati  delle disposizioni sulla deroga al limite di eta', di cui
 alla gia' menzionata legge 596/1954;
      legge  12  febbraio  1968,  n.  132  (art. 66), con cui e' stata
 disposta l'estensione del beneficio dell'eta' pensionabile, ex  legge
 n. 336/1964 citata anche nei confronti dei medici ospedalieri apicali
 che fossero stati successivamente trasferiti ad  un  altro  ospedale,
 purche' di pari o superiore categoria.
    Un  discorso  a parte, merita il d.-l. 2 luglio 1982, n. 402 (art.
 8), convertito con modificazioni in legge 3 settembre 1982,  n.  627,
 poiche' esso e' successivo cronologicamente all'art. 53 del d.P.R. n.
 761/1979, per cui non poteva ovviamente  formare  oggetto  di  rinvio
 recettizio  da  parte  del  medesimo,  ma  che,  comunque,  e'  utile
 menzionare per avere un quadro normativo completo sull'argomento.
    La  sua  interpretazione  e'  controversa:  si  va dalla tesi piu'
 riduttiva (secondo cui si tratterebbe di un'interpretazione autentica
 delle citate leggi n. 336/1964 e 132/1968, senza valore innovativo) a
 quella piu' aperturista (in base  alla  quale  esso  estenderebbe  la
 deroga all'obbligo del pensionamento d'ufficio a sessantacinque anni,
 anche ai sanitari che erano di  ruolo  nel  1964  e  che  diventarono
 primari  successivamente) passando per una tesi intermedia (in virtu'
 della quale il beneficiario in  parola  sarebbe  stato  in  tal  modo
 concesso  a quei medici ospedalieri che nel 1964 fossero, non gia' in
 possesso della qualifica di  primario,  ma  semplicemente  incaricati
 delle relative funzioni).
    Indubbiamente,  di  fronte  ad  un cosi' nutrito elenco di deroghe
 alla regola generale e del  collocamento  a  riposo  obbligatorio  al
 sessantacinquesimo  anno  di  eta',  vien  fatto  di  pensare che, in
 realta', la regola abbia  costituito,  per  di  piu'  un  trentennio,
 l'eccezione.
    Cio'   significa  che  la  ragionevolezza  della  suddetta  regola
 (riprodotta in via generale, con le relative eccezioni, per tutto  il
 personale  del  servizio sanitario nazionale, dall'art. 53 del d.P.R.
 761/1979) puo' ben essere saggiata alla luce delle  numerose  deroghe
 ad  essa  apportate, gia' nelle sue precedenti formulazioni. Infatti,
 si tratta di deroghe che, singolarmente prese rappresentano norme  di
 jus singulare inutilizzabili come termine di paragone, ma considerate
 nel loro complesso esprimono una ratio di piu' ampio respiro,  e,  in
 ogni  caso,  diversa  ed  autonoma  (e  forse  inavvertita  dai  vari
 legislatori succedutisi nel tempo ma ormai organicamente  incorporata
 nella  mens  legis  )  rispetto  alle  logiche  particolari,  via via
 perseguite dalle singole eccezioni normative.
    In  altre  parole, l'occasio legis originaria, che aveva provocato
 le prime norme derogatorie (e, cioe', la preoccupazione di sopperire,
 in qualche modo, al blocco dei concorsi in conseguenza della guerra e
 delle prolungatesi difficolta' post  belliche),  si  e'  praticamente
 persa  per  strada, a mano a mano che alle eccezioni iniziali si sono
 aggiunte quelle successive, estendendone sempre piu' la portata.
    Nondimeno,  dall'interpretazione  sistematica  della  legislazione
 dell'ultimo  trentennio,  in  materia  di  limiti  di  eta'  per   il
 collocamento  a riposo d'ufficio dei sanitari pubblici dipendenti, e'
 dato ricavare una comune logica, che ad essa presiede e che,  da  una
 parte, e' sempre meno legata agli avvenimenti bellici e post bellici,
 superando  il  requisito  dell'ingresso  in  carriera  in  quell'arco
 temporale, dall'altra tutela sempre piu' la professionalita', ai piu'
 alti livelli, cioe' a quelli apicali.
    Significativa,  al  riguardo,  la disposizione di una delle ultime
 leggi sull'argomento: l'art. 66 della legge  n.  66  della  legge  12
 febbraio 1968, n. 132. In forza di esso il diritto al mantenimento in
 servizio sino al compimento del settantesimo anno di eta',  e'  stato
 esteso ai sanitari ospedalieri di vertice, che, successivamente al 16
 giugno 1964, fossero stati trasferiti ad un altro  ospedale,  purche'
 di "pari o superiore categoria".
    Vale   a   dire,  che  la  perdita  di  professionalita',  connesa
 all'assunzione di responsabilita' direttive in una  unita'  operativa
 di livello inferiore, non e' stata riconosciuta meritevole di tutela.
    Se,  dunque,  la  ratio  che  ha  ispirato,  per  di  piu'  di  un
 trentennio, le norme sul collocamento a riposo dei  sanitari  apicali
 del  comparto  pubblico e' quella di assicurare il loro trattenimento
 in  servizio  sino  al  compimetno  del   settantesimo   anno,   onde
 valorizzare   al   massimo   il  bagaglio  d'esperienza  e  l'apporto
 professionale dei medesimi, si deve riconoscere che l'art. 53,  primo
 comma  del  d.P.R.  n.  761/1979,  nella  parte in cui ha unificato a
 sessantacinque  anni  il   limite   dell'eta'   pensionabile,   senza
 differenziare  la  posizione  dei medici apicali, ha, in primo luogo,
 realizzato un'ingiustificata  inversione  di  tendenza,  rispetto  al
 passato,   nel  trattamento  della  stessa  categoria  di  personale;
 secondariamente,  ha  irrazionalmente  uniformato   il   regime   del
 collocamento  a  riposo  di  categorie  diverse,  quanto a carriera e
 livelli di responsabilita'.
    In  entrambi  i casi, ponendosi in chiaro contrasto con i principi
 di  ragionevolezza  e  uguaglianza,   di   cui   all'art.   3   della
 Costituzione,    nonche'    di   imparzialita'   e   buon   andamento
 dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione.
    Tenendo,  altresi',  presente  che l'ingresso nel pubblico impiego
 del medico avviene di norma, in  eta'  piu'  avanzata  rispetto  agli
 altri  pubblici  dipendenti  (a  causa  degli studi universitari piu'
 lunghi e dei successivi indispensabili corsi di specializzazione post
 universitaria),   che,  inoltre,  l'accesso  alla  qualifica  apicale
 prevede il previo superamento degli esami di idoneita' a primario,  o
 alle  altre  funzioni  dirigenziali (e, prima che fossero aboliti nel
 1979, pure alle funzioni di aiuto), anch'essi scaglionati nel  tempo,
 appare  al  collegio che il ripetuto art. 53, primo comma, del d.P.R.
 n. 761/1979,  nella  parte  in  cui  non  fa  salvo,  per  i  primari
 ospedalieri  e  assimilati,  il  diritto al trattenimento in servizio
 sino al settantesimo anno, si ponga in conflitto anche con l'art. 35,
 primo  e secondo comma, della Costituzione sulla tutela del lavoro in
 tutte  le  sue  forme  ed  applicazioni  e  sul  particolare   valore
 attribuito   alla   formazione  e  all'elevazione  professionale  dei
 lavoratori.
    Senza  contare,  che,  in  questo  modo,  un  patrimonio  umano di
 esperienza e di professionalita', del  massimo  livello,  che  l'ente
 pubblico  ha  contribuito  a formare andrebbe perduto prima che possa
 sviluppare appieno la propria  potenzialita'  lavorativa  all'interno
 del servizio pubblico.
    L'art.  53,  primo comma, del d.P.R. 761/1979, poi, nella parte in
 cui impedisce ai primari di porre a  base  del  calcolo  del  proprio
 trattamento  di  quiescenza,  uno  stipendio  che  sia  il frutto del
 massimo sviluppo della relativa progressione economica di  attivita',
 ad  avviso  del  collegio  fa  nascere,  ancora, seri dubbi sulla sua
 conformita'  al   precetto   dell'art.   36,   primo   comma,   della
 Costituzione, ove si garantisce al lavoratore il diritto ad una piena
 ed effettiva retribuzione, anche soto l'aspetto  della  tutela  della
 pensione,   che   costituisce   una  forma  differita,  ma  non  meno
 importante, della retribuzione stessa.
    Infatti,  secondo  l'insegnamento della Corte costituzionale (cfr.
 sentenza n. 302 del 1983) "il trattamento di  quiescenza  costituisce
 poiezione  di  quello  di  attivita'",  sicche'  essi sono governati,
 entrambi, dall'art. 36 della Costituzione.
    Osserva, infine, il collegio che il predetto art. 53, primo comma,
 del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui  non  consente  ai  medici
 apicali  del  servizio  pubblico  di  maturare  il maggior incremento
 possibile dell'anzianita' utile,  ai  fini  pensionistici,  anche  in
 concorso  con  eventuali  riscatti (la cui presenza - come sopra s'e'
 visto - non sterilizza, in ogni  caso,  la  progressione  della  base
 pensionabile)  addensa sul medesimo fondati sospetti di contrasto con
 il  principio,   sancito   dall'art.   38,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  in  base  al  quale il lavoratore ha diritto che siano
 preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle sue esigenze di vita,  in
 caso di vecchiaia.
    Ritiene,  dunque,  il  collegio  che  la questione di legittimita'
 costituzionale, in parte qua, dell'art. 53, primo comma,  del  d.P.R.
 20  dicembre 1979, n. 761, in relazione agli artt. 3, 97 primo comma,
 35 primo e secondo comma, 36 primo comma, e 38 secondo  comma,  della
 Costituzione,  non  sia  manifestamente  infondata  e  sia,  inoltre,
 rilevante  ai  fini  della   definitiva   pronuncia   sulla   domanda
 incidentale di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta  la  rilevanza,  ai fini della definitiva pronuncia sulla
 domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, e  la
 non   manifesta   infondatezza   della   questione   di  legittimita'
 costituzionale, in parte qua dell'art. 53, primo comma, del d.P.R. 20
 dicembre  1979, n. 761, in relazione agli artt. 3, 97 primo comma, 35
 primo e secondo comma,  36  primo  comma,  38  secondo  comma,  della
 Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio sul procedimento cautelare;
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e
 della Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso,  in  Brescia,  il  27  aprile  1990  dal  tribunale
 amministrativo regionale per la Lombardia, in camera di consiglio.
                    Il presidente: CONTI - SPRINGOLO
   L'estensore: RIGHI
 90C1027