N. 532 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 luglio 1990
N. 532 Ordinanza emessa il 12 luglio 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Marsala nel procedimento penale a carico di Ribaudo Vito Roberto Processo penale - Nuovo codice - Giudizio per decreto - Intervenuta estinzione del reato a seguito di amnistia - Obbligo per il giudice dell'immediata declaratoria - Facolta' di rinuncia all'amnistia - Impossibilita' per l'imputato di esercitarla in considerazione del fatto che questi viene a conoscere l'esistenza del procedimento a suo carico solo con la pronuncia della sentenza di non doversi procedere per amnistia - Violazione del diritto di difesa - Richiamo alla sentenza n. 175/1971. (C.P.P. 1988, art. 459, terzo comma, in relazione all'art. 129, stesso codice; legge 11 aprile 1990, n. 73, art. 5; d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, art. 5). (Cost., artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma).(GU n.36 del 12-9-1990 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza. Con richiesta presentata in cancelleria in data 16 marzo 1990 il p.m. ha chiesto a questo giudice di emettere decreto penale di condanna nei confronti di Ribaudo Vito Roberto imputato del reato di cui all'art. 116, n. 2, del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, commesso in Mazara del Vallo il 18 ottobre 1989 all'uopo motivando, in ordine alla fondatezza dell'accusa, con la esistenza in atti dell'attestazione con la quale il notaio, nel trasmettergli la fotocopia dell'assegno emesso dall'imputato, da' atto che il titolo gli e' stato rimesso dall'istituto trattario "per gli adempimenti di legge e successivamente dallo stesso richiesto in restituzione prima della presentazione e conseguenziale elevazione del protesto". Nonostante il riscontro, attraverso la cognizione del relativo fascicolo, dei dati probatori offerti dal p.m. facciano ritenere fondata la sussistenza del reato ai fini dell'adozione del rito monitorio in quanto, per costante prassi commerciale quella attestazione notarile evidenzia che l'assegno e' stato presentato infruttuosamente per il pagamento all'istituto trattario il quale, dopo averne chiesto il protesto, lo ha richiamato perche' successivamente sono stati ricostituiti i fondi per il suo pagamento, la richiesta del decreto penale non puo' essere accolta: per effetto degli artt. 1 e segg. del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, successivo alla data di esercizio dell'azione penale, il reato risulta, infatti, compreso tra quelli per i quali e' stata concessa amnistia. L'esistenza di tale causa estintiva del reato si pone per il giudice da una parte come condizione impeditiva dell'emissione del decreto penale di condanna, dall'altra come condizione fondante l'obbligo della sua immediata declaratoria (art. 129 del c.p., espressamente richiamato dall'art. 459, terzo comma): infatti, non risultando evidente dagli atti la sussistenza delle altre cause favorevoli all'imputato (art. 129, secondo comma, del c.p.p.), il processo andrebbe definito con la sentenza che dichiara estinto il reato per amnistia. Tuttavia, e' pregiudiziale accertare, anche ai fini della questione di costituzionalita' che si intende sollevare, se prima di questa pronuncia l'imputato possa effettivamente avvalersi della facolta' di rinuncia del provvedimento di clemenza prevista dall'art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, che riproduce il medesimo articolo della relativa legge di delegazione, secondo il quale "l'amnistia non si applica qualora l'imputato, prima che sia pronunciata sentenza di non luogo a procedere e di non doversi procedere per amnistia, faccia espressa dichiarazione di non volerne usufruire". Postulare logicamente l'esercizio di tale potere, che la Corte costituzionale con la sentenza del 14 luglio 1971, n. 175, ha configurato come esplicazione del diritto di difesa, la conoscenza da parte dell'imputato del processo a suo carico, si deve in definitiva accertare se, in questa fase processuale istauratasi con la richiesta del procedimento per decreto, egli sia messo nelle condizioni di sapere che nei suoi confronti la pubblica accusa ha esercitato l'azione penale. Mentre questa problematica non si pone allorquando il p.m. eserciti l'azione penale nelle altre diverse forme processuali dal momento che, gli altri modelli contemplano come necessaria la conoscenza del processo da parte dell'imputato presupponendo taluni di questi, addirittura, la sua presenza o la sua attivazione, essa assume un particolare rilievo nell'ambito del procedimento per decreto che per sua struttura ed antica natura non tollera, innanzitutto, una preventiva contestazione dell'accusa all'imputato. Ed infatti, gia' sin dall'inizio di questo rito speciale che si incardina con la richiesta del p.m. del decreto penale di condanna e' preclusa all'imputato ogni altra forma di conoscenza del processo a suo carico che non sia quella che si ha al momento della notifica del decreto penale con il quale il g.i.p., dando corso alla richiesta del p.m., definisce questa fase processuale. Nell'ipotesi in cui invece il g.i.p. rigetti la richiesta e debba procedere all'immediata declaratoria di non punibilita' per estinzione del reato per amnistia, secondo quanto impostogli dagli artt. 459, terzo comma, e 129, del c.p.p., nel silenzio della legge e' necessario appurare se tale pronuncia debba avvenire a seguito di un procedimento che assicuri il contraddittorio ovvero nel rispetto di regole che comunque consentano di rendere edotto l'imputato del processo a suo carico, essendo questa la condizione minima ed indefettibile perche' egli possa eventualmente rinunciare all'applicazione dell'amnistia. A tale proposito, infatti, l'art. 459, terzo comma, nulla dice in ordine al procedimento che il g.i.p. debba seguire prima di emettere la sentenza di proscioglimento, limitandosi ad operare un secco rinvio all'art. 129 del c.p.p. che fissa, esclusivamente, l'obbligo per ogni giudice dell'immediata delaratoria d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, delle cause di non punibilita'. Anche a volere mutare la soluzione che sotto la vigenza dell'abrogato codice di procedura penale si dava all'applicazione dell'art. 152 - che l'attuale 129 ricalca quasi alla lettera - allorquando si riteneva che prima del giudizio, e quindi nella fase istruttoria, la immediata declaratoria dovesse essere necessariamente preceduta dall'interrogatorio dell'imputato, o, in alternativa dall'enunciazione del fatto oggetto dell'imputazione in un ordine o mandato rimasto senza effetto, essa risulterebbe del tutto inadattabile, e dunque inattuabile, in quanto destinata ad iscriversi in un modello processuale radicalmente diverso nel quale, non solo non esiste piu' una fase istruttoria, ma e' nettamente distinta la fase della investigazione da quella del processo vero e proprio al quale - a differenza dell'abrogato art. 152 che si riferiva al "procedimento" - si rivolge invece l'operativita' del nuovo art. 129 del c.p.p. Escluso dunque che al g.i.p., nell'ambito del procedimento per decreto, competa un potere di contestazione dell'accusa da esercitarsi prima della declaratoria di estinzione del reato per amnistia, in assenza di una specifica normativa, e' stata prospettata in dottrina, quale possibile soluzione, l'applicazione delle regole generali dell'art. 127 del c.p.p. che disciplinano il procedimento in camera di consiglio. Orbene, e' opinione di questo giudice, che questa indicazione che certamente esprime una giusta esigenza, non possa essere accettata, a livello interpretativo, come soluzione ermeneuticamente possibile per colmare la lacuna legislativa. Vi osta infatti il rilievo che il procedimento camerale previsto in via generale dall'art. 127 del c.p.p., si applica esclusivamente alle ipotesi indicate dal codice, come si desume da una agevole ricognizione delle norme che ad esso fanno riferimento (artt. 32.1, 41.3, 48.1, 130.2.4.5, 309.8, 310.2, 311.5, 324.6, 409.2, 410.3, 428.2, 435.3, etc.); procedimento che, peraltro, ove non diversamente stabilito, si conclude sempre con una ordinanza (art. 127, settimo comma). Pertanto, poiche' ne' l'art. 459, terzo comma, ne' l'art. 129 del codice di procedura penale rinviano direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente al procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 127, applicabile, come si e' visto, ai soli casi previsti dalla legge, il canone ermeneutico ubi lexit voluit, dixit, non ne consente l'applicazione analogica all'ipotesi prevista dall'art. 459, terzo comma. Ne discende, quindi, che la sentenza prevista dall'art. 129 del c.p.p., assume la forma del provvedimento pronunciato de plano. Dall'altra parte quest'ultimo articolo non postula che l'immediata declaratoria delle cause di non punibilita' debba sempre e necessariamente avvenire a seguito di una udienza che assicuri il contraddittorio - come potrebbe essere quella fissata nell'ambito del procedimento in camera di consiglio, ex art. 127 - in quanto, ove il processo venga definito con una sentenza ampiamente liberatoria per l'imputato dichiarato non punibile per non avere commesso il fatto o perche' il fatto non sussiste, non vi e' alcuna esigenza di dare vita ad un preventivo contraddittorio non essendo in questo caso ipotizzabile alcuna necessita' difensiva per colui che deve essere prosciolto nel merito. Nel caso in questione, poi, dovendosi procedere alla dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta amnistia, non viene in rilievo prioritariamente la necessita' della garanzia di un preventivo contraddittorio, quanto quella di una preventiva conoscenza dell'imputato dell'esistenza del processo a suo carico per l'eventuale rinuncia al provvedimento di clemenza che e' strumentale per una pronuncia nel merito - la quale puo' essere garantita anche con forme diverse da quelle previste per l'instaurazione del contraddittorio di cui all'art. 127 del c.p.p.: per esempio, attraverso la previsione di una ipotetica norma che imponga la notifica all'imputato della richiesta del p.m. di emissione del decreto penale, prima che si dichiari di non doversi procedere per amnistia. Orbene, la pregiudiziale di costituzionalita' che questo giudice non puo' mancare di rilevare, deriva dal fatto che, ove il processo de quo fosse effettivamente definito con la sentenza che dichiari l'estinzione del reato per intervenuta amnistia, pronunciata de plano, verrebbe inesorabilmente leso il diritto di difesa dell'imputato il quale mai potrebbe esercitare la facolta' di rinunciare all'amnistia - che di quel diritto costituisce particolare esplicazione - dal momento che, come si e' dimostrato, in questa fase processuale del procedimento per decreto, egli non e' a conoscenza ne' e' messo nelle condizioni di sapere che pende un processo nei suoi confronti. E cio', neppure se si ritenesse che il momento della conoscenza giuridicamente utile ai fini dell'esercizio di quella facolta' possa fissarsi gia' nella fase delle indagini preliminari giacche' la conoscenza da parte dell'indagato del procedimento a suo carico sarebbe meramente eventuale, legata com'e' al compimento di determinati atti di indagine del p.m. per i quali o e' prevista la presenza dello stesso indagato per il loro espletamento, ovvero l'invio dell'informazione di garanzia. Peraltro, nel processo in questione, tale fase si e' esaurita nella semplice acquisizione dell'attestazione notarile nonche' della copia dell'assegno emesso, in un contesto quindi, nel quale all'odierno imputato era del tutto preclusa ogni forma di conoscenza in ordine all'inizio del procedimento nei suoi confronti diversa dall'eventuale consapevolezza della commissione del reato, cioe' di cio' che, per converso, deve invece costituire il thema probandum e decidendum del processo. Appare evidente allora come l'imputato non e' messo nelle condizioni di dichiarare prima della pronuncia della sentenza di non doversi procedere per amnistia, di non volere usufruire del provvedimento di clemenza, secondo quanto previsto dall'art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, in quanto del tutto ignaro del processo a suo carico. Pertanto, non essendo garantita la rinunciabilita' della amnistia, ne consegue la lesione del suo diritto di difendersi inteso - come gia' affermato dalla Corte costituzionale - non solo quale pretesa al regolare svolgimento di un giudizio che consenta liberta' di dedurre ogni prova a discolpa e garantisca piena esplicazione del contraddittorio ma anche come quella di ottenere il riconoscimento della completa innocenza, da considerare il bene della vita costituente l'ultimo e vero oggetto della difesa, rispetto al quale le altre pretese al giusto procedimento assumono funzione strumentale (sentenza n. 175/1971). Ne' tale diritto potrebbe trovare successiva esplicazione nell'eventuale giudizio di appello in quanto il giudice dell'impugnazione, quali che siano i motivi proposti dall'appellante, per effetto dell'art. 604, sesto comma, del c.p.p., potrebbe decidere nel merito - previa, occorrendo, rinnovazione del dibattimento nella sola ipotesi in cui riconosca erronea la dichiarazione di estinzione del reato fatta dal giudice di primo grado e non anche, dunque, per il fatto che l'imputato non sia stato messo in grado di rinunciare all'amnistia prima della pronuncia di tale sentenza. Per i motivi che si sono esplicitati, si appalesa rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 459, terzo comma, in relazione all'art. 129 del c.p.p., 5 della legge 11 aprile 1990, n. 73, e 5 del d.P.R. del 12 aprile 1990, n. 75, per contrasto con l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono, ai fini dell'esercizio della facolta' di rinuncia dell'amnistia, che l'imputato nei cui confronti sia stata esercitata l'azione penale con le forme del procedimento per decreto di cui agli artt. 459 e segg. del c.p.p., sia messo nelle condizioni di conoscere l'esistenza del processo a suo carico prima della pronuncia della sentenza di non doversi procedere per amnistia. Invero un ulteriore profilo di incostituzionalita' delle citate norme e' ravvisabile anche con riferimento all'art. 3 della Costituzione in quanto la possibilita' dell'effettivo esercizio del potere previsto dall'art. 5 del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, sarebbe condizionata dalla forma di esercizio dell'azione penale da parte del p.m. (art. 405, primo comma) posto che, come si e' in precedenza osservato, nel procedimento per decreto tale possibilita' e' preclusa poiche' non e' garantita all'imputato la preventiva conoscenza del processo a suo carico, mentre sarebbe effettiva negli altri modelli processuali che tale conoscenza invece presuppongono: con la conseguenza di una irragionevole disparita' di trattamento dell'imputato, ai fini dell'esercizio della facolta' di rinuncia all'amnistia, a seconda che nei suoi confronti l'azione penale, per lo stesso reato, sia esercitata con la richiesta di emissione del decreto penale di condanna ovvero nelle altre forme processuali previste dal codice di procedura penale. Poiche' anche la risoluzione di questa questione di costituzionalita' si rivela rilevante ai fini della definizione del presente processo e non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza, solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 459, terzo comma, in relazione all'art. 129 del codice di procedura penale, 5, della legge 11 aprile 1990 n. 73, e 5, del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, nei limiti sopra precisati; Sospende il processo in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputato, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e che venga inoltre comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Manda alla cancelleria per tutti gli adempimenti di competenza. Marsala, addi' 12 luglio 1990 Il giudice per le indagini preliminari: RUSSO 90C1058