N. 561 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 maggio 1990

                                 N. 561
   Ordinanza emessa il 25 maggio 1990 dal tribunale di Agrigento nel
         procedimento penale a carico di Tuttolomondo Pasquale
 Processo penale - Richiesta di rito abbreviato - Rigetto del g.i.p. -
 Riproponibilita' fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento
 di  primo  grado  - Omessa previsione - Impossibilita' per il giudice
 del dibattimento di accoglierla, se gia' definibile allo stato  degli
 atti,  nell'udienza  preliminare - Conseguente inapplicabilita' della
 diminuente ex art. 442  del  c.p.p.  Disparita'  di  trattamento  tra
 imputati   -   Ingiustificata   diversita'   di  disciplina  rispetto
 all'analogo istituto dell'applicazione della pena su richiesta  delle
 parti.
 (C.P.P. 1988, art. 440, terzo comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.38 del 26-9-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Udita  la richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato
 all'odierno dibattimento, richiesta gia'  dallo  stesso  proposta  in
 sede  di  udienza  preliminare e non accolta dal g.i.p. nonostante il
 consenso del p.m.;
    Esaminato il fascicolo del p.m.;
   Considerato  che  allo  stato delle vigenti disposizioni del c.p.p.
 appr. con d.P.R. n. 447/1988 la predetta  richiesta  dovrebbe  essere
 dichiarata  inammissibile,  in  accoglimento  dell'eccezione proposta
 dalla p.c., poiche' quelle disposizioni non  prevedono,  nell'ipotesi
 nella  quale  si proceda al giudizio a seguito di decreto pronunziato
 ex art. 424  del  c.p.p.,  la  praticabilita'  di  tale  procedimento
 speciale riservato alla sola fase dell'udienza preliminare;
    Ritenuto   che   questa  soluzione  comporterebbe  per  l'imputato
 l'impossibilita' di accedere alla diminuzione ex art. 442  cpv.,  del
 c.p.p.  con  un  conseguente  rilevante  danno sostanziale per la sua
 posizione;
    Ritenuto  che  cio'  crea  una  situazione normativa che appare in
 aperto contrasto con l'art. 3 della  Costituzione  e  cio'  in  forza
 delle seguenti considerazioni:
    1.  -  E'  ovviamente  ipotesi giuridicamente valutabile quella di
 un'erronea opinione del g.i.p. circa la possibilita' di  decidere  la
 fattispecie,   innanzi   a  Lui,  allo  stato  degli  atti,  sicche',
 nell'ambito  di  tale  ipotesi,  l'impossibilita'  di   quell'accesso
 sarebbe  conseguenza  non  gia'  di  una  reale insussistenza del suo
 diritto ma di una decisione frutto di un errato giudizio umano  circa
 la sua sussistenza.
    Poiche'  l'ordinanza  del  g.i.p.  ex  art.  440, primo comma, del
 c.p.p. non e' soggetta ad alcuna  forma  di  impugnazione  (tale  non
 potendo  certo  considerarsi  la  facolta' di una riproposizione allo
 stesso giudice della richiesta ex terzo comma del citato  art.  440),
 una  simile  -  ingiusta - conseguenza non potrebbe essere rimossa in
 alcuna sede (trattandosi di una diminuzione sulla pena che il giudice
 determina  dopo  aver tenuto conto di tutte le circostanze - art. 442
 cpv. - e' evidente che non  puo'  essere  considerato  un  correttivo
 l'eventuale  piu'  accentuato  utilizzo, in favore dell'imputato, del
 potere del giudice della cognizione sull'entita' della  pena).  Cosi'
 essendo,   la   posizione  di  due  soggetti  sottoposti  a  separati
 procedimenti penali la natura dei quali fosse, in  ipotesi,  tale  da
 condurre  ad  un  identico  trattamento  sanzionatorio  quale  giusta
 retribuzione per i rispettivi componenti illeciti  e  da  consentire,
 per   l'obbiettiva   consistenza   del   materiale   probatorio,   la
 definibilita' allo stato degli atti in sede di  udienza  preliminare,
 verrebbe  ad  essere  caratterizzata  da un'assolutamente irrazionale
 disparita' di trattamento qualora il g.i.p. in un  caso  riconoscesse
 l'esistenza di quella consistenza ed in un altro, per il detto errore
 di valutazione, la negasse.
    L'impossibilita'  gia'  commentata  di correggere un simile errore
 renderebbe  infatti  irreversibile  la  sottoposizione  del   secondo
 imputato ad una maggior pena (per la mancata applicazione della detta
 diminuzione) che non sarebbe piu' la "giusta" pena -  irrogata  cioe'
 in  applicazione  di  tutte le norme cui l'imputato avrebbe diritto -
 della quale invece il primo avrebbe beneficiato.
    E  cio'  con  una  aperta  violazione del principio di uguaglianza
 sancito dall'art. 3 della Costituzione.
    2.  -  Ma  anche  sotto  altro  profilo il precetto costituzionale
 appena invocato parrebbe violato.
    Gia' nella recente decisione n. 66/1990 la Corte costituzionale ha
 riconosciuto - sia pure con specifico riferimento  ai  corrispondenti
 istituti  del  regime  transitorio  di  cui al d.-l. n. 271/1989 - le
 evidenti analogie sussistenti fra l'istituto del giudizio  abbreviato
 e quello dell'applicazione della pena su richiesta delle parti (artt.
 444 e segg. del c.p.p.), da esse traendo le note conseguenze circa la
 non rispondenza ai principi della Carta fondamentale della diversita'
 di disciplina che era prevista in materia di dissenso del p.m.  sulla
 richiesta ex art. 444 del c.p.p. formulata dall'imputato.
    Orbene,  anche  nel  caso  in esame l'opinione del collegio e' nel
 senso che sussista una  diversita'  di  disciplina  non  giustificata
 dalle differenze fra i due istituti (pure accennate dalla Corte nella
 richiamata sentenza). Infatti:
       a)  l'art.  446,  primo  comma,  del  c.p.p.,  nel prevedere la
 possibilita'  di  formulare  la  richiesta  ex  art.  444  sino  alla
 dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di  primo  grado, non
 esclude, a parere di questo Giudice, che l'imputato possa  riproporre
 in  tale  sede  l'istanza  gia'  formulata  all'udienza preliminare e
 rimasta senza seguito in dipendenza di un motivato dissenso del  p.m.
 o  di  un  esito  negativo del controllo del g.i.p. sulla correttezza
 degli estremi indicati dall'art. 444 cpv,; con cio'  introducendo  la
 possibilita',  nella  seconda  ipotesi, di una revisione indiretta di
 tale controllo e dell'eliminazione delle  conseguenze  di  un  errore
 commesso  in  quel controllo; una simile possibilita', invece, non si
 ritrova, come detto,  nel  testo  dell'art.  440,  terzo  comma,  del
 c.p.p.;
       b)  l'art.  448,  primo  comma,  del  c.p.p.,  nel prevedere la
 possibilita' per il giudice di primo grado ed addirittura per  quello
 di  secondo  grado  di  provvedere  egualmente  in accoglimento della
 richiesta  dell'imputato  nonostante  un   precedente   giudizio   di
 giustificabilita'  del  dissenso  del  p.m.  - del g.i.p. ovvero, nel
 secondo caso, del tribunale o anche del  tribunale  -  introduce  nel
 sistema  dell'istituto un meccanismo correttivo (duplice nell'ipotesi
 di intervento del giudice dell'impugnazione) tendente  a  scongiurare
 che  l'accesso  dell'imputato alle disposizioni di favore connaturate
 all'istituto possa essere ostacolato da  decisioni  erroneamente  non
 rispondenti   alla   realta'   processuale   che   in  via  obiettiva
 quell'accesso renderebbe  legittimo;  anche  per  questo  aspetto  si
 rileva  quindi la differenza di trattamento per l'imputato che decida
 di adire il giudizio abbreviato e che si  trova  sprovvisto  di  ogni
 rimedio  di  fronte  ad  una  erronea  valutazione dell'organo cui e'
 rimessa la decisione in merito.
    Ritenuto   quindi  che  non  appare  manifestamente  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 440, terzo  comma,
 del  c.p.p.  appr.  con  d.P.R.  n.  447/1988  nella parte in cui non
 prevede la possibilita' per l'imputato di riproporre la richiesta del
 giudizio   abbreviato   sino   alla  dichiarazione  di  apertura  del
 dibattimento  di  primo  grado  ed  il  potere  per  il  giudice  del
 dibattimento,  a  fronte  di  tale riproposizione, di accoglierla ove
 riconosca errato il rigetto  della  stessa  richiesta  da  parte  del
 g.i.p.  per  essere, gia' in sede di udienza preliminare, il processo
 definibile allo stato degli atti.
    Osservato,  quanto  alla  rilevanza di tale astratta questione nel
 procedimento de quo, che  gia'  dagli  atti  inseriti  nel  fascicolo
 emergevano  (v.  fonti  di  prova richiamate nel contesto del p.v. di
 fermo del Tuttolomondo e dal verbale di rinvenimento del  revolver  a
 f.  22)  dati  idonei a fari ritenere la sua definibilita' in sede di
 udienza  preliminare  e  che  tale  convinzione  risulta   pienamente
 confermata  dall'esame  degli  atti  del fascicolo del p.m. dai quali
 risulta che il g.i.p. nel momento nel  quale  rigetto'  la  richiesta
 formulata  ex  art. 442 del c.p.p. disponeva di elementi (fra i quali
 anche una confessione di notevole latitudine  resa  dall'imputato  in
 sede  di  udienza  di  convalida  ex  art.391  del  c.p.p.)  tali  da
 consentire  qualunque  decisione  sugli  aspetti  sia  oggettivi  che
 soggettivi  del  fatto  perseguito,  sicche' priva di giustificazione
 tecnica appare la decisione espressa dal g.i.p.  nell'udienza  del  5
 aprile  1990 (decisione dalla quale, peraltro, non si ricava contezza
 delle specifiche ragioni di incompletezza  del  materiale  probatorio
 che  la  avevano  determinata) con la conseguenza che, nell'eventuale
 riconoscimento della fondatezza della questione prima  descritta,  la
 richiesta  oggi  formulata  dall'imputato  dovrebbe  essere  ritenuta
 ammissibile con ogni processuale conseguenza.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  d'ufficio  rilevante  e  non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 440, terzo  comma,
 del  c.p.p.  appr.  con d.P.R. n. 447/1988 con riferimento all'art. 3
 della Costituzione nella parte in cui non prevede la possibilita' per
 l'imputato  di  riproporre  la richiesta del giudizio abbreviato sino
 alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ed  il
 potere   per   il   giudice   del  dibattimento,  a  fronte  di  tale
 riproposizione, di accoglierla ove  riconosca  la  definibilita'  del
 processo  allo stato degli atti gia' in sede di udienza preliminare e
 conseguentemente errato il rigetto della stessa richiesta pronunziata
 dal g.i.p. in quella sede;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale per la risoluzione di tale questione;
    Ordina  che,  a  cura di questa cancelleria, la presente ordinanza
 sia notificata  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  ed  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Cosi' deciso in Agrigento, il 25 maggio 1990.
                         Il presidente: AGNELLO

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