N. 413 ORDINANZA 24 - 27 settembre 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimenti in corso Apertura del
 dibattimento gia' avvenuta - Richiesta del giudizio  abbreviato -
 Applicazione della pena richiesta dall'imputato Esclusione -
 Razionalita' - Richiamo alla sentenza n. 277/1990  Questioni analoghe
 gia' decise come manifestamente infondate (ordinanze nn. 320 e 355
 del 1990) - Manifesta infondatezza.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 248).
 
 (Cost., artt. 3 e 25, secondo comma).
(GU n.39 del 3-10-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 248 delle norme
 d'attuazione, di coordinamento e transitorie del  vigente  codice  di
 procedura  penale  (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio
 1989, n. 271) promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 24 novembre 1989 dal Pretore di Torino nel
 procedimento penale a carico di Picheca Benvenuto ed altri,  iscritta
 al  n.  200  del  registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 18,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1990;
     2)  ordinanza emessa il 9 febbraio 1990 dal Pretore di Torino nel
 procedimento penale a carico di Barbero Biagio, iscritta  al  n.  208
 del  registro  ordinanze  1990  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  d'intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 26 giugno 1990 il Giudice
 relatore Renato Dell'Andro;
    Ritenuto  che  con  due ordinanze emesse il 24 novembre 1989 (Reg.
 ord. 200/1990) ed il 9 febbraio  1990  (Reg.  ord.  n.  208/1990)  il
 Pretore  di  Torino  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25,
 secondo  comma,  Cost.,  questione  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art.   248   delle   norme   d'attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie del vigente codice di procedura penale  (testo  approvato
 con  decreto  legislativo  28 luglio 1989, n. 271) nella parte in cui
 limita l'ammissibilita' dell'applicazione  della  pena  su  richiesta
 delle  parti  ai  procedimenti in corso alla data d'entrata in vigore
 del nuovo codice di  procedura  penale  nei  quali  non  siano  state
 compiute le formalita' d'apertura del dibattimento di primo grado;
    Che,   invero,   secondo   il   Pretore   di   Torino,  l'istituto
 dell'applicazione della pena  su  richiesta  delle  parti,  oltre  ad
 esplicare  efficacia processuale comporta anche rilevanti conseguenze
 sostanziali   (in   ordine   alla   quantificazione    della    pena,
 all'esclusione dell'applicazionedi pene accessorie, alla possibilita'
 d'estinzione del reato) sicche' si viene a determinare un'irrazionale
 disparita'  di  trattamento  tra gli imputati, fondata esclusivamente
 sulla  circostanza,  del  tutto  occasionale,  del  compimento  delle
 formalita' d'apertura del dibattimento;
    Che,   inoltre,   a   parere  del  giudice  a  quo,  il  principio
 d'irretroattivita' della legge penale di  cui  all'art.  25,  secondo
 comma,  Cost.,  dovrebbe essere integrato da quello dell'applicazione
 della legge piu' favorevole al reo  di  cui  all'art.  2  del  codice
 penale,  il  quale  avrebbe  rilevanza  costituzionale, nel senso che
 potrebbe  essere  derogato  solo  da  una  norma  rispondente  ad  un
 principio avente anch'esso rilevanza costituzionale;
    Che,   sempre   a   parere   del  giudice  a  quo,  se  l'istituto
 dell'applicazione della pena su richiesta delle parti ha la finalita'
 di  giungere ad una rapida definizione dei processi, esso tuttavia ha
 anche attribuito all'imputato un vero e proprio diritto soggettivo di
 chiedere  il  rito  speciale e d'ottenere la conseguenziale riduzione
 della pena;
    Che,  pertanto,  sarebbe  irragionevole  la mancata previsione, da
 parte  dell'art.  248  citato,   della   possibilita'   di   chiedere
 l'applicazione della pena su richiesta delle parti per i dibattimenti
 gia' iniziati alla data d'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice  di
 procedura  penale,  poiche'  tale possibilita' non solo eviterebbe la
 gia'  evidenziata  disparita'  di   trattamento   tra   imputati   ma
 rispetterebbe   anche   l'intento   deflattivo  al  quale  si  ispira
 l'istituto in questione;
    Che  nei  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
    Che,   a   parere   dell'Avvocatura,  la  finalita'  dell'istituto
 dell'applicazionedella  pena  su  richiesta  delle  parti  e'  quella
 d'incentivare  l'immediata  definizione  del  processo, eliminando la
 fase dibattimentale e quella dell'appello, di modo che  la  riduzione
 della    pena    non    rappresenta    un    beneficio   bensi'   una
 contropartita-premio per la rinuncia al rito ordinario;
    Che,   di  conseguenza,  il  termine  per  avanzare  la  richiesta
 d'applicazione della pena su  richiesta  delle  parti  e'  stato  non
 illogicamente   individuato   nella   dichiarazione   d'apertura  del
 dibattimento di primo grado, superata  la  quale  non  potrebbe  piu'
 realizzarsi la funzione dell'istituto e verrebbe meno il collegamento
 fra incentivo e rito differenziato, sicche' la prospettata diversita'
 di trattamento trova razionale giustificazione nella diversita' delle
 situazioni processuali;
    Considerato  che,  per  l'identita'  delle  questioni sollevate, i
 giudizi possono essere riuniti;
    Che gli argomenti svolti da questa Corte nella sentenza n. 277 del
 1990  -  relativa  all'impossibilita'  (a  norma  dell'art.  247  del
 medesimo  testo approvato con il decreto legislativo n. 271 del 1989)
 di chiedere il giudizio abbreviato quando siano gia'  state  compiute
 le  formalita'  d'apertura  del dibattimento di primo grado - valgono
 anche  per  l'analoga   questione   qui   trattata,   relativa   alla
 possibilita'  di  richiedere  l'applicazione  della pena su richiesta
 delle parti soltanto prima del compimento delle formalita' d'apertura
 del dibattimento di primo grado;
    Che,  in  particolare,  nella  citata  sentenza,  la Corte ha, fra
 l'altro, sottolineato - con osservazione valida anche in ordine  alla
 disposizione  oggetto  del presente giudizio - l'"inscindibile unita'
 finalistica" della disposizione in quella sede impugnata,  osservando
 che  la  riduzione  della  pena  in  tanto e' consentita in quanto e'
 diretta  a  sollecitare  la  richiesta,   da   parte   dell'imputato,
 dell'attivazione   d'un  istituto  inteso  ad  assicurare  la  rapida
 definizione  del  maggior  numero  di  processi;  divenuto,   invece,
 impossibile,   con   l'apertura   del  dibattimento,  raggiungere  le
 finalita' che il legislatore si prefigge, diventa conseguentemente  e
 razionalmente  impossibile  all'imputato realizzare il c.d. "diritto"
 alla riduzione della pena;
    Che,   questo   essendo  lo  scopo  degli  istituti  del  giudizio
 abbreviato e dell'applicazione della pena su  richiesta  delle  parti
 (esclusione  della  fase  dibattimentale) e' del tutto razionale che,
 per i procedimenti in corso all'entrata in vigore del nuovo codice di
 procedura penale, tali istituti siano stati resi applicabili soltanto
 quando il loro scopo sia interamente perseguibile;
    Che   la   precitata   sentenza   ha   altresi'   aggiunto  -  con
 considerazione anch'essa estensibile  all'istituto  dell'applicazione
 della  pena su richiesta delle parti - che irrazionale sarebbe semmai
 l'applicabilita'  del  giudizio  abbreviato   dopo   l'apertura   del
 dibattimento;  giacche'  in tal caso i benefici concessi all'imputato
 non sarebbero piu' giustificati ne' dallo scopo  (ormai  impossibile)
 d'eliminare   la   fase   dibattimentale   ne'  dal  rischio  assunto
 dall'imputato  (il  quale  si  troverebbe,   invece,   nella   comoda
 situazione di decidere dopo che il pubblico ministero ha gia' offerto
 le  sue  prove  e  comunque  dopo  aver  valutato   l'andamento   del
 dibattimento stesso);
    Che,  pertanto,  non e' producente il confronto fra imputati per i
 quali il dibattimento sia  stato  o  non  sia  stato  ancora  aperto,
 proprio perche' si tratta di situazioni oggettivamente diverse;
    Che nella stessa sentenza n. 277 del 1990 si e' altresi' osservato
 che  il  principio  dell'applicazione  della  legge  piu'  favorevole
 all'imputato,  fissato  dall'art. 2 del codice penale, opera soltanto
 quando vi sia stato  un  mutamento,  favorevole  all'imputato,  nella
 valutazione  sociale del fatto tipico oggetto del giudizio, mentre si
 e' fuori dall'ambito  d'applicabilita'  del  principio  stesso  nelle
 ipotesi  in  cui  non si e' verificata una mutata valutazione sociale
 rispetto al fatto tipico incriminato;
    Che,  analogamente  a  quanto osservato nella predetta sentenza in
 ordine  all'istituto  del  giudizio  abbreviato,   anche   nel   caso
 d'applicazione  della  pena su richiesta delle parti non e' mutata la
 valutazione sociale negativa in ordine ai fatti oggetto del  processo
 penale,  dal  momento  che  la possibilita' di fruire della riduzione
 della pena e di altri benefici vale soltanto a stimolare, nei  limiti
 della  sua  esperibilita',  la richiesta, da parte dell'imputato, del
 procedimento speciale in questione;
    Che analoghe questioni di legittimita' costituzionale del medesimo
 art. 248 - nella parte in cui non consente l'applicazione della  pena
 su  richiesta  delle  parti,  a  norma  dell'art.  444  del codice di
 procedura penale, anche ai  procedimenti  per  i  quali  siano  state
 compiute  le  formalita' d'apertura del dibattimento di primo grado -
 sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24  Cost.,  dal  Pretore  di
 Breno con ordinanza del 30 novembre 1989 (Reg. ord. n. 57/1990) e dal
 Pretore di Milazzo con ordinanza del 27 ottobre 1989  (Reg.  ord.  n.
 67/1990)  nonche',  in  riferimento  agli artt. 3, 25 e 97 Cost., dal
 Tribunale di Torino con ordinanza del 20 dicembre 1989 (Reg. ord.  n.
 147/1990)  sono  gia'  state  dichiarate  manifestamente infondate da
 questa Corte rispettivamente con le ordinanze n. 320  e  n.  355  del
 1990;  che,  di  conseguenza,  anche  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata con l'ordinanza in  epigrafe  va  dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale   dell'art.   248   delle   norme   d'attuazione,   di
 coordinamento  e  transitorie  del vigente codice di procedura penale
 (testo approvato con decreto legislativo  28  luglio  1989,  n.  271)
 sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost.,
 dal Pretore di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 settembre 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: DELL'ANDRO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 27 settembre 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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