N. 454 SENTENZA 26 settembre - 16 ottobre 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza- Pensioni- Contributi relativi a riscatti
 domandati dopo la cessazione dal servizio- Recuperi in unica
 soluzione sulle intere prime rate dell'assegno complessivo di
 quiescenza- Esclusione del recupero mediante riduzione della pensione
 di quota vitalizia- Ingiustificata privazione per i beneficiari dei
 mezzi diretti a siddisfare le loro esigenze di  vita - Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (Legge 24 maggio 1952, n. 610, art. 27, secondo comma, ultimo alinea)
 
 (Cost., art. 36).
(GU n.42 del 24-10-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 27, secondo
 comma,  ultimo  alinea,  della  legge  24   maggio   1952,   n.   610
 (Miglioramenti ai trattamenti di quiescenza a favore degli iscritti e
 dei  pensionati  degli  Istituti  di  previdenza  e  modifiche   agli
 ordinamenti degli Istituti stessi), promosso con ordinanza emessa l'8
 novembre 1989 dalla Corte dei Conti sul ricorso proposto  da  Vollono
 Giuseppe  contro la Cassa di previdenza per le pensioni ai dipendenti
 degli enti locali, iscritta al n. 318 del registro ordinanze del 1990
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Vollono Giuseppe, ex dipendente del Comune di Castellammare
 di Stabia, con istanza del 26 febbraio 1976, chiedeva alla  Cassa  di
 Previdenza  dipendenti  enti  locali  (C.P.D.E.L.)  il  riscatto  del
 servizio militare ai fini pensionistici, nel  minimo  influente,  con
 facolta'  di  pagamento  del  relativo contributo mediante trattenuta
 vitalizia sulla pensione anziche' con  trattenuta  totale  dei  primi
 ratei.  Avendo la C.P.D.E.L. disatteso la domanda, adiva la Corte dei
 conti, la quale, con ordinanza dell'8 novembre 1989 (R.O. n. 318  del
 1989),  sollevava  questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 27, secondo comma, ultimo alinea, della legge 24 maggio 1952, n. 610,
 nella  parte  in  cui  non  prevede  il  pagamento  del contributo di
 riscatto con ritenuta sulla pensione di una quota vitalizia anche nel
 caso  di  domanda  presentata  dall'iscritto  dopo  la cessazione dal
 servizio.
    La  Corte  ha  osservato che e' irrazionale la norma denunciata in
 quanto l'art. 73 del regio  decreto  legge  3  marzo  1938,  n.  680,
 prevede la invocata forma di pagamento del contributo di riscatto nel
 caso in cui la domanda sia stata pretestata dall'iscritto in costanza
 del  rapporto  di  servizio  ed  i relativi pagamenti non siano stati
 ultimati alla sua cessazione; ha aggiunto che nelle due  fattispecie,
 quella  dell'art.  27  denunciato  e  quella  del  suddetto  art. 73,
 rilevano gli stessi elementi, cioe' l'eta' dell'iscritto  al  momento
 della presentazione della domanda sulla cui base, in applicazione del
 calcolo attuariale,  si  determina  l'ammontare  del  contributo.  Ha
 rilevato,  poi, che risulterebbe violato l'art. 36 della Costituzione
 perche' il richiedente e' posto nella necessita' di scegliere tra  la
 privazione  dei  mezzi  di  sussistenza  per il periodo necessario ad
 assolvere il pagamento del contributo di riscatto e  la  rinuncia  al
 riscatto  con  la  conseguenza  o di liquidare una pensione di minore
 importo o addirittura di non conseguirla  affatto  per  insufficienza
 del periodo utile.
    2.  -  L'ordinanza  e'  stata ritualmente comunicata, notificata e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    2.1  -  Nel  giudizio  e'  intervenuta l'Avvocatura Generale dello
 Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la
 quale ha concluso per la infondatezza della questione.
    Ha  osservato  che, in base alla vigente disciplina (art. 9, legge
 26 luglio  1965,  n.  965)  il  contributo  da  pagarsi  in  un'unica
 soluzione viene determinato sulla scorta delle tabelle attuariali che
 tengono conto della retribuzione annua contributiva, del  periodo  da
 riscattare,  dell'eta'  dell'iscritto  alla  data della presentazione
 della domanda e del servizio utile a  detta  data,  con  o  senza  la
 inclusione del periodo da riscattare.
    Il  contributo  da  pagarsi  ratealmente viene rideterminato sulla
 base di un'altra tabella (all. C della legge 11 aprile 1955, n.  379)
 che  tiene  ulteriormente  conto dell'eta' dell'iscritto e del numero
 degli anni in cui  il  versamento  rateale  deve  essere  effettuato.
 Nell'ipotesi  di  cessazione  del  servizio  senza  che  sia avvenuto
 l'intero pagamento rateale, l'iscritto, il quale non vuole versare il
 residuo   debito   rateizzato   o  l'intero  contributo  in  un'unica
 soluzione, puo'  optare  per  il  pagamento  sotto  forma  di  debito
 vitalizio da trattenersi sulle mensilita' di pensione.
    Infine,  nel  caso di presentazione della domanda di riscatto dopo
 la cessazione  dal  servizio,  la  norma  denunciata  stabilisce  che
 l'iscritto  o  la  sua  vedova  o  i suoi orfani paghino il premio di
 riscatto con recupero sulle intere prime rate della pensione.
    Le  ipotesi esaminate sono nettamente distinte e la norma sospetta
 di illegittimita' costituzionale e' evidentemente di favore in quanto
 consente all'iscritto, che durante l'attivita' di servizio non si sia
 avvalso  del  beneficio  del  riscatto,  di  conseguirlo  egualmente,
 mentre,  nel  medesimo tempo, prevede a favore della cassa un sistema
 garantistico. La sua ratio si identifica in evidenti ragioni tecniche
 nonche'  nella salvaguardia dell'equilibrio tecnico-finanziario della
 Cassa dai rischi insiti nel sistema di determinazione del  contributo
 di  riscatto:  il  che non contrasta con i principi costituzionali in
 materia di previdenza.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Corte dei conti dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 27, secondo comma, ultimo alinea,  della  legge  24  maggio
 1952, n. 610, nella parte in cui non consente all'iscritto alla Cassa
 di previdenza che abbia domandato il riscatto dopo la cessazione  dal
 servizio   attivo,   di   pagare  il  relativo  contributo  in  forma
 dilazionata,  a  mezzo  di  ritenuta  sulla  pensione  di  una  quota
 vitalizia,  diversamente  da  quanto  stabilisce  l'art. 73 del regio
 decreto legge 3 marzo 1938, n. 680, per il caso in cui la domanda  di
 riscatto sia stata proposta in costanza del rapporto di servizio ed i
 relativi pagamenti non si siano esauriti alla sua cessazione. Secondo
 la Corte remittente risulterebbe violato l'art. 36 della Costituzione
 in quanto il pagamento immediato  da  effettuarsi  a  mezzo  ritenute
 sulle prime intere rate di pensione pone al richiedente la scelta tra
 la  privazione  dei  mezzi  di   sussistenza   durante   il   periodo
 corrispondente  a  siffatte  integrali  ritenute  e  la  rinuncia  al
 riscatto  con  conseguente  possibilita'  di  non  liquidare   alcuna
 pensione o di liquidarne una di importo minore.
    2. - La questione e' fondata.
    L'art.  27  della legge n. 610 del 1952, modificando l'art. 14 del
 decreto legge n. 143 del 1946, secondo cui, gli iscritti  alla  Cassa
 di  previdenza  per  le  pensioni  agli  impiegati  degli enti locali
 dovevano presentare le domande di  riscatto,  a  pena  di  decadenza,
 prima  della  cessazione  definitiva  dal  servizio, statuisce che le
 dette domande possono essere presentate anche posteriormente  a  tale
 data;  che,  ai fini della determinazione del relativo contributo, si
 considera l'eta' dell'iscritto alla data di cessazione ed infine  che
 il recupero del contributo viene effettuato con ritenuta sulle intere
 prime rate del complessivo  assegno  di  quiescenza  dovuto  o  sulla
 indennita'.  Ne consegue che il titolare della pensione viene privato
 dell'intero importo dei rispettivi ratei per  tanti  mesi  fino  allo
 scomputo  del  contributo.  Invece,  in  base  all'art.  73 del regio
 decreto legge n. 680 del 1938, l'impiegato che ha chiesto il riscatto
 prima  della  cessazione  dal  servizio  e  con pagamento rateale del
 contributo, nel caso di cessazione dal rapporto di impiego senza aver
 scontato il contributo per intero, o, in caso di morte, la sua vedova
 o i suoi orfani devono  versare,  o  in  un  unica  soluzione  o  con
 ritenuta   del  quinto  della  pensione,  l'importo  delle  rate  del
 contributo che avrebbero dovuto essere versate qualora  il  pagamento
 rateale  avesse  avuto  effetto  dal  primo  del mese successivo alla
 presentazione della domanda di riscatto, diminuito dell'importo delle
 rate effettivamente versate ed aumentato di quello degli interessi di
 mora. Per le ulteriori rate, l'impiegato che ha acquistato il diritto
 alla  pensione  ha la facolta' di versare in una sola volta il valore
 capitale determinato secondo la tabella C allegata alla legge  oppure
 di  chiedere  che  la  pensione spettantegli sia ridotta di una quota
 vitalizia da calcolarsi in base alla tabella B allegata alla  stessa.
    2.1  -  Si  osserva che le fattispecie disciplinate dalle suddette
 disposizioni sono  sostanzialmente  analoghe  in  quanto  nell'uno  e
 nell'altro   caso   il  contributo  si  determina  in  base  all'eta'
 dell'iscritto. Il solo elemento differenziale  e'  il  momento  della
 presentazione della domanda di riscatto se prima o dopo la cessazione
 dal servizio. Ma questo  elemento  non  ha  per  se  stesso  decisiva
 rilevanza e non puo' fondare una ragionevole discriminazione. Invero,
 anche nelle ipotesi di domande presentate prima della cessazione  dal
 servizio  puo' accadere che, a quel momento, la domanda non sia stata
 nemmeno accolta o quanto meno che non abbia avuto  ancora  inizio  il
 pagamento  del contributo o che ne residui una parte molto rilevante.
 In  tale  situazione  la  disposizione  impugnata  non   e'   affatto
 razionale,  non  trovando  adeguata  giustificazione  il potere della
 Cassa di detrarre dall'ammontare della pensione tutto  in  una  volta
 l'intero  contributo, con la eventualita' che siano trattenuti interi
 ratei del relativo trattamento per lungo tempo, mentre e' piu' logico
 che  la  pensione sia ridotta di una quota vitalizia da calcolarsi in
 base alla tabella B  allegata  alla  legge  cosi'  come  e'  disposto
 dall'art.  73,  terzo  comma,  regio  decreto  legge n. 680 del 1938.
 Peraltro, il dipendente o la sua vedova o i suoi orfani  non  possono
 essere  privati  del  tutto  della  pensione che, secondo il disposto
 dell'art. 36 della Costituzione, ha natura essenzialmente  alimentare
 ed e' diretta a soddisfare le loro esigenze di vita.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  27,  secondo
 comma,  ultimo  alinea,  della  legge  24   maggio   1952,   n.   610
 (Miglioramenti ai trattamenti di quiescenza a favore degli iscritti e
 dei  pensionati  degli  Istituti  di  previdenza  e  modifiche   agli
 ordinamenti degli Istituti stessi), nella parte in cui prevede che il
 contributo relativo a  riscatti  domandati  dopo  la  cessazione  del
 servizio  venga  recuperato mediante ritenuta sulle intere prime rate
 del  complessivo  assegno  di  quiescenza  anziche',   alla   stregua
 dell'art.   73   del  regio  decreto  legge  3  marzo  1938,  n.  680
 (Ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati
 degli  Enti  locali),  mediante riduzione della pensione di una quota
 vitalizia da calcolarsi in base alla tabella B  annessa  allo  stesso
 regio decreto legge 3 marzo 1938, n. 680.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 settembre 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GRECO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 16 ottobre 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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