N. 456 SENTENZA 26 settembre - 16 ottobre 1990
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza e assistenza - Crisi nel settore della industria siderurgica - Dipendenti in c.i.g. - Prepensionamenti Personale dimissionario - Mancata previsione - Legislazione congiunturale speciale straordinaria e temporanea Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza. (Legge 31 maggio 1984, n. 193, art. 1, secondo comma). (Cost., art. 3).(GU n.42 del 24-10-1990 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 31 maggio 1984, n. 193 (Misure per la razionalizzazione del settore siderurgico e di intervento della GEPI S.p.a.), promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1990 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Santo Giovanni e l'I.N.P.S., iscritta al n. 264 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto di costituzione di Santo Giovanni nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 10 luglio 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Udito l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un processo avente ad oggetto il riconoscimento del diritto al pensionamento anticipato, previsto dalla legislazione di sostegno per le aziende in crisi, il Pretore di Torino, con ordinanza in data 17 gennaio 1990, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 31 maggio 1984, n. 193. La norma e' censurata, nella parte in cui attribuisce il diritto al prepensionamento soltanto quando - fra il 1 gennaio 1981 ed il momento di entrata in vigore della legge - il rapporto di lavoro sia cessato in seguito a licenziamento per riduzione del personale o cessazione dell'impresa e non anche quando sia venuto meno per dimissioni volontarie rassegnate durante il trattamento di Cassa integrazione guadagni. In base alla disposizione impugnata, il diritto al pensionamento anticipato sorgerebbe al verificarsi di due diverse situazioni temporalmente cadenzate: nella prima, che riguarderebbe le estinzioni del rapporto di lavoro avvenute dopo la data di entrata in vigore della legge e in costanza del trattamento di Cassa integrazione, le modalita' di estinzione (licenziamento collettivo, licenziamento individuale, dimissione) risulterebbero del tutto indifferenti, mentre nella seconda, riguardante le cessazioni del rapporto avvenute fra il 1 gennaio 1981 ed il momento di entrata in vigore della legge, avrebbero rilievo soltanto le ipotesi di licenziamento per riduzione del personale o cessazione dell'impresa. Poiche' la posizione di coloro che sono stati licenziati per ragioni oggettive appare del tutto omogenea rispetto alla posizione di coloro che si sono dimessi "in un contesto di crisi aziendale" ed in seguito ad un periodo di Cassa integrazione, il giudice a quo ritiene irrazionale ed ingiustificata la previsione, in riferimento a tali ipotesi, di due diversi termini temporali cui ancorare l'insorgenza del diritto al prepensionamento. 2. - Si e' costituita la parte privata che, aderendo alla tesi sostenuta nell'ordinanza di rimessione, ha sottolineato l'irrazionalita' della distinzione temporale operata dal legislatore, dal momento che il pensionamento anticipato costituisce una forma di cessazione del rapporto dovuta a cause eccezionali e connessa allo stato di crisi in cui si viene a trovare l'impresa. 3. - L'Avvocatura generale dello Stato e' intervenuta rilevando anzitutto che, accanto alla situazione di coloro che, a decorrere dal 1 gennaio 1981, sono stati licenziati per riduzione del personale o per cessazione dell'impresa, la norma impugnata prevede soltanto l'ipotesi di coloro che, al momento di entrata in vigore della legge, "fruiscano del trattamento straordinario di integrazione salariale" siano, cioe', ancora in costanza di rapporto e non gia' - come sostiene il giudice a quo - di coloro il cui rapporto si sia estinto per qualsiasi motivo o per dimissioni. Peraltro, la situazione del lavoratore dimissionario non sarebbe per nulla omogenea a quella di chi si e' visto troncare il rapporto di lavoro per licenziamento dovuto alle condizioni dell'impresa, non potendosi in alcun modo considerare le dimissioni del cassa-integrato come una semplice anticipazione dell'inevitabile licenziamento. Osserva infine l'interveniente che, comunque, come piu' volte rilevato da questa Corte, il decorso del tempo costituisce un ragionevole motivo di differenziazione normativa. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 1, secondo comma, della legge 31 maggio 1984, n. 193, che aveva concesso ai lavoratori dipendenti delle aziende del settore siderurgico il beneficio del prepensionamento quando, fra il 1 gennaio 1981 ed il momento di entrata in vigore della legge, il rapporto di lavoro fosse cessato in seguito a licenziamento per riduzione del personale o cessazione dell'impresa. Si sostiene dal giudice a quo che la disposizione sarebbe ingiustificatamente discriminatoria nei confronti dei dipendenti che nello stesso periodo si erano dimessi mentre fruivano del trattamento di Cassa integrazione quadagni, cioe' in un contesto di crisi aziendale, tanto piu' che la stessa disposizione impugnata aveva concesso il beneficio del prepensionamento a coloro che, al momento di entrata in vigore della legge, erano assistiti dalla Cassa e avessero presentato entro novanta giorni domanda di dimissioni volontarie. 2. - La questione non e' fondata. La disposizione impugnata fa parte di quella legislazione congiunturale che di volta in volta e' intervenuta per alleviare i disagi dei lavoratori dipendenti dalle industrie in crisi, tenendo conto della concreta situazione del settore che si intendeva sostenere. Trattasi percio' di disposizioni aventi carattere di specialita' e temporaneita' perche' riguardanti casi ben individuati e precise categorie di lavoratori, che il legislatore, nel proprio discrezionale apprezzamento, ha ritenuto di fare oggetto delle speciali provvidenze di volta in volta adottate. Il carattere speciale della disposizione impugnata esclude percio' di poter, al di la' della discrezionale valutazione del legislatore, assimilare alle categorie espressamente previste, altre categorie di lavoratori, la cui situazione, seppure apparentemente analoga, presenta elementi diversi da quelli ai quali il legislatore ha voluto attribuire rilevanza. Assimilare l'ipotesi di dimissioni volontarie - che comportano la rinuncia al trattamento di integrazione salariale e al posto di lavoro, la cui stabilita' non e' inevitabilmente pregiudicata dal periodo di Cassa integrazione - all'ipotesi di estinzione del rapporto che si subisce, seppure nell'ambito del medesimo contesto di crisi aziendale, per un fatto oggettivamente inevitabile, e' compito che, sopprattutto in sede di normativa speciale, rientra nell'esclusiva discrezionalita' del legislatore. Ne' le dimissioni che il lavoratore in Cassa integrazione avrebbe dovuto rassegnare presentando la domanda di pensionamento anticipato entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge possono in qualche modo far ritenere che la norma impugnata abbia comunque attribuito una certa rilevanza all'ipotesi di cui si lamenta la mancata previsione. E' di tutta evidenza, infatti, che, in questo caso, in relazione al momento della sua entrata in vigore, la legge ha voluto considerare soltanto coloro che si trovavano in Cassa integrazione concedendo loro novanta giorni per presentare la domanda di prepensionamento: che poi entro tale termine ci si potesse dimettere volontariamente o si potesse invece essere licenziati per le condizioni oggettive dell'impresa e' circostanza che nella valutazione operata dal legislatore non riveste alcun peso. Ne', d'altra parte, la situazione di chi si trovava in Cassa integrazione al momento di entrata in vigore della legge puo' ritenersi equiparabile alla situazione di chi, alla stessa data, non vi si trovava piu' avendola fatta cessare volontariamente con le dimissioni. Difatti, specie quando, come nell'ipotesi in esame, si sia in presenza di provvidenze straordinarie, quali quelle del beneficio del prepensionamento - che solo al legislatore spetta stabilire quando debba essere concesso e chi debba riguardare - trova piena applicazione il principio, sempre affermato da questa Corte, secondo cui il trascorrere del tempo costituisce un giustificato motivo di differenziazione normativa (vedi, da ultimo ordd. nn. 177 e 272 del 1990) salvo che, rispetto alle situazioni concrete, non risulti palesemente irragionevole.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma secondo, della legge 31 maggio 1984, n. 193 (Misure per la razionalizzazione del settore siderurgico e d'intervento della GEPI S.p.a.), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 1990. Il Presidente: SAJA Il redattore: CONSO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 16 ottobre 1990. Il direttore della cancelleria: MINELLI 90C1223