N. 493 SENTENZA 15 - 22 ottobre 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Edilizia residenziale pubblica - Regione Sicilia - Risanamento delle
 aree degradate di Messina - Graduatorie per l'assegnazione  degli
 alloggi costruendi e costruiti - Requisito del limite massimo del
 reddito - Esclusione - Principio in via generale non  presente
 nell'ordinamento - Ragionevolezza - Non fondatezza.
 
 (Legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 24 maggio
 1990, artt. 5 e 10)
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.43 del 31-10-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.
 Luigi MENGONI,
    prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5 e 10 della
 legge approvata  il  24  maggio  1990  dall'Assemblea  della  Regione
 Sicilia,  avente  per  oggetto:  "Interventi per il risanamento delle
 aree degradate di Messina",  promosso  con  ricorso  del  Commissario
 dello  Stato  per  la  Regione Sicilia, notificato il 31 maggio 1990,
 depositato in cancelleria il 7 giugno successivo ed iscritto al n. 42
 del registro ricorsi 1990;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25  settembre  1990 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'Avvocato  dello  Stato Franco Favara per il ricorrente, e
 l'avv. Enzo Silvestri per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  in  data 31 maggio 1990, il Commissario dello
 Stato per la regione siciliana ha impugnato gli artt. 5  e  10  della
 legge  approvata dalla Assemblea regionale siciliana nella seduta del
 24 maggio 1990, recante: "Interventi per il  risanamento  delle  aree
 degradate di Messina".
    E'  fuor  di  dubbio - si argomenta nel ricorso - che la normativa
 considerata  ricade  nella  materia   della   edilizia   residenziale
 pubblica,  per la quale non e' prevista alcuna specifica attribuzione
 di competenza legislativa (esclusiva  o  concorrente)  dallo  statuto
 speciale  siciliano. Tale statuto, infatti, all'art. 14, lettere f) e
 g), riconosce competenza legislativa  c.d.  esclusiva  al  competente
 organo  regionale  soltanto  nelle  materie  "urbanistica"  e "lavori
 pubblici". L'"edilizia residenziale pubblica" costituisce  materia  a
 se'  stante,  a  carattere essenzialmente composito, articolantesi in
 una triplice fase: la prima, in funzione di presupposto rispetto alle
 altre,  propriamente  urbanistica;  la  seconda,  di programmazione e
 realizzazione delle  costruzioni,  concettualmente  riconducibile  ai
 "lavori  pubblici"  e tradizionalmente rientrante infatti nell'ambito
 dell'organizzazione amministrativa statale, centrale e periferica; la
 terza,  infine,  attinente  alla  prestazione e gestione del servizio
 della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione
 od  in  proprieta'), limitatamente all'edilizia residenziale pubblica
 in senso stretto, cosi' come definita nell'art. 1 del d.P.R. n.  1035
 del  1972  (comprendente  gli  alloggi  costruiti  da  parte  di Enti
 pubblici a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato).
    Orbene,  mentre  i  primi  due  aspetti  corrispondono  a  materie
 elencate nell'art. 14 dello statuto  speciale,  e,  dunque,  sono  di
 competenza  propria  ed  esclusiva  della  Regione siciliana, non e',
 invece, cosi' per quanto concerne  il  terzo  aspetto,  concretantesi
 nella  disciplina  dell'assegnazione degli alloggi, in locazione o in
 proprieta', di edilizia sovvenzionata o, comunque, pubblica.
    Il  legislatore  siciliano,  pertanto,  e'  tenuto  ad osservare i
 criteri fissati dalla vigente normativa statale, di cui al d.P.R.  n.
 1035  del 1972, con la sola facolta' di inserire requisiti aggiuntivi
 (non anche modificativi o soppressivi) per specifiche finalita' o per
 peculiari  esigenze  locali,  cosi'  come previsto dalla delibera del
 CIPE del 19 novembre 1981 art. 3, u.c.,  in  attuazione  dell'art.  2
 della l. n. 457 del 1978.
    Il  ricorso considera, pertanto, illegittime le disposizioni degli
 artt. 5 e 10  della  legge  innanzi  indicata,  nella  parte  in  cui
 escludono   il  limite  massimo  di  reddito  dai  requisiti  per  la
 partecipazione  ai  concorsi   per   l'assegnazione   degli   alloggi
 costruendi  (art.  5)  e "costruiti" (art. 10) nel Comune di Messina,
 per la conseguente, indebita esclusione di uno dei requisiti  cardine
 della procedura di assegnazione degli alloggi sovvenzionati.
    Le   disposizioni   censurate  si  pongono,  altresi',  in  palese
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto realizzano -  con
 l'intento, seppure non manifesto, di risanare prontamente alcune aree
 degradate del territorio comunale di Messina, in assenza di  speciali
 ed   obiettive   ragioni  giustificatrici  della  speciale  normativa
 regionale - un trattamento  ingiustificato  a  favore  dei  cittadini
 partecipanti  ai  concorsi per l'assegnazione di alloggi popolari nel
 Comune di Messina, nonche' degli  stessi  cittadini  della  citta'  a
 seconda del "ciclo" di sbaraccamento in cui sono venuti a trovarsi.
    2.  -  La  Regione Sicilia si e' costituita in giudizio, chiedendo
 che il ricorso venga dichiarato infondato e comunque respinto.
    Si  rileva  che  la  legge  e'  diretta a realizzare un intervento
 straordinario rivolto al risanamento delle zone degradate del  Comune
 di Messina, mediante l'utilizzazione di finanziamenti straordinari ed
 aggiuntivi, con lo scopo di pervenire alla eliminazione totale  delle
 abitazioni  precarie  e malsane ed alla loro sostituzione con alloggi
 adeguati, da assegnare ai  nuclei  familiari  residenti  (nelle  aree
 soggette  alla demolizione) da almeno tre anni continuativi alla data
 del 31 dicembre 1989.
    L'esclusione  dell'elemento  relativo  ai  limiti di reddito fra i
 requisiti  occorrenti  per  l'assegnazione   di   tali   alloggi   e'
 determinata   dal   perseguimento  del  segnalato  fine  sociale  che
 caratterizza la legge, nonche' dalle modalita' concrete attraverso le
 quali tale fine viene realizzato.
    L'eliminazione  del  limite  massimo di reddito nel caso specifico
 non muta nulla - tenuto conto  delle  categorie  sociali  alle  quali
 appartengono  gli  abitanti  delle  aree  da  risanare  -  si' che il
 mantenimento di tale limite  non  avrebbe  tutelato  alcuna  esigenza
 pratica   rilevante,   mentre   la   sua  eliminazione  si  inserisce
 razionalmente in  un  sistema  volto  a  realizzare  l'obiettivo  del
 reinserimento  nelle  aree  risanate degli ex residenti attraverso un
 nucleo omogeneo di disposizioni, fra le  quali  quella  impugnata  si
 colloca alla stregua di un mero corollario.
    Nessun  elemento  di novita' ne' di irrazionalita', e tantomeno di
 violazione del principio di eguaglianza, puo' dunque ravvisarsi nella
 disciplina  che prevede la assegnazione degli alloggi costruiti nelle
 aree risanate previa  formazione  di  una  graduatoria  riservata  ai
 nuclei  familiari  in  possesso del requisito della residenza in tali
 aree da almeno tre anni, a prescindere, in relazione  all'inserimento
 in detta graduatoria, dal limite massimo di reddito.
    Per  quanto  riguarda  infine  la  presunta  "incompetenza"  della
 Regione siciliana, e'  sufficiente  richiamare  l'insegnamento  della
 Corte secondo cui: "appare indubbia...... la devoluzione alla regione
 siciliana  di  una  competenza,  qualificabile  per  l'oggetto   come
 specificazione  della  materia  globalmente  designata  dallo statuto
 "lavori pubblici" (art. 14 lett. g),  alla  stregua  delle  norme  di
 attuazione  dello  statuto  stesso  (materie  attinenti  all'edilizia
 economica e popolare o comunque sovvenzionata: art.  4,  primo  comma
 d.P.R.  n.  683 del 1977 cit.) (sentenze n. 566 del 1988 e n. 534 del
 1988).
                         Considerato in diritto
    1.  -  Gli  artt.  5  e  10  della legge approvata dalla Assemblea
 regionale siciliana il 24 maggio 1990,  recante  "interventi  per  le
 aree  degradate  di  Messina",  sono  stati impugnati dal Commissario
 dello Stato nella parte in cui non includono il  limite  massimo  del
 reddito  fra  i  requisiti  per l'inserimento nella graduatoria degli
 aspiranti  alla  assegnazione  di  un  alloggio   eseguito   con   la
 contribuzione pubblica.
    Le  disposizioni  sarebbero  censurabili  per  due  ragioni: 1) e'
 omessa l'osservanza dei criteri fissati dal d.P.R. n. 1035 del  1972,
 in  materia  di  edilizia  residenziale  pubblica, relativamente alla
 quale lo statuto speciale  siciliano  non  attribuisce  alla  regione
 competenza  legislativa  esclusiva  ne'  concorrente;  2)  e' violato
 l'art.  3  della  Costituzione,  prevedendosi   un   trattamento   di
 ingiustificato  favore  per  i cittadini partecipanti ai concorsi per
 l'assegnazione  di  alloggi   popolari   del   Comune   di   Messina,
 discriminandosi   inoltre   gli   stessi  a  seconda  del  "ciclo  di
 sbaraccamento" in cui sono venuti a trovarsi.
    2.  -  La  premessa  sulla quale si fonda una parte cospicua delle
 argomentazioni del  Commissario  dello  Stato  e'  che  la  normativa
 impugnata  attiene alla materia della edilizia residenziale pubblica,
 la quale non rientra nelle attribuzioni della Regione Sicilia. A tale
 regione,  a  differenza  di  quanto risulta per altre, pure a statuto
 speciale, sarebbero riservate  soltanto  -  a  tenore  dell'art.  14,
 lettere  f)  e  g), del R.D. Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 - le materie
 della urbanistica e dei lavori pubblici.
    Il  rilievo  ora  riferito  puo'  essere  superato facendo ricorso
 proprio al principio, richiamato dal Commissario dello  Stato,  della
 spettanza  alla  Regione, a titolo di competenza normativa esclusiva,
 delle materie dei lavori pubblici e dell'urbanistica.
    Come   si  e'  narrato,  oggetto  della  legge  impugnata  e'  "il
 risanamento delle aree degradate di Messina"; gli interventi relativi
 sono  determinati  dall'art.  2,  primo comma, che li individua nella
 "costruzione di alloggi e relative opere di urbanizzazione  primaria"
 e  nella  "realizzazione  di centri sociali polifunzionali". Siffatte
 attivita' sono, poi, inglobate nel risanamento delle aree,  al  quale
 si  riferiscono  l'art.  2,  terzo  comma e l'art. 3 della legge, che
 prescrive l'adozione da parte del comune di  piani  particolareggiati
 attuativi.
    Si  tratta,  dunque,  di  un  complesso organico di interventi che
 ricadono  puntualmente  nella  materia  delle   opere   pubbliche   e
 dell'urbanistica,  rispetto  ai quali la costruzione e l'assegnazione
 degli  alloggi  vengono  ad  assumere  una  posizione   marginale   e
 strumentale  nell'ambito delle operazioni di assetto del territorio e
 delle opere pubbliche sociali. Questi ultimi interventi costituiscono
 gli  elementi  precipui  dell'attivita'  risanatrice  del  comune. La
 qualificazione della normativa si ricava, dunque, dal  suo  obiettivo
 fondamentale  e  dalle operazioni ad esso strettamente collegate, che
 sono di indubbia competenza regionale.
    Non  appare poi fondato l'altro rilievo, secondo cui sussisterebbe
 "un principio  generale  di  livello  costituzionale,  per  il  quale
 l'assegnazione  di  alloggi di edilizia residenziale pubblica e', sia
 quanto  a  legislazione  e/o  normazione  generale,  sia  quanto   ad
 amministrazione  concreta,  di  competenza non regionale". Per quello
 che attiene al momento amministrativo si osserva  che  l'art.  5  del
 d.P.R.  30  luglio  1950,  n.  878 (recante norme di attuazione dello
 statuto della regione siciliana in materia di  opere  pubbliche,  nel
 testo  sostituito  dall'art.  4  del  d.P.R.  1› luglio 1977, n. 683)
 conferisce alla regione "le attribuzioni  dell'amministrazione  dello
 Stato  nelle  materie  attinenti  all'edilizia economica e popolare o
 comunque sovvenzionata".
    Ne'  puo'  riconoscersi  fondamento  a  dubbi sulla natura e sulla
 portata della norma, specialmente dopo la lettura che ne  hanno  data
 alcune  recenti  pronunce  della  Corte (sentenze n. 534 e n. 566 del
 1988).
    La  difformita' della legge regionale dal d.P.R. n. 1035 del 1972,
 recante  norme  sulla  edilizia  residenziale  pubblica,   non   puo'
 assumere, poi, di per se' rilievo sotto il profilo della legittimita'
 costituzionale, non essendo rinvenibile  nel  nostro  ordinamento  un
 principio,   di   rilevanza   costituzionale,   volto   a   garantire
 l'osservanza  del  requisito   di   un   reddito   minimo   ai   fini
 dell'assegnazione dell'alloggio, eseguito con contribuzione pubblica.
    3.  -  Altrettanto infondate devono infine considerarsi le censure
 mosse in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Il  mancato  inserimento  dell'anzidetto limite massimo di reddito
 tra i requisiti prescritti  per  la  collocazione  nella  graduatoria
 degli  assegnatari  di  alloggi  potrebbe  destare  perplessita'  nel
 contesto degli usuali programmi di edilizia sovvenzionata, che  hanno
 normalmente  come  scopo  principale quello di fornire un'abitazione,
 ovvero un'abitazione piu' adeguata, a nuclei familiari che non  hanno
 risorse economiche sufficienti per provvedervi autonomamente.
    Diverso  e'  il caso della legge impugnata, che, come si e' detto,
 si pone l'obiettivo del  completo  risanamento  di  alcune  zone  del
 territorio   del   Comune   di   Messina,  con  l'abbattimento  e  la
 sostituzione di tutte  le  abitazioni  precarie  o  degradate  ancora
 esistenti.
    Se  si  tiene  conto  dello  stato complessivo di tali zone, della
 qualita' e della funzione delle opere previste dalla legge impugnata,
 dello  stato e della consistenza degli alloggi ivi esistenti, nonche'
 dello scopo perseguito in generale dalla legge  stessa,  risulta  non
 irragionevole  che, nel richiamare i requisiti previsti dal d.P.R. 30
 dicembre 1972, n. 1035, si introducano alcuni elementi di diversita':
 la  previsione  della residenza da almeno tre anni continuativi nelle
 aree  da  risanare,   evidentemente   diretta   ad   assicurare   che
 l'intervento  pubblico  si diriga verso nuclei stabilmente insediati,
 in modo che siano evitate possibili manovre devianti o,  addirittura,
 fraudolente;   l'esclusione  del  requisito  del  limite  massimo  di
 reddito, collegabile, a  sua  volta,  con  il  carattere  organico  e
 globale dell'azione risanatrice, destinata ad attuarsi peraltro in un
 contesto  ambientale  di  per  se'  indicativo  della   insufficiente
 disponibilita'  di  risorse  autonome  da  parte delle singole unita'
 familiari.
    Ne'  si  presta  a censure, come rivolta ad evitare ingiustificate
 disparita' di trattamento, la previsione  dell'art.  10.  Sancite  le
 regole contenute nell'art. 5, non e' incoerente che le stesse vengano
 stabilite  anche  per  l'assegnazione  degli  alloggi  costruiti  con
 analoghi finanziamenti pubblici antecedenti alla legge impugnata, che
 concorrono a realizzare il fine peculiare di questa, ispirato ad  una
 visione integrale del risanamento dell'area urbana.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondate  le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 5 e 10 della legge approvata  dalla  Assemblea  regionale
 siciliana  il  24 maggio 1990, recante "Interventi per il risanamento
 delle aree degradate di Messina".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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