N. 669 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 1990
N. 669 Ordinanza emessa il 2 maggio 1990 dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale sul ricorso proposto da Arata Luigi Pensioni - Indennita' speciale per i magistrati istituita con la legge n. 27/1983 (recte 1981) - Mancata previsione della pensionabilita' di detta indennita' - Asserita violazione del principio della retribuzione (anche differita) proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro svolto, attesa la natura retributiva della indennita' in questione come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa (Ad.pl. Consiglio di Stato, dec. n. 37 del 16 dicembre 1983) - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 302/1983 e 238/1990. (Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, primo comma). (Cost., art. 36).(GU n.44 del 7-11-1990 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso prodotto dal dott.Luigi Arata, nato a Roma il 16 ottobre 1925 ed elettivamente domiciliato in Roma, via Muzio Clementi, n. 68 (00193), presso l'avv. Gustavo Schiavello, avverso la nota in data 25 gennaio 1989, n. 1523/200 del segretariato generale della Corte dei conti. RITENUTO IN FATTO Con la nota in epigrafe e' stata respinta la domanda protocollata il 6 novembre 1989, con la quale il ricorrente - consigliere della Corte dei conti, cessato dal servizio il 2 giugno 1988 - aveva chiesto l'inclusione nella base pensionabile dell'indenita' di cui all'art. 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425. Il diniego e' stato motivato con espresso richiamo alla declaratoria di non pensionabilita' dell'indennita' in parola contenuta nell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, istitutiva dell'emolumento in favore dei magistrati appartenenti all'a.g.o., poi esteso anche ai magistrati amministrativo, contabili e militari, nonche' agli avvocati e procuratori dello Stato con l'art. 2 della legge n. 425/1984, e alla delibera 1751 del 9 aprile 1987 della sezione del controllo di questa Corte. Avverso la nota ha proposto ricorso l'interessato, facendo presente che l'indennita' era stata prevista come emolumento provvisorio attribuito ai magistrati ordinari fino all'approvazione di una nuova disciplina del trattamento economico, e pertanto, stante la sua provvisorieta', era stata dichiarata non pensionabile. Estesa a tutto il personale di tutte le magistrature, l'indennita' avrebbe perduto il suo carattere di provvisorieta', per diventare emolumento di natura retributiva, come tale da considerare nella base pensionabile. Con atto scritto depositato il 12 febbraio 1990 nella segreteria di questa sezione, il procuratore generale ha chiesto la reiezione del gravame, rifacendosi all'espresso disposto della legge istitutiva e negando che l'estensione dell'emolumento a tutte le magistrature ne rimuova il carattere di provvisorieta'. La parte ricorrente ha depositato il 2 maggio 1990 una nota di udienza, con la quale viene fatto rilevare che il t.a.r. Lombardia con decisione n. 640/1987 del 13 maggio-9 dicembre 1987 ha riconosciuto che l'indennita' in parola va computata nella base pensionistica (e come tale va assoggettata a ritenuta in conto entrate tesoro). Nell'odierna udienza, non presente il difensore del ricorrente, il Pubblico ministero ha confermato l'atto conclusionale scritto, con il quale era stato chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorrente chiede che nella base pensionabile per la liquidazione del trattamento di quiescenza sia incluso l'importo dell'indennita' speciale prevista, dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, per i magistrati ordinari ed estesa a tutti gli altri magistrati, nonche' agli avvocati e procuratori dello Stato, con l'art. 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425 (peraltro con diversa decorrenza: 1º gennaio 1983 invece che 1º luglio 1980). Cio' premesso si osserva che la legge n. 27/1981 stabilisce espressamente che l'indennita' non e' pensionabile, mentre la legge n. 425/1z984 non riproduce la clausola relativa alla non pensionabilita'. E muovendo dalla constatazione di tale diversita', il t.a.r. Lombardia, investito della questione della pensionabilita' dell'emolumento in parola sotto il profilo preliminare dell'assoggettamento alle ritenute in conto entrate tesoro dello stesso, ha ritenuto di poter dare una risposta affermativa, tenuto conto della natura essenzialmente retributiva dell'indennita', rafforzata dall'ormai intervenuta estensione a tutti i magistrati e agli avvocati e procuratori dello Stato; per il t.a.r. l'indenita' di cui all'art. 2 della legge n. 425/1984 sarebbe un emolumento diverso da quello di cui all'art. 3 della legge n. 27/1981 (dec. n. 640/1987). La sezione non ritiene di poter condividere tale assunto, stante il tenore letterale della disposizione estensiva ("l'indennita' di cui al... e' estesa..."); il legislatore ha inteso estendere ai magistrati non appartenenti all'ordine giudiziario e agli avvocati e procuratori dello Stato l'indennita' speciale gia' attribuita ai magistrati ordinari dall'art. 3 della legge n. 27/1981. Quanto sopra ricordato, peraltro, il collegio ritiene che la questione della pensionabilita' dell'indennita' in argomento sia meritevole di ulteriore approfondimento. La natura retributiva riconosciuta alla pensione individua il tratto fondamentale e caratteristico dell'istituto e fornisce alcune direttive essenziali per poterne definire l'esatta configurazione e inquadramento giuridico nel nostro ordinamento. Si tratta di un istituto che e' stato caratterizzato da una intensa dinamica normativa, ma che sin dalle sue origini - cioe', intendiamo, da quando fu riconosciuto come diritto - venne individuato come una "ricompensa" per servizi resi (art. 1 della legge n. 3 del 22 agosto 1790, emanata dall'assemblea costituente francese: "L'E'tat doit re'compenser les services rendus au Corps"). L'istituto, giuridico dell'indennita', sempre nella sua configurazione generale, ha invece natura diversa; l'indennita' e' un compenso non per servizi resi, ma per sacrifici, diminuzioni, lesioni, limitazioni di diritti. Se questa puo' considerarsi la configurazione generale dell'indennita', deve pero' anche essere ricordato come il termine, nell'ambito soprattutto del diritto del lavoro e di quello pubblico in particolare, e' stato utilizzato in accezione diversa, e cioe' per individuare forme di compenso (usiamo qui volutamente questa espressione generica) distinte dalla retribuzione fondamentale e che hanno (o dovrebbero avere) una loro giustificazione particolare, distinta dall'emolumento principale, quello cioe' che rappresenta il corrispettivo diretto della prestazione dell'attivita' lavorativa, nell'ambito del rapporto sinallagmatico tra datore di lavoro e lavoratore. Il gia' rilevato carattere estremamente dinamico della normazione, la frammentarieta' e l'evidente assenza di coordinamento fra gli interventi legislativi (il cui numero e' veramente indefinito), il reale conflitto di tendenze (da un lato quella pubblica all'uniformita' e alla semplificazione del trattamento economico dei pubblici dipendenti, pur nella diversita' e molteplicita' dei compiti, delle funzioni e delle mansioni; dall'altro la spinta di gruppi, settori, comparti, categorie alla differenziazione e specificazione retributiva, in relazione alla preparazione professionale, alle caratteristiche e ai rischi del lavoro prestato, alla modalita' di svolgimento delle prestazioni), tutti questi elementi hanno portato a un uso estremamente vario dell'istituto dell'indennita', sia per le finalita' che attraverso di esso si sono volute perseguire, sia per le svariate configurazioni giuridiche che allo stesso sono state date. Ne consegue che, in moltissimi casi, gli aspetti "retributivi" di determinati emolumenti non sono facilmente distinguibili da quelli non retributivi, con ovvie conseguenti difficolta' di orientamento interpretativo. Questa situazione ha originato rilevanti problemi nell'ambito della giurisdizione pensionistica della sezione per quanto concerne il sistema pensionistico degli istituti di previdenza, nel cui ambito la legge fornisce solo alcuni criteri generali per la valutabilita' (ai fini della determinazione della base pensionabile) di indennita', assegni, emolumenti vari, che traggono origine da svariate fonti normative (non solo da leggi, ma da regolamenti di enti dotati di autonomia, territoriali o non territoriali, contratti collettivi di lavoro in alcuni particolarissimi casi, e, di recente, decreti del Presidente della Repubblica che approvano accordi di lavoro). Gia' l'art. 12, terzo comma, della legge 11 aprile 1955, n. 379, ri riferiva alla sola parte fissa e continuativa della retribuzione ed elencava poi una serie di indennita', assegni, compensi che dovevano essere ricompresi nella retribuzione ai fini delle contribuzioni pensionistiche e poi della determinazione della base pensionabile. La successiva legge 5 dicembre 1959, n. 1077, ha invece individuato un complesso di criteri per la determinazione della base contributiva pensionabile, precisando la fonte normativa dell'emolumento (legge, regolamento o contratto collettivo di lavoro) e le caratteristiche dello stesso (assegno fisso e continuativo o ricorrente, costituente parte fondamentale della retribuzione per la normale attivita' lavorativa richiesta per il posto ricoperto). Infine la piu' recente legge 26 aprile 1983, n. 131, di conversione del d.-l. 28 febbraio 1983, n. 55 (art. 30, secondo comma) lascia maggiori margini di interpretazione nel confermare la natura per sua essenza retributiva dell'assegno pensionabile, peraltro in un quadro di normazione dei rapporti di lavoro e del connesso trattamento economico piu' uniformemente disciplinato (sistema dei decreti del Presidente della Repubblica, che approvano agli accordi nazionali unici di lavoro, all'interno del quale l'autonomia degli enti risulta di portata affatto marginale, come e' stato chiarito dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale). L'art. 30 della legge n. 131/1983 conferma la natura retributiva degli assegni pensionabili, purche' fissi e continuativi. Puo' essere utile ricordare a questo punto, a puro titolo esemplificativo, l'avvenuto riconoscimento della natura pensionabile - ad opera della giurisprudenza di questa sezione - di taluni assegni e indennita' quali: l'indennita' di alloggio, purche' l'alloggio fosse concesso in ragione delle esigenze delle prestazioni dovute (in genere mansioni di custodia); l'indennita' di vestiario, in relazione all'uso obbligatorio della divisa per i vigili urbani; l'indennita' di reggenza e l'indennita' per i servizi simultanei in favore dei segretari comunali; l'indennita' di tempo pieno per i medici ospedalieri; l'indennita' primariale per i primari ospedalieri; l'indennita' di aggiornamento e di rimborso spese per il medesimo personale medico. Meritano di essere in sintesi riportate le argomentazioni sulla base delle quali e' stata riconosciuta la pensionabilita' di quest'ultima indennita'. L'aggiornamento professionale, con le spese che vi sono connesse, e' il lavoro reso necessario in relazione al continuo evolversi della ricerca scientifica, cui consegue la rapida obsolescenza delle esperienze in precedenza acquisite. L'attivita' di aggiornamento costituisce un'indispensabile connotazione della prestazione lavorativa e rappresenta uno specifico obbligo di servizio; il relativo compenso ha quindi natura retributiva e rappresenta aspetto del sinallgma del rapporto di lavoro. Si tratta di un onere che fa carico al prestatore d'opera per poter assolvere compiutamente ai molteplici e impegnativi compiti necessari per la tutela e la conservazione della salute dei cittadini (coll'Anul 24 giugno 1980 l'indennita' in parola e' diventata indennita' "di medico ospedaliero"). Quanto al rimborso spese, cui l'indennita' e' pure intesa a far fronte, va osservato (e la sezione ha inteso qui riferirsi a giurisprudenza della Corte di cassazione, in materia di analoghe questioni insorte con l'I.N.P.S. e l'I.N.A.) che in realta' non si tratta di un vero e proprio rimborso, in quanto non c'e' correlazione con spese che siano state effettivamente anticipate, ma che si presume che siano comunque connesse con l'aggiornamento professionale (dall'acquisto di libri e riviste alla partecipazione a momenti di dibattito collettivo e simili). L'indennita' acquista quindi la funzione di un ulteriore compenso di carattere generale, obbligatorio, fisso, continuativo, predeterminato anche nell'ammontare; essa quindi entra a far parte della retribuzione pensionabile anche sotto questo profilo, che pure siu inquadra nell'orbita del corrispettivo, cioe' del sinallagma fondamentale del rapporto di lavoro. Ne' va dimenticato, ha osservato ancora la sezione in margine alle proprie motivazioni, come l'esperienza della contrattazione collettiva ha evidenziato che - nella presente situazione - il frazionamento della retribuzione in una serie di voci rappresenta lo strumento piu' idoneo per introdurre miglioramenti retributivi (tra le tante decisioni in proposito puo' essere ricordata quella n. 57508 del 21 dicembre 1984-4 gennaio 1985). Nella legislazione concernente i dipendenti dello Stato, civili e militari, la pensionabilita' delle indennita' ed asssegni accessori e' stabilita direttamente dalle leggi istitutive dei singoli emolumenti particolari; non esiste cioe' alcuna disposizione di carattere generale alla quale fare riferimento per poterne stabilire la pensionabilita'. Di conseguenza fa d'uopo rilevare come, stante l'estrema variegatezza di indennita', assegni, premi, percentuali, aggiunzioni, aggi, mensilita' supplementari, quote, supplementi, aumenti, competenze accessorie,... e stante la non minore varieta' delle disposizioni di legge che regolano la pensionabilita' degli assegni accessori (che non si rivela ispirata da alcun criterio di carattere generale), resti affidato al giudice delle leggi, sulla base della normativa costituzionale, il compito di individuare criteri di uniformita' e di razionalizzazione in una materia nella quale la discrezionalita' del legislatore appare essere stata esericitata con illimitata estensione. Gli stessi assegni accessori, originariamente non pensionabili, lo sono poi diventati in prosieguo di tempo (ma questa evoluzione non appare costante); assegni analoghi sono pensionabili per talune categorie, ma non per altre; altri lo sono soltanto in parte e per quote variabili secondo diversi ruoli di personale o diverse qualifiche (tipiche al riguardo le indennita' di aeronavigazione, volo e paracadutismo del personale militare). L'indennita' mensile per i servizi di istituto (personale dei Corpi di polizia) e l'indennita' per servizio penitenziario sono divenute progressivamente pensionabili attraverso varie disposizioni legislative (ultima la legge 11 luglio 1980, n. 312); e' sempre stata pensionabile l'indennita' di funzione del personale dirigenziale. Mentre come si e' visto sono in varia misura pensionabili le indennita' di aeronavigazione, volo e paracadutismo, le indennita' di impiego operativo, di impiego operativo di campagna, di imbarco, di controllo per lo spazio aereo, di marcia, di aeromanovra, di comando navale, per particolari servizi navali, per incarichi a bordo, per pronto intervento aereo, per piloti collaudatori, per piloti istruttori, per allievi, per servizi presso poligoni non sono state previste come pensionabili dalla legge 5 maggio 1976, n. 187 e di esse, per la legge 11 luglio 1980, n. 312, sono divenute pensionabili entro l'importo di L. 110.000 quelle di impiego operativo, di imbarco e di controllo dello spazio aereo. Gli esempi possono moltiplicarsi. L'indennita' della quale il ricorrente chiede l'inclusione nella base pensionabile, ai fini della determinazione dell'importo della pensione, e' stata istituita con l'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e' rivalutabile come lo stipendio (secondo il meccanismo di cui all'art. 2 della medesima legge); e' di pari importo per tutte le qualifiche (tranne che per gli uditori giudiziari, ai quali compete in misura ridotta per il periodo anteriore al conferimento delle funzioni giurisdizionali); e' posta in relazione agli oneri che i magistrati ordinari (e poi anche quelli aministrativi, contabili, militari, nonche' gli avvocati e procuratori dello Stato) incontrano nello svolgimento delle loro attivita'; non compete per periodi di astensione dal servizio per cause specificamente determinate; non computabile per il calcolo dell'indennita' spettante ai membri del Parlamento; l'emolumento e' dichiarato non pensionabile. All'origine dei lavori parlamentari, si era prevista l'istituzione, presso il Ministero di grazia e giustizia, di un fondo pari al 30% dello stanziamento per gli stipendi, da rinnovare annualmente e da incrementare con le somme non spese negli anni precedenti; il fondo andava ripartito fra i magistrati ordinari in parti uguali (salvo gli uditori) in "relazione ad oneri incontrati nello svolgimento dell'attivita' da parte dei magistrati ordinari", e in relazione al servizio prestato; una parte del fondo era destinata per risarcimento di danni. La relazione chiariva che con l'istituzione del fondo si intendeva far fronte alle "particolari esigenze" dei magistrati ordinari, assicurando loro una sorta di rimborso per gli oneri funzionali e strumentali connessi con l'espletamento della loro particolare attivita'. Ma durante l'iter parlamentare si verificano notevoli mutamenti, perche' scompare ogni riferimento al rischio, si istitutisce una vera e propria indennita', con le caratteristiche gia' illustrate, con caratteri di generalita', di fissita', di continuita', di rivalutabilita' con gli stessi meccanismi dello stipendio (durante i lavori parlamentari venne osservato che poteva essere inutile istituire un'indennita' di tal sorta e che si poteva invece disporre un aumento della voce stipendiale). Il Consiglio di Stato - adunanza plenaria, dec. n. 27 del 16 dicembre 1983 - ha affermato la natura retributiva dell'indennita' nella sua definitiva configurazione (e non piu' risarcitoria, indennitaria e di rimborso forfettario delle spese come l'emolumento era definibile inizialmente); e cio' per le seguenti considerazioni: "a) - e' legata allo status di magistrato e non gia' all'esercizio effettivo delle funzioni giurisdizionali, e compete dunque anche a quanti si trovino ad esercitare funzioni latu sensu amministrative, oltre che agli uditori non ancora investiti delle funzioni, sia pure in misura ridotta; b) - e' soggetta allo stesso sistema di rivalutazione periodica previsto per lo stipendio tabellare; c) - ne e' espressamente esclusa la pensionabilita' e la rilevanza per le indennita' dovute ai membri del Parlamento; esclusione e precisazione, queste, che si giustificano soltanto per assegni aventi natura retributiva e che, invece, sarebbero prive di significato rispetto ad emolumenti di diversa natura; d) - e' corrisposta in ratei mensili, al pari dello stipendio; e) - soggiace per intero al trattamento tributario previsto per i redditi da lavoro subordinato, onde il collegamento dell'indennita' con gli 'oneri' inerenti allo svolgimento dell'attivita' resta mera formula verbale perche', diversamente, sarebbe stato difficile negare una qualche franchigia o abbattimento ai fini fiscali". Infine non si puo' sostenere che l'indennita' di cui si discute abbia carattere provvisorio. Al riguardo deve essere osservato che l'art. 3 della legge 19 febbraio 1981,n. 27, istituisce la "speciale indennita'" "fino all'approvazione di una nuova disciplina del trattamento economico del personale di cui alla legge 2 aprilel 1979, n. 97" (cioe', appunto, del personale di magistratura). Ora, in effetti, questa clausola, se non e' - come anche potrebbe risultare - un inciso meramente superfluo e dal quale non deriva nessun precetto attuale di natura cogente, contiene se mai una garanzia, stabilisce che l'indennita' non ha natura di acconto, non e' riassorbibile con futuri miglioramenti ecc. perche' dovra' essere corrisposta fino a quando una nuova legge non regoli ex novo e compiutamente gli emolumenti dei magistrati. Ben lungi dall'essere attribuita in via provvisoria, l'indennita' costituisce un diritto particolarmente rafforzato. E del resto proprio in questo senso si e' espressa la stessa Corte costituzionale con la sentenza 3-8 maggio 1990, n. 238, che ha riconosciuto la natura retributiva dell'indennita' in questione "quale componente del 'normale' trattamento economico dei magistrati". L'esclusione della pensionabilita' della detta indennita', considerata la sua natura quale risulta definita in sede di interpretazione da parte del Consiglio di Stato e nelle considerazioni di questa Corte di merito, sembra, ad avviso del collegio, integrare violazione dei principi costituzionali di cui all'art. 36 della Costituzione. E al riguardo la sezione ritiene di poter richiamare quanto affermato dal giudice delle leggi, con sentenza n. 302 del 29 settembre e 10 ottobre 1983: "Il principio costituzionale della retribuzione proporzionale alla quantita' e qualita' del lavoro prestato si estende, innegabilmente, nella sua ampia portata, agli emolumenti che costituiscono parte fondamentale della retribuzione", mentre poi si conferma anche che e' "concezione ormai pacifica e fatta propria anche dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il trattamento di quiescenza e' proiezione di quello di attivita' e pertanto e' anche esso tutelato dell'art. 36 della Costituzione". In relazione a quanto sopra la sezione ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui dispone che l'indennita' ivi istituita e' "non pensionabile" in relazione all'art. 36 della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge11 marzo 1953, n. 87; Ordina che, sospeso il giudizio in corso, gli atti siano rimessi alla Corte costituzionale affinche' sia risolta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1983, n. 27, nella parte in cui dispone che l'indennita' ivi istituita non e' pensionabile e cio' in relazione all'art. 36 della Costituzione; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al procuratore generale di questa Corte e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' pronunciato in Roma, nella camera di consiglio del 2 maggio 1990. Il Presidente: SARACENO 90C1303