N. 515 SENTENZA 15 ottobre - 2 novembre 1990
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Nuovo codice - G.I.P. - Richiesta da parte del p.m. della convalida dell'arresto in caso di ordine di immediata liberazione dell'arrestato per inefficacia della misura ai sensi degli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma - Esclusione - Insussistenza della necessita' di una pronuncia sulla convalida da parte dell'autorita' giudiziaria "sempre e comunque" - Non fondatezza. (C.P.P., art. 390). (Cost., art. 13, terzo comma).(GU n.44 del 7-11-1990 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Giovanni CONSO; Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Cotrone Salvatore ed altro, iscritta al n. 434 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 1990 il Giudice relatore Enzo Cheli; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 7 febbraio 1990, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale del 1988, "nella parte in cui esclude l'intervento convalidante dell'autorita' giudiziaria in seguito a provvedimenti restrittivi (arresto o fermo) d'iniziativa dell'autorita' di pubblica sicurezza, in particolare nei casi di inefficacia a norma degli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, del codice di procedura penale". Il giudice remittente premette, in punto di fatto, che, a seguito di arresto in flagranza eseguito in data 16 gennaio 1990 dai carabinieri di Torino, il procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale richiedeva in data 17 gennaio la convalida dell'arresto al giudice per le indagini preliminari, il quale fissava per il giorno successivo l'udienza di convalida; senonche', sempre in data 17 gennaio, il procuratore della Repubblica ordinava la liberazione degli arrestati per inefficacia dell'arresto, a causa del mancato rispetto del termine di 24 ore per la conduzione degli stessi nella casa circondariale (artt. 386, commi quarto e settimo, e 389 del codice di procedura penale). Cio' posto, il giudice a quo osserva che, ai sensi dell'art. 389 del codice di procedura penale, i casi in cui il pubblico ministero deve ordinare l'immediata liberazione dell'arrestato (o del fermato) sono: a) arresto o fermo eseguito per errore di persona; b) arresto o fermo eseguito fuori dei casi previsti dalla legge; c) inefficacia dell'arresto o del fermo per la tardiva messa a disposizione dell'arrestato o fermato da parte della polizia giudiziaria (mediante trasmissione del verbale al pubblico ministero), ovvero per tardiva conduzione dell'arrestato o fermato nella casa circondariale o mandamentale, ovvero ancora per tardiva richiesta di convalida da parte del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari. A tali ipotesi va aggiunta quella prevista dall'art. 121 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), ai sensi del quale il pubblico ministero deve porre immediatamente in liberta' l'arrestato o il fermato "quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive". Per quanto concerne la convalida dell'arresto o del fermo da parte del giudice per le indagini preliminari, mentre per le ipotesi sub a), b) e c) il legislatore ha escluso la possibilita' della convalida (art. 390, primo comma, codice di procedura penale), nel caso di cui all'art. 121 delle Norme di attuazione ha invece espressamente previsto l'udienza di convalida, come risulta dal secondo comma della norma stessa. Cosi' ricostruito il sistema, ad avviso del giudice a quo la norma impugnata, almeno nella parte in cui esclude la convalida nel caso (come quello di specie) di inefficacia dell'arresto, violerebbe l'art. 13, terzo comma, della Costituzione, il quale imporrebbe, "sempre e comunque", un sindacato dell'autorita' giudiziaria sui provvedimenti restrittivi della liberta' personale del cittadino ad opera ed iniziativa dell'autorita' di pubblica sicurezza. Il legislatore ordinario - rileva il giudice remittente - mentre ha giustamente previsto che il pubblico ministero debba richiedere la convalida quando, ritenendo legittimo l'arresto (o il fermo), non giudichi opportuno applicare una misura coercitiva (art. 121 D. Lgs. n. 271 del 1989),altrettanto non ha stabilito nelle ipotesi (richiamate sub c) di liberazione dell'arrestato (o del fermato) per inefficacia dell'arresto (o del fermo). In questo caso l'autorita' giudiziaria non puo' operare alcun controllo dell'attivita' autonoma della polizia, il cui provvedimento restrittivo, pur giudicato legittimo (ancorche' inefficace) dal pubblico ministero, non viene dichiarato tale con adeguata motivazione, perche' questo potrebbe farlo solo il giudice, che ne e' tuttavia interdetto dall'art. 390 del codice di procedura penale. Ma il sindacato dell'autorita' giudiziaria sui provvedimenti della pubblica sicurezza non dovrebbe - secondo il giudice a quo limitarsi alla valutazione dell'esistenza dei presupposti per protrarre la custodia cautelare del cittadino, bensi' dovrebbe valutare l'operato stesso dell'autorita' di polizia: in sostanza il magistrato sarebbe tenuto in ogni caso a verificare l'esistenza di quei fattori che legittimano l'arresto o il fermo e solo successivamente se l'uno o l'altro debbano essere protratti negli effetti. 2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, per affermare l'infondatezza della questione. Ad avviso dell'Avvocatura, il precetto costituzionale invocato dal giudice remittente postula il necessario intervento dell'autorita' giudiziaria nei soli casi in cui il provvedimento restrittivo interinalmente adottato dall'autorita' di pubblica sicurezza sia produttivo di quegli effetti che l'istituto della convalida mira appunto a confermare. L'art. 13, terzo comma, della Costituzione, nello stabilire che i provvedimenti provvisori dell'autorita' di pubblica sicurezza "si intendono revocati e restano privi di effetti" se non convalidati nei termini ivi previsti, ipotizzerebbe una decisione convalidante su di un provvedimento provvisorio ma pur sempre efficace, in quanto la provvisorieta' cui allude la norma inerisce non all'atto in quanto tale, ma agli effetti che l'atto stesso e' in grado di produrre: sicche', caducatisi quegli effetti, verrebbe meno la stessa ragione d'essere della convalida. Considerato in diritto 1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino solleva questione di legittimita' costituzionale - in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione - dell'art. 390 del codice di procedura penale del 1988, nella parte in cui esclude che il pubblico ministero debba richiedere al giudice per le indagini preliminari la convalida dell'arresto (o del fermo), ove sia stata ordinata l'immediata liberazione dell'arrestato (o del fermato) per inefficacia della misura ai sensi degli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, dello stesso codice (decorso del termine di ventiquattro ore senza che l'arrestato o il fermato sia stato messo a disposizione del pubblico ministero e condotto nel carcere del luogo ove il provvedimento e' stato eseguito; decorso del termine di quarantotto ore senza che il pubblico ministero abbia richiesto la convalida al giudice per le indagini preliminari). Osserva il giudice remittente che nelle altre ipotesi di immediata liberazione (misura restrittiva eseguita per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge: art. 389, primo comma, cod. proc. pen.; convincimento del pubblico ministero di non dover richiedere l'applicazione di misure coercitive: art. 121 Norme di attuazione cod. proc. pen.) il provvedimento restrittivo adottato dalla polizia e' soggetto al controllo di legittimita' dell'autorita' giudiziaria (pubblico ministero nel primo caso; giudice per le indagini preliminari in sede di giudizio di convalida nel secondo); quando, invece, l'immediata liberazione e' disposta per sopravvenuta inefficacia della misura, a seguito del mero decorso dei termini perentori indicati dalla legge, non e' previsto alcun sindacato dell'autorita' giudiziaria sull'operato della polizia. Tale mancata previsione violerebbe il terzo comma dell'art. 13 della Costituzione, il quale, ad avviso del remittente, imporrebbe "sempre e comunque" un controllo del giudice sulla legittimita' dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale adottati dall'autorita' di pubblica sicurezza di propria iniziativa. 2. - La questione non e' fondata. La disciplina costituzionale posta dall'art. 13 Cost. in tema di liberta' personale mira in primo luogo a garantire la difesa della persona umana da forme illegittime di detenzione e, in particolare, dall'uso arbitrario del potere di arresto da parte dell'autorita' di polizia. Tali finalita', nei casi eccezionali di necessita' ed urgenza, tassativamente indicati dalla legge, in cui i provvedimenti limitativi della liberta' siano stati adottati non dal giudice ma dall'autorita' di pubblica sicurezza, vengono perseguite - ai sensi del terzo comma dell'art. 13 - mediante l'adozione di un meccanismo procedurale rigorosamente scandito nei tempi e nelle competenze, meccanismo incentrato sul carattere provvisorio del provvedimento adottato dall'autorita' di pubblica sicurezza, sulla sua comunicazione entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria e sull'intervento di tale autorita' nelle successive quarantotto ore ai fini della convalida dei suoi effetti. Ma la stessa formulazione della norma costituzionale induce a escludere che una pronuncia sulla convalida da parte dell'autorita' giudiziaria sia richiesta - come si afferma nell'ordinanza di rinvio - "sempre e comunque": tale pronuncia si impone, invece, come necessaria quando si tratti di protrarre nel tempo, oltre i termini tassativamente indicati nell'art. 13, terzo comma, Cost., gli effetti del provvedimento restrittivo adottato dalla polizia, non quando tali effetti, per vizi inerenti al procedimento, siano destinati automaticamente a cessare - come nelle ipotesi di cui agli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, cod. proc. pen. - ancor prima dell'intervento del giudice e della attivazione del procedimento di convalida. In questi casi, la liberazione immediata dell'arrestato da parte dell'autorita' in grado di intervenire con la maggiore tempestivita' resta la prima esigenza da realizzare, indipendentemente dall'esito dell'accertamento giudiziale sulla legittimita' del provvedimento restrittivo adottato dall'autorita' di pubblica sicurezza: accertamento che, in ogni caso, potra' pur sempre essere promosso da parte del soggetto che si ritenga ingiustamente leso nel suo diritto di liberta' personale mediante il ricorso agli ordinari strumenti processuali in grado di attivare la responsabilita' dell'organo che ha disposto l'adozione del provvedimento restrittivo. Ne' il richiamo - espresso nell'ordinanza di rinvio - all'art. 121 del D. Lgs. n. 271 del 1989 puo' rappresentare un argomento valido a sostegno della tesi enunciata nell'ordinanza di rinvio, dal momento che nulla vieta che il legislatore, nell'ambito delle scelte rimesse alla sua discrezionalita', possa disporre che l'udienza di convalida, anche se non piu' necessaria ai sensi dell'art. 13 Cost., sia tenuta pur dopo la liberazione dell'arrestato, tanto piu' ove tale liberazione sia stata determinata, come nella fattispecie richiamata dalla norma in questione, non da vizi procedurali, bensi' da una valutazione di opportunita' del pubblico ministero che ritenga di non dover richiedere per motivi di merito l'applicazione di misure coercitive.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale del 1988, sollevata, in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino con l'ordinanza di cui in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1990. Il Presidente: CONSO Il redattore: CHELI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 2 novembre 1990. Il direttore della cancelleria: MINELLI 90C1326