N. 696 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 settembre 1990

                                 N. 696
   Ordinanza emessa il 25 settembre 1990 dal tribunale di Cosenza nel
            procedimento penale a carico di Andretti Simone
 Processo  penale  -  Misure  coercitive  - Richiesta di revoca - Atti
 preliminari al giudizio - Trasmissione degli atti del  fascicolo  del
 p.m.  -  Omessa  previsione  -  Conseguente  ignoranza,  in tale fase
 giudiziale, di atti rilevatori della condotta  e  della  personalita'
 del  prevenuto  -  Disparita'  di  trattamento tra imputati a seconda
 dello stato del giudizio - Ingiustificata  compressione  del  diritto
 alla liberta' personale e del diritto di difesa.
 (C.P.P.  1988,  artt.  279 e 299; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art.
 91).
 (Cost., artt. 3, 13 e 24).
(GU n.45 del 14-11-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Letta l'istanza nell'interesse di Andretti Simone, con la quale si
 chiede la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari cui
 attualmente si trova sottoposto l'imputato;
    Letti gli atti;
                             O S S E R V A
    L'istanza  di  cui all'epigrafe impone di affrontare una questione
 che il vigente codice di procedura  penale  presenta  per  l'istituto
 della   custodia   cautelare,  in  relazione  alla  fase  degli  atti
 preliminari al dibattimento di primo  grado  (artt.  465  e  492  del
 c.p.p.);  fase  nella quale il giudice conosce solo degli atti di cui
 agli artt. 431 e 432 del c.p.p.
    In  casi  come  quello in specie, il giudice della fase degli atti
 preliminari al giudizio di primo grado  si  trova  a  dover  decidere
 sulla  liberta'  personale (per revoca, imposizione o modifica di una
 misura cautelare) senza gli atti che forniscano il concreto dei fatti
 e dei dati sui quali poter apprezzare le ragioni cautelari.
    Escluso  il  certificato  del  casellario  giudiziale, e gli altri
 documenti di cui alla lett. e) dell'art. 431 citato, i quali peraltro
 sono   solo   un   aspetto   della   valutazione   complessiva  della
 pericolosita' dell'imputato (art. 274,  lett.  c),  e  non  incidono,
 almeno  in  maniera diretta, rispetto alle altre ragioni cautelari di
 cui alle lettere a) e  b)  dell'art.  274,  gli  altri  atti  di  cui
 all'art. 431, non racchiudono, di per se', dati di fatto sui quali le
 dette  ragioni  possano  apprezzarsi  compiutamente   e   se,   essi,
 indirettamente  ed eventualmente, siffatti dati possono esprimere, va
 pure rilevato  che  tali  atti,  ad  eccezione  del  certificato  del
 casellario giudiziale, possono, per loro natura, mancare tutti.
    Anche   il   decreto   che   dispone   il  giudizio  contiene  si'
 l'enunciazione del fatto, ma il solo "fatto", ancorche' lo si  voglia
 considerare  anche  come  non  vissuto  o filtrato dal magistrato che
 dispone il giudizio, e', comunque, un momento riassuntivo, privo  dei
 suoi  aspetti  dinamici, apprezzabili sotto il profilo delle esigenze
 cautelari.
    Anche  l'eventuale  presenza  dell'ordinanza  cautelare  (nel caso
 cioe' di misura gia' imposta: art. 432), la stessa si risolve, in  un
 giudizio  precedente e datato, espresso da altro giudice alla stregua
 di atti che il giudice degli atti preliminari al  giudizio  di  primo
 grado ignora.
    Sicche',  in  ogni  caso,  questi, in presenza di istanza da parte
 dell'imputato sulla liberta', non solo non conosce i  dati  di  fatto
 concreti  sui  quali  una  misura  e'  stata  disposta, ma neppure le
 evenienze del procedimento successive a tale momento.
    E  resta, per quanto concerne il citato art. 431, altresi' inibito
 il potere di ufficio di incidere sulla custodia cautelare che pure il
 sistema riconosce (art. 299, terzo comma, ultima parte).
    Cosi',  nel  caso  dell'istante  Andretti,  non  vi  sono atti nel
 fascicolo che possano deporre, come ha gia' ritenuto il  g.i.p.,  per
 una pericolosita' dell'imputato, ovvero, che possano far diversamente
 apprezzare le ragioni cautelari. Si e' in presenza di atti (decisori,
 di  accertamento  tecnico, ecc. ecc.) non rivelatori della condotta e
 della personalita' del prevenuto.
    In  definitiva,  mentre il g.i.p. quando decide sulla liberta' del
 soggetto sottoposto alle indagini, conosce  gli  atti  sui  quali  la
 misura  si  fonda  (da imporre, modificare o revocare), cosi' come il
 giudice di primo e secondo grado dopo  la  chiusura  dell'istruttoria
 dibattimentale  dispone della vicenda processuale nella sua acquisita
 interezza, il giudice degli atti preliminari al dibattimento di primo
 grado di siffatte conoscenze non dispone.
    E  va  rilevato  come  il  legislatore,  mentre  ha predisposto un
 sistema idoneo a garantire la  conoscenza  del  giudice  in  caso  di
 impugnazione  (art.  309,  quinto comma; art. 310, secondo comma, del
 cod. proc. pen. e 100 delle disp. att.), un siffatto sistema  non  ha
 previsto per la fase processuale che occupa.
    Siffatto quadro normativo, d'altra parte, non puo' significare, di
 per se', che il legislatore, consapevole di un giudice "senza  atti",
 ed  anzi  intenzionato ad un giudice che atti non debba averne, abbia
 voluto negare la possibilita' di decisioni sulla liberta' per la fase
 degli atti preliminari al dibattimento di primo grado.
    La  normativa  e' chiara ed univoca nel senso della ammissibilita'
 di giudizi sulla liberta' in tale fase processuale: anche  d'ufficio,
 indipendentemente da istanza di parte:
       a)  art.  91 delle disp. att. "Nel corso degli atti preliminari
 al dibattimento i provvedimenti concernenti le misure cautelari  sono
 adottati,   secondo   la  rispettiva  competenza,  dal  pretore,  dal
 tribunale, dalla corte di assise...";
       b)  art. 279 del c.p.p. "Sull'applicazione e sulla revoca delle
 misure  nonche'  sulle  modifiche  delle  loro  modalita'   esecutive
 provvede il giudice che procede";
       c)  art.  299,  primo  e  terzo  comma,  del  c.p.p. "Le misure
 coercitive ed interdittive sono immediatamente revocate... Il giudice
 provvede  anche d'ufficio quando... ovvero quando procede all'udienza
 preliminare o al giudizio".
    Cio'  considerato,  e'  altresi' da escludere che la vigente legge
 processuale preveda un modulo che  consente  al  giudice  degli  atti
 preliminari   al  dibattimento  di  primo  grado  di  decidere  sulla
 liberta', cognita causa.
     A)  Non  il  ricorso  all'art.  127 che, come anche propongono le
 prime interpretazioni dottrinali, presuppone il richiamo per  ipotesi
 tassative  (es.  art.  41,  terzo  comma; 130, secondo comma, ecc.) e
 prevede solo lo schema tipo di singole, tipiche procedure, non che il
 giudice  debba  necessariamente  seguire  tale  schema ogni qualvolta
 debba decidere in camera di consiglio.
     B)  Non  il  sistema  di  porre  il p.m. e l'imputato in contatto
 mediato, attraverso il giudice che metta la parte non richiedente  in
 condizione di interloquire (es. mediante avviso), perche':
       a) siffatta ipotesi procedimentale non e' prevista dal sistema;
       b)  essa non consente l'esercizio del dovere-potere del giudice
 di decidere di ufficio (art. 299, secondo comma, ultima parte);
       c)  l'esigenza  cautelare patrocinata dal p.m. (es. pericolo di
 fuga) potrebbe essere frustrata all'origine;
       d)  presuppone il dovuto attivarsi delle parti nel produrre, ai
 fini della decisione sulla liberta', gli atti del  fascicolo  di  cui
 all'art. 433, laddove un tale obbligo non sussiste ne' e' previsto un
 corrispondente potere del  giudice  nel  richiederli  (come,  invece,
 dispongono gli artt. 309 e 310 del c.p.p. e 100 delle disp. att.).
    Non  puo'  concludersi,  quindi,  che  l'attuale  sistema,  mentre
 ammette la possibilita' di giudizi sulla liberta' dell'imputato nella
 fase  degli  atti preliminari al dibattimento di primo grado (art. 91
 delle disp. att., 279 e 299, primo e terzo comma,  del  c.p.p.),  non
 pone   il   giudice   in   condizione   di  esprimere  una  decisione
 contenutistica, fondata su dati di fatto, positivi o  negativi,  gia'
 acquisiti, ma per lui ignoti.
    Siffatto  quadro  normativo propone, a giudizio del tribunale, una
 questione di contrasto degli artt. 279 e 299  del  c.p.p.  e  91  del
 d.-l.  28  luglio  1989, n. 271, con gli artt. 3, 13 e 24 della Carta
 costituzionale,   nella   parte   in   cui   essi   non   dispongono,
 rispettivamente,   che   nella   fase   degli   atti  preliminari  al
 dibattimento di primo grado, il p.m., avvisato  dal  giudice  di  una
 istanza  concernente  la liberta' personale proveniente dall'imputato
 sottoposto a misura cautelare, debba trasmettere al giudice, ai  fini
 del  giudizio sulla liberta', gli atti contenuti nel fascicolo di cui
 all'art. 433 del c.p.p.
    Il detto contrasto con la Carta costituzionale si evidenzia:
       a)  con  l'art.  3,  nella parte in cui detto articolo sancisce
 l'uguaglianza dei cittadini davanti  alla  legge,  laddove  l'attuale
 sistema,   per   quanto  sopra  rilevato,  in  relazione  ad  istanze
 concernenti la liberta', fonda una chiara disparita'  di  trattamento
 della  garanzia  giurisdizionale  tra  imputati il cui processo penda
 nella fase degli atti preliminari al dibattimento di  primo  grado  e
 per  i  quali il giudice conosce solo gli atti consentiti dagli artt.
 431 e 432, ed i soggetti sottoposti ad  indagini  ed  imputati  nella
 fase dalla conclusione dell'istruttoria dibattimentale di primo grado
 in poi, per i  quali,  gli  uni  e  gli  altri,  invece,  il  giudice
 competente  a  decidere  sulla liberta' personale, dispone degli atti
 sui quali si fonda la misura  o  degli  atti  concernenti,  comunque,
 l'intera vicenda processuale, per come acquisita.
    Disparita'  di  trattamento  che  non  trova giustificazione nella
 diversita' delle fasi processuali;
       b)  con  l'art.  13 nella parte in cui, al secondo comma, detto
 articolo dispone che: "Non e' ammessa forma alcuna  di  detenzione...
 ne'  qualsiasi altra restrizione della liberta' personale, se non per
 atto motivato dall'autorita' giudiziaria..."  laddove  una  decisione
 sulla  liberta' personale, per come consentita dagli artt. 431 e 432,
 priva di concreti dati di fatto, si risolverebbe in un giudizio ed in
 una motivazione impossibili;
       c)  con l'art. 24 nella parte in cui detto articolo, al secondo
 comma, persegue una difesa inviolabile in  ogni  stato  e  grado  del
 procedimento,    laddove    l'assetto   processuale   oggi   vigente,
 ingiustificatamente  comprime,  ed  anzi  esclude,  per  le   ragioni
 esposte,  il  diritto  di difesa della liberta' nella fase degli atti
 preliminari al dibattimento di primo grado, a  confronto  di  quanto,
 invece, garantisce nella fase delle indagini preliminari e nella fase
 successiva alla conclusione dell'istruttoria dibattimentale di  primo
 grado.
    L'evidenziata  questione  di incostituzionalita', nei suoi aspetti
 positivi di risoluzione, cosi' come ritenuti dal  tribunale  (obbligo
 del  p.m.  di trasmettere gli atti di cui all'art. 433 del c.p.p.) di
 propone, del resto, conforme al sistema poiche':
       a)  il  legislatore  ha  adottato sistema analogo in materia di
 impugnazioni (art. 309, quinto comma, 310, secondo  comma,  del  cod.
 proc. pen. e 91 delle disp. att.);
       b)  l'art. 431 del c.p.p., nel restringere il novero degli atti
 utilizzabili dal giudice di primo grado, parla di "fascicolo  per  il
 dibattimento", ossia di fascicolo funzionale, ad una determinata fase
 del giudizio, non di "fascicolo per il giudizio";
       c) la conoscenza di atti diversi da quelli previsti dagli artt.
 431 e 432 del c.p.p. da parte del giudice degli atti  preliminari  al
 dibattimento che sia, personalmente, il medesimo del dibattimento, e'
 dato irrilevante poiche' la lettera e  lo  spirito  della  disciplina
 concernente le acquisizioni probatorie dibattimentali consistono e si
 risolvono nel momento oggettivo  della  utilizzabilita'  degli  atti,
 nulla  compromettendo, per tali oggettive ragioni, che il giudice del
 dibattimento conosca gli atti di cui all'art. 433.
    La  questione,  che  il  tribunale  rileva  di  ufficio  come  non
 manifestamente infondata, appare altresi' rilevante per  il  caso  di
 specie  poiche'  dalla  sua risoluzione discende il modo di procedere
 per  decidere  sulla  richiesta  di  remissione   in   liberta'   per
 l'imputato.
                                P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio;
    Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza
 sia notificata all'imputato Andretti ed ai suoi  difensori,  al  p.m.
 presso  questo  tribunale,  nonche'  al  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Ordina   che   copia  della  presente  ordinanza  sia  comunicata,
 altresi', a cura della cancelleria, ai Presidenti  delle  due  Camere
 del Parlamento.
      Cosenza, addi' 25 settembre 1990
                   Il presidente: (firma illeggibile)

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