N. 71 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 dicembre 1990

                                 N. 71
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria  il  20  dicembre  1990  (della  provincia  autonomia  di
 Bolzano)
 Sanita'  pubblica  -  Misure  urgenti  per il finanziamento del saldo
 della maggiore spesa sanitaria relativa  agli  anni  1987  e  1988  e
 disposizioni  per  il  finanziamento  della  maggiore spesa sanitaria
 relativa all'anno 1990 - Accollo alla provincia dell'onere  economico
 della  relativa  spesa,  cui  la  regione e' autorizzata a provvedere
 mediante alienazione di beni od utilizzazione del provento di tributi
 -  Sostanziale  conferma con la legge di conversione di detto accollo
 di oneri alla regione  anche  se  con  riduzione  dell'entita'  dello
 stesso  a  causa  dell'ammortamento  parziale  a carico dello Stato -
 Indebita invasione della sfera di competenza  provinciale  e  lesione
 dell'autonomia finanziaria della provincia nonche' dei principi della
 copertura finanziaria e del buon andamento della p.a.
 (D.-L.  15  settembre  1990,  n. 262, art. 2-bis, primo comma, ultimo
 periodo, e art. 3, terzo comma-bis, lett. a), convertito in legge  19
 novembre 1990, n. 334).
 (Cost.,  artt.  8,  n.  1; 9, n. 10; 16; 54, primo comma, n. 3, dello
 statuto speciale  Trentino-Alto  Adige  e  delle  relative  norme  di
 attuazione).
(GU n.2 del 9-1-1991 )
   Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Bolzano,  in  persona  del
 presidente della giunta pro-tempore  dott.  Luis  Durnwalder,  giusta
 deliberazione  della  giunta  provinciale  n. 7904/90 del 10 dicembre
 1990, rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale  dell'11
 dicembre  1990  rogata dall'avv. Giovanni Salghetti Drioli, ufficiale
 rogante della giunta (rep. n. 15993)  -  dagli  avv.ti  prof.  Sergio
 Panunzio  e  Roland  Riz,  e  presso  il  primo di essi elettivamente
 domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3  (studio  legale  Guarino),
 contro  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri, in persona del
 Presidente  del  Consiglio  in  carica  per   la   dichiarazione   di
 incostituzionalita'  dell'art.  2-bis,  primo comma, ultimo periodo e
 dell'art. 3, comma 3-bis, lett. a), del d.-l. 15 settembre  1990,  n.
 262, convertito in legge 19 novembre 1990, n. 334.
                               F A T T O
    E'  ben  noto  che  l'autonomia  delle  regioni  e  delle province
 autonome di Trento e di Bolzano  trova  il  suo  essenziale  supporto
 nella  loro  autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da
 codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956  -  le  regioni  e
 provincie  autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a
 disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese  necessarie  ad
 adempiere  alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della
 provincia autonoma ricorrente, trova il  suo  fondamento  (oltre  che
 nell'art.  119  della  Costituzione)  nello  statuto  speciale  della
 regione T.-A.A. (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),  spec.  artt.  69  e
 segg.  (titolo sesto) - come di recente modificati ed integrati dalla
 legge 30 novembre 1989, n. 386 - anche in relazione agli  artt.  8-10
 st., e nelle relative norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolalita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  la  affidabilita'  di  tali trasferimenti sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E'  esemplare a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali
 e provinciali in materia di  sanita',  la  cui  spesa  e'  alimentata
 essenzialmente   dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal  fondo
 sanitario nazionale. Proprio in  relazione  a  tale  settore  codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal
 rispetto dei principi costituzionali) che gli interventi dello Stato,
 ivi  compresi  quelli  finanziari,  siano improntati ad organicita' e
 stabilita'. In particolare nella sentenza n. 307/83 essa ha  rilevato
 come  "il  susseguirsi  di  anno in anno di provvedimenti a carattere
 contingente, in deroga alla disciplina  ordinaria  renda  quanto  mai
 disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale";
 e poi nella sentenza n. 245/84 - a proposito  delle  disposizioni  in
 materia  sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osservava
 come per dare una disciplina organica e per assicurare efficienza  al
 servizio  sanitario  nazionale  "non  servono  allo  scopo  le  leggi
 finanziarie, ne' gli  altri  provvedimenti  di  carattere  urgente  o
 comunque  contingente:  la'  dove  sono  in  gioco funzioni e diritti
 costituzionalmente previsti e garantiti,  e'  infatti  indispensabile
 superare  la  prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica,
 per assicurare la certezza del diritto ed  il  buon  andamento  delle
 pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a
 durare nel tempo".
    Ma  sono  ammonimenti,  questi, ai quali lo Stato e' stato sino ad
 oggi sordo. In particolare per quanto riguarda il servizio e la spesa
 sanitaria  lo  Stato  ha  infatti  continuato ad emanare tentativi di
 riforme peraltro abortite (i decreti-legge 25 marzo 1989, n.  111,  e
 29  maggio 1989, n. 189, non convertiti dal Parlamento) ed interventi
 "tampone" di vario genere, ma per lo piu' adottati con  lo  strumento
 improprio  del  decreto-legge  (nonostante  i  moniti  che,  anche  a
 proposito del cattivo uso di tale  strumento,  sono  stati  fatti  da
 codesta  ecc.ma  Corte  -  sentenza  n.  245/1984  -  e nonostante la
 rigorosa disciplina oggi stabilita dalla legge n. 400/1988).
    Un  ultimo  esempio in questo senso e' dato dal d.-l. 15 settembre
 1990, n. 262, recante "Misure urgenti per il finanziamento del  saldo
 della  maggiore  spesa  sanitaria  relativa  agli  anni 1987 e 1988 e
 disposizioni per il  finanziamento  della  maggiore  spesa  sanitaria
 relativa  all'anno  1990",  convertito  con modificazioni in legge 19
 novembre 1990, n. 334.
    Ai  fini  del  presente  ricorso,  del  suddetto  atto legislativo
 vengono in evidenza soprattutto due disposizioni, entrambe introdotte
 in  sede di conversione: l'art. 2-bis, primo comma; e l'art. 3, comma
 3-bis, lett. a).
    L'art.  2,  primo comma, dopo avere stabilito che "la eccedenza di
 spesa rispetto alle  entrate  complessive,  registrate  dalle  unita'
 sanitarie  locali e dagli altri enti che erogano assistenza sanitaria
 per l'esrcizio 1989, sono coperte in via prioritaria con  i  proventi
 derivanti dall'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di
 cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833,  non
 soggetti  a  vincoli  di  qualsiasi  natura"  (e che i disavanzi e le
 eccedenze che non possono essere coperti con tali alienazioni debbono
 essere  ripianati  dalle  regioni  mediante  operazioni di mutuo, con
 oneri di  ammortamento  a  carico  del  Fondo  sanitario  nazionale),
 stabilisce  poi  -  nel  suo  ultimo  periodo  -  che  "sugli atti di
 alienazione vigila una commissione nominata dalla regione o provincia
 autonoma   e   presieduta   da   un  magistrato  delle  giurisdizioni
 amministrative che si avvale  delle  valutazioni  dei  locali  uffici
 tecnici erariali".
    Quanto  poi  all'art.  3,  esso  stabilisce che le regioni possono
 autorizzare le u.s.l. e gli  altri  enti  che  gestiscono  i  servizi
 sanitari   finanziati  dalle  quote  regionali  del  Fondo  sanitario
 nazionale "ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche
 in  eccedenza  agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il
 bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di
 assoluta  urgenza entro i limiti prequantificati dalle regioni stesse
 per ciascun ente" (primo comma). Sempre l'art.  3,  al  terzo  comma,
 prevede  poi  che  la  spesa  effettivamente sostenuta a fronte delle
 suddette  autorizzazioni,  come  pure  gli  oneri   derivanti   dalle
 anticipazioni  straordinarie  di cassa di cui al secondo comma, siano
 assunti a carico delle regioni e delle province autonome di Trento  e
 Bolzano  e  siano  finanziati  con  operazioni  di  mutuo  "fino alla
 concorrenza di lire 90.000 a cittadino residente per ciascuna regione
 o  provincia  autonoma,  con  oneri  di  ammortamento  a carico dello
 Stato". Ma per quanto riguarda la differenza  residua  il  successivo
 comma  3-  bis dell'art. 3 stabilisce che, mentre per il 75 per cento
 si provvede mediante accensione di mutui con  oneri  di  ammortamento
 sempre  a carico dello Stato (lett. b), viceversa per quanto riguarda
 il restante 25 per cento (lett. a) si fa fronte "con oneri  a  carico
 del  bilancio  delle regioni e province autonome, che vi provvedono o
 con  propri  mezzi  di  bilancio  o  mediante  alienazione  di   beni
 disponibili  ovvero  mediante  la contrazione di mutui o prestiti con
 istituti di credito, da assumere anche  in  deroga  alle  limitazioni
 previste  dalle  vigenti  disposizioni, avvalendosi, per la copertura
 delle relative rate di ammortamento, anche delle  entrate  tributarie
 previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158".
    Vero  e'  che  il  quarto  comma dell'art. 3 del d.-l. n. 262/1990
 (gia' contenuto nel testo originario) stabilisce che "le disposizioni
 del  presente  decreto  sono  applicabili  nelle  regioni  a  statuto
 speciale  e  nelle  province  autonome  di  Trento   e   di   Bolzano
 compatibilmente  con  le  norme dei rispettivi statuti". Sta pero' di
 fatto che proprio le surriferite disposizioni contenute  negli  artt.
 2-bis,  ultimo periodo, e 3, comma 3-bis, lett. a), del decreto-legge
 in  questione  (introdotte  in  sede  di  conversione)  espressamente
 assumono di essere applicabili anche alle province autonome di Trento
 e  Bolzano.  Ma  poiche'  esse  sono  lesive   delle   competenze   e
 dell'autonomia  costituzionalmente  garantite alla provincia autonoma
 di Bolzano questa le impugna per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1.  - Violazione, da parte dell'art. 3, comma 3-bis, lett. a), del
 decreto-legge impugnato delle attribuzioni provinciali  di  cui  agli
 artt.  8,  9,  10  e  16,  degli artt. 69 e segg. (titolo sesto, come
 modificato ed integrato dalla legge 30 novembre 1989, n.  386)  dello
 statuto  speciale  T.-A.A. e delle relative norme d'attuazione (spec.
 d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), nonche' degli artt. 3, 81 e 119  della
 Costituzione.
    Come  si  e'  visto,  la lett. a) del comma 3- bis dell'art. 3 del
 decreto-legge impugnato addossa alla provincia ricorrente l'onere  di
 provvedere  con  propri  mezzi  finanziari  a coprire una parte delle
 spese "improcrastinabili  e  di  assoluta  urgenza"  sostenute  dalle
 unita'  sanitarie  locali  e  da  altri enti operanti nell'ambito del
 servizio sanitario nazionale, anziche' addossare tale spese al  Fondo
 sanitario nazionale o comunque allo Stato.
    Con  tale  disciplina,  dunque,  lo  Stato  accolla alla provincia
 ricorrente delle prestazioni di servizi e correlative spese che  sono
 in sostanza obbligatorie per la provincia stessa: prestazioni e spese
 che sono infatti "rigide" nella loro  entita'  e  non  dipendenti  da
 autonome  scelte provinciali, oltretutto trattandosi appunto di spese
 (come dice la legge) improcrastinabili e di assoluta urgenza.
    Vero  e'  che la disciplina in questione riguarda una spesa che e'
 in eccedenza rispetto  agli  stanziamenti  gia'  autorizzati  con  il
 bilancio  di  previsione,  e  che  essa  dovrebbe  iscriversi  in  un
 indirizzo legislativo mirante al contenimento della  spesa  sanitaria
 complessiva.  Ma  e'  ben noto come le ragioni e le province autonome
 siano in realta' prive di  effettivi  strumenti  di  controllo  e  di
 contenimento di tale spesa.
    In  altri  termini,  con  la disciplina impugnata si pone a carico
 della provincia una ulteriore spesa sanitaria senza pero' fornirgli i
 relativi  mezzi  finanziari  e senza che essa abbia gli strumenti per
 controllare o ridurre la spesa complessiva; e quindi si costringe  la
 provincia  a  coprire il deficit destinando a tali spese ulteriori le
 risorse finziarie "proprie", che debbono quindi essere  distolte  dai
 loro  impieghi,  cosi' riducedo altri tipi di interventi provinciali,
 ostacolando  l'esercizio  delle  normali  funzioni  della  provincia,
 impedendole    una   razionale   programmazione   degli   interventi,
 sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio.
    Che  la  provincia  non  abbia effettivi poteri di controllo sulla
 spesa sanitaria  e'  cosa  sin  troppo  nota  per  indugiare  qui  ad
 analitiche  dimostrazioni.  Salvo  ritornare  sul  punto in ulteriori
 scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto
 riguarda  le  funzioni  ospedaliere, sia i livelli retributivi che in
 genere il trattamento del personale non dipendono dalla provincia (ma
 sono  regolati  da  accordi  stipulati a livello nazionale); anche le
 spese per acquisti di beni  e  servizi  dipendono  essenzialmente  da
 necessita'  obiettive  e  dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda
 l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo  sui  prezzi
 dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico,
 la disciplina dei  tiket.  Anche  per  quanto  riguarda  l'assistenza
 specialistica e la medicina di base, e' a livello statale che vengono
 prediposte le convenzioni  con  i  medici  privati.  Cosi'  come,  in
 genere,  e'  sempre  a  livello  statale  che  vengono  stabiliti gli
 standards dei servizi sanitari.
    Tutto  cio',  del  resto,  e'  ben noto a codesta ecc.ma Corte, la
 quale gia' in passato (sentenza n. 245/1984, e poi  n.  452/1989)  ha
 rilevato  come  "non  si  puo'  presupporre  'che  le amministrazioni
 regionali portino (...) l'effettiva responsabilita'  degli  eventuali
 disavanzi  delle  u.s.l.", in quanto gran parte della spesa sanitaria
 e, fra questa, gli oneri derivanti  dalle  prescrizioni  mediche,  si
 formano  indipendentemente  dalle  scelte  regionali  (e dalle stesse
 deliberazioni  degli  organi  di  gestione  delle  unita'   sanitarie
 locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti
 costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente  a  scelte  di
 ordine   generale   degli   organi   centrali   di   governo  dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i  cittadini".
 Ed  ha  poi  ribadito  (sentenza  n.  452/1989) che la garanzia della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano  essere  addossati  al bilancio regionale (o provinciale) gli
 oneri derivanti da decisioni non imputabili alla  regione  stessa  (o
 alla  provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di
 tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,
 la  cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non
 certo quella essenziale - alla regione".
    Con  la disciplina impugnata, dunque, lo Stato, anziche' procedere
 ad un risanamento del deficit  della  spesa  sanitaria  (iniziando  a
 riformare  in  modo  organico  -  come  e'  di  sua  competenza  - le
 strutture, i servizi, gli standards, la disciplina del personale  del
 servizio  sanitario,  il  tutto in modo da ridurre la spesa sanitaria
 globale),  ma  lasciando  invece  immutata  la  regolamentazione  del
 servizio, accolla sulla provincia ricorrente una ulteriore spesa.
    Una siffatta disciplina, che attribuisce alla provincia ricorrente
 la responsabilita' per una ulteriore spesa sanitaria, relativa ad  un
 servizio  volto a soddisfare un diritto costituzionale dei cittadini,
 senza fornirle pero' i  mezzi  finanziari  necessari,  ne'  strumenti
 rilevanti  per  il  controllo ed il governo della spesa stessa, viola
 dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza  e
 quello di autonomia finanziaria della provincia, specie (ma non solo)
 in materia di sanita' (art. 9,  n.  10,  16,  e  titolo  sesto  dello
 statuto);  ed  al  tempo  stesso  viola  il  principio  di  copertura
 finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
 Un principio, quest'ultimo, che si estende anche alle spese accollate
 dallo Stato agli enti del c.d.  settore  pubblico  allargato,  e  del
 quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n.
 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di
 minori  entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente
 art. 25 devono contenere  la  previsione  dell'onere  stesso  nonche'
 l'indicazione   della  copertura  finanziaria  riferita  ai  relativi
 bilanci annuali e pluriennali".
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec.  con  le  gia'  citate  sentenze  n.  245/1984 e n.  452/1989),
 proprio facendo leva sul  necessario  raccordo  tra  il  governo  del
 settore  e  la responsabilita' della relativa spesa, ha dichiarato la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le regioni stesse (e le province autonome)  a  prelevare  le  risorse
 necessarie  a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8
 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o  dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale  e  le  province
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo,  la  disciplina  stabilita  dall'art. 3, comma 3-bis,
 lett. a), del decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale,  in
 primo  luogo,  perche'  essa viola il principio della copertura della
 spesa stabilita dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione,  come
 esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in
 quanto essa accolla  alla  provincia  ricorrente  nuove  spese  senza
 prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impugnata  viola, al tempo stesso,
 oltre  che  il  principio  di   ragionevolezza,   anche   l'autonomia
 finanziaria  della provincia in materia - in primo luogo - di sanita'
 (artt. 9, n. 10, e titolo sesto dello statuto, nonche' art. 119 della
 Costituzione),  ma  anche  nelle  altre materie di competenza propria
 (artt. 8-10 dello statuto). Cio' in quanto  tale  disciplina  scarica
 sul  bilancio  della provincia spese di cui essa non ha il governo, e
 che non possono da essa essere sostenute altro che stornando  proprie
 risorse  finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi, riducendo
 le capacita' di spesa e di intervento  della  provincia  anche  nelle
 altre materie di propria competenza.
    2.  -  Violazione,  da  parte dell'art. 2-bis, primo comma, ultimo
 periodo, del decreto-legge impugnato, degli artt. 8, n. 1; 9, n.  10;
 16;  54,  primo  comma, n. 3, dello statuto speciale T.-A.A., e delle
 relative norme d'attuazione.
    Com'e' noto, la provincia ricorrente ha competenze, legislative ed
 amministrative, di tipo esclusivo per cio' che concerne l'ordinamento
 degli  uffici  provinciali  e  relativo personale (artt. 8, n. 1 e 16
 dello statuto). Inoltre l'art. 54, primo comma, n. 3,  dello  statuto
 T.-A.A.  stabilisce  che  spetta alla giunta provinciale "l'attivita'
 amministrativa riguardante gli affari di interesse provinciale".
    Fra  questi  sono ovviamente ricomprese le attivita' relative allo
 svolgimento del servizio  sanitario  provinciale,  il  cui  esercizio
 spetta  alla  provincia  in  virtu'  della  competenza concorrente in
 materia di igiene e  sanita'  attribuitale  dall'art.  9,  n.  10  (e
 dall'art.  16  dello  statuto), salva la facolta' di delega ai comuni
 associati nella gestione delle unita' sanitarie locali.
    Orbene,  la  gia'  ricordata  disposizione  contenuta  nell'ultimo
 periodo del primo comma dell'art. 2- bis del decreto-legge  impugnato
 risulta  lesiva,  sotto  vari  aspetti,  delle competenze provinciali
 sancite dalle suddette norme statutarie.
    Cio'  in  primo luogo perche', dovendosi procedere all'alienazione
 di beni delle unita' sanitarie locali della provincia di Bolzano,  e'
 alla  provincia stessa - e non alla legge dello Stato - che spetta di
 disciplinare  forme  e  controlli  relativi   a   tale   alienazione,
 trattandosi  di  "affari  di  interesse provinciale", ricadenti nella
 materia di cui all'art. 9, n. 10, dello statuto T.-A.A.
    In  secondo  luogo  perche'  la  legge  statale  non  puo' (se non
 violando anche l'art.  8,  n.  1,  dello  statuto  T.-A.A.)  disporre
 l'istituzione  di  un  ufficio  provinciale, quale e' quello previsto
 dalla norma legislativa impugnata:  una  commissione  i  cui  membri,
 infatti,  sono  nominati  dalla  provincia.  Ne' puo' essere la legge
 dello stato a stabilire come  una  siffatta  commissione  provinciale
 debba essere composta, e tanto meno la legge statale puo' attribuirne
 la presidenza ad  un  soggetto  estraneo  alla  organizzazione  della
 provincia   e   dipendente   invece   dello   Stato   (un  magistrato
 amministrativo).
    Infine,  la disposizione legislativa impugnata e' incostituzionale
 e lesiva delle suddette competenze  provinciali  anche  perche'  essa
 pretende di imporre alla suddetta commissione (che si e' detto essere
 un organo amministrativo provinciale) di avvalersi delle  valutazioni
 tecniche  di  uffici  statali (uffici tecnici erariali), anziche' dei
 competenti uffici provinciali.
                                P. Q. M.
    Voglia  l'ecc.ma  Corte  dichiarare  la  incostituzionalita' delle
 impugnate disposizioni del d.-l. 15  settembre  1990,  n.  262,  come
 meglio in epigrafe indicate.
      Roma, addi' 18 dicembre 1990
           Prof. avv. Sergio PANUNZIO - Prof. avv. Roland RIZ

 91C0003