N. 4 SENTENZA 8 - 10 gennaio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Sicurezza pubblica - Regione Sicilia - Istituzione di una commissione
 d'inchiesta sul fenomeno mafioso - Manifestazione strumentale per i
 peculiari poteri d'indagine finalizzati al buon funzionamento dei
 diversi apparati regionali - Legittimita'  per le sue finalita'
 diverse e concorrenti con quelle dello Stato - Non fondatezza.
 
 (Legge regione Sicilia approvata il 28 luglio 1990).
 
 (Statuto speciale regione Sicilia, artt. 14 e 17; Cost., art.  97).
(GU n.3 del 16-1-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.  Luigi  MENGONI,  prof.
 Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 siciliana approvata dalla  Assemblea  regionale  il  28  luglio  1990
 avente  per  oggetto:  "Istituzione  di  una commissione parlamentare
 d'inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia",promosso
 con  ricorso  del  Commissario  dello Stato per la Regione siciliana,
 notificato il 3 agosto 1990, depositato in cancelleria il  10  agosto
 successivo ed iscritto al n. 57 del registro ricorsi 1990;
    Visto l'atto di costituzione della regione siciliana;
    udito  nell'udienza  pubblica  del  27  novembre  1990  il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi  l'Avvocato dello Stato Sergio La Porta per il ricorrente, e
 l'avv. Silvio De Fina per la Regione;
                           RITENUTO IN FATTO
    1.  - Con ricorso notificato il 3 agosto 1990 il Commissario dello
 Stato per la Regione Siciliana impugna la legge  regionale  approvata
 il   28   luglio   1990,  recante  "Istituzione  di  una  Commissione
 parlamentare d'inchiesta e vigilanza  sul  fenomeno  della  mafia  in
 Sicilia",  per  violazione  degli  artt.  14 e 17 dello Statuto della
 Regione  Siciliana  nonche'  dell'articolo  97  della   Costituzione.
 L'impugnativa  investe  la  legge  regionale  nel suo complesso e, in
 particolare, gli artt. 3 lett. c), 6, primo comma, lett. b)  e  terzo
 comma,  8 e 9, anche "in relazione ai limiti posti dal vigente codice
 di procedura penale".
    Il  ricorrente,  dopo  aver  ricordato che fin dal 1983 la Regione
 Siciliana aveva  per  due  volte  istituito  in  via  amministrativa,
 mediante   ordini   del   giorno   dell'Assemblea,   una  Commissione
 parlamentare per la lotta contro la criminalita' mafiosa, espone  che
 la legge impugnata ha inteso disciplinare tale Commissione in maniera
 piu'  compiuta,  conferendo  alla  stessa  poteri  piu'  incisivi  di
 indagine.  Cosi'  operando,  la  Regione avrebbe, peraltro, violato i
 limiti della propria competenza legislativa di cui agli artt. 14 e 17
 dello  Statuto  speciale di autonomia, per aver istituito un organo i
 cui poteri d'inchiesta e d'indagine esorbiterebbero dalla materia  di
 competenza  regionale  e  per aver legiferato in una "materia", quale
 quella della prevenzione e lotta contro la mafia,  riservata  in  via
 esclusiva allo Stato.
    Ad  avviso  del ricorrente, la potesta' regionale di istituire con
 legge   commissioni   di   inchiesta   potrebbe   esercitarsi    solo
 relativamente  ad  oggetti  riconducibili  alle materie di competenza
 regionale, cosi' come indicato in talune  pronunce  di  questa  Corte
 (sentt.  nn.  29  del  1966  e  19  del  1969).  La  legge  impugnata
 travalicherebbe, invece,  la  necessaria  correlazione  tra  l'ambito
 operativo  della Commissione ed i possibili interventi legislativi ed
 amministrativi  della  Regione  nella  materia  oggetto  d'inchiesta,
 stante  la  genericita'  e vastita' dei poteri attribuiti alla stessa
 Commissione,  che  verrebbe  ad   assumere   natura   "inquisitoria",
 duplicando  le  attribuzioni della Commissione parlamentare nazionale
 d'inchiesta sulla mafia istituita con la legge 23 marzo 1988, n.  94.
    Cio'   risulterebbe,   in   particolare,  dalle  disposizioni  che
 attribuiscono alla Commissione: a) la verifica dell'attuazione  della
 legge  statale  "antimafia" 13 settembre 1982, n. 646 e di ogni altra
 legge concernente la lotta alla mafia da  parte  dell'amministrazione
 regionale,  degli  enti  locali  siciliani,  e  di  ogni  altro  ente
 sottoposto alla vigilanza della Regione (art.  3,  lett.  c);  b)  la
 possibilita'  di  audizione di pubblici amministratori, di dipendenti
 dell'amministrazione regionale e degli enti  sottoposti  a  vigilanza
 della  Regione  (art. 6, primo comma, lett. b); c) la possibilita' di
 indagare sull'impiego di finanziamenti pubblici, "ivi compresi quelli
 extraregionali", da parte di imprese private (art. 6, terzo comma).
    Inoltre,  la  legge  impugnata determinerebbe una interferenza nei
 confronti del potere giudiziario ed una limitazione  all'accertamento
 dei  fatti  nelle  sedi  processuali  proprie,  in particolare con le
 disposizioni che stabiliscono il segreto  d'ufficio  per  le  notizie
 derivanti  da  fatti,  atti  o  documenti  per i quali la Commissione
 disponga la non divulgazione (art.  8)  e,  comunque,  per  tutte  le
 attivita'  che  riguardino,  anche  in parte, i soggetti privati e le
 loro attivita' economiche (art. 9).
    2.  - Si e' costituita in giudizio la Regione siciliana, chiedendo
 che la questione sia dichiarata non fondata.
    La  difesa  della  Regione  nega  che dalle disposizioni impugnate
 possa derivare una configurazione delle attivita'  della  Commissione
 come  "inquisitoria" in senso tecnico, cioe' come attivita' di natura
 giurisdizionale volta all'accertamento di illeciti penali.
    Richiamando  a  sua  volta  la  sentenza  n. 29 del 1966 di questa
 Corte, la difesa della Regione afferma che  il  potere  regionale  di
 inchiesta  non  costituisce  una  "materia" autonoma nel novero delle
 attribuzioni delle Regioni, ma un potere connaturato all'esercizio di
 tali attribuzioni, cioe' un modo di estrinsecazione delle stesse.
    L'inchiesta  regionale  di  cui  alla legge impugnata non avrebbe,
 pertanto, la valenza giurisdizionale di  quella  statale,  in  quanto
 essa  sarebbe  diretta  a "estrinsecare" funzioni non giurisdizionali
 della Regione e a garantire il  buon  andamento  dell'amministrazione
 regionale.
    In particolare, l'art. 3, lett. c) mutuerebbe dalla legge 23 marzo
 1988, n. 94, istitutiva della Commissione antimafia statale,  i  soli
 poteri inerenti all'esercizio delle competenze regionali, finalizzati
 all'adozione di provvedimenti legislativi ed amministrativi da  parte
 della  Regione,  restando  esclusa  ogni possibile interferenza con i
 poteri dello Stato. La verifica della attuazione della legge  n.  646
 del  1982 sarebbe, quindi, limitata alle disposizioni che riguardano,
 oltre all'amministrazione regionale, gli enti locali siciliani e  gli
 altri  enti  sottoposti  alla  vigilanza  della  Regione,  al fine di
 accertare se tali enti abbiano o meno adempiuto all'obbligo, previsto
 dalla  legge  citata,  di  adottare  i  provvedimenti  indicati dalla
 medesima.
    Le  inchieste,  ispezioni  ed  audizioni, di cui all'art. 6, primo
 comma, lett. b), rivolte verso l'amministrazione regionale, gli  enti
 locali  e  gli enti sottoposti a vigilanza della Regione, nonche' nei
 confronti    dei    rispettivi    amministratori    e     dipendenti,
 concretizzerebbero,   a   loro   volta,   interventi   di   carattere
 amministrativo nell'ambito delle competenze regionali. Cosi' come  la
 verifica  dell'impiego dei finanziamenti regionali, nonche' di quelli
 extraregionali  con  questi  eventualmente  concorrenti,  concessi  a
 soggetti privati - di cui all'art. 6, terzo comma - non comporterebbe
 interferenze lesive  di  diritti  privati,  costituendo,  invece,  un
 doveroso  controllo  su  soggetti  percettori  di  denaro pubblico e,
 quindi,  esercenti  una  attivita'  economica  privata  in   rapporto
 amministrativo vincolato con gli enti pubblici finanziatori.
    Infine,  le disposizioni sul segreto d'ufficio di cui agli artt. 8
 e  9  non  si  discosterebbero  dalla  disciplina  generale  di  tale
 istituto,  operante  nell'ambito dell'ordinamento regionale, restando
 esclusa qualsiasi  interferenza  di  tali  disposizioni  nella  sfera
 giurisdizionale.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.  -  Forma  oggetto  di impugnativa la legge regionale approvata
 dall'Assemblea siciliana il 28 luglio 1990 e recante "Istituzione  di
 una  Commissione  parlamentare  d'inchiesta  e vigilanza sul fenomeno
 della mafia in Sicilia".
    Ad  avviso  del  Commissario  dello Stato per la Regione siciliana
 tale legge risulterebbe incostituzionale: a) nel suo  complesso,  per
 violazione  degli  artt.  14  e  17  dello  Statuto  speciale, avendo
 istituito una Commissione d'inchiesta su un oggetto - la  prevenzione
 e  la lotta contro la mafia - esorbitante dalle materie di competenza
 regionale e dalle finalita' proprie della Regione; b) con riferimento
 a  talune  norme particolari (artt. 3 lett. c); 6, primo comma, lett.
 b) e terzo comma;  8  e  9),  che  avrebbero  conferito  alla  stessa
 Commissione  -  in  violazione  anche dell'art. 97 Costituzione e dei
 limiti posti dal vigente  codice  di  procedura  penale  -  specifici
 poteri  d'indagine  estranei alle competenze regionali e spettanti in
 via esclusiva ad organi dello Stato  (alla  Commissione  parlamentare
 nazionale  sulla  mafia,  istituita con la legge 23 marzo 1988 n. 94;
 agli organi di polizia; alla giurisdizione penale).
    2. - La questione non e' fondata.
    Con  la  legge  in  esame la Regione siciliana - secondo quanto si
 espone nella relazione illustrativa al disegno  di  legge  presentato
 all'Assemblea  dalla  Commissione  per  il  regolamento  allargata ai
 Presidenti dei  gruppi  parlamentari  -  ha  inteso  provvedere  alla
 istituzione  "di  una Commissione d'inchiesta sul fenomeno mafioso in
 Sicilia, con il compito, da un lato,  di  vigilare  sui  pericoli  di
 infiltrazione  mafiosa  nella  pubblica  amministrazione  regionale",
 dall'altro,  "di  elaborare  utili   proposte   per   l'adozione   di
 appropriate  misure  atte  a contrastare la stessa cultura mafiosa in
 ogni  sua  manifestazione".  Queste  finalita'  -  che   si   trovano
 puntualmente  rispecchiate  nel  complesso  della  disciplina oggetto
 d'impugnativa - vanno tenute presenti ove si tratti  di  valutare  la
 fondatezza delle censure di carattere generale enunciate nel ricorso.
    In  proposito,  occorre  innanzitutto  ricordare che, ad avviso di
 questa  Corte,  il   potere   d'inchiesta   regionale,   esprimendosi
 attraverso  indagini  dirette a raccogliere elementi di conoscenza su
 fatti e persone, non rappresenta una materia affiancabile alle  altre
 affidate  alla  competenza  regionale,  ma  svolge essenzialmente una
 "funzione strumentale in vista dei provvedimenti che potranno  essere
 adottati  non  dalla  Commissione  all'uopo  nominata  che  ha svolto
 l'indagine, ma dall'organo deliberativo che l'ha disposta ai fini  di
 una  migliore  e  piu'  adeguata esplicazione delle proprie attivita'
 istituzionali" (sent. n. 29 del 1966). Ed e' proprio il riferimento a
 questo   carattere   strumentale  rispetto  alle  singole  competenze
 spettanti ai Consigli regionali che viene a ispirare sia le norme dei
 regolamenti  consiliari  delle  Regioni  a  statuto speciale (art. 29
 regolamento Sicilia; artt.  127-129  regolamento  Sardegna;  art.  11
 regolamento  Trentino-Alto Adige; art. 101 regolamento Friuli Venezia
 Giulia), sia le norme degli statuti delle Regioni ordinarie (art.  27
 statuto   Abruzzo;  art.  25  statuto  Basilicata;  art.  25  statuto
 Calabria;  art.  26  statuto  Campania;  artt.   7   e   22   statuto
 Emilia-Romagna,  art. 13 statuto Lazio; art. 28 statuto Liguria; art.
 18 statuto Lombardia; art. 22 statuto Marche: art. 18 statuto Molise;
 art.  18  statuto  Piemonte;  art. 34 statuto Puglia; art. 34 statuto
 Toscana; art. 45 statuto Umbria; art. 24 statuto  Veneto)  che  fanno
 esplicito   riferimento   ad   un   potere   di  inchiesta  regionale
 esercitabile attraverso speciali Commissioni.
    La  legittimita'  dell'istituzione  di  una  Commissione regionale
 d'inchiesta  va,   dunque,   in   primo   luogo,   commisurata   alla
 "strumentalita'"  dei  suoi  poteri  d'indagine,  cioe'  al fatto che
 l'oggetto di tali poteri  sia  tale  da  poter  essere  ricondotto  a
 materie  o  funzioni  di  spettanza  regionale  ovvero a interessi di
 rilievo  regionale,  quali  ad  esempio  quelli  inerenti   al   buon
 funzionamento dei diversi apparati regionali.
    Nella  specie,  l'esame  dei  contenuti  dispositivi  della  legge
 impugnata toglie ogni dubbio  in  ordine  al  fatto  che  l'Assemblea
 regionale, nell'istituire una Commissione parlamentare di inchiesta e
 vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia, abbia inteso conferire
 alla  stessa  poteri  di indagine suscettibili di esplicarsi soltanto
 nei confronti delle "attivita' dell'amministrazione regionale e degli
 enti  sottoposti  al suo controllo", in quanto tali attivita' possano
 risultare inquinate da "infiltrazioni e connivenze mafiose e di altre
 associazioni criminali similari" (cfr. art. 3, comma primo, lett. a).
   L'oggetto  diretto  ed  esclusivo  di  questi  poteri va, pertanto,
 individuato nel funzionamento della amministrazione regionale e degli
 enti  sottoposti al suo controllo, caratterizzandosi, di conseguenza,
 come strumentale rispetto all'esercizio di competenze  proprie  della
 Regione,  quali  quelle indicate nell'art. 14 lett. o), p) e q) dello
 Statuto speciale, con riferimento agli uffici ed al  personale  della
 regione e degli enti sottoposti al suo controllo.
    Ne'  il  carattere  strumentale  dell'attivita'  della Commissione
 potrebbe essere disconosciuto con riferimento ai poteri  di  proposta
 che  vengono  dalla  legge  impugnata affiancati a quelli di indagine
 (cfr. art. 3 lett. e) ed f) ed art. 6 lett. d): anche tali poteri che
 la  legge finalizza al "migliore esercizio della potesta' regionale e
 delle funzioni  attribuite  agli  enti  locali  siciliani"  ovvero  a
 "possibili  iniziative  volte  al  formarsi  ed al diffondersi di una
 cultura antimafiosa nella societa' siciliana" -  risultano,  infatti,
 correlati all'esercizio delle attivita' legislative, amministrative e
 di  controllo  proprie  della  Regione  ovvero  a  quelle  iniziative
 consistenti   nell'enunciazione  di  voti  e  nella  formulazione  di
 progetti  che   l'art.   18   dello   Statuto   speciale   conferisce
 all'Assemblea  regionale  nelle  materie  di  competenza degli organi
 dello Stato suscettibili di interessare la Regione.
    Va,   pertanto,   escluso   che  la  legge  impugnata,  prevedendo
 l'istituzione della Commissione d'inchiesta di cui  e'  causa,  abbia
 per    cio'   stesso   esorbitato   dalla   sfera   di   attribuzioni
 statutariamente spettanti alla regione siciliana.
    3.  -  Del  pari  infondate si presentano le censure formulate nei
 confronti di specifiche norme della legge in esame.
    Per quanto concerne tali censure si puo', infatti, rilevare:
       a)  l'art. 3 lett. c) riferisce la verifica relativa alla piena
 attuazione della legge 13 settembre 1982, n.  646,  nonche'  di  ogni
 altra  legge o provvedimento statale e regionale concernente la lotta
 alla mafia, all'amministrazione regionale, agli enti locali siciliani
 e  ad  ogni  altro ente o istituzione sottoposti alla vigilanza della
 Regione. Tale verifica non  comporta,  peraltro,  l'esercizio  di  un
 potere  "inquisitorio"  di  natura giurisdizionale,mentre investe una
 sfera di soggetti ed apparati riconducibili all'ambito di  competenze
 spettanti  al  legislatore  regionale.  Va  altresi'  escluso  che la
 Commissione istituita dalla Regione siciliana possa aver  determinato
 -  come  si  afferma  nel  ricorso  -  una duplicazione di poteri sul
 medesimo  oggetto  e  per  la   medesima   finalita'   in   relazione
 all'esistenza, in parallelo, della Commissione parlamentare nazionale
 di inchiesta sul fenomeno mafioso istituita con  la  legge  23  marzo
 1988,  n.  94.  I  due  organi di indagine operano, infatti, su piani
 diversi e con poteri diversi (non disponendo la Commissione regionale
 dei poteri conferiti dall'art. 82 della Costituzione alla Commissione
 nazionale), mentre nulla vieta che una stessa realta'  possa  formare
 oggetto, per finalita' diverse, di concorrenti attivita' di carattere
 conoscitivo: e questo tanto piu' ove si  consideri  che  nella  legge
 impugnata  (art. 4) si prevede l'obbligo per la Commissione regionale
 di  tenere  costantemente  informata  della  propria   attivita'   la
 Commissione  nazionale,  anche  al  fine  di avanzare proposte per lo
 svolgimento "di iniziative congiunte nel  rispetto  delle  reciproche
 competenze";
       b)  L'art.  6,  primo  comma, lett. b) autorizza l'audizione da
 parte della Commissione  dei  pubblici  amministratori,  nonche'  dei
 dipendenti  dell'amministrazione regionale e degli enti sottoposti al
 suo controllo. Tale potere di  audizione  non  contrasta  con  alcuna
 norma  di  rango  costituzionale,  dal momento che la Commissione non
 dispone, ai fini del  suo  esercizio,  degli  strumenti  autoritativi
 propri  dell'autorita'  giudiziaria,  ma  puo'  solo  appellarsi agli
 ordinari vincoli di responsabilita'  politica  e  amministrativa  che
 legano  gli  amministratori  e  i  dipendenti  regionali  all'ente di
 appartenenza.
       c)   l'art.   6,   terzo  comma,  consente  la  verifica  della
 Commissione sulla corretta utilizzazione  di  risorse  finanziarie  a
 carico  del  bilancio  della  regione,  degli enti locali siciliani e
 degli enti pubblici regionali, da parte delle imprese private che  ne
 siano  destinatarie,  particolarmente  in relazione all'esecuzione di
 opere pubbliche, alla fornitura  di  beni  e  servizi  alla  pubblica
 amministrazione  nonche'  all'impiego  di finanziamenti pubblici, ivi
 compresi quelli extraregionali, in qualunque forma concessi.
    Anche tale disciplina - ove risulti correttamente interpetrata non
 si  presenta  suscettibile  di  determinare  una  interferenza  della
 Commissione  nei  poteri di prevenzione spettanti all'amministrazione
 statale (ed alla autorita' di polizia in particolare). Il  potere  di
 verifica previsto dalla norma impugnata non puo', infatti, consentire
 una intromissione autoritativa nella sfera di autonomia  dell'impresa
 privata,  comportando  soltanto un'attivita' conoscitiva destinata ad
 accertare dall'esterno la corrispondenza tra la natura  pubblica  del
 finanziamento  concesso  e  la natura pubblica della finalita' per il
 cui  perseguimento  lo  stesso  finanziamento   e'   stato   erogato.
 L'interesse  regionale che giustifica l'intervento risulta, in questo
 caso, individuato sia dalla  provenienza  delle  risorse  finanziarie
 (che sono a carico del bilancio della Regione o degli enti sottoposti
 al controllo regionale), sia dalla natura della  prestazione  cui  e'
 tenuta  l'impresa  privata (esecuzione di opere pubbliche o forniture
 di beni  e  servizi,  da  intendersi  a  favore  dell'amministrazione
 regionale  o  di  enti  sottoposti al controllo della Regione). Entro
 questi  termini  anche  il   richiamo   ai   finanziamenti   pubblici
 extraregionali  espresso  dalla  norma  viene  ad  assumere il valore
 limitato di elemento aggiuntivo di conoscenza, tale da  poter  essere
 riferito  soltanto  a  quei finanziamenti che operano in concorso con
 quelli regionali e che  risultino  destinati  ad  opere  e  forniture
 d'interesse regionale;
       d)  gli  artt. 8 e 9 prevedono che la Commissione possa imporre
 il segreto di  ufficio  su  fatti,  atti  o  documenti  ritenuti  non
 divulgabili  e  che  tale  segreto debba comunque valere per tutte le
 attivita' della Commissione riguardanti i privati e l'esercizio delle
 loro  attivita'  economiche.  Anche  tale  disciplina del segreto non
 incorre nel vizio di costituzionalita' denunciato,  dal  momento  che
 viene  a  operare  entro i limiti ordinari del segreto di ufficio, la
 cui determinazione, per quanto  concerne  l'attivita'  svolta  da  un
 organo regionale quale e' la Commissione, non puo' spettare altro che
 alla valutazione discrezionale della stessa regione.
    Nessuna  delle norme che formano oggetto di impugnative specifiche
 viene, pertanto, a incorrere nei profili di  incostituzionalita'  che
 sono stati denunciati.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 sollevata,con il ricorso di cui  in  epigrafe,  nei  confronti  della
 legge  della  Regione siciliana approvata dall'Assemblea regionale il
 28 luglio 1990, recante "Istituzione di una Commissione  parlamentare
 d'inchiesta  e  vigilanza  sul  fenomeno della mafia in Sicilia", con
 riferimento agli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale  della  Regione
 siciliana  ed  all'art.  97 della Costituzione, anche in relazione ai
 limiti posti dal vigente codice di procedura penale.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: CHELI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0028