N. 11 ORDINANZA 8 - 10 gennaio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Richiesta di rinvio a giudizio -
 Fatti nuovi - Contestazione da parte del p.m. - Necessita' del
 consenso dell'imputato - Norma non incidente il principio della
 obbligatorieta' dell'azione penale - Manifesta infondatezza e
 manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.P. 1988, art. 423, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 24, 27, secondo comma, 97 e 112).
(GU n.3 del 16-1-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 423, comma
 secondo, del codice  di  procedura  penale,  promosso  con  ordinanza
 emessa  il  23  marzo  1990  dal  giudice per le indagini preliminari
 presso il Tribunale di Ancona nel procedimento  penale  a  carico  di
 Rossini  Luigi,iscritta  al  n.  530  del  registro  ordinanze 1990 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  36,  prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Cheli;
    Ritenuto  che  nel  procedimento  penale a carico di Luigi Rossini
 imputato del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v., 476, 479, 61  n.  2
 c.p., del delitto di cui agli artt. 347, 61 n. 9 c.p., del delitto di
 cui agli artt. 640, secondo comma n. 1, 61 n.  9  c.p.,  nonche'  del
 delitto  di  cui  all'art.  324  c.p.,  il  giudice  per  le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 23 marzo
 1990,  ha  sollevato  d'ufficio - in riferimento agli artt. 112, 24 e
 27, secondo comma, Cost. - questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  423,  secondo  comma, del nuovo codice di procedura penale
 nella  parte  in  cui  assoggetta  al   consenso   dell'imputato   la
 contestazione,  da  parte  del pubblico ministero, di fatti nuovi non
 enunciati nella richiesta di rinvio a giudizio;
      che,  ad  avviso  del  giudice remittente, la norma impugnata si
 porrebbe "in esplicito contrasto con l'art.  112  della  Costituzione
 che  sancisce  l'obbligatorieta'  di  esercizio dell'azione penale da
 parte del pubblico ministero, a prescindere dal  momento  storico  ed
 effettivo  in  cui  detta  azione,  gia'  esercitata  originariamente
 tramite la richiesta di decreto ex art. 419,  prosegua  o  meglio  si
 perfezioni  ex art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura
 penale";
      che,   sempre  secondo  il  giudice  remittente,  risulterebbero
 altresi' violati gli artt. 24 e 27, secondo comma, Cost.  poiche'  la
 norma  denunciata  farebbe  dipendere  il  diritto  di  difesa "dalla
 disponibilita' dell'imputato  e  quindi  da  un  eccesso  dell'altrui
 difesa del tutto sproporzionato rispetto al principio del "favor rei"
 di cui all'art. 27, secondo comma, Cost.";
      che   l'ordinanza   di   rinvio  del  23  marzo  1990  e'  stata
 successivamente "integrata" da un ulteriore atto dello stesso giudice
 remittente,  denominato  "postilla  critico-motiva", che reca la data
 del 27 marzo 1990;
      che  in quest'ultimo atto il giudice a quo, pur riconoscendo che
 l'azione penale non puo'  essere  comunque  paralizzata  dal  mancato
 consenso   dell'imputato   alle   nuove  contestazioni  del  pubblico
 ministero, sostiene che l'azione penale verrebbe comunque  ad  essere
 ritardata  e procrastinata nel tempo, in contrasto con le esigenze di
 economia processuale e di funzionalita' di  cui  all'art.  97,  primo
 comma, Cost.;
      che  lo  stesso ha disposto la notificazione, la comunicazione e
 la trasmissione alla Corte anche dell'atto in  data  27  marzo  1990,
 qualificandolo come "motivazione integrativa, avente riferimento "per
 incidens" all'art. 97, primo comma, Cost.";
      che  nel  giudizio  dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
 dichiarata inammissibile per difetto  di  rilevanza  e  comunque  non
 fondata;
    Considerato  che  l'art.  423,  secondo comma, del nuovo codice di
 procedura penale detta la disciplina delle "nuove contestazioni"  nel
 corso  dell'udienza  preliminare, stabilendo che "se risulta a carico
 dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di  rinvio
 a  giudizio, per il quale si debba procedere d'ufficio, il giudice ne
 autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e
 vi e' il consenso dell'imputato";
      che  tale disposizione non viola il principio di obbligatorieta'
 dell'azione penale sancito dall'art. 112 Cost.  poiche'  il  pubblico
 ministero  -  quando  nel  corso  dell'udienza  preliminare risulti a
 carico  dell'imputato  un  fatto  nuovo  che   configuri   un   reato
 perseguibile  d'ufficio  - puo' solo scegliere se esercitare per tale
 fatto  un'azione  penale  separata  o  procedere,  con  il   consenso
 dell'imputato, alla nuova contestazione nell'ambito del processo gia'
 in corso, con conseguente trattazione unitaria delle due imputazioni;
      che neppure sono violati gli artt. 24 e 27, secondo comma, Cost.
 in  quanto  la  norma  impugnata  -  nel  subordinare   al   consenso
 dell'imputato  la  possibilita'  di  nuove  contestazioni  nel  corso
 dell'udienza preliminare - mira proprio ad evitare il pregiudizio  al
 diritto   di   difesa   dell'imputato  che  potrebbe  derivare  dalla
 inaspettata  contestazione  di  fatti  nuovi  non   enunciati   nella
 richiesta di rinvio a giudizio;
      che   pertanto  vanno  dichiarate  manifestamente  infondate  le
 questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  423,  secondo
 comma,  del nuovo codice di procedura penale sollevate in riferimento
 agli artt. 112, 24 e 27,  secondo  comma,Cost.  dal  giudice  per  le
 indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona;
      che  e'  manifestamente  inammissibile  l'ulteriore questione di
 legittimita'  costituzionale  proposta  dallo  stesso   giudice,   in
 relazione  all'art.  97  Cost.,  con  atto  in  data  27  marzo 1990,
 successivo ed aggiuntivo rispetto all'originaria ordinanza di rinvio:
 e  cio' in quanto tale questione risulta sollevata quando il processo
 a quo era gia' stato sospeso ed il giudice aveva ormai  consumato  il
 suo  potere  di  sollevare  questioni  di legittimita' costituzionale
 concernenti la norma gia' denunciata.
    Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudici davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 423, secondo  comma,  del  nuovo  codice  di
 procedura  penale  sollevata  in  relazione  agli artt. 112, 24 e 27,
 secondo  comma,  della  Costituzione  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari   presso  il  Tribunale  di  Ancona  con  l'ordinanza  in
 epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 423, secondo comma,  del  nuovo
 codice  di procedura penale sollevata, in relazione all'art. 97 della
 Costituzione, dallo stesso giudice con atto in data 27 marzo 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: CHELI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0035