N. 16 SENTENZA 11 - 18 gennaio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Regione- Regione Lombardia- Funzionari- Condanna per reati contro la
 p.a.- Destituzione di diritto- Mancata valutazione preventiva della
 rilevanza disciplinare del fatto commesso- Richiamo alla sentenza n.
 40/1990- Automaticita' di un provvedimento offensivo del principio
 di proporzione della sanzione al caso concreto Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (Legge regione Lombardia 25 maggio 1983, n. 44, art. 26, primo comma,
 lett.  a))
 
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.4 del 23-1-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Luigi MENGONI, prof.
 Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26, primo
 comma, lett. a), della legge  regionale  della  Lombardia  25  maggio
 1983,  n.  44  (Destituzione  di  diritto  di  dipendente regionale a
 seguito di condanna penale), promosso  con  ordinanza  emessa  il  29
 marzo  1990 dal T.A.R. per la Lombardia sul ricorso proposto da Marro
 Dante contro la Regione Lombardia, iscritta al n.  537  del  registro
 ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 36, prima serie speciale dell'anno 1990;
     Udito  nella  camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  29  marzo  1990 il Tribunale Amministrativo
 Regionale per la Lombardia - Sezione terza - sollevava  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  26,  primo  comma, lett. a),
 della legge regionale della Lombardia  25  maggio  1983,  n.  44,  in
 riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
     Riferiva  il  Tribunale  nell'ordinanza  che  il Presidente della
 Regione aveva destituito, con decreto 18  marzo  1987,  n.  3304,  un
 funzionario   della   Regione   perche'   condannato,   con  sentenza
 definitiva, per il delitto di truffa aggravata ai danni della Regione
 stessa,  nonche'  di  falso  ideologico  continuato in atto pubblico:
 reati comportanti la destituzione di diritto, a' sensi  dell'art.  26
 sopra citato.
     Ricorreva,  pero',  il  funzionario  deducendo  come unico motivo
 l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  regionale   posta   a
 fondamento  della  sanzione  espulsiva, perche' non prevede un previo
 procedimento disciplinare. Il che rappresentava offesa  al  principio
 di  cui  all'art.  3  della  Costituzione  per  carenza  di qualunque
 criterio di adeguatezza di una sanzione unica e automatica alla varia
 gravita' e natura degl'illeciti elencati dalla norma impugnata.
     D'altra  parte,  l'allontanamento  automatico  di  un dipendente,
 senza alcuna  valutazione  della  rilevanza  disciplinare  del  fatto
 commesso,  non  era  nemmeno  compatibile  con  il principio di buona
 amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.
     1.2.  -  Nelle  more  del  giudizio,  interveniva  la sentenza 14
 ottobre 1988, n. 971, di questa Corte che dichiarava l'illegittimita'
 costituzionale  di  numerose  norme  statali  di  contenuto analogo a
 quello di cui all'art. 26 impugnato, e proprio nella parte in cui non
 prevedono l'apertura e lo svolgimento di un procedimento disciplinare
 in luogo della destituzione di diritto.
     A seguito di cio', i legislatori statale e regionale adeguavano i
 rispettivi ordinamenti alla detta pronuncia,  con  legge  7  febbraio
 1990,  n.  19,  e  con  l.  reg.  13  febbraio  1990, n. 10, abolendo
 l'istituto  della  destituzione  di  diritto  e  disponendo  che   il
 provvedimento  di destituzione possa essere assunto solo a seguito di
 procedimento disciplinare.
     Ambo le leggi, poi, prevedevano che i dipendenti, precedentemente
 destituiti di diritto,  potevano  essere  riammessi  in  servizio,  a
 domanda, previo procedimento disciplinare.
    2.  -  Secondo  l'ordinanza,  tuttavia,  tali eventi non avrebbero
 capacita'  d'influenzare  il  presente  giudizio,   ne'   sul   piano
 sostanziale ne' su quello processuale.
     Non  sul  piano sostanziale, perche' la citata sentenza di questa
 Corte, pur riguardando norme di analogo tenore, come l'art. 85, lett.
 a), del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, non ha travolto, pero', l'art. 26
 impugnato. Ben e' vero che successivamente si e' avuta  l'abrogazione
 della  norma, ad opera della citata legge regionale n. 10 del 1990, e
 prima ancora in virtu' della richiamata legge statale n. 19 del 1990,
 ma  queste  leggi  non  producono effetti se non "ex nunc". Di qui la
 validita' dei provvedimenti assunti sulla base della legge impugnata,
 e quindi anche della destituzione de qua.
     Non   sul   piano   processuale   perche',  nonostante  la  norma
 transitoria, la riammissione in servizio non consegue alla domanda ma
 soltanto  all'esito  favorevole  del  giudizio  disciplinare:  mentre
 l'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'  della  norma,  facendo
 decadere  "ex  tunc"  il provvedimento destitutorio, consentirebbe al
 ricorrente di riassumere servizio,  salvo  l'esito  del  procedimento
 disciplinare.
     Si tratterebbe - conclude l'ordinanza - di un'utilita' autonoma e
 piu' ampia rispetto a quella assicurata dalla norma transitoria.
     Nessuno  e'  intervenuto  o si e' costituito nel giudizio innanzi
 alla Corte.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  sollevata e' incentrata essenzialmente sulla
 rilevanza della richiesta declaratoria d'illegittimita'  della  norma
 impugnata  a  fronte  di  una  legge  sopravvenuta, che non solo l'ha
 abrogata, ma ha anche predisposto un complesso di  norme  transitorie
 che consente a chi fosse stato destituito di diritto in precedenza di
 poter  essere  riassunto,  a  domanda,  all'esito  favorevole  di  un
 procedimento disciplinare.
     2.   -   Come  osserva  esattamente  l'ordinanza  di  rimessione,
 nonostante l'abrogazione della norma impugnata, persiste  l'interesse
 del  ricorrente  ad  ottenere la dichiarazione d'illegittimita' della
 norma, che non e' stata contemplata dalla sentenza 14  ottobre  1988,
 n.   971,   di   questa   Corte.  Proprio  per  questo,  infatti,  il
 provvedimento destitutorio assunto  dalla  Pubblica  amministrazione,
 sulla  base  di  una norma che all'epoca era ancora vigente, conserva
 tuttora  la  sua  validita'  perche'   l'abrogazione   della   norma,
 sopravvenuta  in  epoca  successiva,  fa  cessare  la vigenza solo da
 quest'ultimo momento, e  non  elimina,  percio',  il  fondamento  del
 provvedimento assunto in allora.
     Ne consegue che, nonostante la citata sentenza di questa Corte, e
 la successiva abrogazione della norma impugnata da parte della  legge
 regionale,   il  ricorrente  conserva  la  situazione  soggettiva  di
 "destituito di diritto", e la norma transitoria gli consente soltanto
 di  "chiedere"  la  riammissione in servizio, ma non di ottenerla, se
 non dopo avere favorevolmente superato il procedimento  disciplinare.
 Procedimento  che, fra termine per iniziarlo e termine per definirlo,
 puo' giungere a conclusione anche dopo 180 giorni, durante i quali il
 ricorrente  resterebbe  pur sempre nella condizione di "destituito di
 diritto".
     Al  contrario,  ove  la  norma  fosse  dalla Corte delegittimata,
 cadrebbe al contempo "ex tunc" il provvedimento  assunto  sulla  base
 della  norma dichiarata illegittima, e il ricorrente si troverebbe di
 nuovo automaticamente in servizio, salva l'iniziativa della  pubblica
 amministrazione in ordine al procedimento disciplinare.
     Quand'anche  fosse  applicabile nei suoi confronti il terzo comma
 dell'art. 2 della legge reg.  Lombardia  13  febbraio  1990,  n.  10,
 secondo cui, quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a
 causa del procedimento penale  (e,  nella  specie,  c'e'  stata),  la
 stessa  conserva  efficacia,  se  non  revocata, cio' non influirebbe
 sulla posizione giuridica di impiegato in  costanza  di  rapporto  di
 servizio,  sia  pure  sospeso, sicuramente piu' favorevole rispetto a
 quella di impiegato destituito.  La  rilevanza,  pertanto,  non  puo'
 essere negata.
     3.  - Nel merito, non puo' esservi dubbio che la norma denunciata
 presenti gli stessi aspetti di incompatibilita', rispetto all'art.  3
 della  Costituzione,  che  questa  Corte  ha  rilevato  nei  riguardi
 dell'art. 85, lett. a), d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3  (Statuto  degli
 impiegati  civili  dello  Stato), e delle altre norme di cui e' stata
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale con la citata sentenza  14
 ottobre  1988,  n.  971, peraltro ribadita con la sentenza 31 gennaio
 1990   n.   40.   In   ambo   le   decisioni,   la   nota   dominante
 dell'incompatibilita'     costituzionale     e'    stata    ravvisata
 nell'automatismo della sanzione della  "destituzione"  che  colpisce,
 senza   alcuna   distinzione,   la  molteplicita'  dei  comportamenti
 possibili nell'area dello stesso illecito penale. Il che offende quel
 "principio  di  proporzione"  che e' alla base della razionalita' che
 domina "il principio di eguaglianza",  e  che  postula  l'adeguatezza
 della  sanzione  al  caso  concreto.  Adeguatezza che non puo' essere
 raggiunta  se  non  attraverso   la   valutazione   degli   specifici
 comportamenti   messi   in   atto   nella  commissione  dell'illecito
 amministrativo, che soltanto il procedimento disciplinare consente.
    L'automatismo  della  massima sanzione e', percio', la causa prima
 dell'illegittimita' della  norma  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione.  La  violazione  di questo parametro, d'altra parte, e'
 assorbente della incompatibilita' che l'ordinanza denuncia  anche  in
 riferimento all'art. 97 della Costituzione, giacche', in questi casi,
 alla base dell'offesa ai valori di  imparzialita'  e  buon  andamento
 della pubblica amministrazione c'e' pur sempre quell'inadeguatezza al
 caso  concreto  che  sostanzia  la  violazione   del   principio   di
 eguaglianza.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 26, primo comma,
 lett. a), della legge regionale della Lombardia 25  maggio  1983,  n.
 44.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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