N. 17 SENTENZA 11 - 18 gennaio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Forze armate- disciplina militare- Cessazione della ferma volontaria
 o rafferma per motivi disciplinari- Ingiustificata disparita' di
 trattamento procedurale tra sanzioni di Corpo e sanzioni di stato-
 Irrazionalita' della norma che non preveda il diretto deferimento a
 commissione di disciplina - Lesione del diritto di eguaglianza  -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 31 luglio 1954, n. 599, art. 66, primo comma, secondo inciso).
 
 (Cost., art. 3).
 
 Forze armate - Disciplina militare - Cessazione dalla ferma
 volontaria o rafferma per motivi disciplinari - Procedimento
 disciplinare militare - Obbligatorieta' dell'assistenza da parte  di
 un difensore - Previsione di una facolta' con esclusione
 dell'obbligatorieta' - Non fondatezza.
 
 (Legge 31 luglio 1954, n. 599, artt. 67 e 74, primo comma).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.4 del 23-1-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Luigi MENGONI, prof.
 Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 66, 67, 73,
 primo comma, e 74, primo comma, della legge 31 luglio  1954,  n.  599
 (Stato    dei    sottufficiali    dell'Esercito,   della   Marina   e
 dell'Aereonautica), promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio  1990
 e  27  febbraio 1990 dal T.A.R. per la Lombardia sul ricorso proposto
 da Lucci Paolo contro il Ministero della Difesa iscritta, al  n.  569
 del  registro  ordinanze  1990  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 39, prima serie speciale dell'anno 1990;
    Visto   l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
     Udito  nella  camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza 27 febbraio 1990, il Tribunale Amministrativo
 Regionale per la  Lombardia  -  Sez.  3›  -  sollevava  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 66, 67, 73 primo comma, 74,
 primo  comma,  della  legge  31  luglio  1954,  n.  599  (Stato   dei
 sottufficiali  dell'Esercito,  della  Marina e dell'Aereonautica), in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione.
     Riferiva l'ordinanza che il Ministro della Difesa, con decreto 27
 ottobre 1983, n. 4232, collocava in congedo  illimitato  un  Sergente
 dell'Aereonautica,  in ferma volontaria, a causa di "cessazione della
 ferma per motivi disciplinari". Era accaduto  che  il  Sergente,  nel
 contesto   di  un  banale  litigio,  aveva  offeso  e  minacciato  un
 sottufficiale di grado piu' elevato, in presenza di  altri  militari.
 Il  processo  penale  avviato dall'Autorita' giudiziaria militare era
 stato dichiarato  improcedibile  per  mancanza  della  richiesta  del
 Comandante del Corpo.
     Era  stata  disposta  allora  una  formale inchiesta di carattere
 disciplinare, che si era  conclusa  con  il  ricordato  provvedimento
 ministeriale: avverso il quale l'interessato aveva interposto ricorso
 al T.A.R. per vari motivi, che il Tribunale aveva respinto,  salvo  a
 far  propria  e sollevare la questione di legittimita' costituzionale
 di cui s'e' detto.
    1.2. - L'ordinanza, da una parte, assume a "tertium comparationis"
 la legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla  disciplina
 militare)  che,  agli  artt.  13,  14  e  15,  prevede  le  "sanzioni
 disciplinari di corpo"; e, dall'altra, all'interno stesso della legge
 31  luglio  1954,  n.  599,  impugnata, pone a raffronto l'ipotesi in
 esame (art. 63, lett. c), in relazione  al  primo  inciso  del  primo
 comma  dell'art.  66)  con  quella per cui e' prevista la perdita del
 grado (art. 63, lett. d), in relazione al  secondo  inciso  dell'art.
 66).
     Quanto  alla  prima  comparazione, rileva il Tribunale rimettente
 che, mentre per la sanzione disciplinare di corpo della  consegna  di
 rigore l'art. 15 della legge n. 382 del 1978 prevede il parere di una
 Commissione collegiale, e l'obbligatoria assistenza di un  difensore,
 invece  per  un  provvedimento espulsivo, che fa cessare in tronco il
 rapporto di servizio del sottufficiale, come  quello  inflitto  nella
 specie,  sono  escluse  le  dette  garenzie:  ed  il provvedimento e'
 assunto discrezionalmente  dal  Ministro  a  seguito  della  proposta
 formulata  dall'Autorita'  militare  sulla  base delle conclusioni di
 un'inchiesta condotta da un ufficiale inquirente.
    Secondo  il  Tribunale,  la  consegna  di  rigore,  che si risolve
 nell'ambito della disciplina senza alcuna conseguenza in ordine  alla
 prosecuzione del rapporto, va considerata meno grave della cessazione
 della ferma volontaria (o della rafferma)  per  motivi  disciplinari,
 che  comporta  la  risoluzione del rapporto di servizio: e, tuttavia,
 solo in ordine alla prima, la legge n. 382 del 1978  prevede  per  il
 militare la duplice garenzia del procedimento disciplinare innanzi ad
 apposita  Commissione  (organo  collegiale   distinto   ed   autonomo
 dall'autorita' militare) e l'assistenza obbligatoria di un difensore.
    Pari   discriminatorio   trattamento  differenziato  si  verifica,
 peraltro - osserva l'ordinanza - all'interno della  stessa  legge  n.
 599   del   1954,  per  la  quale  militari  della  stessa  categoria
 (sottufficiali in ferma volontaria o in rafferma), passibili  per  le
 stesse  mancanze  di  identica  sanzione  espulsiva (cessazione della
 ferma), siano sottoposti a procedura disciplinare  piu'  garentistica
 (Commissione di disciplina e facolta' di assistenza tecnica) soltanto
 nel caso che  al  provvedimento  espulsivo  si  accompagni  anche  la
 perdita  del  grado.  Mentre  -  secondo il Tribunale remittente - il
 momento piu' grave delle rispettive sanzioni e' quello  comune  della
 risoluzione del rapporto di servizio.
    Tutto  questo  appare  illogico ed irrazionale al giudice a quo e,
 come tale, incompatibile con il principio di eguaglianza  ex  art.  3
 della Costituzione.
    Del  resto  -  si  osserva  -  la  cognizione della Commissione di
 disciplina costituisce il naturale  sviluppo  dell'inchiesta  formale
 (preordinata alla mera acquisizione di elementi istruttori) anche nel
 settore dell'impiego  civile,  dove  e'  prevista  con  carattere  di
 generalita' per gli illeciti piu' gravi.
    Si  chiede,  percio', alla Corte una declaratoria d'illegittimita'
 degli articoli denunciati,  nella  parte  in  cui  non  prevedono  il
 giudizio  disciplinare  innanzi  alla  Commissione  di  disciplina  e
 l'assistenza obbligatoria di un difensore anche per il  sottufficiale
 passibile  della  sanzione  di  stato  di  cui  all'art. 40 lett. c),
 richiamata dall'art. 63, lett. b) (cessazione della ferma per  motivi
 disciplinari).
    2.  -  E'  intervenuto  nel  giudizio  innanzi  a  questa Corte il
 Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura
 Generale  dello  Stato,  che  ha  chiesto  dichiararsi  infondata  la
 questione.
    Secondo   l'Avvocatura   "non  si  rinvengono  nelle  disposizioni
 denunciate elementi di irrazionalita' o di ingiustificata  disparita'
 di  trattamento,  trattandosi  di disciplina differenziata rispetto a
 situazioni giuridiche e fattuali diverse". Il  legislatore,  percio',
 avrebbe  esercitato,  in  ordine  a quelle diverse situazioni, il suo
 insindacabile potere discrezionale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  la Lombardia
 lamenta che la sanzione disciplinare di stato della "cessazione della
 ferma  per  motivi disciplinari", contemplato per i sottufficiali dei
 tre corpi dall'art. 63 lett. b) della legge 31 luglio 1954,  n.  599,
 non  preveda,  negli articoli impugnati, un procedimento disciplinare
 garentistico  affidato  alla  cognizione  di   una   Commissione   di
 disciplina,  innanzi a cui l'inquisito debba essere obbligatoriamente
 assistito da un difensore.
    Garanzie  che,  invece,  sono  concesse,  nell'ambito della stessa
 legge, quando alla "cessazione della ferma", debba  accompagnarsi  la
 perdita  del  grado:  oppure, nel caso delle sanzioni disciplinari di
 corpo, contemplate dalla legge 11 luglio 1978, n. 382,  quando  debba
 essere inflitta la "consegna di rigore".
    Rileva  il  giudice  rimettente  che,  nel primo caso, la gravita'
 nelle due distinte sanzioni e' rappresentata dalla comune "cessazione
 della  ferma"  che  risolve  il  rapporto  di  servizio  e cagiona al
 sottufficiale  il  collocamento  in  congedo.  Sicche'   non   appare
 razionale  l'attribuzione  di  garanzie nel procedimento disciplinare
 soltanto quando alla risoluzione del rapporto s'accompagni la perdita
 del grado.
    Quanto  poi  alla "consegna di rigore", si tratterebbe di sanzione
 di corpo che si risolve tutta nell'ambito disciplinare  senza  alcuna
 conseguenza  sul  rapporto di servizio, sicche' non puo' comunque non
 essere considerata meno grave rispetto  al  provvedimento  espulsivo,
 anche  se  le  due  sanzioni  sono  di  specie diversa, ma pur sempre
 attinenti alla disciplina.
    Deriverebbe da tali rilievi l'illogicita' e l'irrazionalita' delle
 norme denunciate in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    L'Avvocatura  Generale  dello Stato, intervenuta in rappresentanza
 del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  ha  chiesto  che  la
 questione sia dichiarata infondata, trattandosi di situazioni diverse
 su cui il legislatore ha esercitato le sue scelte discrezionali.
    2. - In realta', che le situazioni poste a raffronto dal Tribunale
 rimettente  presentino  delle  diversita'  rispetto  alla  situazione
 oggetto  dell'ordinanza  di  rimessione,  non  puo'  essere  messa in
 dubbio. L'una, la consegna di rigore, appartiene addirittura  ad  una
 specie  diversa di sanzioni disciplinari (le sanzioni di corpo) ed e'
 contemplata da distinta legge (la  n.  382  del  1978);  l'altra,  la
 perdita  del grado per rimozione, prevista alla lett. d) dell'art. 63
 della legge n. 599 del 1954, appartiene bensi' alla stessa specie  di
 sanzioni di stato, ma ha caratteri ed effetti diversi.
    Senonche',  trattandosi  pur sempre di sanzioni che attengono alla
 disciplina, non e' la sussistenza di una mera  diversita'  sul  piano
 formale che puo' giustificare un trattamento differenziato, dovendosi
 considerare  altresi'  le  conseguenze  che  le  rispettive  sanzioni
 determinano sul piano sostanziale dello "status" del sottufficiale.
    Orbene,  per la sanzione di corpo rappresentata dalla "consegna di
 rigore" e' giusto che sia prevista la maggiore delle garanzie,  quale
 il procedimento disciplinare innanzi ad una Commissione di disciplina
 e l'obbligatoria assistenza di un difensore. Si tratta,  infatti,  di
 una  sanzione che limita la liberta' personale del sottufficiale fino
 ad un massimo di quindici giorni, anche se di norma  li  trascorrera'
 nel suo alloggio.
    Detto  questo,  pero', deve riconoscersi che e' pure nel giusto il
 Tribunale a quo quando considera che, tuttavia, ogni  conseguenza  di
 questa   sanzione   si  risolve  nell'ambito  della  disciplina,  con
 privazione d'uscita per qualche giorno, senza  alcuna  incidenza  sul
 rapporto  di  servizio,  che  resta  intatto,  ne'  sui diritti della
 quiescenza.
    Mentre  sicuramente  piu'  grave  di una punizione disciplinare di
 corpo, qualunque essa sia, e' la perdita  definitiva  dell'impiego  a
 causa   della   cessazione   della   ferma,   disposta  dal  Ministro
 discrezionalmente sulla base di un'inchiesta condotta da un ufficiale
 inquirente, designato dal Comando da cui il militare dipende.
    Altrettanto  dicasi  per  l'altra  sanzione  disciplinare di stato
 (pure assistita dalle maggiori garenzie), vale a dire "la perdita del
 grado  per  rimozione",  prevista alla lett. d) dello stesso art. 63,
 che richiama il primo comma, n. 6, dell'art. 60.
   A  proposito  di  questa  sanzione,  tuttavia,  non e' che essa sia
 applicabile - come mostra di ritenere l'ordinanza di rimessione  "per
 un  illecito  suscettibile  di  comportare, in aggiunta alla sanzione
 espulsiva, la  perdita  del  grado".  In  realta',  come  chiaramente
 risulta  dall'art.  40,  primo comma, lett. i) (sempre della legge n.
 599 del 1954), la sanzione espulsiva e' conseguenza della perdita del
 grado.  D'altra  parte,  le corrispettive ulteriori conseguenze delle
 due sanzioni sono poi le stesse, giacche' per entrambi e' prevista la
 perdita  del premio di congedamento (art. 42 della legge), salvo che,
 per anzianita' di servizio, il  sottufficiale  non  abbia  conseguito
 diritto a pensione.
    Semmai  e'  da  ricordare che stranamente il sottufficiale cessato
 dalla  ferma  volontaria  per  motivi  disciplinari  (lettera  "  b)"
 dell'art.  40)  non  puo'  fare  domanda  di  impiego civile a' sensi
 dell'art. 57, perche' vi osta il disposto del primo  comma  dell'art.
 58,  mentre  lo  potrebbe colui che e' cessato dalla ferma a causa di
 perdita del grado per rimozione, giacche' il detto comma dell'art. 58
 non lo contempla.
    A  parte  siffatta  anomalia,  comunque,  e'  certo che l'illecito
 disciplinare che comporta la perdita del grado non puo' non rivestire
 maggiore  gravita' rispetto ai "motivi disciplinari" che portano alla
 semplice  cessazione  della  ferma,  dato  che  "gli   altri   motivi
 disciplinari"  che  possono determinare la perdita del grado a' sensi
 del n. 6 dell'art. 60 sono posti  dalla  legge  in  alternativa  alla
 "violazione   del   giuramento",   e  percio'  rivestono  equivalente
 gravita'.
    3.  -  E,  tuttavia,  l'irrazionalita'  messa  in luce dal giudice
 rimettente sussiste perche' la  sola  apprezzabile  differenza  negli
 effetti  delle  due  distinte  sanzioni  e'  data dal disposto di cui
 all'art. 41 della ripetuta legge n. 599 del 1954, secondo il quale il
 sottufficiale  che  cessa  dal servizio prima del termine della ferma
 volontaria per una delle cause previste dall'art. 40  (eccettuata  la
 perdita  del grado) viene collocato nella categoria dei sottufficiali
 di complemento: mentre  cio'  non  puo'  ovviamente  avvenire  se  il
 sottufficiale  e'  stato ridotto alla condizione di soldato. Sicche',
 in sostanza, pur con i rilievi che sopra sono stati espressi, e'  nel
 vero  l'ordinanza  di rimessione quando sottolinea che il deferimento
 alla Commissione di disciplina  e  l'assistenza  del  difensore  sono
 concessi unicamente in vista della perdita del grado.
    Ora,  si  puo'  comprendere  che - specie nel 1954 - l'ordinamento
 militare considerasse preminentemente dannosa la perdita  del  grado.
 Sta  di  fatto,  pero',  che  nella  realta'  la differenza si riduce
 all'aspetto  morale  di  conseguire  o  non  la  collocazione   nella
 categoria  dei  sottufficiali  di  complemento, senza alcun beneficio
 economico: aspetto morale peraltro recuperabile a domanda,  e  previo
 parere favorevole del Tribunale Supremo militare (oggi della Speciale
 Sezione della Corte di Cassazione), quando l' ex sottufficiale  abbia
 conservato  ottima  condotta  morale  e civile per almeno cinque anni
 dalla data della rimozione. In tal caso, infatti,  egli  puo'  essere
 reintegrato nel grado (art. 62, n. 3, legge n. 599 del 1954).
    Cio'  che  resta,  pertanto,  di  veramente grave e definitivo per
 entrambi i casi e' la comune risoluzione del rapporto di  servizio  e
 il  collocamento  in  congedo. Ma singolarmente soltanto colui che ha
 commesso  l'illecito  piu'  grave  godra'  della   garenzia   di   un
 procedimento  innanzi  alla  Commissione  di  disciplina  dove potra'
 essere assistito da un difensore; chi, invece, ha commesso infrazioni
 meno   gravi   sara'  affidato  senza  difesa  all'inchiesta  formale
 dell'ufficiale inquirente, sulle cui risultanze poi  l'Autorita'  che
 l'ha  disposta  formulera' le sue proposte al Ministro o assumera' le
 decisioni di sua competenza. E, tuttavia, quest'ultimo potra'  subire
 la  stessa  sostanziale  grave  sanzione della cessazione della ferma
 volontaria  e  conseguente  collocamento  in  congedo  ad  opera   di
 discrezionale provvedimento del Ministro che, a sua volta, non potra'
 che riferirsi -  com'e'  avvenuto  nella  specie  -  alle  risultanze
 dell'inchiesta formale.
    Certo,  il Ministro puo' anche, volendo, investire la Commissione,
 ma e' un potere assolutamente discrezionale, di fronte  al  quale  il
 sottoposto ad inchiesta non ha alcuna garanzia.
    Per  tutte le ragioni fin qui espresse la doglianza dev'essere per
 gran parte accolta, dovendosi ritenere  che  la  situazione  attuale,
 cosi'   come   prevista   nell'art.  66  della  legge  impugnata,  e'
 sicuramente lesiva  del  principio  di  eguaglianza,  anche  nel  suo
 essenziale   aspetto   di   razionalita'.   Del  resto,  nel  settore
 dell'impiego civile, quando l'inchiesta disciplinare abbia  messo  in
 evidenza  elementi che possono comportare la risoluzione del rapporto
 d'impiego, e' previsto il giudizio di una Commissione  di  disciplina
 che garentisca un giusto processo e l'assistenza di un difensore.
    Ne'  sono ravvisabili ragioni particolari all'ordinamento militare
 per ritenere che si debba prescindere dall'osservanza di un principio
 che  assicura  sostanzialmente,  per  il suo innegabile collegamento,
 anche  l'imparzialita'   e   il   buon   andamento   della   pubblica
 amministrazione,  sul che non puo' negativamente incidere l'apparente
 precarieta' del rapporto di servizio, basata su  ferma  volontaria  e
 rafferma.  Innanzitutto perche' quel rapporto, cosi' come costituito,
 fonda nel volontario il buon diritto  al  suo  mantenimento  fino  al
 naturale   termine   di   scadenza  sicche',  per  dimetterlo  prima,
 l'amministrazione  deve  garentirgli  il  giusto  procedimento  e  la
 difesa.  Tanto  piu'  poi  che,  a  garentire  il particolare spirito
 dell'amministrazione militare, sono pur sempre militari i  componenti
 della Commissione di disciplina, e militare e' lo stesso difensore.
    Ma,  in  secondo  luogo,  anche  perche'  solo  apparentemente  il
 rapporto e' precario: in  realta'  il  volontario,  mantenendo  buona
 condotta,  puo'  raggiungere, attraverso successive rafferme, anni di
 servizio tali  da  assicurargli  il  trattamento  pensionistico,  non
 diversamente dai sottufficiali in servizio permanente.
    4.  -  E'  necessario,  tuttavia,  sottoporre ad attento esame gli
 articoli impugnati per decidere  se  l'accoglimento  della  sollevata
 questione li riguardi effettivamente tutti.
    Si  e' gia' accennato che la parziale illegittimita' va senz'altro
 dichiarata in ordine all'art. 66 della legge che, nel secondo  inciso
 del  primo  comma,  limita  il  diretto  deferimento a Commissione di
 disciplina,  da  parte  dell'Autorita'  militare  che   ha   disposto
 l'inchiesta,  al  solo  caso  in  cui  si  ritenga  il  sottufficiale
 passibile di perdita del grado: e va da se' che, una  volta  inserita
 nel  detto  inciso  anche  l'ipotesi  della  "cessazione  della ferma
 volontaria  o  della  rafferma  per  motivi  disciplinari",  restera'
 eliminata  automaticamente  dal primo inciso la lettera "b" dell'art.
 63 ivi  richiamato,  che  e'  appunto  la  sanzione  trasferita  alla
 disciplina del secondo inciso.
    Non  si  vede,  invece,  in che consista l'asserita illegittimita'
 dell'art. 67, che stabilisce una regola  generale  garentistica,  cui
 deve  ispirarsi  anche  il  Ministro  nell'esercizio  della  facolta'
 prevista nel primo inciso del primo comma dell'art. 66, di cui si  e'
 teste'  parlato.  Un'inesistente illegittimita', dunque, cui comunque
 non avrebbe piu' alcun interesse chi ottiene la correzione  dell'art.
 66 nei sensi sopra precisati.
    Altrettanto  deve  dirsi per l'art. 73 che, una volta ottenute per
 la sanzione in esame le garenzie  di  un  procedimento  innanzi  alla
 Commissione  di disciplina, diventa automaticamente applicabile anche
 al caso di specie:  la  questione,  percio',  resta  assorbita  nella
 declaranda illegittimita' in parte qua dell'art. 66.
    Quanto  alla  questione  relativa  all'assistenza obbligatoria del
 difensore, deve dirsi innanzitutto che essa non  potrebbe,  comunque,
 essere  riferibile  all'art.  74, ma semmai all'art. 73 dove si parla
 appunto della facolta' del sottufficiale di farsi  assistere  innanzi
 alla  Commissione  da  un  difensore  da  lui  scelto o, in mancanza,
 designato dal Presidente della Commissione di  disciplina.  Senonche'
 la  questione  non  puo'  essere  accolta,  sia  perche' l'assistenza
 obbligatoria di un difensore, prevista per la  sanzione  disciplinare
 di  corpo  della  "consegna  di  rigore" dall'art. 15, secondo comma,
 della legge 11 luglio 1978, n. 382, attiene al principio di  liberta'
 personale, garentito dall'art. 13 della Costituzione, che la consegna
 di rigore coinvolge: sia perche',  fuori  di  questa  ipotesi,  anche
 l'ordinamento  degli impiegati civili dello Stato, che l'ordinanza di
 rimessione  pure  richiama,  prevede  per  l'impiegato  soltanto   la
 facolta',  ma  non  l'obbligo,  di  farsi  assistere  da un difensore
 innanzi alla Commissione di disciplina (art.  73  d.P.R.  10  gennaio
 1957, n. 3).
    Limitatamente,  percio',  agli artt. 67 e 74 della legge impugnata
 la questione e' infondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 66, primo comma,
 secondo inciso,  della  legge  31  luglio  1954  n.  599  (Stato  dei
 sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aereonautica), nella
 parte in cui non prevede il  diretto  deferimento  a  Commissione  di
 disciplina,   da   parte  dell'Autorita'  militare  che  ha  disposto
 l'inchiesta  formale,  anche  quando,   in   base   alle   risultanze
 dell'inchiesta,  ritenga  che  al  sottufficiale sia da infliggere la
 sanzione indicata alla lettera b) dell'art. 63 legge citata, anziche'
 farne proposta al Ministro;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 67  e  74,  primo  comma,  stessa  legge,  sollevata  dal
 Tribunale  Amministrativo  Regionale per la Lombardia, in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, con ordinanza 27 febbraio 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0044