N. 27 SENTENZA 17 - 24 gennaio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Adozione - Minori - Adozione da parte del coniuge del genitore
 biologico dell'adottando - Provvedimento adozionale straniero a
 favore di entrambi i coniugi e relativo a minore figlio biologico di
 uno di essi - Non consentita delibazione - Richiamo  alle sentenze
 nn. 11/1981 e 44/1990 - Necessita' della tutela del preminente
 interesse del minore - Non fondatezza.
 
 (Legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, primo comma, lett.  b)).
 
 (Cost., art. 29, secondo comma).
(GU n.5 del 30-1-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 44, lettera b),
 della legge  4  maggio  1983,  n.  184  (Disciplina  dell'adozione  e
 dell'affidamento  dei  minori),  promosso  con ordinanza emessa il 19
 giugno 1990 dalla Corte d'appello di Torino - Sezione speciale per  i
 minorenni,  nel  ricorso proposto da Mora Patrizio ed altra, iscritta
 al n. 523 del registro ordinanze 1990  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  35, prima serie speciale, dell'anno
 1990.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  del  19  giugno 1990, la Corte d'appello di
 Torino,  Sezione  speciale  per  i  minorenni,   ha   sollevato,   in
 riferimento  all'art.  29,  secondo  comma,  Cost.,  una questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 44, primo  comma,  lettera  b),
 della  legge  4  maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, "prevedendo
 l'adozione di un minore da parte del coniuge del  genitore  biologico
 del   minore  stesso,  non  consente  di  dichiarare  efficace  nella
 Repubblica italiana un provvedimento adozionale straniero con cui  si
 pronunci l'adozione, da parte di entrambi i coniugi, di un minore che
 e' figlio biologico di uno di essi".
    Nel  caso  di  specie,  la  Corte era investita della richiesta di
 delibazione di un provvedimento svizzero che aveva sancito l'adozione
 da  parte  di  cittadino  italiano  e  della di lui moglie, cittadina
 italiana di originaria nazionalita' elvetica, del figlio biologico di
 quest'ultima, minore d'eta', che porta il cognome della madre.
    Ad  avviso  della  Corte  rimettente,  un simile provvedimento, in
 quanto  sostituisce,  o  quanto  meno  sovrappone  il   rapporto   di
 filiazione   adottiva  a  quello  di  filiazione  biologica,  sarebbe
 contrario all'ordine pubblico italiano, dato che  la  legge  italiana
 non  conosce  casi  in  cui  il  genitore  biologico diventi genitore
 adottivo, prevede la prevalenza del primo rapporto sul  secondo  solo
 nei casi di abbandono da parte dei genitori biologici o morte di essi
 e vieta a costoro di adottare i figli nati fuori del matrimonio (art.
 293 cod. civ.).
    La  legislazione  svizzera  -  osserva peraltro la Corte - mira ad
 assicurare la  parita'  tra  i  coniugi,  evitando  che  il  genitore
 adottivo  venga a trovarsi in condizioni di inferiorita' (giuridica e
 morale) rispetto a quello biologico; ed allo  stesso  obiettivo  sono
 ispirate  anche  altre  legislazioni  europee,  come quella inglese o
 quella austriaca, nella quale  l'adozione  ha,  nel  caso  in  esame,
 carattere legittimante.
    Lo  stesso  ordinamento  italiano, d'altra parte, non considera il
 rapporto biologico di per se' sufficiente  ai  fini  dell'inserimento
 del  bambino  nella  famiglia  in  quanto figlio, ed anzi tende a far
 prevalere sul fattore biologico quello della "responsabilita'" che e'
 proprio  della  filiazione  adottiva,  pur  se  connota  anche quella
 biologica. Tale prevalenza sarebbe  dimostrata  dall'inefficacia  del
 riconoscimento   di   figlio   naturale  quando  sia  intervenuta  la
 dichiarazione  di  adottabilita'  e   l'affidamento   preadottivo   e
 dall'estinzione  del  giudizio  per  la dichiarazione di paternita' o
 maternita' naturale quando l'adozione sia divenuta  definitiva  (art.
 11,  settimo  comma,  legge  n.  183  del  1984).  Nello stesso senso
 deporrebbe poi la riconosciuta possibilita' di ridurre la  differenza
 minima  di  eta'  tra adottante e adottato - ispirata al principio di
 adoptio imitatur naturam - quando lo richieda il superiore  interesse
 dell'unita' familiare (Corte cost., sent. n. 44 del 1990).
    La  disposizione  impugnata - che ad avviso della Corte rimettente
 costituisce   un   insuperabile   ostacolo   alla   delibazione   del
 provvedimento  svizzero  -  continua,  invece, a privilegiare il dato
 biologico:  ed  essa  sarebbe  percio'  in  contrasto  col  principio
 dell'uguaglianza  morale  e  giuridica dei coniugi, in quanto non da'
 luogo ad un'adozione legittimante.
    2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
 l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione sia  dichiarata
 inammissibile o comunque infondata.
    Sotto  il  primo  profilo,  l'Avvocatura  osserva  che, essendo la
 declaratoria di efficacia di  provvedimenti  stranieri  correlata  al
 rispetto  dei "principi fondamentali" della materia (art. 32, lettera
 c), legge cit.), -  tra  i  quali  necessariamente  rientrano  quelli
 costituzionali  -  e' contraddittorio ritenere che le norme straniere
 poste  a  base  del  provvedimento  sub  iudice  siano  coerenti  con
 l'ordinamento  costituzionale  italiano  e  che  ciononostante a tale
 declaratoria non possa pervenirsi se non previa rimozione di norme di
 legge  ordinaria.  E proprio perche' la verifica demandata al giudice
 nazionale va fatta alla stregua  dei  suddetti  principi,  e  non  di
 singole  norme - come quella impugnata - sarebbe erroneo ritenere che
 questa impedisca la  dichiarazione  d'efficacia.  Ne'  d'altra  parte
 sarebbe   consentito   prospettare   l'incostituzionalita'   di  tale
 disposizione, dato che di essa non deve  farsi  diretta  applicazione
 nel giudizio principale.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  rileva  che  l'art.  293  cod.  civ. -
 richiamato dall'art. 55, legge n. 184 cit., ai fini della  disciplina
 dell'"adozione  in  casi  particolari" - non e' oggetto di censura, e
 che il richiamo alla sentenza n. 44  del  1990  di  questa  Corte  e'
 improprio,   dato  che,  essendosi  con  essa  dilatato  l'ambito  di
 applicabilita' della disposizione impugnata (adozione  da  parte  del
 coniuge  non genitore), la si e' implicitamente riconosciuta idonea a
 salvaguardare l'unita' familiare.
    D'altro  canto, la previsione di un'adozione da parte del genitore
 biologico contestuale all'adozione da parte del di  lui  coniuge  non
 risponde,  secondo  l'Avvocatura,  ad alcuna esigenza costituzionale,
 sicche' la diversa scelta del legislatore non e' censurabile.
    Tale  mutamento  del  rapporto  del genitore biologico non sarebbe
 imposto,  infatti,  ne'  dall'esigenza  -  perseguita   dalla   norma
 impugnata  -  di  tutelare  l'interesse del minore alla ricostruzione
 della coppia genitoriale  ed  all'inserimento  nel  nucleo  familiare
 costituito   da   detto   genitore;   ne'   da  quella  di  garantire
 l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, dato che  nel  caso  in
 esame  la  potesta'  sul  minore ed il relativo esercizio spettano ad
 entrambi (art. 48, primo comma, legge cit.).
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di
 Torino, Sezione speciale per i minorenni, dubita  della  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  44, primo comma, lettera b), della legge 4
 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento  dei
 minori),  sostenendo  che tale disposizione, in quanto configura come
 adozione non legittimante quella effettuata dal coniuge del  genitore
 biologico  del  minore - facendo con cio' prevalere il dato biologico
 su quello della "responsabilita'" proprio della filiazione adottiva -
 violerebbe il principio di uguaglianza morale o giuridica dei coniugi
 sancito dall'art. 29, secondo comma, Cost.
    2. - In punto di rilevanza, presupposto dell'impugnativa e' che la
 suddetta disposizione  osti  alla  delibazione  di  un  provvedimento
 straniero  (nella specie, svizzero) che pronuncia l'adozione da parte
 di entrambi i coniugi di un minore che e' figlio biologico di uno  di
 essi (cioe' da lui generato).
    Riferendosi  a  tale  assunto,  l'Avvocatura  dello Stato contesta
 l'ammissibilita' della  questione,  sostenendo  che  sarebbe  erroneo
 ritenere   che  la  norma  in  questione  impedisca  la  declaratoria
 d'efficacia del provvedimento straniero  di  adozione,  dato  che  la
 relativa  valutazione va fatta alla stregua dei principi fondamentali
 della materia ( ex art. 32, lettera c), legge cit.) e non di  singole
 norme.   Poiche',  quindi,  della  disposizione  impugnata  la  Corte
 rimettente non dovrebbe fare diretta applicazione, non  potrebbe  per
 cio' stesso sospettarla d'incostituzionalita'.
    Anche  a  prescindere dal rilievo che il giudizio principale ha ad
 oggetto non la dichiarazione d'efficacia di cui al citato art. 32, ma
 la  delibazione  di  cui  agli artt. 796 ss. cod. proc. civ. - con la
 conseguenza che non si tratta della costituzione di un effetto  nuovo
 sulla  base  del  provvedimento  straniero,  ma del riconoscimento di
 questo con gli effetti suoi propri  -  l'eccezione  non  puo'  essere
 accolta.
    Essa,  invero, comporta che si valuti se dalla norma impugnata sia
 o meno ricavabile un principio fondamentale rientrante nella  nozione
 di  ordine  pubblico:  cio'  che  sicuramente la Corte non puo' fare,
 trattandosi di questione eminentemente interpretativa,  per  di  piu'
 riferita  ad un concetto assai elastico ed indeterminato quale quello
 di cui all'art. 797, n. 7, cod. proc. civ.
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata.
    Questa  Corte  ha  piu' volte sottolineato che, alla stregua delle
 direttive costituzionali (artt.  2  e  30,  primo  e  secondo  comma,
 Cost.),  l'istituto  dell'adozione  deve  avere  il proprio centro di
 gravita' nella tutela del preminente interesse del  minore,  rispetto
 al   quale  devono  essere  subordinati  tanto  gli  interessi  degli
 adottanti (o aspiranti tali), quanto quelli della famiglia di origine
 (sentenze  nn.  11  del  1981,  197 e 198 del 1986, 182 del 1988). In
 quest'ottica, la disciplina predisposta deve tendere  alla  soluzione
 che  sia  "in concreto" ottimale per il minore, e quindi, da un lato,
 conferire  al  giudice  poteri  idonei  alla  sua  individuazione  e,
 dall'altro,  tenere in adeguata considerazione i legami che il minore
 abbia instaurato in precedenza (sentenze nn. 11 del 1981  e  198  del
 1986).  Di  conseguenza,  ove  manchi  il  basilare  presupposto  per
 l'adozione piena costituito dallo stato di abbandono, non puo'  dirsi
 precluso  il ricorso all'istituto dell'adozione ordinaria, sempreche'
 nella sua regolamentazione sia salvaguardata l'esigenza di tutela dei
 fondamentali interessi del minore (cfr. sentenza n. 11 del 1981).
    L'adozione  del  figlio  del  coniuge  e'  indubbiamente  un "caso
 particolare" di adozione,  e  come  tale  e'  stata  considerata  dal
 legislatore  del  1983:  in  linea,  del  resto,  con  quasi tutte le
 legislazioni europee, che, pur nella  varieta'  delle  soluzioni,  le
 hanno riservato una regolamentazione autonoma quanto a presupposti ed
 effetti.
    La  particolarita'  del  caso sta nella congiunta esigenza, per un
 verso, di consolidare l'unita' familiare, agevolando l'inserimento in
 essa  del  minore  che  sia  figlio  (anche adottivo) di uno solo dei
 coniugi,  ed  in  particolare  evitando  il  disagio  sociale  e   le
 disarmonie   nella   formazione  morale  e  psicologica  che  possono
 derivargli dal restare estraneo all'altro coniuge  -  pur  se  a  lui
 affettivamente  legato  -  e dal portare un cognome diverso da quello
 degli altri figli facenti parte del medesimo nucleo  familiare  (cfr.
 sentenza   n.   44  del  1990);  per  altro  verso,  di  evitare  che
 l'instaurazione del nuovo rapporto  comporti  la  rottura  di  quello
 esistente  con  l'altro  genitore biologico e/o con i di lui parenti,
 pur quando con costoro il minore abbia instaurato e  mantenga  legami
 significativi.
    4.   -   Nella  non  facile  composizione  di  tali  esigenze,  il
 legislatore del 1983 ha costruito un istituto  che,  esaminato  nelle
 sue linee essenziali (a prescindere, cioe' da aspetti particolari che
 qui non rilevano), non solo e' ben lontano dall'adozione ordinaria di
 tipo  tradizionale (ove era prevalente l'interesse di chi si continua
 attraverso un figlio-erede)  ma  e'  effettivamente  improntato  alla
 tutela del preminente interesse del minore. E' sulla realizzazione in
 concreto di questo che si incentra infatti la verifica  demandata  al
 Tribunale,   cui   e'   fatto   carico   di  indagare,  tra  l'altro,
 sull'idoneita' dell'adottante sul piano educativo, sulla  rispondenza
 all'interesse  del  minore  dei  motivi che lo spingono a desiderarne
 l'adozione e sulla possibilita' di idonea convivenza tra i due  (art.
 57).
    Nella  medesima  prospettiva  si  colloca  - dopo quanto deciso da
 questa Corte con la sentenza n. 182 del 1988 -  anche  la  disciplina
 dei presupposti dell'adozione.
    Il  consenso  dell'adottante  e  dell'adottando  (art.  45) non ha
 infatti carattere negoziale, ma  e'  solo  un  dato  della  procedura
 equivalente  a  due  concorrenti  domande di pronuncia dell'autorita'
 giudiziaria; e quello del legale rappresentante  del  minore  non  ha
 piu'  carattere  dirimente,  essendo  degradato  a  mero  parere  non
 vincolante. L'assenso del genitore  dell'adottando,  poi,  ha  valore
 decisivo  solo  se  costui  eserciti  la  potesta'  sul minore, ed il
 Tribunale puo' invece prescinderne non solo se egli  sia  incapace  o
 irreperibile,  ma  anche  quando  il rifiuto risulti ingiustificato o
 contrario all'interesse dell'adottando; ed anche l'eventuale  coniuge
 di  questi puo' impedire l'adozione solo se sia convivente (art. 46).
    Sul  piano  degli  effetti,  il legislatore ha inteso, da un lato,
 garantire la pienezza dei rapporti personali tra minore e coniuge del
 genitore,  attribuendo  a  costui  (art.  48) l'esercizio della piena
 potesta' - con i connessi  obblighi  di  mantenimento,  educazione  e
 istruzione  -  e  stabilendo  che  il minore ne assuma il cognome, da
 anteporre al proprio (art. 55, che richiama l'art.  299  cod.  civ.);
 dall'altro,  pero',  assicurare  che  il rapporto adottivo, nella sua
 origine e nel suo svolgersi, sia scevro da interessi di altra natura.
 Ha  disposto, percio', che l'adottante abbia bensi' l'amministrazione
 dei beni dell'adottato, con  obbligo  di  inventario,  ma  non  abbia
 l'usufrutto  legale  sui  medesimi  e non possa percio' destinarli al
 mantenimento  proprio  e  degli  altri  membri  della   famiglia   od
 all'educazione  e istruzione degli altri figli. Coerentemente a cio',
 i diritti successori sono regolati a senso unico: l'adottato,  cioe',
 succede  pienamente  all'adottante,  mentre  questi  non partecipa in
 alcun modo alla successione del primo (art. 55, che  richiama  l'art.
 304 cod. civ.).
    Per converso, all'esigenza che non siano artificiosamente troncati
 i rapporti del  minore  con  la  famiglia  di  origine  -  cioe'  con
 l'"altro"  genitore  biologico  e  con  i  suoi parenti - risponde la
 statuizione per cui il minore, da un lato, mantiene nei confronti  di
 costoro,  tutti  i  diritti  (anche  successori)  ed i corrispondenti
 doveri;   dall'altro,   non   instaura   rapporti   con   i   parenti
 dell'adottante  ne'  partecipa  alla  loro  successione (art. 55, che
 richiama l'art. 300 cod. civ.).
    5. - Certo, una regolamentazione piu' analitica della materia, che
 cioe' tenesse conto del vario atteggiarsi dei rapporti del minore col
 genitore  biologico  non  convivente,  avrebbe forse potuto suggerire
 soluzioni parzialmente diverse e magari  far  propendere,  in  alcune
 peculiari  situazioni, per l'instaurazione di un rapporto di adozione
 piena. Ma nella valutazione generale dell'istituto che  la  Corte  e'
 chiamata  a  compiere  in  questa sede, deve escludersi che le scelte
 compiute dal legislatore in ordine al bilanciamento  degli  interessi
 in gioco siano meritevoli di censura.
    Va  negato,  in  particolare, che ne resti violato il principio di
 parita' morale e giuridica tra i coniugi  (art.  29,  secondo  comma,
 Cost.). Sul piano dei rapporti personali, una sostanziale parita' e',
 infatti,  assicurata  dall'attribuzione  ad  entrambi   della   piena
 potesta'  sul minore e dei correlativi diritti ed obblighi; su quello
 dei rapporti patrimoniali, le differenze si connettono,  come  si  e'
 visto,  non  all'intento  di  privilegiare il genitore biologico ma a
 quello di meglio garantire l'interesse del minore, nei cui  confronti
 quello del genitore adottivo deve cedere.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 44, primo comma, lettera b), della legge 4 maggio 1983,  n.
 184   (Disciplina   dell'adozione  e  dell'affidamento  dei  minori),
 sollevata  in  riferimento  all'art.   29,   secondo   comma,   della
 Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino, Sezione speciale per i
 minorenni, con ordinanza del 19 giugno 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 24 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0074