N. 1 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 gennaio 1991

                                  N. 1
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 22 gennaio 1991 (della regione Emilia-Romagna)

 Opere  pubbliche - Realizzazione del sistema idroviario padano-veneto
 - Dichiarazione della realizzazione di detto sistema quale opera  "di
 preminente  interesse  nazionale"  ed  attribuzione  dei  compiti  di
 costruzione e gestione dello stesso al Ministero  dei  trasporti,  il
 quale  deve  provvedere,  entro novanta giorni dall'entrata in vigore
 della legge impugnata, a definire il tracciato della rete nonche'  il
 relativo  piano  pluriennale di attuazione sentito il CIPET (Comitato
 interministeriale per la programmazione dei trasporti) ovvero,  nelle
 more  della costituzione di detto organo, il Comitato dei Ministri di
 cui all'art. 2 della legge n. 245/1984 e di  intesa  con  le  regioni
 Emilia-Romagna,  Piemonte,  Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Veneto
 o, in mancanza di accordo con  le  regioni,  sentita  la  commissione
 parlamentare  per  le  questioni regionali - Indebita invasione della
 sfera di competenza regionale  in  materia  di  navigazione  e  porti
 lacuali,  di assetto ed utilizzazione del territorio e violazione del
 principio di cooperazione leale  tra  Stato  e  regioni  nonche'  del
 principio  di  ragionevolezza  Riferimenti  alle sentenze della Corte
 costituzionale nn. 8/1985, 151/1986, 177 e 302 del 1988,  101  e  459
 del 1989 e 85/1990.
 (Legge 29 novembre 1990, n. 380, artt. 1, 2, 3, sesto comma, 4, primo
 e terzo comma).
 (Cost.,  artt.  3, 117 e 118, in relazione agli artt. 97, 98, 80, 81,
 87 e 88, primo comma, n. 3, e 101  del  d.P.R.  24  luglio  1977,  n.
 616).
(GU n.6 del 6-2-1991 )
   Ricorso   della   regione   Emilia-Romagna,  in  persona  del  vice
 presidente  della  giunta,  sostituto  del  presidente  della  giunta
 regionale  assente,  Pierluigi  Bersani,  giusta  deliberazione della
 giunta regionale n. 6784 del 21 dicembre 1990, rappresentata e difesa
 dal   prof.  avv.  Fabio  Roversi-Monaco  e  dal  prof.  avv.  Sandro
 Amorosino, presso il cui studio in Roma, via Nazionale 230, ha eletto
 domiciliato  come  da mandato speciale a margine contro la Presidenza
 del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio in
 carica  per  la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli
 artt. 1, 2 e 3, sesto comma; 4, primo e terzo comma  della  legge  29
 novembre  1990,  n.  380 recante "Interventi per la realizzazione del
 sistema  idroviario   padano-veneto",   pubblicata   nella   Gazzetta
 Ufficiale n. 294, del 18 dicembre 1990.
    1.  -  La legge 29 novembre 1990, n. 380, nel dettare norme per la
 realizzazione   del   sistema   idroviario   padano-veneto,    innova
 profondamente  nell'assetto  delle competenze di cui agli artt. 117 e
 118 della Costituzione, come attuati dagli artt. 97 e 98  del  d.P.R.
 24  luglio 1977 (per quanto attiene alla materia "navigazione e porti
 lacuali") nonche' - per gli ulteriori  profili  interessati  da  tale
 realizzazione  -  dagli artt. 80, 81, 87 e 88 primo comma, n. 3 e 101
 del medesimo decreto legislativo (per  quanto  attiene,  nell'ordine,
 alle materie "urbanistica", "viabilita', acquedotti e lavori pubblici
 di  interesse  regionale"  ed  alla   "tutela   dell'ambiente   dagli
 inquinamenti").  Gli  interventi  per la realizzazione di un siffatto
 sistema idroviario interferiscono, infatti,  con  una  pluralita'  di
 interessi  pubblici  la  cui  cura  e' affidata dalla Costituzione al
 livello di governo regionale, perche'  fanno  capo  a  varie  tra  le
 materie    catalogate    nell'art.    117:   oltre   ad   interessare
 l'amministrazione pubblica della navigazione e dei porti lacuali, gli
 interventi  in questione coinvolgono, significativamente, l'assetto e
 l'utilizzazione del territorio, ivi compreso il momento della  tutela
 ambientale.
    Nonostante  questa  innegabile interferenza con molteplici aspetti
 della complessiva sfera di competenze regionali, la legge 29 novembre
 1990,  n.  380,  negli articoli richiamati in epigrafe, determina una
 netta centralizzazione delle attribuzioni, superando chiaramente -  a
 danno  della  Regione - l'assetto delle competenze dettato in sede di
 completamento dell'ordinamento regionale.  Ma  tale  riassetto  delle
 competenze,  coinvolgenti  -  lo  si  ripete  - le attribuzioni della
 Regione in piu' ambiti materiali (e non  solamente  in  quello  della
 "navigazione  e  porti lacuali"), oltre a non rispettare il principio
 della leale cooperazione tra Stato e regioni, disatteso nel contenuto
 dispositivo   delle   norme   denunciate,  presenta  vari  tratti  di
 irragionevolezza  in  danno  delle  attribuzioni   costituzionalmente
 riconosciute alla regione medesima.
    La   regione   Emilia-Romagna   richiama,   infatti,  l'autorevole
 insegnamento di codesta Corte, peraltro enunciato in  relazione  alla
 tutela  del  paesaggio  (che  involge  solamente  funzioni delegate):
 "qualunque sia l'equilibrio che il legislatore, nel suo discrezionale
 apprezzamento,  intende  stabilire  fra  le  competenze dello Stato e
 quelle  delle  regioni,   resta   fermo,   per   esso,   il   vincolo
 costituzionale  in  base  al  quale  deve  essere  fatto  salvo... il
 principio di un'equilibrata concorrenza e cooperazione fra le  une  e
 le  altre  competenze  in  relazione  ai  momenti  fondamentali della
 disciplina  stabilita"  per  il  perseguimento  dei  vari   interessi
 pubblici  nei diversi ambiti materiali (cfr. sent.  10 marzo 1988, n.
 302).
 Sull'art. 1).
    2. - L'art. 1, primo comma della legge n. 380 del 1990 dichiara la
 realizzazione del sistema  idroviario  padano-veneto  "di  preminente
 interesse  nazionale";  questa  dichiarazione di rilevanza non e' per
 se' censurata. Tuttavia, il seguente secondo comma dispone nel  senso
 che   alla  costruzione  e  gestione  di  questo  sistema  idroviario
 "provvede il ministero dei trasporti". Ecco  allora  che  il  sistema
 normativo diventa irragionevole.
    La disposizione, che viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione,
 palesa  una  intima  contraddittorieta'  a  danno  delle   competenze
 regionali  anche in violazione del principio di leale collaborazione,
 manifestando  altresi'  una  irrazionalita'  dispositivita'   ed   un
 inesatto  apprezzamento  dei  mezzi  in  relazione  ai  fini  che  si
 intendono perseguire.
    L'art.  97  del  d.P.R.  24  luglio  1977, n. 616, nel definire la
 materia "navigazione e porti lacuali" vi ricomprendeva un  vastissimo
 novero  di  funzioni,  senza operare riserve di competenza allo Stato
 ("le funzioni amministrative relative  alla  materia  'navigazione  e
 porti  lacuali' concernono la navigazione lacuale, fluviale, lagunare
 sui canali navigabili ed idrovie; i porti lacuali  e  di  navigazione
 interna  e  ogni  altra  attivita'  riferibile alla navigazione ed ai
 porti lacuali  ed  interni.  Le  predette  funzioni  comprendono  tra
 l'altro l'autorizzazione al pilotaggio, il demanio dei porti predetti
 e la potesta' di rilasciare concessioni per l'occupazione e l'uso  di
 aree  ed  altri  beni  nelle zone portuali, al rimozione di materiali
 sommersi ed il rilascio del  certificato  di  navigabilita',  nonche'
 enti,  istituti  ed  organismi  operanti  nel  settore. Sono altresi'
 comprese le funzioni amministrative relative al personale  dipendente
 da  imprese  concessionarie  operanti  in  questa materia"). A questa
 impostazione era consequenziale l'indicazione  normativa  di  cui  al
 seguente  art.  98,  primo  comma,  a  mente  del quale: "Le funzioni
 amministrative di cui al precedente articolo quando sono  interessati
 i  servizi  in  territori  finitimi  di piu' regioni, sono esercitate
 mediante intesa tra le regioni interessate ovvero  mediante  gestioni
 comuni anche in forma consortile".
    L'articolo  censurato  manifesta,  invece, una netta inversione di
 tendenza, confermata da altre norme della medesima legge n.  380  del
 1990  (sulle  quali  ci  si soffermera' piu' avanti). Al riguardo, la
 regione Emilia-Romagna non ignora la giurisprudenza di codesta ecc.ma
 Corte  circa  la  possibilita'  per  leggi  ordinarie  successive  di
 "modificare disposizioni contenute nel  d.P.R.  n.  616  del  1977  e
 ripartite  diversamente  le  competenze  assegnate  o  delegate  alle
 regioni con quel decreto" (cfr. sentenze 26 febbraio 1980, n.  85  e,
 precedentemente,  26  giugno 1986, n. 151 e 9 marzo 1989, n. 101), ma
 non si puo' fare a meno di ricordare che questa stessa giurisprudenza
 si  dimostra  assai  attenta  nel  valutare  la  ragionevolezza delle
 disposizioni  di  legge  ed  il  rispetto  del  principio  di   leale
 cooperazione  in  ordine  ad un equilibrato assetto delle competenze,
 dal quale e' impossibile decampare pena l'inadeguata tutela dei  vari
 interessi pubblici sottesi alle differenti fattispecie.
    Non  si  contesta  che  competa in larga misura alla legge statale
 ordinaria stabilire  in  quali  forme  debbano  venir  considerati  e
 armonizzati  gli interessi dello Stato e delle regioni (cfr. sent. 23
 gennaio 1985, n. 8), ma a detta legislazione  spetta  pur  sempre  di
 delineare  "congegni di cooperazione" "anziche' separare con nettezza
 gli oggetti dell'una  e  dell'altra  competenza"  (cfr.  la  medesima
 decisione).  Infatti,  e'  vero  che  "lo  svolgimento concreto delle
 funzioni  regionali"  deve  "essere   armonicamente   conforme   agli
 interessi unitari della collettivita' nazionale", ma senza per questo
 addivenire ad "una  preventiva  e  generale  riserva  allo  Stato  di
 settori di materie" (cosi' sent. 4 marzo 1971, n. 39 nonche' sent. n.
 8 del 1985 cit.).
    Mentre  e'  proprio  quest'ultima  deprecabile soluzione ad essere
 stata prescelta nella legge n. 380 del 1990 e  chiaramente  enunciata
 nell'art.  1, (ed in particolare nel secondo comma del medesimo), che
 qui si censura.
    Peraltro,  come  gia'  anticipato,  quest'ultima  disposizione  si
 manifesta intimamente contraddittoria perche' dichiara di  preminente
 interesse  nazionale  la  sola "realizzazione" del sistema idroviario
 padano-veneto (primo comma) mentre attribuisce  alla  competenza  del
 solo  ministero  dei  trasporti  le  funzioni,  concernenti  tanto la
 "costruzione" che la "gestione" dello stesso (secondo comma).
    Questa  scelta  non  sembra  giustificata  se solo si pensa che le
 regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte  e  Veneto  avevano  gia'
 provveduto,  ai  sensi  dell'art.  98, del d.P.R. n. 616, del 1977, a
 sottoscrivere  una  convenzione  per   l'esercizio   delle   funzioni
 amministrative   regionali   in   materia   di   navigazione  interna
 interregionale sul fiume Po ed idrovie collegate.
    In  particolare,  la regione Emilia-Romagna si era altresi' dotata
 di  un'apposito  strumento  operativo:  l'azienda  regionale  per  la
 navigazione  interna-Arni  (istituita  con  legge regionale 14 genaio
 1989, n. 1).
    Inoltre,   l'irrazionalita'   della   scelta  di  ricondurre  alla
 competenza del solo ministero dei trasporti  le  intere  attribuzioni
 amministrative  circa  il sistema idroviario padano-veneto (superando
 l'assetto  gia'  disposto  dal  d.P.R.  n.  616  del   1977)   emerge
 dall'evidente  implicazione  di  una pluralita' di interessi pubblici
 (territoriali,  ambientali,  etc.)  sottesi  alla   realizzazione   e
 gestione  di  un  sistema  idroviario cosi' complesso; e' evidente il
 rischio di un'inadeguata ponderazione e di un  mancato  coordinamento
 di  detti  interessi  nelle  scelte  amministrative che, in concreto,
 saranno assunte. Proprio perche' una molteplicita' di tali  interessi
 pubblici  e' affidata istituzionalmente - per disposto costituzionale
 - alle cure della regione, si palesa una  illegittima  lesione  della
 sfera  di  competenze  ad essa riconosciute. Oltre alla lesione delle
 competenze in materia di "navigazione e porti lacuali",  dall'art.  1
 della  legge n. 380, del 1990, deriva una lesione delle competenze in
 materia "urbanistica" e di "viabilita', acquedotti e lavori  pubblici
 di  interesse  regionale"  (in merito si ricorda che l'art. 88, primo
 comma, n. 3 de, d.P.R. n. 616 riserva allo  Stato  le  sole  funzioni
 relative alle "opere per le vie navigabili di prima classe", che sono
 identificate - nel vigente r.d. 11 luglio 1913, n. 959 esclusivamente
 in  quelle relative ad "un prevalente interesse di difesa militare");
 a cio' si aggiunga la lesione della sfera di  attribuzioni  regionali
 in tema di "tutela dell'ambiente dagli inquinamenti".
    Sotto  altro  riguardo, l'art. 1, secondo comma della legge n. 380
 del 1990,  non  appare  effettivamente  espressivo  di  un  interesse
 nazionale, nel senso che la disposizione in esso contenuta non sembra
 costituire strumento necessario e  non  incongruo  al  raggiungimento
 dello  scopo  di  realizzazione e gestione del sistema indroviario di
 cui trattasi.
    Inoltre,  valgono le seguenti considerazioni. L'articolo censurato
 procede ad una  dichiarazione  per  legge  del  preminente  interesse
 nazionale,  obiettivo  per  il quale erano - tuttavia - gia' presenti
 nell'ordinamento apposite disposizioni:  l'art.  27  della  legge  11
 marzo 1988, n. 67 prevede la possibilita' di dichiarare di preminente
 interesse nazionale, mediante d.P.C.M. su delibera del Consiglio  dei
 Ministri,  opere  o  programmi di opere del tipo che qui interessa; a
 tale dichiarazione consegue l'applicabilita' di una  serie  di  norme
 acceleratorie  intese  a  garantire  la  realizzazione  sollecita  ed
 incisiva degli interventi di cui  trattasi.  Se  dunque,  erano  gia'
 presenti   nella   legislazione   appositi  strumenti  di  intervento
 amministrativo, la reale finalita' delle disposizioni  qui  censurate
 sembra  piuttosto quella di sottrarre alla regione competenze ad essa
 gia' riconosciute in forza delle norme costituzionali.
    Del   resto,   codesta   Corte  ha  autorevolmente  precisato  che
 "l'interesse nazionale, se non puo' essere brandito  dal  legislatore
 statale  come  un'arma  per  aprirsi  qualsiasi  varco,  deve  essere
 sottoposto, in sede di giudizio di costituzionalita', ad un controllo
 particolarmente  severo.  Se cosi' non fosse, la variabilita', se non
 la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe tradursi, nei  casi
 in  cui  il  legislatore  statale  ne  abusasse,  in un'intollerabile
 incertezza ed in un'assoluta  imprevedibilita'  dei  confini  che  la
 Costituzione  ha  voluto  porre a garanzia delle autonomie regionali"
 (cosi' sent. 18 febbraio 1988, n. 177).
 Sull'art. 2.
    L'art.  2,  primo comma, della legge n. 380 del 1990, prevede che,
 per la prima attuazione del sistema idroviario  padano-veneto,  entro
 novanta  giorni  dall'entrata  in vigore della legge, il Ministro dei
 trasporti definisca il tracciato della rete nonche' il relativo piano
 pluriennale  di  attuazione.  Il  Ministro deve provvedere sentito il
 Cipet-Comitato interministeriale per la programmazione dei  trasporti
 ovvero,  nelle  more della costituzione di questo organo, il Comitato
 dei Ministri di cui all'art.  2  della  legge  concernente  il  piano
 generale  dei  trasporti  15  giugno  1984, n. 245 e di intesa con le
 regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia  e
 Veneto.  Peraltro,  qualora  "entro  novanta  giorni non si raggiunga
 l'intesa con le regioni, il Ministro dei trasporti provvede,  sentita
 la  commissione  parlamentare per le questioni regionali" (art. cit.,
 primo comma, ultima parte). Quindi la legge,  attribuendo  un  potere
 risolutivo  al  Ministro  dei  trasporti,  sembra  disporre nel senso
 dell'esaurimento del potere regionale di  co-determinazione  (intesa)
 allo  spirare  del  termine  prefissato di novanta giorni. Si tratta,
 chiaramente,  di  una  norma  accelaratoria  avente  l'obbiettivo  di
 garantire  la sollecita realizzazione del sistema idroviario; occorre
 pero' accertare se detta norma possa essere  considerata  non  lesiva
 della  sfera di competenze regionali anche e soprattutto in relazione
 al principio di leale cooperazione ed al rapporto di congruita' e  di
 adeguatezza   che   deve   sussistere   tra   il  potere  ricnosciuto
 all'autorita' statale nella materia  astrattamente  regionale  e  gli
 interessi   da   salvaguardare   e   soddisfare   nella   fattispecie
 realizzativa.
    Le  suddette  valutazioni  devono  essere  effettuate  tenendo  in
 primaria evidenza quanto dispone il secondo comma del  medesimo  art.
 2.  Il legislatore, dopo aver stabilito - nel precedente comma - che,
 in caso di mancata intesa con le regioni entro 90 giorni dall'entrata
 in  vigore  della  legge,  il  Ministro  dei  trasporti puo' comunque
 provvedere sentita  la  commissione  parlamentare  per  le  questioni
 regionali,  riconosce al medesimo Ministro un ulteriore termine assai
 piu' lungo del precedente ("Il Ministro dei  trasporti  approva,  con
 proprio  decreto,  il tracciato della rete che costituisce il sistema
 idroviario  padano-veneto  e  il  relativo   piano   pluriennale   di
 attuazione  entro  210  giorni  dalla data di entrata in vigore della
 presente legge").
    Si  noti  che  l'oggetto delle determinazioni amministrative e' il
 medesimo sia nel primo comma dell'art. 2 (ove si assegna  un  termine
 di 90 giorni), sia nel secondo comma (ove si asegna un termine di 210
 giorni, ulteriori 120 giorni rispetto al primo  termine):  si  tratta
 della  definizione  o  approvazione  del  "tracciato  della  rete che
 costituisce il sistema idroviario" e del relativo  piano  pluriennale
 di attuazione.
    Pertanto,  le  disposizioni  censurate  appaiono incostituzionali,
 arbitrarie ed irrazionali in violazione degli artt. 117 e  118  della
 Costituzione,  in  particolare  con  riguardo  al  principio di leale
 cooperazione, in riferimento a tutte le disposizioni  del  d.P.R.  n.
 616, del 1977, citate nel (Paragrafo) 1 di questo ricorso.
    Si  e'  gia'  osservato  che  la  definizione  di  un  insieme  di
 interventi cosi' complesso quale il sistema idroviario padano-veneto,
 implica  il  coordinamento  di  una pluralita' di interessi pubblici,
 affidati alle cure di livelli istituzionali  diversi  ma  di  rilievo
 costituzionale.  Ragione  per  cui,  concorrendo una molteplicita' di
 esigenze eterogenee, riferibili appunto  a  soggetti  che  godono  di
 autonomia  costituzionalmente  garantita, non si puo' prescindere dal
 modulo di raccordo rappresentato dall'intesa (cfr. sent. 15  novembre
 1985,  n.  286).  Ed in effetti un'intesa e' contemplata nell'art. 2,
 primo comma, ma la previsione - soprattutto nel  confronto  tra  tale
 comma  ed  il  comma  seguente  -  non  appare  idonea  e  rispettare
 effettivamente il principio di leale cooperazione.
    Anzitutto il termine assegnato alle regioni non appare ne' congruo
 ne' ragionevole, secondo i parametri acutamente delineati da parte di
 codesta  autorevole  Corte nella sentenza del 27 luglio 1989, n. 459.
 L'irragionevolezza  emerge  palesemente  dal  confronto  tra  i   due
 riferiti  termini  enunciati  nel primo comma e nel secondo comma del
 medesimo art. 2, posto che entro il secondo di detti termini  (i  210
 giorni, cioe' gli ulteriori 120 giorni rispetto al primo termine) non
 vi  e'  da  compiere  alcun  ulteriore  processo  ponderativo   degli
 interessi  pubblici  e privati sottesi nella vicenda realizzativa: si
 ribadisce che, anche se in un primo tempo si  procede  alla  semplice
 "definizione"  e solo successivamente alla denitiviva "approvazione",
 l'oggetto   delle   determinazioni    amministrative    e    l'ambito
 contenutistico  in  relazione  ai profili da considerare e' sempre il
 medesimo  ("tracciato  della  rete"  idroviaria  e  relativo   "piano
 pluriennale  di  attuazione").  Ne  deriva che i differenti termini a
 disposizione, rispettivamente, delle regioni e dell'autorita' statale
 sono  squilibrati  in  danno  del livello regionale senza ragionevoli
 giustificazioni: appare evidente che il procedimento  di  definizione
 del   tracciato  della  rete  idroviaria  e  del  relativo  piano  di
 attuazione (primo comma) meriterebbe ben piu' ampio spazio della fase
 di  approvazione (secondo comma) di un atto che ha evidentemente gia'
 superato lo stadio di determinazione del contenuto.
    Sotto  altro  riguardo,  se  il secondo comma in oggetto dovesse -
 invece -  essere  interpretato  come  attributivo  di  un  potere  al
 Ministro   dei   trasporti  anche  di  modifica  dei  contenuti  gia'
 eventualmente concordati con le regioni, permarrebbe (ed  in  termini
 ancora  piu'  gravi)  l'incostituzionalita'  della  disposizione  (in
 relazione alle medesime norme e principi sopra evidenziati).  Codesta
 Corte  ha  avuto  occasione  di  precisare  che,  quando un'intesa e'
 prevista nella fase  di  predispozione  di  un  atto  pianificatorio,
 eventuali modifiche nella successiva fase di approvazione non possono
 che sottostare ad una nuova intesa (cfr. ord. del 5 maggio  1988,  n.
 524).
    L'incostituzionalita'  dell'art.  2,  terzo  comma  della legge in
 esame si pone nella relazione tra  questa  disposizione  ed  i  commi
 precedenti,  nel  seso  che  detto  comma testimonia la pluralita' di
 interessi pubblici sottesi alle scelte di realizzazione,  circostanza
 che   imporrebbe  l'individuazione  di  procedure  amministrative  di
 adozione del piano tali da garantire un  effettivo  coordinamento  di
 detti interessi, facenti capo, prevalentemente, a materie o ambiti di
 competenza regionale. Si ripetono anche qui i motivi di censura sopra
 esposti.
 Sull'art. 3, sesto comma.
    L'art.  3,  sesto  comma della legge n. 380, del 1990, sottopone i
 progetti  concernenti  la  realizzazione   del   sistema   idroviario
 padano-veneto  alla  procedura  di  valutazione  della compatibilita'
 ambientale  ex  art.  6  della   legge   istitutiva   del   Ministero
 dell'ambiente  dell'8 luglio 1986, n. 349. Si tratta di una procedura
 a   gestione   centralistica   nella   quale   la   pronuncia   sulla
 compatibilita'  ambientale  e'  resa  dal  Ministro  dell'ambiente di
 concerto  con  il  Ministro  dei   beni   culturali   ed   ambientali
 semplicemente  "sentendo" (mero parere o partecipazione funzionale al
 procedimento) la regione interessata. Si  osserva,  dapprima,  che  i
 progetti  potrebbero  essere  relativi  anche  ad opere di competenza
 regionale (come si evince dal rinvio che il comma censurato opera nei
 confronti dell'art. 6, della medesima legge n. 380).
   Invero la norma denunciata appare lesiva delle competenze regionali
 ex artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione, particolarmente,
 agli  artt.  80, 81, 87 e 101 del d.P.R. n. 616, del 1977, (oltreche'
 all'art. 97 del medesimo decreto concernente la materia implicata  in
 via  principale  dall'intervento  legislativo in questione). Infatti,
 per i progetti di cui  trattasi  non  sembra  invocabile  la  ragione
 principale  fatta  valere  da  codesta ecc.ma Corte nella sentenza 28
 maggio 1987, n. 210: queste opere  (se  non  limitatamente  alle  vie
 navigabili  e porti per la navigazione interna accessibili a battelli
 di stazza superiore a 1.350 t.) non  sono  elencate  nell'allegato  I
 (che  indica  i  tipi  di  progetto da sottoporre obbligatoriamente a
 v.i.a.) della direttiva del  Consiglio  C.E.E.  27  giugno  1985,  n.
 85/337;  dunque  non  sono  invocabili gli obblighi comunitari la cui
 responsabilita' fa capo  principalmente  allo  Stato.  Ammenoche'  la
 disposizione  non  sia  interpretabile come meramente confermativa di
 quanto disposto dall'art. 6 della legge n. 349 del 1986 in  relazione
 all'art. 1, primo comma, lett. h) del d.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377
 che riproduce, sul punto, il contenuto del n. 8 del citato allegato I
 alla direttiva C.E.E.
    Peraltro, si osserva che le opere di cui trattasi dovranno, per lo
 piu', essere realizzate  in  zone  sottoposte  a  vincolo  di  tutela
 paesaggistica: la legge 8 agosto 1985, n. 431 sottopone al vincolo di
 cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497:  "i territori  contermini  ai
 laghi  compresi in una fascia di profondita' di 300 metri dalla linea
 di battigia" (art. 1, lett. b) ed "i fiumi,  i  torrenti  e  i  corsi
 d'acqua   iscritti   negli  elenchi  di  cui  al  testo  unico  delle
 disposizioni di legge  sulle  acque  e  impianti  elettrici...  e  le
 relative  sponde  o  piede  degli  argini per una fascia di 150 metri
 "ciascuna" (art. 1, lett. c). Ebbene, per dette zone l'art. 6, quarto
 comma,  della  legge n. 349, del 1986 prevede che i progetti di opere
 siano  sottoposti  a  pronuncia  di  comapatibilita'  ambientale  del
 Ministero  dell'ambiente  di  concerto  con quello dei beni culturali
 senza sentire la regione.
    Invero,  in argomento, la sentenza n. 210 del 1987 poc'anzi citata
 ha precisato che la pronunica di compatibilita' ambientale ex art.  6
 della   legge   istitutiva  del  Ministero  dell'ambiente  "e'  fatta
 d'intesa" con le regioni, ma non e' chiaro se possa trattarsi  di  un
 passo decisionale con valenza interpretativa.
 Sull'art. 4, primo e terzo comma.
    La  regione  Emilia, Romagna, non contesta di per se' la norma che
 prefigura l'affidamento in concessione della costruzione  e  gestione
 del sistema idroviario padano-veneto.
    Peraltro,  visto  che il sistema di realizzazione e gestione delle
 opere a mezzo di  concessionario  comprende,  normalmente,  anche  la
 progettazione   delle   opere  stesse  a  cura  di  quest'ultimo,  le
 disposizioni di cui all'art. 4, primo e  terzo  comma,  non  sembrano
 rispettose   delle   competenze   regionali   (di   cui  alle  intere
 disposizioni citate nel (Paragrafo) 1 di questo ricorso).
    La concessione sara' assentita con decreto interministeriale senza
 neppure sentire le regioni. Ne' e' possibile obiettare che le regioni
 non  possono  concorrere  all'assentimento  della  concessione  ad un
 soggetto (societa' concessionaria) cui sono  titolate  a  partecipare
 anche  ai  sensi  del  secondo  comma,  del  medesimo  art. 4; questo
 ragionamento - ammesso per assurdo che sia esatto -  dovrebbe  valere
 anche per lo Stato (la societa' "Idrovie" menzionata nel primo comma,
 e' certamente a partecipazione statale).
    In  merito  alle  censure  rivolte  contro l'art. 4, primo e terzo
 comma,  della  legge  in  esame  si  ricorda   che   l'attivita'   di
 progettazione     delle     opere    pubbliche    e'    il    momento
 tecnico-amministrativo  esponenziale  della   definizione   e   della
 compatabilita'  di  tutti  gli  interessi  pubblici  che  vengono  in
 considerazione ai fini della costruzione dell'opera;  il  momento  in
 cui  dell'opera  pubblica  si manifesta la rappresentazione grafica e
 logica degli interessi che in essa confluiscono. E' pertanto evidente
 che la regione non puo' rimanere del tutto estranea alle procedure di
 assentimento della concessione di cui trattasi.
                                P. Q. M.
    Voglia  l'ecc.ma  Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita'
 costituzionale degli artt. 1, 2 e 3, sesto comma; 4,  primo  e  terzo
 comma  della  legge  29  novembre  1990,  n.  380 per la parte in cui
 violano gli artt. 117 e 118 della Costituzione anche con riguardo  al
 principio di leale cooperazione e ai principi di cui all'art. 3 della
 Costituzione, con riferimento agli artt. 97 e 98; 80 e 81; 87  e  88,
 primo comma, n. 3; 101 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
      Bologna-Roma, addi' 10 gennaio 1991
                             ROVERSI MONACO

 91C0083