N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 ottobre 1990
N. 23 Ordinanza emessa il 12 ottobre 1990 dalla corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra S.p.a. Compagnia mediterranea di prospezioni e Ministero del tesoro Procedure concorsuali - Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - Crediti garantiti dallo Stato - Azione di regresso - Prededucibilita' di detti crediti - Mancata previsione dell'esclusione della prededucibilita' - Irragionevolezza della norma impugnata per la posizione di totale privilegio concessa allo Stato e l'accollo ai privati del rischio dell'operazione non giustificabile alla luce di un equo bilanciamento dell'interesse pubblico e di quello privato. (Legge 3 aprile 1979, n. 95, art. 2-bis). (Cost., art. 3).(GU n.6 del 6-2-1991 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1275 del ruolo generale contenzioso dell'anno 1988, posta in decisione all'udienza collegiale del 21 settembre 1990 e vertente tra C.M.P. - Compagnia mediterranea di prospezioni S.p.a., in amministrazione straordinaria, in persona del commissario prof. Luigi Cappugi, elettivamente domiciliato in Roma, via Nizza, 45 presso lo studio dell'avv. Alberto di Mauro, che la rappresenta e difende unitamente all'avv. Michele Tamponi in virtu' di mandato a margine dell'atto di appello, appellante e Ministero del tesoro, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, appellato. F A T T O Con ricorso del 28 febbraio 1985 il Ministero del tesoro conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma la societa' C.M.P. in amministrazione straordinaria per ottenere l'ammissione in prededuzione al passivo della societa' dell'importo di L. 826.092.692 oltre interessi maturati e maturandi colcolati al tasso "prime rate ABI", avanzando analoghe richieste per importi differenti con altri sette ricorsi. A fondamento della domanda il Ministero deduceva che con decreto ministeriale 29 maggio 1980 la societa' era stata posta in amministrazione straordinaria ed autorizzata alla continuazione dell'esercizio dell'impresa; che in forza dell'art. 2- bis della legge 3 aprile 1979, n. 95, il Ministero del tesoro con decreto 13 giugno 1981 aveva accordato la garanzia dello Stato sulle linee di credito concesse alla societa' da vari istituti di credito alle condizioni e modalita' previste dai decreti ministeriali 19 giugno 1979 e 7 febbraio 1980 su conformi delibere C.I.P.I.; che a seguito dell'inadempienza della societa' debitrice lo Stato aveva soddisfatto gli istituti di credito per le somme finanziate e che, quindi, per effetto della surrogazione al creditore il Ministero era legittimato ad agire in regresso nei confronti della societa' in amministrazione straordinaria per il recupero in prededuzione del capitale e degli interessi secondo i tassi previsti dai decreti ministeriali del 1979 e del 1980. Il tribunale di Roma, sulla contestazione della costituita societa', con sentenza del 26 marzo 1987 accoglieva la domanda del Ministero e compensava le spese. Avverso la predetta sentenza ha proposto appello la societa' in amministrazione straordinaria, ribadendo la stessa linea difensiva sostenuta in primo grado, e cioe': a) la garanzia prevista dall'art. 2- bis della legge 3 aprile 1979, n. 95 (c.d. legge Prodi) non puo' essere assimilata ad una garanzia fideiussoria; b) in ogni caso il credito garantito non puo' essere annoverato tra quelli di cui all'art. 111, n. 1 legge fallimentare, cioe' tra i crediti in prededuzione; c) nell'ipotesi in cui dovesse ritenersi che si tratti di garanzia fideiussoria con diritto di regresso in prededuzione, la norma citata sarebbe viziata di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 43 e 47 della Costituzione. Resiste il Ministero del tesoro che chiede la conferma della sentenza. D I R I T T O Questa Corte osserva che il dato testuale della norma di cui all'art. 2- bis della legge e della collegata normativa di attuazione, costituita dai decreti ministeriali 19 giugno 1979 e 7 febbraio 1980, potrebbe indurre ad interpretare la garanzia prevista dall'articolo in esame come garanzia fideiussoria con conseguente ipotizzabilita' della surrogazione dello Stato-fideiussore nei diritti del creditore principale (istituti di credito che hanno concesso i finanziamenti richiesti dal commissario straordinario) e dell'esercizio dell'azione di regresso nei confronti della societa' posta in amministrazione straordinaria. Considerato, poi, che con l'instaurazione della procedura di amministrazione straordinaria da parte del Ministro del tesoro e' prevista anche la continuazione dell'esercizio dell'impresa, e che i finanziamenti sono diretti appunto a consentire tale continuazione nell'ambito del programma di risanamento predisposto dal commissario straordinario, l'interpretazione della normativa potrebbe portare alla conclusione piu' attendibile che i debiti contratti a seguito dell'erogazione dei finanziamenti siano debiti di massa, come tali prededucibili. E' chiara allora la rilevanza delle eccezioni di incostituzionalita' prospettate sotto diversi profili dalla difesa della societa' per preteso contrasto del citato art. 2- bis con gli artt. 3, 23, 24, 43 e 47 della Costituzione. Questa Corte deve, quindi, farsi carico di verificare se ed in quali limiti la questione di incostituzionalita' non sia manifestamente infondata, sulla premessa che la stessa sentenza impugnata e vari interventi dottrinali in subiecta materia hanno avanzato critiche de iure condendo sul complesso sistema normativo della legge Prodi con riferimento appunto all'art. 2-bis, per effetto del quale il legislatore con la previsione del diritto di regresso in prededuzione finisce per far ricadere l'intero rischio della continuazione dell'impresa sui creditori pregressi. Si e' detto che la legge in esame trova la sua ratio nell'intento del legislatore di tentare il salvataggio delle grandi imprese in crisi a salvaguardia dei cicli produttivi e dei livelli occupazionali; e' stato pero' osservato che l'interesse pubblico cui si e' ispirato il legislatore finisce, nel sistema della legge, per comprimere e sacrificare del tutto l'interesse privato dei creditori anteriori, i quali non avrebbero alcun potere decisionale circa la scelta della procedura di amministrazione straordinaria in luogo della dichiarazione di fallimento e, quindi, sarebbero privi di tutela. Quest'ultimo profilo investe l'eccezione di incostituzionalita' con riguardo all'art. 24 della Costituzione, ma ritiene questa Corte che da questo punto di vista l'eccezione sia manifestamente infondata. Indubbiamente l'instaurazione della procedura di amministrazione straordinaria con tutti gli effetti collegati (finanziamenti per consentire la continuazione dell'esercizio dell'impresa e prestazione della garanzia da parte dello Stato per facilitare o rendere possibile il finanziamento) prescinde del tutto dalla partecipazione all'iniziativa dei creditori pregressi, ma non e' esatto che questi siano del tutto privi di tutela. Infatti, contro la sentenza che dichiara l'impresa soggetta ad amministrazione straordinaria essi possono fare opposizione anche per sostenere la necessita' del fallimento, come si ricava dall'art. 4 della legge n. 95 del 1979 che al secondo comma richiama le disposizioni dell'art. 195 legge fallimentare. Potrebbe accadere che le valutazioni della pubblica amministrazione sulla scelta della procedura di a.s. siano errate o non sorrette da adeguata ponderazione circa l'opportunita' di mantenere in vita imprese, apparentemente insanabili e prive di qualsiasi prospettiva di ripresa. Ma anche in tali ipotesi i creditori non sono sforniti di tutela, in quanto contro il decreto ministeriale che dispone l'amministrazione straordinaria e' sicuramente riconosciuta la legittimazione dei creditori all'impugnativa dell'atto amministrativo davanti alla giustizia amministrativa per eccesso di potere. Una piu' approfondita disamina merita l'eccezione sollevata dalla societa' con riguardo all'art. 3 della Costituzione. Sostiene l'appellante che l'art. 2- bis sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sia perche' la partecipazione dello Stato, in qualita' di creditore-fideiussore, al concorso dei creditori verrebbe a ledere gli interessi di questi ultimi chiamati a ripartire l'attivo residuo con un nuovo creditore, sia perche' i creditori dell'a.s. verrebbero a subire un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai creditori nelle altre procedure concorsuali. Si ritiene che, cosi' impostata, la questione e' manifestamente infondata. Non va trascurato che la legge Prodi, e in particolare l'art. 2- bis che costituisce la norma cardine del sistema in quanto rende possibile l'attuazione concreta delle finalita' perseguite, trova la sua ragione d'essere nell'interesse pubblico al mantenimento in vita delle imprese a tutela dei cicli produttivi ed a salvaguardia dei livelli occupazionali. Di conseguenza, non puo' ritenersi che sussista violazione del principio di eguaglianza per il semplice fatto che i creditori dell'a.s. vengono a torvarsi in posizione deteriore rispetto ai creditori delle altre procedure concorsuali, dal momento che la differenza di trattamento e' razionale e giustificata dalla sussistenza dell'interesse pubblico al salvataggio delle grandi imprese in crisi. Ne' la violazione dell'art. 3 puo' essere ravvisata solo ed esclusivamente in base alla considerazione che, con l'ipotizzare l'azione di regresso, i creditori anteriori sono costretti a ripartire l'attivo con un nuovo creditore (appunto lo Stato fideiussore). Qui ancora una volta vale il richiamo dell'interesse pubblico come giustificativo dell'iniziativa dello Stato, mentre non appare incompatibile con la Costituzione la scelta operata dal legislatore di strutturare il ricorso al credito in forma di finanziamento indiretto anziche' in forma di sovvenzione o di contributo. Infatti, la mera previsione della possibilita' di esperire l'azione di regresso non altera in maniera rimarchevole ed iniqua l'equilibrio tra l'interesse pubblico e l'interesse privato dei creditori anteriori, anche perche' il tentativo dello Stato non e' detto che debba fallire per forza e - inoltre - in astratto viene operato anche nell'interesse dei creditori, i quali potrebbero giovarsi della ripresa dell'attivita' produttiva dell'impresa. Non sarebbe, percio', esatto ritenere illegittima l'azione di regresso e far cadere del tutto sulla collettivita' il rischio della continuazione dell'attivita', che puo' portare cosi' ad un aggravamento del passivo come al risanamento dell'impresa. Ritiene, invece, questa Corte che, laddove i crediti dello Stato siano ritenuti prededucibili (come dovrebbe dedursi per le ragioni sopra esposte), l'equilibrato bilanciamento tra l'interesse pubblico e quello privato viene stravolto ingiustificatamente perche' lo Stato-fideiussore, nel momento liquidatorio e satisfattivo, si pone in una posizione di totale privilegio facendo cosi' cadere del tutto sui privati il rischio dell'operazione. L'irrazionalita' e' ancora piu' evidente se si considera da un lato che il tentativo di salvare le imprese in crisi e' voluto dallo Stato, e dall'altro che i creditori anteriori sono del tutto estranei all'iniziativa. Con questo sistema il contemperamento dei due interessi confliggenti non viene garantito dal legislatore, sembrando percio' violato il principio di uguaglianza per la mancata esclusione - nell'art. 2 bis della legge n. 95 del 1979 - della prededucibilita' dei crediti garantiti e soddisfatti dallo Stato e, poi, richiesti alla societa' in amministrazione straordinaria con l'esperimento dell'azione di regresso. E difatti, configurando i debiti conseguenti al mancato pagamento dei finanziamenti come debiti di massa ai sensi dell'art. 111, n. 1 legge fallimentare, il legislatore finisce per riservare un trattamento identico a situazioni diverse. Invero, i debiti di massa di cui al n. 1 dell'art. 111 sono quelli contratti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa voluta dai creditori, i quali divengono arbitri e compartecipi del rischio del cattivo esito dell'obiettivo di risanamento; i debiti conseguenti alla procedura di a.s. sono contratti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa, continuazione che viene imposta ai creditori pregressi a seguito dell'iniziativa dello Stato alla quale i creditori stessi restano completamente estranei. La discrasia che si viene a creare e' veramente notevole se si rileva inoltre che nel caso di esercizio provvisorio dell'impresa del fallito il legislatore prevede nell'art. 90 della legge fallimentare che, dopo l'emissione del decreto di cui all'art. 97 della stessa legge, il comitato dei creditori deve pronunciarsi sull'opportunita' di continuare o di riprendere in tutto o in parte l'esercizio dell'impresa del fallito, indicandone le condizioni. Ed il parere che il comitato pronuncia e' vincolante nel senso che solo un parere favorevole puo' far disporre dal tribunale la continuazione o la ripresa dell'esercizio dell'impresa. Infine la importanza e peculiarita' dell'interpello del comitato dei creditori e' tale che si tratta dell'unico caso previsto dalla legge fallimentare di parere vincolante dei creditori. Sempre al fine di rilevare la discrasia determinata dall'art. 2 bis della c.d. legge Prodi per la mancata esclusione della prededucibilita' dei crediti garantiti, successivamente soddisfatti dallo Stato e poi richiesti alla societa' in amministrazione straordinaria, non puo' non osservarsi che nel caso di ammissione dell'imprenditore ricorrente alla amministrazione controllata e' necessario anche un interpello preventivo dei creditori, i quali finiscono attraverso la loro maggioranza per pronunciare un parere sulla possibilita' di risanamento dell'impresa, ma tenendo presente in prospettiva il soddisfacimento dei propri crediti. Manifestamente infondate sono le altre eccezioni prospettate sotto il profilo della violazione degli artt. 23 e 43 Cost., perche' ai creditori anteriori non viene imposta nessuna prestazione patrimoniale diretta per il tentativo di salvataggio, ed in ogni caso l'imposizione deriverebbe dalla legge; ne' sembra che si versi in materia di espropriazione senza indennizzo della societa' in crisi. Con adeguata motivazione il tribunale ha escluso la violazione dell'art. 47 Cost., osservando che le precise condizioni e modalita' per la prestazione della garanzia statale salvaguardano, non certo mortificano, le esigenze di disciplina, coordinamento e controllo dell'esercizio del credito. In definitiva si ritiene rilevante per il giudizio in corso e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 bis della legge n. 95 del 1979, nella parte in cui non e' esclusa la prededucibilita' dei crediti garantiti dallo Stato e fatti valere nei confronti della societa' in amministrazione straordinaria con l'azione di regresso, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Va, pertanto, sospeso il giudizio in corso ed ordinata la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria dovra' procedere alle comunicazioni di rito.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante per il giudizio in corso e non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 bis della legge 3 aprile 1979, n. 95, nella parte in cui non e' esclusa la prededuzione dei crediti garantiti dallo Stato e fatti valere nei confronti della societa' in amministrazione straordinaria con l'azione di regresso; Ordina la sospensione del giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma il 12 ottobre 1990 nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte di appello. Il presidente: (firma illeggibile) 91C0089