N. 45 SENTENZA 17 - 31 gennaio 1991

 
 
 Giudizio per legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Custodia cautelare - Riesame - Imputato detenuto
 fuori della circoscrizione del giudice del riesame Richiesta di
 audizione - Competenza del magistrato di sorveglianza anziche' del
 giudice del riesame - Possibilita' ove  ritenuto necessario, che il
 giudice ordini comunque la traduzione innanzi a se' - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 309, ottavo comma, e 127, terzo comma).
 
 (Cost., art. 24, secondo comma).
(GU n.6 del 6-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI prof.  Luigi
 MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 309, comma
 8›, e 127, comma 3›, del codice di  procedura  penale,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  15  giugno  1990 dal Tribunale di Torino sulla
 richiesta di riesame proposta da Vizzini Calogero, iscritta al n. 547
 del  registro  ordinanze  1990  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto   l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 gennaio 1991 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza  15  giugno  1990  il Tribunale di Torino - Sezione
 sesta penale -  in  sede  di  riesame  di  un'ordinanza  di  custodia
 cautelare  in  carcere,  disposta  dal  G.I.P. presso il Tribunale di
 Ivrea, sollevava questione di legittimita' costituzionale degli artt.
 309,  comma  8›, e 127, comma 3›, cod. proc. pen., nella parte in cui
 prevedono  che  l'imputato,  se  detenuto  in   luogo   fuori   della
 circoscrizione  del giudice del riesame, deve essere sentito, qualora
 ne faccia  richiesta,  dal  magistrato  di  sorveglianza  del  luogo,
 anziche' dal tribunale del riesame.
    Secondo  l'ordinanza,  la  detta disposizione si pone in contrasto
 con il diritto di autodifesa garantito dall'art. 24, comma 2›,  della
 Costituzione,  in  quanto  l'imputato  ha  il  diritto  di contestare
 davanti al Collegio giudicante gli  elementi  di  prova  portati  dal
 pubblico  ministero; particolarmente, poi, quando, come nella specie,
 questi sono stati raccolti dal pubblico ministero dopo che l'imputato
 e'  stato sottoposto a custodia cautelare, e percio' da lui ignorati.
 L'ordinanza fa anche riferimento alla sentenza di questa Corte  n.  5
 del 1970 che, in tema di incidenti di esecuzione e sotto l'impero del
 codice  abrogato,  aveva  dichiarato  infondata  analoga   questione.
 Rileva,  pero',  l'ordinanza  che la sentenza stessa aveva tenuto ben
 distinta la situazione della persona gia' condannata che  compare  in
 sede  di incidente di esecuzione da quella dell'imputato, che compare
 per un fine ben diverso e in una sede dove si  acquisiscono  elementi
 probatori.
    E'  intervenuto  nel  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, che  ha
 chiesto  declaratoria d'infondatezza della questione. Per sostenerla,
 l'Avvocatura si richiama alla relazione  ministeriale  al  codice  di
 procedura  penale,  la' dove dice che l'art. 127, comma 3›, "assicura
 all'interessato la  possibilita'  di  far  sentire  comunque  le  sue
 ragioni  al  giudice:  e  a  quest'ultimo  e',  comunque,  rimessa la
 valutazione dell'opportunita' di una presenza fisica nei casi in  cui
 la stessa appaia utile ai fini della decisione".
    Aggiunge  l'Avvocatura  che,  in ogni caso, nessuna norma vieta di
 far  pervenire  al  giudice  di  sorveglianza,  delegato  a   sentire
 l'imputato,  tutti  gli  atti  necessari  a  porlo  in  condizione di
 difendersi,  ivi  comprese  le  risultanze  acquisite  dal   pubblico
 ministero  in  tempo  successivo  a quello in cui l'imputato e' stato
 posto in custodia cautelare;
                         Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale di Torino dubita che il combinato disposto degli
 artt. 309, comma 8›, e 127, comma 3›, cod. proc. pen. sia compatibile
 con  l'art.  24,  comma  2›,  della  Costituzione, nella parte in cui
 prescrive che, in sede di riesame del provvedimento che  ha  disposto
 la  custodia  cautelare  in  carcere,  se l'imputato chiede di essere
 sentito e sia in custodia fuori della  circoscrizione  del  tribunale
 del  riesame,  deve  essere  sentito  dal giudice di sorveglianza del
 luogo dove ha sede lo stabilimento.
    L'Avvocatura  Generale  dello  Stato  oppone  l'infondatezza della
 questione perche' il giudice del riesame avrebbe sempre la  facolta',
 se  lo  ritiene  necessario  o utile, di provocare la presenza fisica
 dell'imputato.
    Ad  ogni  modo, al rilievo del Tribunale, secondo cui nella specie
 l'imputato ha il  diritto  di  contestare  le  risultanze  probatorie
 acquisite  dal  pubblico  ministero  dopo l'esecuzione della custodia
 cautelare, risponde  l'Avvocatura  che  nulla  impedisce  che  quelle
 ulteriori  risultanze siano pure trasmesse al giudice di sorveglianza
 affinche' le contesti all'imputato e ne raccolga le difese.
    2.  -  Stando  alla  giurisprudenza  di  questa Corte in ordine ai
 giudizi  camerali  a  contraddittorio  necessario,  si  nota  che  la
 presenza personale dell'imputato, che ne abbia avanzato richiesta, e'
 ritenuta indispensabile allorquando il fine,  per  cui  la  personale
 comparizione  e'  prevista,  sia  volto  all'acquisizione di elementi
 probatori. La sentenza  n.  5  del  1970,  citata  dall'ordinanza  di
 rimessione,  che  pur  conclude  per  l'infondatezza  della sollevata
 questione,  si  riferisce  in  realta'  ad   un   giudizio   camerale
 concernente  un  incidente  di  esecuzione  "ristretto  -  afferma la
 sentenza  -  a  questioni  ordinariamente  di   solo   diritto,   ben
 circoscritte  e determinate", sicche' ivi "non puo' scorgersi nessuna
 compressione di quel diritto (di  difesa)  in  una  comparizione  che
 avviene  per il tramite di altro giudice". E cio' perche' -precisa la
 sentenza-  "in  questo  tipo  di  procedimento,  alla  parte  privata
 condannata  la  comparizione  di  persona  e'  consentita per un fine
 diverso da quello per cui l'imputato e' convocato avanti  al  giudice
 dell'istruzione  o  del giudizio". Si comprende allora perche' quella
 sentenza,  dato  il  contenuto  del  procedimento,  abbia   giudicato
 "prevalenti   in  senso  ostativo  le  difficolta'  pratiche  che  un
 trasporto in stato di detenzione presenta di fronte alla  irrilevanza
 che   il  beneficio  di  essere  ascoltato  di  persona  dal  giudice
 competente a decidere rappresenta per il detenuto". Ed e' sotto  tale
 prospettiva che - come ricorda il giudice a quo - il legislatore ebbe
 a rinunziare alla modifica dell'art. 127  cod.  proc.  pen.  proposta
 della Commissione parlamentare.
    Ma  la  Corte  Costituzionale, con sentenza n. 98 del 1982, ha ben
 precisato quale sia il fine cui faceva cenno la  sentenza  n.  5  del
 1970,  e  lo  ha ravvisato nell'"accertamento inerente a questioni di
 fatto,  che   solo   potrebbe   richiedere   l'intervento   personale
 dell'interessato,  imputato  o condannato". Finalita' che la sentenza
 n. 98 del 1982 valorizza fino al punto da avvertire  che,  anche  nel
 caso di incidenti di esecuzione, quando ricorrono ipotesi nelle quali
 sono prese in  esame  questioni  di  fatto  concernenti  la  condotta
 dell'interessato,  "si  impone  la  diretta  audizione  del  medesimo
 affinche' il giudice stesso possa formarsi il convincimento nel  modo
 piu' diretto e completo".
    3. - Questo essendo lo stato della giurisprudenza, deve ricordarsi
 come nella specie sia fuori dubbio che la questione sorge nella  fase
 di  cognizione e che, ai fini della decisione, il giudice chiamato al
 riesame del provvedimento applicativo  della  misura  cautelare  deve
 valutare questioni di fatto concernenti la condotta dell'interessato.
 Questioni per  di  piu'  emerse,  a  seguito  di  ulteriori  indagini
 compiute  dal pubblico ministero, dopo l'esecuzione della custodia in
 carcere. E' evidente, percio', l'interesse dell'imputato a  comparire
 personalmente  per  contrastare  -  se  lo  voglia  -  le  risultanze
 probatorie  e  indicare  eventualmente  altre   circostanze   a   lui
 favorevoli:    cosi'   come   e'   evidente   l'importanza   che   il
 contraddittorio abbia a svolgersi innanzi al giudice che  dovra'  poi
 assumere la decisione.
    Non  sembra,  pero',  che  l'art.  309  cod.  proc.  pen. vieti la
 comparizione  personale  dell'imputato  se  questi  ne  abbia   fatto
 richiesta  oppure  se  il  giudice  competente  lo ritenga ex officio
 opportuno.
    Che  di  regola  il  legislatore,  per  ragioni  di sicurezza e di
 economia processuale, abbia previsto la delega rogatoria  al  giudice
 di  sorveglianza  quando  l'imputato sia detenuto in luogo esterno al
 circondario, non esclude che, ove l'imputato ne abbia fatto  espressa
 richiesta,  o  il  giudice di cognizione lo ritenga necessario, possa
 ordinarne la traduzione innanzi a se'. Il diritto-dovere del  giudice
 di  cognizione  di  sentire personalmente l'imputato, e il diritto di
 quest'ultimo di essere ascoltato dal giudice che  dovra'  giudicarlo,
 rientrano  nei  princip|  generali  d'immediatezza  e di oralita' cui
 s'ispira l'attuale sistema processuale: e lo conferma, del resto,  la
 giurisprudenza costituzionale che si e' ricordata.
    Sembra,  pertanto, che il giudice a quo ben possa pervenire in via
 interpretativa al risultato auspicato, specie di fronte alla sentenza
 n.  98  del  1982 di questa Corte. Una possibilita' che e' confortata
 dal disposto di cui al comma 6› dell'art. 309 cod.  proc.  pen.,  nel
 cui  secondo  periodo  e' detto che "chi ha proposto la richiesta ha,
 inoltre, facolta' di enunciare nuovi motivi davanti  al  giudice  del
 riesame,  facendone  dare  atto  a  verbale  prima  dell'inizio della
 discussione". Naturalmente si potrebbe essere tratti a pensare che la
 legge  si riferisca alle attivita' che l'imputato esercita tramite il
 suo difensore, ma non e' cosi'. Basta uno sguardo ai  commi  primo  e
 terzo dell'articolo in parola per rendersi conto che tanto l'imputato
 quanto il  difensore  sono  autonomamente  titolari  del  diritto  di
 richiedere  il riesame sicche', quando la richiesta e' stata proposta
 personalmente  dall'imputato,  egli  stesso,  oltre  che  tramite  il
 difensore,  ha  il  diritto  di  esplicare  quelle  attivita'. Ne' e'
 pensabile che esse  possano  essere  svolte  davanti  al  giudice  di
 sorveglianza  delegato, dato che la norma fa esplicito riferimento al
 "giudice del riesame"  e  allude  poi  al  momento  temporale  "prima
 dell'inizio  della  discussione":  espressione  ben diversa da quella
 "prima del giorno dell'udienza", di cui al terzo comma dell'art.  127
 cod.  proc.  pen., restando escluso che possa trattarsi dell'esame da
 parte del giudice di  sorveglianza.  La  norma,  percio',  rispecchia
 evidentemente  le  attivita' della Camera di consiglio del Tribunale,
 dove si svolge appunto la discussione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  degli  artt.
 309,  comma  8›,  e 127, comma 3›, codice procedura penale, sollevata
 dal Tribunale di Torino in riferimento all'art. 24, comma  2›,  della
 Costituzione, con ordinanza 15 giugno 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 31 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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