N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1990

                                 N. 55
    Ordinanza emessa il 23 novembre 1990 dal pretore di Perugia nel
        procedimento penale a carico di Bellezza Irene ed altre
 Processo  penale  -  Procedimento  pretorile - Decreto di citazione a
 giudizio  -  Richiesta  di  applicazione  della  pena  -  Termini   e
 competenza  -  Entro  quindici  giorni  dalla  notifica  del decreto:
 g.i.p. - Fino alle formalita' di apertura del dibattimento:   pretore
 - Violazione dei principi di massima semplificazione del procedimento
 pretorile, nonche' della legge delega - Surrettizia  introduzione  di
 appello improprio avanti al pretore di eventuale decisione del g.i.p.
 - Contrasto con il principio del giudice naturale precostituito.
 (C.P.P.  1988,  artt.  446,  primo  comma,  549 e 563, primo e quarto
 comma).
 (Cost., artt. 25 e 76).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                               IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza all'udienza dibattimentale
 del 23 novembre 1990 nel  procedimento  penale  n.  281/1990  dib.  a
 carico di Bellezza Irene, Matteucci Roberta e Gori Sabrina;
                           RILEVATO IN FATTO
      che  con  decreto notificato rispettivamente in data 7 settembre
 1990 e 27 agosto 1990 il p.m. in sede disponeva la citazione  dinanzi
 a  questo  pretore  per  l'odierna udienza dibattimentale di Bellezza
 Irene e Matteucci Roberta imputate del reato di cui  agli  artt.  56,
 110, 624, 625, n. 2, commesso in Perugia il 16 marzo 1990;
      che  nella fase degli atti preliminari dell'odierno dibattimento
 le dette imputate avanzavano richiesta di applicazione della pena  ex
 artt.  444  e 563, quarto comma del c.p.p. come da verbale ed il p.m.
 di udienza prestava il proprio consenso;
                          RITENUTO IN DIRITTO
    1. - Questo pretore, a seguito della richiesta di "patteggiamento"
 avanzata nella fase degli  atti  preliminari  al  dibattimento  dalle
 imputate  e  sulla  quale il p.m. ha prestato il proprio consenso, si
 trova a dover applicare al presente giudizio la norma di cui all'art.
 563, quarto comma del c.p.p.
    Tale  disposizione,  se  da  un  lato  individua  nel  pretore del
 dibattimento l'organo giurisdizionale competente sulla  richiesta  di
 applicazione  della pena "patteggiata" presentata oltre il termine di
 cui all'art. 555, primo comma, lett. e) del c.p.p. (costituendo cosi'
 il  fondamento  della legittimazione di questo giudice alla decisione
 sulla domanda avanzata dall'imputato, con il consenso  del  p.m.,  in
 questa  sede),  dall'altro  viene  per  se'  sola  a  consentire  che
 l'imputato, come nel caso che  occupa,  chieda  l'applicazione  della
 pena  ai  sensi  dell'art.  444  del c.p.p. anche dopo lo spirare del
 termine cui si e' test'e' fatto riferimento.
   In  altre parole sembra corretta la ricostruzione sistematica delle
 norme relative al giudizio pretorile in base alla quale,  ove  l'art.
 563,  quarto  comma  del  c.p.p. venisse espunto dalla disciplina del
 codice di rito, il termine di quindici giorni dalla notificazione del
 decreto  di  citazione  a giudizio stabilito per il deposito da parte
 dell'imputato della richiesta di patteggiamento presso l'ufficio  del
 pubblico  ministero  dall'art.  555,  primo comma, lett. e), dovrebbe
 considerarsi perentorio.
    A  questa  conclusione  si  perviene  se solo si consideri che nel
 progetto  preliminare  del  codice  di  procedura  penale,   la   cui
 disciplina  e' stata peraltro quasi integralmente recepita, salvo che
 per aspetti  di  carattere  eminentemente  ordinamentale,  dal  testo
 definitivo  del  codice,  non esisteva norma analoga all'attuale art.
 563, quarto comma del c.p.p. La  commissione  redigente  il  progetto
 spiega   al  riguardo  nella  relazione  ad  esso  allegata  che  "la
 disposizione relativa all'applicazione della pena su richiesta, opera
 un  invio  integrale  alla  disciplina  prevista  per questa forma di
 giudizio abbreviato per i reati di  competenza  del  Tribunale  (art.
 556)"  e che, "in ossequio al principio della massima semplificazione
 imposta dalla delega, si e' pero' stabilito che la richiesta di  pena
 a  norma dell'art. 439 deve essere presentata nel termine di quindici
 giorni dalla notifica del  decreto  di  citazione  (art.  548,  primo
 comma,  lett.  e)"  (cosi',  testualmente,  in suppl. ord. n. 2 dalla
 Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1988, pag. 123).
    E'  proprio  la  perentorieta' di questo termine, corrispondente a
 quello di cui all'art. 555, primo  comma,  lett.  e)  del  c.p.p.,  a
 costituire "la ragione per cui il termine dilatorio tra la data della
 notifica e la data del dibattimento e' piu' lungo rispetto  a  quello
 del   procedimento   davanti  al  tribunale:  si  deve  infatti  dare
 all'imputato  il  tempo  di  presentare  la  richiesta  di   giudizio
 abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta, e solo ove
 risulti che entro il termine di quindici  giorni  l'imputato  non  ha
 presentato  tale  richiesta, il pubblico ministero provvedera' a fare
 eseguire la notifica del decreto  alle  altre  parti,  a  formare  il
 fascicolo  per il dibattimento e a trasmetterlo al pretore unitamente
 al  decreto  di  citazione"  (cosi',   testualmente,   chiarisce   il
 complessivo   inquadramento   sistematico   della   "struttura"   del
 patteggiamento in pretura, la relazione al  progetto  preliminare  in
 Gazzetta Ufficiale cit., pag. 123).
    Ora,  poiche'  la  disciplina  del  patteggiamento  stabilita  dal
 progetto  preliminare  per  il  giudizio  pretorile  e'  stata,   con
 l'eccezione  delle  modifiche  apportate  con  l'attuale art. 563 del
 c.p.p. all'art. 556 del progetto,  praticamente  trasfusa  nel  testo
 definitivo  del  codice,  sembra  indubitabile  che, in assenza della
 norma   impugnata,   la   richiesta   di   patteggiamento    avanzata
 dall'imputato  in  questa  sede  dovrebbe  considerarsi inammissibile
 perche' tardiva.
    Che  se  poi la norma di cui all'art. 563, quarto comma del c.p.p.
 dovesse al contrario ritenersi meramente esplicativa della disciplina
 comunque  applicabile  al  patteggiamento  in  pretura  in virtu' del
 richiamo operato dagli artt.  549  e  563,  primo  comma  del  c.p.p.
 all'art.  446,  primo comma del c.p.p., sarebbe il combinato disposto
 di queste ultime norme, nella parte in cui consente all'imputato pure
 nel  giudizio pretorile di presentare la richiesta di applicazione di
 pena "patteggiata" dopo la scadenza del termine di cui all'art.  555,
 primo  comma,  lett.  e)  del  c.p.p.  e  fino  alla dichiarazione di
 apertura del dibattimento, ad essere  suscettibile  di  applicazione,
 unitamente  all'art.  563,  quarto  comma  del  c.p.p,  nel  presente
 giudizio.
    In  ipotesi,  anche  a  tali  norme  dovrebbe  ritenersi estesa la
 questione  di  costituzionalita'  che  si  cerchera'  di  seguito  di
 motivare in punto di fondatezza.
    2.  -  Sembra a questo pretore che la norma di cui al quarto comma
 dell'art. 563 del c.p.p., e, in ipotesi, per quanto sopra motivato in
 punto  di  rilevanza,  il  combinato  disposto degli artt. 446, primo
 comma, 549, 563, primo comma del c.p.p., consentendo all'imputato  di
 formulare  la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art.
 444 del c.p.p. anche dopo la scadenza del termine previsto  dall'art.
 555,  primo comma, lett. e) del c.p.p. e stabilendo la competenza del
 pretore su tale richiesta, si ponga in  contrasto  con  il  dettaglio
 degli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione. Di seguito, per
 ragioni  di  pratica  stesura  della  presente  ordinanza,  si  fara'
 esclusivo   riferimento   all'art.  563,  quarto  comma  del  c.p.p.,
 dovendosi peraltro ritenere esteso anche al combinato disposto  degli
 artt.   446,   primo   comma,  549,  563,  primo  comma  del  c.p.p.,
 nell'ipotesi di cui al precedente punto 1, quanto si verra' dicendo a
 proposito della prima norma.
    3.  - In primo luogo la norma de qua sembra porsi in contrasto con
 il principio di "massima semplificazione" sancito per il procedimento
 pretorile dall'art. 2, n. 103 della legge 16 febbraio 1987, n. 81.
    Al  riguardo  si sottolinea in via preliminare che, poiche' l'art.
 2, n. 1 della legge delega stabilisce, come  parametro  generale,  la
 "massima   semplificazione   nello   svolgimento   del  processo  con
 eliminazione di ogni atto od attivita' non essenziale", il  principio
 di  "massima  semplificazione"  sancito nella direttiva n. 103 per il
 procedimento pretorile si traduce nella necessita'  di  un  ulteriore
 snellimento   e  semplificazione  degli  istituti  e  dei  meccanismi
 previsti per i procedimenti dinanzi al tribunale.
   In  questo quadro anche il richiamo fatto dalla direttiva n. 103 ai
 "principi generali di cui ai numeri precedenti" va  inteso  non  come
 meccanica   e  necessaria  ricezione,  nell'ambito  del  procedimento
 pretorile, degli istituti disciplinati per  il  processo  dinanzi  al
 tribunale,  bensi'  come riferimento ai principi ispiratori di quegli
 istituti, suscettibili di ulteriore semplificazione (in questo  senso
 anche  la  relazione  al progetto preliminare del codice di procedura
 penale nonche' quella al testo definitivo del medesimo codice).
    Alla  luce di quanto precede, dunque, la direttiva di cui all'art.
 2, n. 45 della legge n. 81/1987, la quale prevede la possibilita' per
 le  parti  di  richiedere  l'applicazione  di pena "patteggiata" fino
 all'apertura del dibattimento, non  costituisce  un  limite  assoluto
 alla   discrezionalita'   del  legislatore  delegato  in  materia  di
 procedimento  pretorile.  Al  contrario,  la  struttura  stessa   del
 procedimento  davanti  al pretore rende necessitata, in ossequio alle
 disposizioni  della  legge  delega,  una  ulteriore   semplificazione
 dell'istituto   del   cosi'   detto  "patteggiamento"  rispetto  alla
 disciplina  per  esso  istituto  prevista  nel  giudizio  dinanzi  al
 tribunale.  Invero,  mentre  nel procedimento davanti al tribunale e'
 giustificabile la previsione  di  un  termine  per  la  richiesta  di
 applicazione  della  pena  ex  art.  444  del  c.p.p. coincidente con
 l'apertura  del  dibattimento,   poiche'   nel   corso   dell'udienza
 preliminare  e fino al provvedimento che la conclude e' possibile, ed
 anzi in qualche modo naturale, l'acquisizione di  atti,  documenti  e
 cose  (artt.  416,  secondo  comma,  419, secondo e terzo comma, 421,
 terzo comma,  422,  primo  comma  del  c.p.p.)  nonche'  l'esclusione
 dell'indagato, di testi, consulenti tecnici, ecc. (artt. 421, secondo
 comma, 422, primo, secondo e terzo comma del c.p.p.), e  comunque  e'
 prevista  una  progressione  del giudizio, anche attraverso eventuali
 modifiche dell'accusa  (art.  423  del  c.p.p.),  fatti  processuali,
 questi,  legittimamente suscettibili di determinare la volonta' delle
 parti del procedimento  in  ordine  ad  un  esito  patteggiato  dello
 stesso,  al  contrario  nel  processo  in  pretura,  stante l'assenza
 dell'udienza  preliminare  e  la  cristallizzazione  dell'accusa  nel
 decreto   di   citazione   almeno   fino  all'inizio  dell'istruzione
 dibattimentale, appare del tutto incongruo rispetto alla esigenza  di
 massima  semplificazione  imposta  dalla  delega  far  progredire  il
 procedimento fino alle soglie del dibattimento per poi dare  ingresso
 ad  un rito alternativo la cui definizione si basa su atti, documenti
 e cose gia' acquisiti  al  fascicolo  processuale  al  momento  della
 citazione a giudizio.
    L'unico  effetto pratico della possibilita', concessa all'imputato
 dalla norma censurata, di chiedere il cosidetto "patteggiamento"  nei
 termini  previsti  dall'art.  446, primo comma del c.p.p. anziche' in
 quelli piu' ristretti di cui all'art. 555, primo comma, lett. e)  del
 c.p.p.  e'  infatto  quello  di  rendere necessario l'espletamento ad
 opera del p.m., delle parti private e del pretore di tutta una  serie
 di   onerosi   incombenti   per   propria   natura  finalizzati  alla
 celebrazione del dibattimento (quali, ad esempio, la  formazione  del
 fascicolo  per  il  dibattimento,  la  sua  trasmissione  al  pretore
 unitamente al  decreto  di  citazione,  la  citazione  della  persona
 offesa,  la  presentazione delle liste testimoniali, l'autorizzazione
 del pretore alla citazione dei testi, l'esame del  fascicolo  per  il
 dibattimento ad opera delle parti private diverse dall'imputato e dei
 loro difensori, la citazione e la presentazione di testi,  consulenti
 tecnici,  ecc. per il dibattimento, la determinazione della data e la
 formazione dei ruoli di udienza per il dibattimento, artt. 558,  466,
 468  del  c.p.p.,  160  disp.  art. del c.p.p., 20 reg. del c.p.p.) e
 purtuttavia suscettibili di essere posti nel nulla da una successiva,
 ancorche' tempestiva ai sensi dell'art. 563, quarto comma del c.p.p.,
 richiesta di pena avanzata dall'imputato col consenso del p.m.
    Tutto  cio' determina una palese violazione della legge delega con
 particolare  riferimento  al  gia'  citato   principio   di   massima
 semplificazione  stabilito per il procedimento pretorile dall'art. 2,
 nn. 1 e 103 della legge n. 81/1987. Violazione ed eccesso  di  delega
 tanto  piu'  evidente  se  si  considera  che  la stessa relazione al
 progetto preliminare del codice di procedura penale prevede che  tale
 "massima   semplificazione   del   processo   pretorile  deve  essere
 conseguita attraverso la scelta di fondo di potenziare al massimo gli
 sbocchi  diversi  al  dibattimento,  trasformando la relativa fase da
 situazione ordinaria... in  evenienza  eccezionale,  o  quanto  meno,
 residuale".  E'  evidente  infatti  che  sancire  la residualita' del
 dibattimento e al contempo imporre anche per  una  ipotesi,  prevista
 come  ordinaria  e  quindi di piu' frequente applicazione pratica, di
 definizione anticipata del processo, l'esecuzione  di  attivita'  del
 tutto  ininfluenti al fine della celebrazione del giudizio secondo il
 rito di cui agli artt. 444 e ss. del c.p.p.,  introduce  senza  alcun
 corrispettivo  beneficio  un pesante aggravio di quella procedura che
 la legge delega vuole, al contrario, snella e semplificata.
    Senza  contare  che l'attuale disciplina consente in fatto, se non
 in diritto, alle parti  di  reiterare,  anche  di  fronte  ad  organi
 giudicanti  diversi  (g.i.p. e pretore del dibattimento), la medesima
 richiesta ex art. 444 del c.p.p. Il pretore del dibattimento,  ed  e'
 evenienza  che  la  presenza di rappresentanti del p.m. non togati in
 udienza rende tutt'altro che teorica, non e' infatti posto  in  grado
 di  conoscere,  attraverso il semplice esame del fascicolo formato ai
 sensi  dell'art.  431  del  c.p.p.,  l'eventuale  esistenza  di   una
 precedente, anche identica, richiesta delle parti presentata entro il
 termine di cui all'art. 555, primo  comma,  lett.  e)  del  c.p.p.  e
 rigettata   dal  g.i.p.  per  qualsivoglia  motivo.  Anche  a  questo
 riguardo, dunque, delle due  l'una:  o  il  legislatore  delegato  ha
 inteso  costruire  un  improprio  appello  davanti  al  pretore della
 decisione gia' adottata  dal  g.i.p.,  appello  che,  si  ripete,  e'
 fondato  sullo  stesso  materiale probatorio gia' esaminato dal primo
 giudice, ovvero ha quanto  meno  omesso  di  prevedere  che  il  p.m.
 presso  la pretura formi il fascicolo per il dibattimento ex art. 558
 del c.p.p. inserendovi non solo quanto  disposto  dall'art.  431  del
 c.p.p.  ma  anche  gli  atti relativi al procedimento di applicazione
 della pena su richiesta delle parti che  si  fosse  in  ipotesi  gia'
 svolto  davanti  al  g.i.p. La negazione del gia' citato principio di
 massima semplificazione indotta da entrambe le  ipotesi  risulta  del
 tutto  evidente.  Se  poi si ritenesse conforme al citato criterio la
 norma di cui all'art. 563,  quarto  comma  del  c.p.p.,  si  porrebbe
 automaticamente  in  contrasto col medesimo criterio, e quindi con la
 legge delega, l'art. 555, terzo  comma  del  c.p.p.  che  prevede  un
 termine  dilatorio  non  inferiore  a  45  giorni tra la notifica del
 decreto di citazione a giudizio e la celebrazione  del  dibattimento.
 Termine,  come  si  e' gia' notato, piu' che doppio rispetto a quello
 corrispondente del giudizio di  tribunale  e  quindi  comportante  un
 allungamento,   anziche'   una   semplificazione,   del  procedimento
 pretorile giustificabile solo con la perentorieta' del termine di cui
 all'art.  555,  primo  comma,  lett.  e) del c.p.p. (cfr. al riguardo
 quanto gia' esposto in punto di rilevanza). Cio' si  espone  perche',
 lungi   dal   voler   sollevare  in  questa  sede  una  questione  di
 costituzionalita' degli artt. 431 e 555, terzo comma del c.p.p.,  per
 la  quale  difetterebbe  tra l'altro il requisito della rilevanza, si
 intende in definitiva sostenere che l'unica ricostruzione sistematica
 della  disciplina  del  "patteggiamento" in pretura corrispondente ai
 principi imposti dalla delega e' quella che presuppone  l'abrogazione
 dal testo del codice di procedura penale di quel vero e proprio corpo
 estraneo rappresentato dall'art. 563, quarto comma del c.p.p. (ed, in
 ipotesi,  dal  combinato  disposto  delle  norme  citate  in punto di
 rilevanza, nel senso ivi precisato).
    4.  -  Il  meccanismo  previsto  dalla  norma  censurata  consente
 sostanzialmente all'imputato, mediante, la semplice opzione sui tempi
 della  presentazione  della  richiesta di applicazione della pena, la
 scelta vuoi del giudice-organo (g.i.p.-pretore), vuoi in  definitiva,
 specie  negli  organi  unipersonali  di pretura, che costituiscono la
 maggior parte di  quelli  presenti  nel  territorio  (si  pensi  alle
 innumerevoli   sezioni   g.i.p.   o  sezioni  distaccate  di  pretura
 circondariale  costituite  da  un  solo  magistrato),  dello   stesso
 giudice-persona  fisica  competente  a conoscere di quell'istanza. Ne
 consegue un palese contrasto  col  principio  del  "giudice  naturale
 precostituito"  di  cui  all'art. 25, primo comma della Costituzione,
 come  elaborato  e  ritenuto   dalla   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale.  Occorre  al  riguardo  solo  sottolineare  come tale
 vulnus al suddetto principio appaia ancor  piu'  evidente  a  seguito
 della  sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 26 giugno 1990,
 con la quale la Corte ha ampliato  in  modo  decisivo  i  poteri  del
 giudice  nell'esame della congruita' della pena proposta dalle parti.
                                P. Q. M.
    Ritenuto  che  risulta imputata e ritualmente citata per lo stesso
 reato in concorso con le predette, anche Gori Sabrina la quale non ha
 avanzato  alcuna  richiesta  preliminare,  dispone la separazione del
 detto giudizio ordinando procedersi al dibattimento nei confronti  di
 Gori Sabrina;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  d'ufficio  e  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  563,
 quarto comma, del c.p.p., e, in ipotesi, del combinato disposto degli
 artt. 446, primo comma, 549, 563, primo comma, del c.p.p. nella parte
 in  cui  consente  all'imputato, anche nel procedimento pretorile, di
 presentare la richiesta  prevista  dall'art.  444,  primo  comma  del
 c.p.p. dopo la scadenza del termine di 15 giorni di cui all'art. 555,
 primo comma, lett.  e)  del  c.p.p.  e  fino  alla  dichiarazione  di
 apertura del dibattimento di primo grado, per contrasto con gli artt.
 76 e 25, primo comma, della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  la  presente ordinanza sia notificata alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei
 due rami del Parlamento.
      Perugia, addi' 23 novembre 1990
                          Il pretore: DUCHINI
   Il collaboratore di cancelleria: MAGGIORE
 91C0134