N. 60 SENTENZA 28 gennaio - 8 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro- Personale autoferrotranviario ed internavigatore- Contratto
 1985- 1987- Lavoratori dichiarati inidonei alle proprie mansioni-
 Previsione di esodo obbligatorio entro il 20 giugno 1986- Svolgimento
 di mansioni equivalenti o superiori a quelle per le quali erano
 risultati inidonei- Esclusione dal piano  quinquennale - Mancata
 previsione - Irrazionalita' Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 12 luglio 1988, n. 270, art. 3, primo comma)
 
 (Cost. artt. 3 e 4).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.  Luigi  MENGONI,  prof.
 Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 12
 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di
 lavoro  del  personale  autoferrotranviario ed internavigatore per il
 triennio 1985-1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed
 altre misure), promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 23 marzo 1990 dal Pretore di Milano nel
 procedimento civile vertente tra Cassone Rocco e l'Azienda  Trasporti
 Municipalizzati  di Milano, iscritta al n. 437 del registro ordinanze
 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  28,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
      2)  ordinanza emessa il 9 maggio 1990 dal Pretore di Brescia nel
 procedimento civile vertente tra Paderno Luciano e l'Azienda  Servizi
 Municipalizzati di Brescia, iscritta al n. 446 del registro ordinanze
 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  29,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti    gli   atti   di   costituzione   dell'Azienda   Trasporti
 Municipalizzati di Milano, Cassone Rocco e Paderno  Luciano,  nonche'
 gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  13  novembre  1990  il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi gli avv.ti Giacinto Favalli e Carlo Mezzanotte per l'Azienda
 Trasporti Municipalizzati  di  Milano,  Sergio  Vacirca  per  Paderno
 Luciano  e  l'Avvocato  dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Nel corso di un procedimento civile instaurato da Cassone
 Rocco nei confronti dell'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano,
 per  sentire  dichiarare  illegittimo  il  licenziamento  subi'to, in
 quanto avvenuto senza il consenso dell'interessato  alla  risoluzione
 del  rapporto,  il Pretore di Milano, con ordinanza del 23 marzo 1990
 (r.o. n.  437/1990),  ha  sollevato  una  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento agli artt. 3 e 4 Cost., dell'art. 3,
 primo comma, della legge 12  luglio  1988,  n.  270  (Attuazione  del
 contratto    collettivo    nazionale    di   lavoro   del   personale
 autoferrotranviario ed internavigatore  per  il  triennio  1985-1987,
 agevolazioni  dell'esodo  del  personale  inidoneo  ed altre misure),
 "nella parte in cui prevede l'esodo obbligatorio  esclusivamente  nei
 confronti  dei  lavoratori dichiarati inidonei rispetto alle mansioni
 proprie della qualifica di provenienza entro il 20 giugno 1986".
    Il  Pretore  -  premesso  in  fatto  che l'attore, in applicazione
 dell'art. 27, lettera b), regio  decreto  8  gennaio  1931,  n.  148,
 allegato  A, era stato dichiarato inidoneo alle mansioni di agente in
 vettura e destinato a compiti di pulitore di uffici nel lontano  1973
 -  lamenta  innanzi tutto che la norma impugnata, in violazione delle
 regole, a suo avviso, comuni ai casi di  prepensionamento,  prescinda
 del  tutto  dalla  domanda  dell'interessato  e  detti un criterio di
 individuazione dei lavoratori da sottoporre  ad  esodo  eminentemente
 soggettivo,  valorizzando  inoltre  un  fatto  storico  - l'accertata
 idoneita' alle mansioni proprie della qualifica di provenienza -  che
 avrebbe  gia' esaurito la propria efficacia sul mutamento di mansioni
 operato in applicazione del suddetto art. 27 del regio decreto n. 148
 del 1931.
    La  disposizione  censurata,  in  conclusione,  urterebbe in primo
 luogo contro l'art. 3 Cost. per  discriminare  irragionevolmente  tra
 soggetti  che svolgono le stesse mansioni ed hanno analoga situazione
 contributiva, assoggettandoli ad esodo soltanto  in  conseguenza  del
 modo  in  cui  sono stati assegnati alle mansioni medesime (e cioe' a
 seconda che vi pervengano a seguito di dichiarazione  di  inidoneita'
 alle  mansioni  originarie  oppure  per altro motivo).     In secondo
 luogo,  violerebbe  l'art.  4  Cost.,  il   quale   impegnerebbe   il
 legislatore  a  promuovere  le  condizioni  che  rendano effettivo il
 diritto al lavoro, piuttosto che a spianare le strade a pensionamenti
 anticipati, obbligatori e discriminatori.
    1.2.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte si e' costituita
 l'Azienda Trasporti  Municipalizzati  di  Milano,  chiedendo  che  la
 questione  sia  riconosciuta  inammissibile  o infondata.     Innanzi
 tutto, infatti, non sarebbe chiaro se il giudice a quo abbia ritenuto
 di  dubbia  costituzionalita'  l'esodo  obbligatorio in se' e per se'
 considerato, ovvero l'asserita disparita' di trattamento tra idonei e
 inidonei alle mansioni di provenienza.
    Nel  merito,  non  sussisterebbe  alcun contrasto ne' con l'art. 3
 Cost.  -  profondamente  diverse  essendo  le  posizioni  delle   due
 categorie  poste a raffronto - ne' con l'art. 4 Cost., non contenendo
 quest'ultimo, secondo  la  stessa  giurisprudenza  di  questa  Corte,
 alcuna garanzia del mantenimento del posto di lavoro.
    1.3.  -  Nel  medesimo  giudizio  e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    Quanto  alla  censura  relativa  all'art.  3  Cost., l'Avvocatura,
 rammenta innanzi tutto come - secondo la Relazione alla legge n.  270
 del 1988 - la disciplina dell'inidoneita' alle funzioni proprie della
 qualifica, dettata dall'art. 27, lettera b), regio decreto 8  gennaio
 1931,  n. 148, allegato A, avesse dato luogo nella prassi applicativa
 a gravi disfunzioni, poiche' "il lavoratore  inidoneo  alle  mansioni
 proprie della qualifica, non soltanto conservava il posto di lavoro e
 la retribuzione raggiunta, ma manteneva, pure impiegato  in  semplici
 mansioni ausiliari o di attesa, la dinamica salariale e le competenze
 accessorie proprie della qualifica di  provenienza".  Osserva  dunque
 che il legislatore, nel prevedere una nuova disciplina degli inidonei
 alle mansioni  originarie,  peraltro  in  larga  parte  rimessa  alla
 contrattazione  collettiva  nazionale,  non irragionevolmente avrebbe
 disposto l'esodo per gli inidonei dichiarati tali anteriormente al 20
 giugno  1986,  trattandosi  inoltre  di una misura di maggior favore,
 motivata dalla necessita' di tener conto delle legittime  aspettative
 di questi ultimi.
    Non  esisterebbe  infine  l'asserita violazione dell'art. 4 Cost.,
 poiche' la  disposizione  impugnata  sarebbe  una  deroga  del  tutto
 temporanea alla pregressa regolamentazione del settore, per sopperire
 ad esigenze indifferibili.
    2.1.  -  Nel  corso di un procedimento civile vertente tra Paderno
 Luciano e l'Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia, il Pretore di
 Brescia,  con  ordinanza  del  9  maggio  1990 (r.o. n. 446/1990), ha
 sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  una  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  della legge del 12 luglio
 1988, n. 270, nella  parte  in  cui  consente  il  licenziamento  dei
 prestatori  di  lavoro  inidonei  a  mansioni  pregresse e non gia' a
 quelle attualmente disimpegnate.
    Tale   disposto   introdurrebbe   una   ulteriore  fattispecie  di
 recedibilita' dal rapporto di lavoro che,  per  essere  collegata  al
 presupposto di fatto della pregressa inidoneita' a mansioni del tutto
 diverse  da  quelle  presenti,  sarebbe  assolutamente  difforme  dai
 principi   generali   della  legislazione  vigente,  consistenti  nel
 necessario collegamento della  inidoneita'  con  le  mansioni  svolte
 attualmente.  Tale deroga sarebbe priva di qualunque giustificazione:
 di qui la lamentata violazione dell'art. 3 Cost.
    2.2. - Si e' costituito in giudizio davanti a questa Corte Paderno
 Luciano, osservando che la normativa impugnata sarebbe  in  contrasto
 con  la normativa generale e con quella speciale, poiche' disporrebbe
 la cessazione del rapporto di lavoro per un motivo che nulla  avrebbe
 a che vedere con il comportamento del lavoratore, ne' con le esigenze
 organizzative   dell'azienda:   discostandosi   dal   sistema   senza
 ragionevole motivo, la disposizione censurata sarebbe illegittima per
 contrasto con il principio di eguaglianza.
    2.3.  - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  a  mezzo  dell'Avvocatura  dello  Stato,  concludendo  per
 l'infondatezza   della   questione   sulla   base  di  argomentazioni
 sostanzialmente  identiche  a  quelle  formulate  in  relazione  alla
 questione  sollevata con l'ordinanza del Pretore di Milano (v. supra,
 par. 1.3).
    3.1. - In prossimita' dell'udienza le parti private hanno prodotto
 memorie  illustrative.         La   difesa   dell'Azienda   Trasporti
 Municipalizzati  di  Milano  (r.o.   n.  437/1990), eccepisce innanzi
 tutto l'inammissibilita' della questione per numerosi motivi.
    La  censura  -  si sostiene - se volta a lamentare che l'esodo sia
 applicabile ai soli soggetti dichiarati inidonei prima del 20  giugno
 1986,  e  non  a  tutti  gli inidonei, sarebbe irrilevante poiche' il
 ricorrente nel giudizio  principale,  essendo  compreso  nella  prima
 categoria  di soggetti, resterebbe comunque assoggettabile all'esodo.
    Ulteriore  profilo  di  inammissibilita'  della questione starebbe
 nell'essere essa volta ad ottenere che la  Corte  intervenga  in  una
 disciplina  estremamente  complessa,  nata da un accordo tra le parti
 sociali  e  contenente  un   difficile   bilanciamento   di   istanze
 molteplici,   e   sostituisca   le   sue  valutazioni  a  quelle  del
 legislatore, disegnando, per di piu'  con  effetto  retroattivo,  una
 nuova  regolamentazione  del  prepensionamento ispirata a criteri del
 tutto diversi, come quelli utilizzati per i lavoratori portuali dalla
 legge n. 230 del 1983.
    Infine,  l'inammissibilita'  della  questione  dovrebbe trarsi dal
 fatto che l'asserita disparita' di trattamento,  rispetto  all'esodo,
 tra  soggetti idonei e soggetti inidonei alle mansioni d'origine, non
 deriverebbe  dal  solo  comma  primo  dell'art.   3   impugnato,   ma
 dall'intero provvedimento.
    Nel  merito  delle  censure, in riferimento all'asserito contrasto
 con il principio di eguaglianza,  la  difesa  osserva  che  la  legge
 impugnata, recependo l'accordo sindacale, avrebbe inteso risolvere un
 problema  peculiare  del  settore  dei  trasporti,  e  cioe'   quello
 determinato  dal  grande  carico di lavoratori divenuti inidonei alle
 qualifiche originarie (specie a quelle c.d. di movimento) e mantenuti
 in  servizio  con  la  medesima  qualifica  o  retribuzione  in altre
 mansioni, e, contemporaneamente,  dall'impossibilita'  di  sostituire
 tali  lavoratori  procedendo  a  nuove  assunzioni, dati i divieti di
 assunzione imposti alle aziende a tutela della finanza pubblica: cio'
 con  la  conseguenza  di costi elevatissimi e di gravi disservizi. Il
 legislatore avrebbe risolto tale problema realizzando un  assetto  di
 interessi  equilibrato  e  ragionevole,  secondo  scelte di carattere
 politico  insindacabili  in  sede   di   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale, considerato anche che la invocata decisione di questa
 Corte inciderebbe su procedure di esodo e riassetto organizzativo che
 avrebbero gia' coinvolto migliaia di lavoratori.     Altra ragione di
 infondatezza della questione risiederebbe  poi  nella  disomogeneita'
 delle situazioni poste a raffronto.
    Diversa  sarebbe  innanzi  tutto  la  situazione  delle aziende di
 trasporto rispetto ad aziende di altri settori, data la  peculiarita'
 del  rapporto  di  lavoro  dei dipendenti delle prime, caratterizzato
 dalla commistione di  tratti  privatistici  e  tratti  pubblicistici,
 peculiarita'   che   ben  potrebbe  giustificare  la  previsione  del
 prepensionamentoobbligatorio.
    Evidentemente  diversa sarebbe poi la posizione di chi e' divenuto
 inidoneo alle mansioni originarie rispetto a chi invece tali mansioni
 ha  costantemente  svolto, cio' che, di per se' sarebbe sufficiente a
 giustificare l'assoggettamento ad esodo soltanto dei primi.       Ma,
 anche   infine   ad   ammettere  l'astratta  comparabilita'  di  tali
 situazioni, non  potrebbe  comunque  negarsi  la  ragionevolezza  del
 criterio che ha guidato il legislatore in relazione alla peculiarita'
 del fenomeno della smisurata dilatazione degli inidonei mantenuti  in
 servizio, tipico del solo settore dei trasporti.
    Del  resto,  argomenta  infine  sul  punto  la difesa dell'Azienda
 Trasporti   Municipalizzati,   il   previsto   prepensionamento   non
 contrastrerebbe  con  i  principi  generali  dell'ordinamento e con i
 principi costituzionali, dal momento che, al  contrario,  esisterebbe
 un  principio generale, affermato dalla giurisprudenza della Corte di
 cassazione (sez. lav. nn. 474 del 1988 e 140 del 1983), per il  quale
 l'inidoneita'  sopravvenuta  del  lavoratore alle mansioni originarie
 non comporterebbe - tranne diversa disposizione di legge - il diritto
 di  quest'ultimo  di  ottenere  l'assegnazione a mansioni diverse, ma
 potrebbe giustificare il recesso dell'imprenditore senza che  questi,
 di  conseguenza, abbia l'onere di provare l'inesistenza in azienda di
 posti per mansioni confacenti alle condizioni del lavoratore.
    Infine,  la  questione  sarebbe  infondata  anche  in  riferimento
 all'art.  4  Cost.,  poiche'  questo,   secondo   la   giurisprudenza
 costituzionale  (sentenze  nn. 45 del 1965, 81 del 1969, 9 del 1973),
 non garantirebbe il diritto alla conservazione del posto  di  lavoro,
 cio' tanto piu' - trattandosi di un caso di prepensionamento - ove si
 consideri che il diritto alla pensione sarebbe per il lavoratore  una
 ragione  sufficiente ed obbiettiva di esclusione della garanzia della
 stabilita' dell'impiego (Corte cost. nn. 174 del 1971 e 15 del 1983).
    3.2.  -  Nello  stesso  giudizio  si e' costituito tardivamente il
 signor Rocco Cassone, il quale sostiene invece  la  fondatezza  della
 questione,  sottolineando  il  carattere  discriminatorio della norma
 impugnata e osservando, in  sostanza,  come  essa,  introducendo  una
 forma  di prepensionamento forzato, vanifichi la garanzia del diritto
 al mantenimento del posto di lavoro.
    3.3.  -  Nel  giudizio  instaurato  con l'ordinanza del Pretore di
 Brescia (r.o. n. 446/1990), il signor Luciano Paderno  ha  depositato
 una  memoria  aggiunta nella quale ribadisce il carattere di monstrum
 giuridico della norma impugnata perche', in aperto  contrasto  con  i
 principi  dell'attuale  sistema, attribuirebbe al datore di lavoro un
 potere discrezionale  di  recesso  nei  confronti  di  una  categoria
 determinata  di dipendenti, senza assoggettarlo ne' a controlli ne' a
 limiti.
   Il  riconoscimento  di un simile illimitato potere di licenziamento
 ad nutum, non avverrebbe, peraltro, per esempio, neppure nella  legge
 n. 856 del 1986 sulla ristrutturazione della flotta pubblica, in cui,
 pur  essendo  previsto,  nella  fase  finale,   un   prepensionamento
 d'ufficio, esso e' subordinato al previo accertamento delle eccedenze
 di personale, mentre il piano di esodo e' sottoposto all'approvazione
 della  pubblica  amministrazione  e la procedura per la presentazione
 delle domande e' attentamente regolata.      Il  meccanismo  disposto
 dalla  legge  impugnata  invece  tenderebbe  solo ad eliminare alcuni
 costi aggiuntivi, licenziando personale  inidoneo  alle  mansioni  di
 provenienza  che,  anche  se  idoneo  e utile alle mansioni in cui di
 fatto  e'  addetto,  costerebbe  di  piu'  per  avere  mantenuto   la
 precedente posizione retributiva.
    Tale   meccanismo   dunque,   proprio  perche'  legittimerebbe  la
 risoluzione del rapporto di lavoro a causa soltanto di un  (presunto)
 eccessivo  costo  delle  retribuzioni  dei  lavoratori da licenziare,
 sarebbe del tutto estraneo al sistema delle leggi  vigenti,  che  non
 conosce  una  simile  causa di licenziamento. L'unica possibilita' di
 disporre  legittimamente  prepensionamenti  come  quello   contestato
 starebbe  nella  contestuale  previsione  del necessario consenso dei
 lavoratori interessati.
                         Considerato in diritto
    1.  -  I procedimenti originati dalle ordinanze di cui in epigrafe
 possono essere riuniti avendo per oggetto  questioni  concernenti  la
 medesima disposizione.
    2.  -  L'art.  3  della legge 12 luglio 1988, n. 270, impugnato da
 entrambe le ordinanze - stabilisce che le aziende esercenti  pubblici
 servizi  di  trasporto  predispongono,  sulla base dell'anzianita' di
 servizio dei dipendenti interessati,  un  programma  quinquennale  di
 esodo  dei  lavoratori  iscritti  al  Fondo di previdenza, dichiarati
 inidonei  rispetto  alle  mansioni   proprie   della   qualifica   di
 provenienza  entro il 20 giugno 1986, che abbiano maturato o maturino
 nel  corso  del  quinquennio,  almeno  quindici  anni  di   effettiva
 contribuzione  al  detto  Fondo  (comma  primo).  Ai dipendenti cosi'
 collocati a riposo  viene  attribuita  una  pensione  commisurata  al
 periodo di contribuzione maturato, maggiorato del periodo mancante al
 raggiungimento di trentasei anni di contribuzione ovvero del  periodo
 che  il  dipendente  stesso  avrebbe conseguito al raggiungimento del
 sessantesimo  anno  di  eta';  l'attribuzione  di  anzianita'  e   il
 versamento dei contributi relativi a tale periodo non possono in ogni
 caso essere superiori ai dieci anni (comma terzo). Inoltre le aziende
 e  i  dipendenti  collocati  in  quiescenza  versano  - questi ultimi
 mediante trattenuta diretta sulla pensione - la quota  di  contributi
 previdenziali  di  loro  pertinenza  per  il  periodo  di  anzianita'
 convenzionale  attribuita  (comma  quarto).  Il  provvedimento  cosi'
 delineato  e' assunto - come afferma il primo comma del citato art. 3
 - "in temporanea deroga a quanto previsto dagli artt. 11 e  12  della
 legge  28  luglio  1961,  n. 830 nonche' dall'art. 27 del regolamento
 allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148".
    Quest'ultima  norma  consente  al lavoratore divenuto inabile alle
 funzioni proprie della qualifica rivestita di mantenere il  posto  di
 lavoro, accettando altre mansioni compatibili con la sua attitudine o
 con le sue condizioni, in posti disponibili. Le  disposizioni  citate
 della  legge n. 830 del 1961 consentono il collocamento anticipato in
 quiescenza degli agenti solo se raggiungano l'eta' di cinquantacinque
 anni  con  un  determinato  livello  di contributi versati (art. 11),
 ovvero  ne  ammettono  il  pensionamento  per  invalidita'  se  siano
 riconosciuti  invalidi  in  modo permanente ed assoluto alle funzioni
 proprie della qualifica  rivestita,  abbiano  almeno  dieci  anni  di
 servizio  e  per  incapacita'  fisica o mancanza di posti non possano
 essere adibiti ad altri servizi dell'azienda (art. 12).
    3.  -  Il  Pretore di Milano ritiene che il primo comma del citato
 art. 3 della legge  n.  270  del  1988,  estromettendo  i  lavoratori
 dall'azienda  sulla  base  del mero fatto storico della condizione di
 inidoneita' allo svolgimento delle mansioni proprie  della  qualifica
 di  provenienza,  violerebbe  l'art.  3  della  Costituzione  per  le
 irrazionali discriminazioni che si  determinerebbero  tra  lavoratori
 che  attualmente  svolgono le stesse mansioni, e cio' a seconda che a
 queste siano pervenuti per effetto  di  precedenti  dichiarazioni  di
 inabilita' rispetto alle mansioni originarie o per altri motivi.
    Inoltre,  il  prepensionamento  previsto, in quanto obbligatorio e
 discriminatorio, violerebbe l'art. 4 della Costituzione,  che  invece
 impegna  il  legislatore  a  promuovere  le  condizioni  che  rendano
 effettivo il diritto al lavoro.
    Il  Pretore  di Brescia ritiene a sua volta che la norma impugnata
 contrasti con l'art.  3  della  Costituzione  in  quanto,  ponendo  a
 presupposto  del  provvedimento  di esodo la sopravvenuta inidoneita'
 rispetto alle mansioni pregresse e non gia' alle mansioni attualmente
 disimpegnate, introdurrebbe senza ragionevole giustificazione, per le
 sole aziende di trasporto  pubblico,  una  ulteriore  fattispecie  di
 recedibilita'  dal rapporto di lavoro del tutto difforme dai principi
 generali della legislazione vigente in materia.
    4.  - Alle questioni di costituzionalita' sollevate dal Pretore di
 Milano sono state  opposte  -  da  parte  della  difesa  dell'Azienda
 Trasporti   Municipalizzati   di   Milano   -   alcune  eccezioni  di
 inammissibilita', che la  Corte  non  ritiene  meritevoli  di  essere
 accolte.
   L'assunto  secondo  cui  il  petitum  dell'ordinanza  mirerebbe  ad
 estendere l'esodo obbligatorio a tutti gli inidonei, e cioe' anche ai
 lavoratori  dichiarati  tali dopo il 20 giugno 1986 - con conseguente
 irrilevanza  della  questione  nel  giudizio  a  quo  -   non   trova
 rispondenza  nel  contenuto  effettivo  della  ordinanza, dalla quale
 appare invece con chiarezza che la norma e' impugnata non perche' non
 estende   ad   altri   l'estromissione  dall'azienda  ma  per  averla
 illegittimamente  disposta  a   danno   della   specifica   categoria
 destinataria del provvedimento.
    Neppure  convince a ritenere inammissibili le questioni il rilievo
 secondo il quale l'ordinanza porrebbe alla Corte un petitum di natura
 legislativa,  chiedendo  ad essa di realizzare una nuova ponderazione
 degli interessi in gioco e di riscrivere un intero sistema normativo,
 mentre  tale  operazione  sarebbe  riservata al legislatore e avrebbe
 comunque richiesto l'impugnazione di altre norme. Invero  l'ordinanza
 auspica  il puro e semplice annullamento della disciplina censurata e
 non chiede alla Corte una pronunzia diretta a sostituire una  diversa
 scelta  di  politica legislativa a quella operata dal Parlamento. Ne'
 d'altra  parte  si  puo'  ritenere  inammissibile  una  questione  di
 costituzionalita'  solo  perche'  l'eventuale caducazione della norma
 impugnata puo' determinare la necessita' di interventi legislativi di
 coordinamento  per  superare  vuoti e contraddizioni. Questi problemi
 infatti debbono  essere  risolti  dal  legislatore,  ristabilendo  la
 necessaria  coerenza  costituzionale  di  tutte le disposizioni, alla
 luce dello scrutinio effettuato dalla Corte.
    5.  -  Prima  di  affrontare  il  merito  delle  censure,  occorre
 soffermarsi brevemente sull'istituto del prepensionamento cosi'  come
 si e' venuto affermando nella legislazione dell'ultimo decennio.
    L'istituto  definito come prepensionamento e' caratterizzato dalla
 attribuzione al lavoratore della pensione  prima  del  raggiungimento
 dell'eta'  pensionabile,  sulla  base  dell'aumento  figurativo della
 anzianita' contributiva gia'  raggiunta,  si'  da  poter  conseguire,
 prima  del  tempo,  la pensione di vecchiaia. Per poter avvalersi del
 prepensionamento occorre ovviamente che siano  stati  gia'  raggiunti
 limiti  minimi  di  contribuzione  e/o  di  eta',  per  cui in genere
 all'istituto possono accedere i lavoratori di una certa anzianita'.
    A  questo  istituto  il  legislatore ha fatto ricorso con numerosi
 provvedimenti diretti ad affrontare e risolvere i complessi  problemi
 di  settori  produttivi in crisi, approntando uno specifico strumento
 (in  sostituzione  del  vecchio  assegno  per  i  lavoratori  anziani
 licenziati  da aziende in crisi di cui alla legge 5 novembre 1968, n.
 1115, successivamente prorogata) diretto ad alleggerire le qualifiche
 e  le  lavorazioni  nelle  quali  si e' venuta a creare esuberanza di
 personale mediante l'offerta - diretta ai lavoratori piu' anziani  di
 uscire  dalla  produzione  ottenendo, con alcuni anni di anticipo, il
 diritto alla pensione, il cui onere e' posto a carico dello Stato.
    Dal  1981  e sino alla legge n. 270 del 1988 si sono succeduti una
 serie di provvedimenti che contengono misure di prepensionamento  per
 i  dipendenti  dei  settori produttivi piu' vari (tra cui la legge 23
 aprile 1981, n. 155, piu' volte prorogata,  per  i  dipendenti  delle
 aziende  industriali  dichiarate in crisi; la legge 5 agosto 1981, n.
 416, per i giornalisti  professionisti  e  i  lavoratori  poligrafici
 dipendenti da imprese editoriali e stampatrici di giornali quotidiani
 ed agenzie di stampa;  la  legge  23  maggio  1983,  n.  230,  per  i
 lavoratori  delle compagnie e dei gruppi portuali; la legge 31 maggio
 1984, n. 193, per i dipendenti del settore siderurgico, ed ancora  la
 legge  5  dicembre  1986,  n. 856, per i dipendenti della societa' di
 navigazione del gruppo Finmare).
    Al   prepensionamento   previsto  e  regolato  dalle  disposizioni
 contenute in detti provvedimenti si accede su domanda del  lavoratore
 che  ne  abbia  i  requisiti,  ed e' quindi rimessa esclusivamente al
 giudizio di convenienza  di  quest'ultimo  la  scelta  di  richiedere
 l'esodo   anticipato.   Una  parziale  eccezione  a  tale  schema  e'
 costituita dal prepensionamento disposto nelle  leggi  riguardanti  i
 lavoratori  delle  compagnie  portuali  nonche'  i  dipendenti  delle
 societa' di navigazione del gruppo Finmare: in  entrambi  i  casi  il
 pensionamento  e'  a  domanda,  ma  nel  caso in cui le richieste non
 raggiungano il contingente stabilito, esso diviene  obbligatorio  per
 la  parte  non coperta - sulla base di criteri prestabiliti - sino al
 raggiungimento del limite prefissato (cosi', rispettivamente,  l'art.
 2,  secondo  comma,  legge  n. 230 del 1983 e l'art. 3, quarto comma,
 legge n. 856 del 1986).
    6.  -  Dal  tipo  di  prepensionamento  disciplinato  dalle  leggi
 ricordate si distacca sensibilmente quello regolato dall'art. 3 della
 legge n. 270 del 1988 ora impugnato.
    Qui,  infatti,  l'esodo  non  e'  disposto  per  far fronte ad una
 situazione di crisi aziendale che richiede un vasto ridimensionamento
 del   carico   di   mano   d'opera,  ma  per  realizzare  economie  e
 semplificazioni nell'organizzazione  aziendale;  non  si  rivolge  ai
 dipendenti   appartenenti   a   singole   qualifiche   con  personale
 esuberante, ma a lavoratori che appartengono a tutte le qualifiche  e
 che  sono  contraddistinti  dal  fatto  di  essere  stati  dichiarati
 inidonei a precedenti mansioni rivestite; non viene  contenuto  nella
 fascia dei lavoratori anziani, potendo riguardare dipendenti con solo
 quindici anni di contribuzione e senza  limiti  minimi  di  eta';  e,
 soprattutto,  esso  non  e'  subordinato  alla domanda dei lavoratori
 interessati, ma  si  impone  ad  essi  indipendentemente  dalla  loro
 volonta'.
    Si tratta dunque in sostanza di un prepensionamento esclusivamente
 obbligatorio  (l'unico  sinora  intervenuto),  di  un  provvedimento,
 cioe', che comporta per tutti una forzata risoluzione del rapporto di
 lavoro,  pur  attenuandone  le  conseguenze  mediante  la   immediata
 corresponsione  del  trattamento pensionistico. Il che' gia' porta ad
 escludere che esso si risolva sempre e necessariamente,  come  invece
 vorrebbe  l'Avvocatura dello Stato, in una misura di "maggior favore"
 per i lavoratori cosi' esodati.
    Infatti  - a parte il caso di coloro che in concreto, anche per il
 prolungamento dell'obbligo contributivo, potrebbero vedere peggiorata
 la  loro  situazione  economica  -  va  pur  sempre  considerato  che
 l'anticipazione obbligatoria  del  pensionamento  rischia  per  molti
 versi  - e soprattutto per i meno anziani - di imporre una condizione
 di emarginazione, di disperdere capacita' professionali acquisite,  o
 di  avviarle  al  mercato  del  lavoro nero. Senza dimenticare che il
 cittadino, nel luogo di lavoro, dove si svolge tanta parte della  sua
 vita di quasi tutti i giorni, non percepisce solo retribuzione contro
 prestazione, ma afferma e sviluppa la sua personalita' nel  complesso
 dei rapporti e dei valori che il mondo del lavoro sa esprimere.
    Di conseguenza, ben si comprende la scelta in generale seguita dal
 legislatore (anche in altri settori del trasporto come  quello  delle
 Ferrovie  dello Stato) di ricorrere al pensionamento volontario e non
 a quello coatto.
    Per    quanto   poi   specificamente   concerne   il   particolare
 prepensionamento qui contestato, deve altresi' essere tenuto presente
 che  destinatari esclusivi del provvedimento sono lavoratori divenuti
 inidonei per  avere  svolto  mansioni  che  comportavano  un  impegno
 faticoso e di grande responsabilita', pregiudicando spesso per questo
 la stessa propria salute; che proprio per  la  peculiarita'  di  tale
 attivita'  lavorativa, sin dal regio decreto n. 148 del 1931 e' stato
 loro garantito il diritto al mantenimento del posto di  lavoro  e  la
 precedente  retribuzione,  sia pure con mutamento di mansioni, spesso
 accompagnato da una  rilevante  dequalificazione.  La  natura  e  gli
 effetti del pensionamento obbligatorio disposto dalla norma impugnata
 richiedono  percio'  che  la  scelta   effettuata   dal   legislatore
 nell'ambito  di  una  discrezionalita' che certamente gli appartiene,
 venga considerata attentamente onde valutarne la razionalita',  e  la
 non arbitrarieta': e cio' ai fini di esprimere il dovuto giudizio sui
 dubbi di costituzionalita' avanzati dai giudici rimettenti.
    7.  -  La  legge  impugnata  recepisce presso che integralmente un
 accordo collettivo stipulato tra le parti sociali interessate  ed  e'
 stata approvata dal Parlamento senza contrasti significativi.
    Tali  circostanze tuttavia non sono idonee a determinare una sorta
 di  presunzione  di  legittimita'  costituzionale   della   normativa
 contestata,  che  esima  questa  Corte  dal compiere autonomamente le
 proprie valutazioni.
    A  tale scopo e' indispensabile innanzi tutto individuare la ratio
 della legge quale emerge dai lavori preparatori e dal  suo  contenuto
 oggettivo.
    Dalla  Relazione  governativa al disegno di legge risulta che essa
 (e gia' prima l'accordo recepito) ha inteso perseguire obbiettivi  di
 razionalizzazione e semplificazione dell'organizzazione delle aziende
 di  pubblico  trasporto,  e  cio',  da  un   lato,   disponendo   una
 unificazione  a  livello  nazionale della disciplina contrattuale dei
 rapporti di lavoro; dall'altro avviando a soluzione il grave problema
 degli  inidonei,  e  cioe'  dei lavoratori riconosciuti non atti alle
 mansioni proprie della qualifica di origine, mantenuti nel  posto  di
 lavoro  con mansioni diverse e titolari di un trattamento retributivo
 non conforme alle prestazioni rese.
    Tale  ultimo problema si presentava per le aziende in questione in
 modo anomalo  e  peculiare  ed  era  determinato  da  diffuse  prassi
 applicative  del  ricordato  art. 27 del regolamento del 1931, per le
 quali un notevole numero di lavoratori, in gran parte addetti al c.d.
 movimento   (autisti,   conduttori,  ecc.)  divenuti  inidonei,  "non
 soltanto conservava il posto di lavoro e la  retribuzione  raggiunta,
 ma  manteneva,  pur  impiegato  in  semplici  mansioni ausiliari o di
 attesa, la dinamica salariale  e  le  competenze  accessorie  proprie
 della qualifica di provenienza, con gravi disfunzioni, non solo nella
 gestione degli organici aziendali,  ma  anche  nello  stesso  sistema
 previdenziale" (Relazione, cit.).
    A   questi  inconvenienti  l'accordo  collettivo  e  la  legge  di
 recezione  hanno  inteso  ovviare,  in  primo  luogo,  disponendo  un
 programma quinquennale di esodo obbligatorio dei suddetti lavoratori;
 in secondo luogo, consentendo,  in  deroga  alla  normativa  vigente,
 l'assunzione di nuovi lavoratori per rimpiazzare quelli esodati nella
 qualifica   originaria   "nei   limiti   di    comprovate    esigenze
 tecnico-operative connesse al movimento" (art. 3, comma nono).
    8.  -  Dai  lavori  parlamentari  si desume dunque che nel caso di
 specie l'eliminazione  delle  gravi  disfunzioni  suindicate  sarebbe
 stato  in  concreto  perseguibile soltanto con le misure obbligatorie
 adottate;  e  di  cio'  l'adesione  delle  rappresentanze   sindacali
 costituisce significativa conferma.
    Cio' posto, si deve riconoscere che l'efficienza e il contenimento
 dei  costi  dei  servizi  pubblici  -  che  sono   a   carico   della
 collettivita'  -  attengono  al  concetto  di  buon  andamento  della
 pubblica amministrazione e come  tali  assumono  rilevanza  sotto  il
 profilo costituzionale. Certamente il riordino della situazione degli
 organici costituisce  un  dato  di  rilievo  essenziale  ai  fini  di
 razionalizzare la gestione di aziende che debbono rendere un servizio
 pubblico di grande e vitale importanza  quale  quello  del  trasporto
 autoferrotranviario, soprattutto nei grandi centri urbani.
    Di conseguenza, non puo' ritenersi in principio costituzionalmente
 illegittima, come priva di ragionevolezza, la  legge  impugnata  che,
 nell'anomala  situazione  del  caso  di  specie,  ha  introdotto  uno
 strumento capace di contemperare l'esigenza di ottenere un efficiente
 svolgimento  del servizio pubblico - mediante il riassestamento degli
 organici, l'alleggerimento dei costi eccessivi, la  riapertura  delle
 assunzioni  per il personale addetto al movimento - con la necessita'
 di  assicurare  in  ogni  caso  una  forma   adeguata   di   sostegno
 economico-previdenziale ai lavoratori allontanati dalle aziende.
    Occorre   comunque   sottolineare   che   il  ricorso  alla  forma
 esclusivamente obbligatoria del prepensionamento richiede, per potere
 incidere  legittimamente  su interessi costituzionalmente rilevanti e
 non  apparire  discriminatorio  ed  arbitrario,  che  la  misura   si
 prospetti come obbiettivamente non sostituibile con soluzioni fondate
 sul consenso dei singoli interessati e sia determinata da  situazioni
 tali da renderla indispensabile.
    9.  -  La  rilevata non arbitrarieta' della scelta del legislatore
 induce a non condividere i dubbi di costituzionalita' prospettati dal
 giudice milanese.
    Non  puo'  dirsi violato infatti l'art. 3 Cost. poiche' non appare
 priva di fondamento giustificativo la disparita' di  trattamento  tra
 lavoratori addetti alle medesime mansioni e consistente nel fatto che
 sono assoggettati all'esodo soltanto quelli gia' dichiarati  inidonei
 alle mansioni della qualifica di provenienza.
    Ne'  per  le  stesse  ragioni  puo'  dirsi violata la garanzia del
 diritto al lavoro di cui all'art. 4 Cost., inteso come diritto a  non
 essere  estromesso  dal  lavoro ingiustamente o irragionevolmente (v.
 pure sentenza n. 331 del 1988).
    Diversa  deve  invece essere la conclusione in ordine alle censure
 formulate dal Pretore di Brescia, nel corso di un giudizio nel quale,
 come  e' stato precisato nella trattazione orale in pubblica udienza,
 il  lavoratore  esodato,  gia'  divenuto   inidoneo   alle   mansioni
 originarie  di  autista  era  attualmente  addetto  alle  mansioni di
 operaio tecnico di manutenzione, classificato al sesto livello, ad un
 livello, cioe', superiore a quello di guidatore secondo le tabelle di
 cui alla legge 1x febbraio 1978, n. 30.
    Appare  invero  irrazionale  nel  quadro  stesso  della logica che
 presiede  al  provvedimento  censurato,  che  questo   si   riferisca
 indiscriminatamente  a  tutti i lavoratori solo in quanto siano stati
 dichiarati inidonei prima del 1986, senza alcuna considerazione della
 loro attuale utilizzazione.
    Se  infatti  il criterio ispiratore della norma e' anche quello di
 evitare che le aziende siano gravate da costi ingiustificati  perche'
 non  corrispondenti alle prestazioni attualmente rese dal lavoratore,
 e' anche a queste ultime che occorre  guardare  per  valutare  se  il
 prepensionamento obbligatorio sia giustificato o arbitrario.
    Non  si  puo'  allora  non ritenere illegittima la norma impugnata
 nella parte in cui  non  esclude  dal  pensionamento  obbligatorio  i
 lavoratori  che  svolgono  mansioni  equivalenti o superiori a quelle
 precedentemente rivestite  e  in  relazione  alle  quali  sono  stati
 dichiarati  inidonei.  L'espletamento  attuale  di  tali mansioni sta
 infatti a significare che i lavoratori ex inidonei,  sono  pienamente
 utilizzati  e  ritenuti  del tutto capaci di svolgere mansioni quanto
 meno dello stesso livello delle precedenti: si' che il costo del loro
 lavoro  non  e'  piu' sperequato o non e' piu' sperequato al punto di
 legittimare  la  loro  estromissione  dall'azienda  per  compiere  un
 alleggerimento  di  costi  eccessivi. Se il problema sottostante alla
 norma e' la espulsione di lavoratori inutili o inutilizzati addetti a
 mansioni  di  scarso  rilievo,  a funzioni ausiliarie o di attesa, e'
 irragionevolmente discriminatorio licenziare personale che,  reagendo
 alla   sopravvenuta   perdita   d'idoneita',   si  e'  riqualificato,
 reinserendosi pienamente ed in modo attivo nella vita dell'azienda  a
 livelli   equivalenti   o  superiori  rispetto  alle  mansioni  prima
 espletate.
    Pertanto,   la   questione  e',  in  questi  limiti,  fondata.  Di
 conseguenza, deve dichiararsi l'illegittimita'  costituzionale  della
 disposizione  impugnata  nella parte in cui non esclude dal programma
 quinquennale di esodo  ivi  previsto  i  lavoratori  che,  dichiarati
 inidonei  alle  mansioni  proprie  della  qualifica  di  provenienza,
 abbiano  successivamente  svolto  e  svolgano   mansioni   a   queste
 equivalenti o superiori.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  primo
 comma, della legge 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione  del  contratto
 collettivo  nazionale  di lavoro del personale autoferrotranviario ed
 internavigatore per il triennio  1985-1987,  agevolazioni  dell'esodo
 del  personale  inidoneo  ed  altre  misure),  nella parte in cui non
 esclude dal piano quinquennale ivi previsto i  lavoratori  dichiarati
 inidonei,  entro  il  20  giugno  1986,  rispetto  alla  qualifica di
 provenienza e che abbiano successivamente svolto e svolgano  mansioni
 equivalenti  o superiori a quelle per le quali erano stati dichiarati
 inidonei.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0159