N. 61 SENTENZA 28 gennaio - 8 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro- Lavoratrici madri- Licenziamento della donna lavoratrice nel
 periodo di gestazione e di puerperio- Previsione della temporanea
 inefficacia del medesimo anziche' la sua nullita'- Grave
 discriminazione in relazione ai compiti connessi con la maternita' e
 la cura dei figli e della famiglia- Illegittimita'  costituzionale.
 
 (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2)
 
 (Cost., artt. 3 e 37).
(GU n.7 del 13-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
 GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.   Francesco
 Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri),  promosso
 con  ordinanza  emessa  il 18 luglio 1990 dal Tribunale di Napoli nel
 procedimento civile vertente tra  Coppola  Maria  e  s.a.s  Fiera  ed
 altri,  iscritta  al  n. 535 del registro ordinanze 1990 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1990;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un procedimento civile vertente tra Coppola
 Maria e s.a.s. Fiera ed altri, il Tribunale di Napoli, con  ordinanza
 del 18 luglio 1990, ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt.
 3  e  37,  comma  primo,  Cost.,  una   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2  della  legge 30 dicembre 1971, n. 1204,
 interpretato  nel  senso  che   "il   licenziamento   intimato   alla
 lavoratrice  madre  durante il periodo di interdizione sia inefficace
 sino al compimento del primo anno di eta'  del  bambino  e  non  gia'
 nullo".
   Il giudice a quo, premesso che l'interpretazione della disposizione
 impugnata  sottoposta  al   vaglio   di   costituzionalita'   sarebbe
 assolutamente   prevalente   nella   giurisprudenza  della  Corte  di
 cassazione, osserva che  tale  interpretazione  non  garantirebbe  in
 maniera  adeguata il diritto della donna ad essere madre senza che ne
 sia pregiudicata la sua posizione lavorativa, protetto dal  combinato
 disposto degli artt. 3 e 37, primo comma, Cost.
    Infatti,  per  un  verso, soltanto la dichiarazione di nullita' di
 tale licenziamento sarebbe idonea a  privarlo  di  qualsiasi  rilievo
 giuridico,   sottraendo   effettivamente   al   datore  di  lavoro  -
 limitatamente al periodo di  interdizione  -  l'esercizio  di  poteri
 connessi  oggettivamente  con  la  maternita'  della  lavoratrice, di
 poteri, cioe' che non possano fondarsi sulle ipotesi  previste  dalle
 lettere a), b) e c) del terzo comma dell'articolo impugnato.
    Per  altro verso, la necessaria tranquillita' nella cura propria e
 del bambino che con la garanzia del posto  di  lavoro  si  e'  inteso
 assicurare  alla  lavoratrice,  in  attuazione  dell'art.  37  Cost.,
 sarebbe innegabilmente compromessa dalla preoccupazione  di  rimanere
 soggetta  ad  un  licenziamento  soltanto differito nel tempo fino al
 compimento di un anno di eta' del bambino.
    Ulteriore argomento a favore della necessaria nullita' si dovrebbe
 poi trarre dal fatto  che  a  tale  conseguenza  e'  assoggettato  il
 licenziamento per causa di matrimonio, il cui divieto sarebbe diretto
 a perseguire scopi analoghi a  quelli  del  divieto  ora  oggetto  di
 esame.
    Infine,   dovrebbe   tenersi   in  considerazione  che,  nei  casi
 verificatisi anteriormente alla legge n. 108 del 1990 e ricadenti  al
 di  fuori delle "aree protette" dal regime di stabilita', la garanzia
 del posto di lavoro, e dunque dei  fini  posti  dall'art.  37  Cost.,
 potrebbe   essere   assicurata   alla  lavoratrice  unicamente  dagli
 strumenti apprestati dall'art. 2 impugnato.
    2.  -  Nel giudizio davanti a questa Corte le parti private non si
 sono costituite ne' e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
                         Considerato in diritto
    1. - L'art. 2 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla "Tutela
 delle lavoratrici  madri",  stabilisce  che  le  lavoratrici  che  si
 trovino  in  stato  di  gravidanza  o  puerperio  non  possono essere
 licenziate dall'inizio del periodo di gestazione fino al termine  del
 periodo  di  interdizione  del  lavoro  previsto  dall'art.  4  della
 medesima legge, nonche' fino al compimento di un  anno  di  eta'  del
 bambino.  Il  divieto di licenziamento - che opera in connessione con
 lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio -  non  si  applica  nei
 casi di colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa per la
 risoluzione del rapporto, di cessazione  dell'attivita'  dell'azienda
 cui essa e' addetta, di ultimazione della prestazione per la quale la
 lavoratrice e' stata  assunta  o  di  risoluzione  del  rapporto  per
 scadenza del termine.
    Il Tribunale di Napoli dubita che la predetta norma - interpretata
 nel senso che il licenziamento intimato alla lavoratrice  durante  il
 periodo di vigenza del divieto sia temporaneamente inefficace sino al
 compimento di un  anno  di  eta'  del  bambino  anziche'  affetto  da
 invalidita'  assoluta  - contrasti con gli artt. 3 e 37, primo comma,
 della Costituzione. La norma, invero, non privando tale licenziamento
 dei  suoi  effetti  giuridici  ma  disponendo  una  mera  sospensione
 temporanea di questi ultimi,  non  offrirebbe  alla  lavoratrice  una
 protezione   adeguata:   se   la   lavoratrice   madre,  colpita  dal
 licenziamento, pur illegittimo, dovesse prendere atto, non gia' della
 nullita'   di   esso,  ma  del  mero  differimento  del  suo  effetto
 risolutorio,  ne  risulterebbe  compromessa  quella   condizione   di
 tranquillita'  che  e'  invece  necessaria  affinche'  la madre possa
 provvedere alla  cura  propria  e  a  quella  del  figlio,  con  ogni
 prevedibile  conseguenza negativa sullo svolgimento fisiologico della
 gestazione e dell'allattamento.
    Inoltre,  in  conseguenza  della mancanza di quella protezione, la
 maternita'  si  tradurrebbe  in  un  pregiudizio  per  la   posizione
 lavorativa  della  donna  e  quindi in un inammissibile ostacolo alla
 realizzazione della sua piena eguaglianza nel mondo del lavoro.
    2. - La questione e' fondata.
    Certamente,    l'interpretazione    che   la   giurisprudenza   di
 legittimita' ha dato pressoche' costantemente alla norma impugnata e'
 nel  senso  della  inefficacia  temporanea del licenziamento intimato
 alla  lavoratrice  durante  il  periodo  di  gravidanza  e  puerperio
 precisato  nella  norma  stessa.  Le  Sezioni  Unite  della  Corte di
 cassazione hanno confermato tale orientamento con la sentenza n. 8535
 del  21  agosto  1990, affermando che, nonostante l'esplicito divieto
 stabilito dall'art. 2 della legge n. 1204, il licenziamento  disposto
 nel   periodo   suddetto   deve   ritenersi   meramente   inefficace,
 analogamente a quanto ritenuto per il licenziamento intimato  durante
 la  malattia  del  lavoratore  e prima dell'esaurirsi del cosi' detto
 periodo di comporto. Cio' in  ragione  sia  del  carattere  meramente
 temporaneo del divieto, sia della mancanza di una espressa previsione
 di nullita' del recesso operato in violazione di esso  (quale  quella
 invece  contenuta  nell'art. 1 della legge n. 7 del 1963), nonche' in
 considerazione del fatto che la conservazione del  posto  durante  il
 periodo  di gravidanza e puerperio e' sufficiente a realizzare i fini
 di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti perseguiti  dalla
 legge n. 1204.
    3.  -  La  legge  n. 1204 del 1971, sulla tutela delle lavoratrici
 madri, con l'intento di dare piu'  ampia  e  incisiva  attuazione  ai
 richiamati  precetti  costituzionali  ha  migliorato  notevolmente il
 trattamento disposto dalla precedente legge n. 860 del 1950,  e  cio'
 soprattutto  prevedendo  per la lavoratrice, un periodo di astensione
 obbligatoria dal lavoro (artt. 4 e 5),  nonche'  la  possibilita'  di
 fruire  di  periodi  di  assenza  facoltativa  (art.  7)  e di riposi
 giornalieri (art. 10). Orbene, presupposto essenziale  e  cardine  di
 questo  sistema  normativo, e di tutte le numerose altre disposizioni
 protettive previste dalla  legge,  e'  il  divieto  di  licenziamento
 previsto  -  tranne per i casi tassativamente elencati - dall'art. 2,
 come dimostra il fatto che  tale  divieto  e'  penalmente  sanzionato
 dall'art.  31  della  medesima legge. Ed infatti, in mancanza di tale
 divieto,  non  soltanto  il  datore  di  lavoro  potrebbe  liberarsi,
 licenziando  la  lavoratrice,  degli oneri che la normativa di tutela
 pone a suo carico, ma la lavoratrice stessa potrebbe essere  indotta,
 dal  timore del licenziamento, a rinunziare ad avvalersi delle misure
 di tutela per lei predisposte ed in  particolare  di  quelle  che  la
 legge  rimette  alla sua liberta' di scelta (e, ancor prima, potrebbe
 essere indotta a rinunziare alla stessa maternita').
    E'  pur  vero  che,  terminato  il periodo previsto dall'art. 2 il
 datore riacquista comunque il potere di  recedere  dal  rapporto  nei
 casi  e  alle  condizioni  previste dalla legge; ma, una volta che il
 rapporto di lavoro e' rientrato nei binari della normalita',  e'  ben
 piu'  difficile  che  si  verifichi  l'ipotesi  -  ed  e' quindi piu'
 difficile che vi sia il  fondato  e  condizionante  timore  -  di  un
 licenziamento  determinato  dagli  inconvenienti  che  le  misure  di
 garanzia previste dalla legge n. 1204 hanno comportato per il  datore
 di lavoro in una fase del rapporto ormai pregressa.
    4.  -  Un divieto che comporti un mero differimento dell'efficacia
 del licenziamento anziche' la nullita' radicale di  esso  rappresenta
 pero'  una  misura  di  tutela  insufficiente rispetto alle direttive
 dell'art. 37 della Costituzione anche sotto un altro profilo.
    La protezione cui fa riferimento la norma costituzionale, infatti,
 non si limita alla salute  fisica  della  donna  e  del  bambino,  ma
 investe tutto il complesso rapporto che, nel detto periodo, si svolge
 tra madre e figlio; il quale rapporto  -  come  ha  affermato  questa
 Corte - deve essere protetto non solo per cio' che attiene ai bisogni
 piu' propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di
 carattere  relazionale  ed affettivo che sono collegate allo sviluppo
 della personalita' del bambino (sentenze nn. 1 del  1987  e  332  del
 1988).  Nel  contempo, il principio posto dall'art. 37 - collegato al
 principio di uguaglianza - impone alla legge di impedire che possano,
 dalla  maternita'  e  dagli  impegni  connessi alla cura del bambino,
 derivare conseguenze negative e discriminatorie.
    Entrambe  queste  esigenze impongono, per lo stato di gravidanza e
 puerperio, di adottare misure legislative dirette non  soltanto  alla
 conservazione  dell'impiego,  ma  anche  ad  evitare che nel relativo
 periodo di tempo intervengano, in relazione al  rapporto  di  lavoro,
 comportamenti  che  possano turbare ingiustificatamente la condizione
 della donna ed alterare il suo  equilibrio  psico-fisico,  con  serie
 ripercussioni sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del
 bambino. Al fine di assicurare una effettiva tutela a tali  interessi
 invero  la  sola conservazione temporanea del rapporto, pur rimanendo
 essenziale, non e' tuttavia sufficiente. Non vi e'  dubbio,  infatti,
 che  l'intimazione  del  licenziamento  fuori  dai casi espressamente
 previsti, soprattutto nella particolare condizione in cui si trova la
 donna  nel  periodo di gravidanza ed in quello di puerperio, e' causa
 di grave turbamento, anche  se  gli  effetti  del  recesso  non  sono
 immediati  ma  differiti.  Questa  sorta di licenziamento annunciato,
 infatti, prospetta alla lavoratrice la certezza  del  venir  meno,  a
 breve termine, di un reddito personale che puo' anche essere l'unico,
 non solo per la stessa donna ma anche per il suo nucleo familiare,  o
 che  puo'  costituire  comunque  una  quota  essenziale  del  reddito
 familiare complessivo; e  cio'  proprio  in  un  momento  in  cui  le
 esigenze  connesse  alla  nascita del figlio impongono nuovi oneri. E
 comporta la necessita' di reperire  tempestivamente  altre  fonti  di
 reddito  e  di  riorganizzare  in  conseguenza la propria esistenza e
 quella della propria famiglia: il che non  puo'  non  interferire  in
 modo  pesantemente  negativo  sulle  condizioni della donna e sul suo
 rapporto con il figlio e quindi sulla salute e sulla formazione della
 personalita'   di   quest'ultimo.   E'  inoltre  appena  il  caso  di
 sottolineare quanto difficile si presenti - in una  situazione  ormai
 cronicamente   distante  dal  pieno  impiego  -  una  prospettiva  di
 occupazione per le donne con prole in tenera eta', spesso colpite  da
 una sostanziale discriminazione.
    Ne'  la gravita' di una simile turbativa puo' considerarsi rimossa
 o anche significativamente attenuata dalle  norme,  pure  di  recente
 introduzione,  che delimitano o regolano in varia misura il potere di
 recesso del datore di lavoro. In primo luogo, infatti, si  tratta  di
 discipline  che  non hanno specifico riguardo alle esigenze di tutela
 differenziata imposte dall'art. 37 - ma  anche  dall'art.  31  -  con
 riferimento alla condizione della donna e alla maternita'. In secondo
 luogo,  per  gran  parte  delle  situazioni  di  prevalente   impiego
 femminile la tutela e' soltanto obbligatoria e ridotta ad un compenso
 risarcitorio assai limitato.
    5.   -  Se  queste  sono  le  esigenze  ed  i  principi  di  rango
 costituzionale sottesi al divieto di licenziamento della  lavoratrice
 nel  periodo  di  gravidanza e puerperio, ne deriva essere essenziale
 che tale divieto sia assistito da quelle misure  idonee  ad  impedire
 che   l'atto   vietato  sia  ugualmente  compiuto  e  sia  ugualmente
 conveniente per chi lo compie. Cio' da' ragione della sanzione penale
 prevista  dall'art.  31;  ma  cio'  soprattutto  richiede,  sul piano
 civile, che, se il licenziamento vietato viene  ugualmente  disposto,
 l'ordinamento  giuridico, di cui esso costituisce una violazione, non
 lo recepisca  in  alcuna  misura  e  cioe'  lo  consideri  totalmente
 improduttivo  di  effetti,  come del resto e' disposto per l'ipotesi,
 per certi aspetti analoga, del licenziamento per causa di matrimonio,
 di  cui  alla  legge  9  gennaio  1963,  n.  7, che peraltro e' anche
 funzionalmente  connessa  alle  concrete  esigenze  di  tutela  della
 maternita',  come  mise in rilievo questa Corte con la sentenza n. 27
 del 1969.
    Ne',  d'altra  parte, potrebbe opporsi che la nullita' eccederebbe
 gli scopi della tutela in quanto non sarebbe limitabile solo  a  tale
 periodo,  ed occorrerebbe, per procedere ad un successivo recesso, la
 sussistenza di una nuova causa giustificatrice.  Alle  considerazioni
 gia' svolte circa la individuazione degli scopi di tutela che vengono
 qui in considerazione, deve essere aggiunto il rilievo che, terminato
 il  periodo protetto, il datore di lavoro riacquista l'integrita' del
 suo potere di recesso, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge e
 delle  regole da essa imposte. Il che certamente potra' richiedere se
 tale e' la normativa applicabile  nella  fattispecie  concreta  -  la
 sussistenza  di  una  causa  giustificatrice,  ma  nulla esige che la
 stessa sia nuova, essendo invece necessario soltanto - come del resto
 e'  logico  -  che  essa  sussista  (ancora)  al  momento  in  cui il
 licenziamento viene legittimamente intimato.
    6.  - Infine, resta da precisare che il rafforzamento della tutela
 conseguente alla presente pronunzia e' anche uno strumento necessario
 per   evitare  che  la  maternita'  si  traduca  in  concreto  in  un
 impedimento alla  realizzazione  dell'effettiva  parita'  di  diritti
 della donna lavoratrice. Cio' e' in piena sintonia con lo stesso art.
 37 Cost., che, letto in connessione  con  l'art.  3,  secondo  comma,
 impone di accordare alla donna le misure speciali e piu' energiche di
 protezione necessarie a rimuovere le  gravi  discriminazioni  che  in
 fatto   la  colpiscono  in  relazione  ai  compiti  connessi  con  la
 maternita' e la cura dei figli e della famiglia, dal cui assolvimento
 peraltro trae vantaggio l'intera comunita'.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  la illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela  delle  lavoratrici  madri),  nella
 parte  in  cui prevede la temporanea inefficacia anziche' la nullita'
 del licenziamento intimato alla  donna  lavoratrice  nel  periodo  di
 gestazione e di puerperio indicato nel predetto articolo.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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