N. 87 SENTENZA 28 gennaio - 15 febbraio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Malattia professionale - Danno c.d.
 biologico a causa delle mansioni lavorative esercitate Risarcimento -
 Mancata previsione - Discrezionalita' legislativa  -
 Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 2, 3 e 74).
 
 (Cost., artt. 3, 32, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo
 comma).
(GU n.9 del 27-2-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3 e 74 del
 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico  delle  disposizioni  per
 l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il  30  maggio
 1990  dal  Pretore  di  Torino  nel  procedimento civile vertente tra
 Gabrieli Egidio  e  I.N.A.I.L.,  iscritta  al  n.  546  del  registro
 ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti   gli   atti   di   costituzione   di   Gabrieli   Egidio  e
 dell'I.N.A.I.L., nonche' l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  l'avvocato  Saverio  Muccio  per  l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato
 dello Stato  Antonio  Bruno  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  del  30 maggio 1990 il Pretore di Torino ha
 sollevato, su eccezione di parte, in riferimento agli  artt.  3,  32,
 primo  comma,  35,  primo  comma  e  38,  secondo  comma,  Cost., una
 questione di legittimita'  costituzionale  "del  vigente  sistema  di
 assicurazione  obbligatoria"  contro  gli  infortuni  sul lavoro e le
 malattie professionali - ed in particolare degli artt. 3, 2 e 74  del
 d.P.R.  30  giugno 1965, n. 1124 - "nella parte in cui non prevede il
 risarcimento del danno c.d. biologico  patito  dal  lavoratore  nello
 svolgimento e a causa delle proprie mansioni".
    Nel  caso  di  specie,  la  rendita per malattia professionale era
 stata negata al ricorrente - infermiere addetto per piu' di  quindici
 anni   alla   sala   operatoria   ed   alla   sterilizzazione   della
 strumentazione medica con ossido di etilene -  nonostante  che  fosse
 certa  l'eziologia professionale (per l'esposizione a questo ed altri
 gas presenti nella sala operatoria) delle  patologie  riscontrategli.
 Di  queste,  la fotofobia comportava, infatti, un'inabilita' del solo
 5%, mentre la azoospermia (sterilita')  non  e'  causa  di  riduzione
 della capacita' lavorativa.
    Rilevato  che il pregiudizio conseguente a quest'ultima affezione,
 se valutato in base alle tabelle concernenti il danno  alla  persona,
 andava quantificato nella misura del 30%, il giudice a quo assume che
 il diniego  di  tutela  assicurativa  -  conseguente  all'assenza  di
 incidenza  sulla  capacita'  lavorativa  -  comporta  violazione  dei
 principi di tutela della salute, del lavoro e dell'effettivita' delle
 garanzie   assicurative,  nonche'  del  piu'  generale  principio  di
 ragionevolezza e di uguaglianza.
   2.  -  La  parte privata Gabrieli Egidio, costituitasi nel giudizio
 dinanzi a questa Corte, aderisce alla prospettazione  del  giudice  a
 quo,  assumendo  che  "l'ampliamento della tutela assicurativa contro
 gli  infortuni  e  le  malattie  professionali  anche  in   caso   di
 menomazioni  che  non incidano direttamente sulla capacita' di lavoro
 corrisponde  a  bisogni  ormai   largamente   recepiti   nel   nostro
 ordinamento,   stante   il   rilievo   attribuito   alle  conseguenze
 patrimoniali del  c.d.  'danno  biologico'".  Propone,  al  riguardo,
 un'analogia  tra  la  menomazione  della capacita' riproduttiva ed il
 danno estetico  od  "alla  vita  di  relazione",  rilevando  che  per
 quest'ultimo la giurisprudenza riconosce un'incidenza indiretta sulla
 capacita' lavorativa. Sostiene, infine, che  gli  artt.  2  e  3  del
 d.P.R. n. 1124 del 1965 stabiliscono modalita' di conseguimento della
 prestazione previdenziale tali da  compromettere  l'adeguamento  alle
 esigenze di vita.
    3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto tramite
 l'Avvocatura dello Stato, dopo aver rilevato che  il  danno  estetico
 rileva  ai  fini  assicurativi solo in quanto consista in menomazioni
 incidenti sulla  capacita'  lavorativa,  sostiene  che  la  questione
 sarebbe  inammissibile.  Con esso, infatti, si richiede una pronuncia
 additiva che ampli l'ambito  della  tutela  assicurativa  contro  gli
 infortuni  sul  lavoro,  poggiante attualmente sul presupposto che il
 rischio assicurato sia quello che determina inabilita' lavorativa. Ma
 poiche'  cio'  comporta  l'individuazione  di  una  nuova  nozione di
 rischio,  riguardo  alla  quale  possono  farsi  opzioni  diverse   e
 adottarsi  soluzioni alternative - nessuna delle quali e' logicamente
 necessitata - l'eventuale ampliamento non  puo'  che  essere  rimesso
 alla discrezionalita' del legislatore.
    La  questione  e'  comunque,  secondo l'Avvocatura, manifestamente
 infondata, dato che l'art. 38 Cost.  -  "che  sembra  necessariamente
 presupporre  una diminuzione della capacita' lavorativa" - non impone
 un certo ambito di applicazione  del  sistema  assicurativo.  Ne'  vi
 sarebbe, nella specie, lesione del diritto del lavoratore a percepire
 mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, in quanto manca l'incidenza
 sulla capacita' lavorativa e, quindi, sul guadagno.
    4.  -  Nel  giudizio si e' costituito anche l'I.N.A.I.L. il quale,
 oltre a contestarne l'ammissibilita', sostiene  l'infondatezza  della
 questione, poiche', a suo avviso, nel vigente sistema assicurativo le
 malattie, pur se di sicura  eziologia  professionale,  rilevano  agli
 effetti  dell'indennizzo  solo  in  quanto comportano una risoluzione
 dell'attitudine  al  lavoro  intesa  come  capacita'   biologica   di
 guadagno: sicche' con un indennizzo proporzionato all'entita' di tale
 riduzione  si   prevede   adeguatamente   alle   esigenze   di   vita
 dell'assicurato.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore  di  Torino  dubita che gli artt. 2, 3 e 74 del
 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, contrastino  con  gli  artt.  3,  32,
 primo comma, 35, primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione,
 nella parte in cui non  prevedono  il  risarcimento  del  c.d.  danno
 biologico  patito  dal  lavoratore  nello svolgimento e a causa delle
 proprie mansioni.
    Le  norme  impugnate,  infatti,  considerano  oggetto di copertura
 assicurativa soltanto le ipotesi in cui il lavoratore, a  seguito  di
 infortunio  o  malattia  professionale,  abbia  subi'to una riduzione
 della propria capacita' lavorativa, escludendo percio' i casi in  cui
 la menomazione dell'integrita' psico-fisica, della quale sia peraltro
 accertata  l'eziologia  professionale,  non  abbia  alcuna  incidenza
 sull'attitudine  al  lavoro.  Di  qui  la  violazione dei principi di
 tutela della salute, del lavoro e  dell'effettivita'  delle  garanzie
 assicurative,  nonche' del principio di eguaglianza e ragionevolezza.
    L'Avvocatura   dello   Stato  eccepisce  l'inammissibilita'  della
 questione, sostenendo che essa si tradurrebbe  nella  richiesta  alla
 Corte  di  un  intervento  ampliativo  che,  viceversa, implicando la
 scelta tra opzioni diverse e soluzioni alternative, sarebbe riservato
 al solo legislatore.
    L'eccezione va accolta.
    2.  -  Indubbiamente, l'esclusione dell'intervento pubblico per la
 riparazione  del  danno  alla  salute  patito   dal   lavoratore   in
 conseguenza  di eventi connessi alla propria attivita' lavorativa non
 puo' dirsi in sintonia con la  garanzia  della  salute  come  diritto
 fondamentale  dell'individuo e interesse della collettivita' (art. 32
 Cost.) e, ad un tempo,  con  la  tutela  privilegiata  che  la  Carta
 costituzionale  riconosce al lavoro come valore fondante della nostra
 forma di Stato (artt. 1, primo comma, 4, 35 e 38 Cost.),  nel  quadro
 dei  piu'  generali  principi  di  solidarieta'  (art.  2 Cost.) e di
 eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.).
    E' vero che il danno biologico, in se' considerato, deve ritenersi
 risarcibile da parte del datore  di  lavoro  secondo  le  regole  che
 governano la responsabilita' civile di quest'ultimo.
    Tuttavia,  le  stesse  ragioni,  che hanno indotto a giudicare non
 soddisfacente la tutela ordinaria  e  ad  introdurre  un  sistema  di
 assicurazione   sociale   obbligatoria   contro  il  rischio  per  il
 lavoratore di infortuni e malattie professionali capaci  di  incidere
 sulla  sua  attitudine  al  lavoro,  inducono a ritenere che anche il
 rischio della menomazione dell'integrita' psico-fisica del lavoratore
 medesimo,  prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni,
 debba per se'  stessa,  e  indipendentemente  dalle  sue  conseguenze
 ulteriori,  godere  di una garanzia differenziata e piu' intensa, che
 consenta, mediante  apposite  modalita'  sostanziali  e  procedurali,
 quella  effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che
 la disciplina comune non e' in grado di apprestare.
    Un  simile  ampliamento della tutela sarebbe pure in linea, per un
 verso, con la tendenza all'espansione  della  copertura  assicurativa
 dei  rischi del lavoratore, rivelata, per esempio, dall'abbandono del
 c.d. sistema tabellare delle malattie professionali (v.  sentenza  n.
 179  del  1988);  per  altro  verso,  con  il  crescente  impegno  di
 meccanismi solidaristici per la reintegrazione di danni alla persona,
 autonomamente considerati (v. sentenze nn. 560 e 561 del 1987).
    Tuttavia,  deve  ammettersi  che il rafforzamento della tutela del
 lavoratore qui considerato comporterebbe una innovazione legislativa,
 e  quindi  la  specificazione di modalita' procedurali e tecniche, la
 cui effettuazione spetta al legislatore.
    Di conseguenza, la questione deve essere dichiarata inammissibile.
 Non senza ricordare, pero', come l'esigenza di adeguata tutela  delle
 malattie  professionali  abbia  indotto  la  Corte  -  di fronte alla
 prolungata inerzia del legislatore, ed  in  presenza  di  determinate
 condizioni   -   a  pervenire  alla  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale  del  c.d.  sistema  tabellare,   la   cui   revisione
 abbisognava anch'essa di specificazioni.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 2, 3 e 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico
 delle   disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli
 infortuni sul lavoro e le  malattie  professionali),  in  riferimento
 agli  artt.  3, 32, primo comma, 35, primo comma e 38, secondo comma,
 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Torino con ordinanza del
 30 maggio 1990 (r.o. n. 546/90).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 15 febbraio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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