N. 97 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 1990

                                 N. 97
 Ordinanza  emessa  il  10  novembre  1990  dal  pretore  di Lecce nel
 procedimento penale a carico di Pati Giuseppe
 Processo  penale  -  Dichiarazioni  spontanee rese dall'indagato alla
 p.g. senza l'assistenza della difesa, nell'immediatezza del  fatto  -
 Prevista verbalizzazione anche per eventuale successiva contestazione
 delle deposizioni dell'indagato - Richiesta del p.m.  di acquisizione
 delle   stesse  al  fascicolo  del  dibattimento  e  di  uso  per  le
 contestazioni - Lamentata violazione dei principi della direttiva  n.
 31  della  legge  delega  -  In  subordine: lesione dei diritti della
 difesa.
 (C.P.P. 1988, artt. 350, settimo comma, 357, secondo comma, lett. b),
 e 503, terzo comma).
 (Cost.,  artt. 24, secondo comma, 76 e 77; legge 16 febbraio 1987, n.
 81, dir. n. 31).
(GU n.9 del 27-2-1991 )
                               IL PRETORE
    Letti  gli atti del procedimento penale a carico di Pati Giuseppe,
 nato a Copertino il 3 maggio 1967 e residente in  Lequile,  imputato,
 del delitto di cui all'art. 589 del c.p.;
                             O S S E R V A
    Il  30  giugno  1990  il  procuratore  della  Repubblica presso la
 pretura circondariale  di  Lecce  emetteva  decreto  di  citazione  a
 giudizio  nei confronti di Pati Giuseppe per il reato di cui all'art.
 589 del c.p.
    All'udienza  dibattimentale  del  10  novembre  1990  il  pubblico
 ministero, per contestare in parte  il  contenuto  della  deposizione
 resa  dall'imputato  ai  sensi  dell'art. 503 del c.p.p., chiedeva di
 servirsi delle "dichiarazioni spontanee" rese dalla  parte  esaminata
 alla  polizia  stradale  nella  immediatezza del fatto, contenute nel
 fascicolo del  pubblico  ministero.  Il  difensore  dell'imputato  si
 opponeva  sia  alla contestazione, sia all'acquisizione nel fascicolo
 per il dibattimento di tali "dichiarazioni spontanee".
    Avendo  il  Pati  reso quelle dichiarazioni senza l'assistenza del
 difensore, viene sollevata d'ufficio questione di legittimita'  degli
 artt. 350, settimo comma, e 503, terzo comma del c.p.c.
    L'art. 350 del c.p.c., cosi' come gli altri articoli contenuti nel
 titolo quarto del libro quinto, mira a dare attuazione alla direttiva
 31  della  legge  16  febbraio  1987,  n.  81,  chiarendo  nella  sua
 formulazione che la polizia giudiziaria puo':
       a)  assumere, con l'assistenza obbligatoria del difensore e con
 le modalita'  previste  dall'art.  64,  sommarie  informazioni  dalla
 persona indagata utilizzabili ai fini processuali e, agli effetti del
 giudizio, per le contestazioni;
       b)  assumere,  sul  luogo  o nell'immediatezza del fatto, anche
 senza la presenza del difensore, notizie ed indicazioni dalla persona
 nei  cui  confronti  vengono  svolte  le  indagini al solo fine della
 immediata  prosecuzione  delle  indagini,  col  divieto  assoluto  di
 qualsiasi documentazione ed utilizzazione processuale;
       c)    ricevere    dichiarazioni    spontanee   dall'"indagato",
 utilizzabili, se documentate ai sensi dell'art. 357,  secondo  comma,
 lett.  b),  non  come  prova  ma eventualmente per le contestazioni a
 norma dell'art. 503, terzo comma del c.p.p.
    Come si legge nella relazione ministeriale al progetto preliminare
 ed  al  testo  definitivo  del  codice  di   procedura   penale,   la
 formulazione   dell'art.   350   rispecchia  l'interpretazione  della
 direttiva 31  prevalsa  in  Commissione  redigente  dopo  un  animato
 dibattito.
    Ritenne  la  commissione  che la direttiva 31 consentisse anche la
 previsione delle cc.dd. dichirazioni  spontanee  rese  dall'indiziato
 senza  il  difensore  alla  polizia  giudiziaria  ed  utilizzabili in
 giudizio ai fini delle contestazioni, pervenedno a  tale  conclusione
 con  l'argomento  che  tale  direttiva  mostrerebbe di distinguere le
 "informazioni rese" (utilizzabili) da  quelle  "assunte  (e,  quindi,
 provocate) dalla polizia giudiziaria" (inutilizzabili).
    La  linea  interpretativa  seguita  nella formulazione del settimo
 comma dell'art. 350, e conseguentemente dall'art. 357, secondo comma,
 lett.   b),   che  consente  la  documentazione  delle  dichiarazioni
 spontanee  rese  dall'indiziato  alla   polizia   giudiziaria   senza
 l'assistenza  del  difensore  per  l'eventuale  utilizzazione a norma
 dell'art. 503, terzo comma, ai fini delle contestazioni, appare pero'
 in  contrasto  con  la precisa volonta' del legislatore delegante che
 con  la  direttiva  31  seconda  parte  pone  il  divieto  di   "ogni
 utilizzazione   agli   effetti   del   giudizio,   anche   attraverso
 testimonianza della stessa polizia giudiziaria,  delle  dichiarazioni
 ad  essa  rese da testimoni o dalla persona nei cui confronti vengono
 svolte le indagini, senza l'assistenza della difesa".
    Il  divieto  di utilizzazione, posto dal legislatore delegante, si
 riferisce, secondo l'univoco significato letterale della direttiva in
 esame,  anche  alle  "dichiarazioni  rese"  (quindi, non provocate ma
 spontanee) dall'indiziato alla polizia giudiziaria senza l'assistenza
 del  difensore  e  non  solo  alle "informazioni assunte" (e, quindi,
 provocate), alle quali peraltro fa richiamo alla stessa direttiva la'
 dove  consente  alla  polizia  giudiziaria  "di  assumere sul luogo e
 nell'immediatezza del fatto, anche senza l'assistenza del  difensore,
 notizie  ed  indicazioni  utili  ai  fini dell'immediata prosecuzione
 delle indagini",  con  divieto,  pero',  di  ogni  documentazione  ed
 utilizzazione processuale.
    Quindi,  le  disposizioni  di  cui  all'art. 350, settimo comma, e
 degli artt. 357, secondo comma, lett. b), e  503,  terzo  comma,  del
 c.p.p.,  che alla prima sono correlate, nella parte in cui consentono
 la documentazione delle dichiarazioni spontanee  rese  dall'indiziato
 alla  polizia  giudiziaria  senza  l'assistenza  del  difensore  e la
 successiva eventuale utilizzazione per le contestazioni,  esorbitando
 dai  limiti  della delega contenuta nella direttiva 31, si pongono in
 contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
    Ove,  poi,  non  si  ritenessero  in  contrasto con la ratio della
 direttiva 31, le norme  in  esame  violerebbero  l'art.  24,  secondo
 comma,  della  Costituzione  non garantendo alcun diritto di difesa a
 chi, gia' indiziato del reato,  decidesse  di  rendere  dichiarazioni
 spontanee   alla   polizia  giudiziaria  senza  essere  edotto  delle
 contestazioni a suo carico e  senza  la  possibilita'  di  esercitare
 pienamente  il  diritto  di  difesa  nella  fase  piu'  delicata  del
 processo, quando vengono raccolte le prime fonti di prova.
    La  prospettata  questione e' certamente rilevante nel giudizio in
 corso in quanto se venisse dichiarata l'illegittimita' costituzionale
 degli articoli del codice di procedura penale citati verrebbe meno la
 possibilita' per il p.m. di contestare all'imputato le  dichiarazioni
 spontanee rese alla polizia giudiziaria.
                                P. Q. M.
    Visti   l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento
 agli artt. 24, secondo comma, 76 e  77  della  Costituzione  ed  alla
 direttiva  n.  31  della  legge  delega  16  febbraio 1987, n. 81, la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  350,  settimo
 comma,  nonche' degli artt. 357, secondo comma, lett. b) e 503, terzo
 comma, del c.p.p., nella parte  in  cui  dette  norme  consentono  la
 documentazione delle dichiarazioni spontanee rese dall'indiziato alla
 polizia  giudiziaria  senza   l'assistenza   del   difensore   e   la
 utilizzazione ai fini delle eventuali contestazioni;
    Ordina la rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende  il  procedimento  fino  alla  definizione  del  giudizio
 incidentale di costituzionalita' cosi' promosso d'ufficio;
    Manda   alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
 ordinanza, alle parti private ed ai loro  difensori,  al  Procuratore
 della  Repubblica  presso  la  pretura  ciricondariale di Lecce ed al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e per la sua  comunicazione  al
 Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed al Presidente del Senato
 della Repubblica.
      Lecce, addi' 10 novembre 1990
                          Il pretore: BOSELLI
   Il direttore di cancelleria: BOLLINO
 91C0229