N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 1990
N. 130 Ordinanza emessa il 5 ottobre 1990 dal tribunale di sorveglianza presso la Corte d'appello di Torino nel procedimento di sorveglianza relativo a Catalano Angelo Pena - Riduzione - Beneficio della liberazione anticipata - Concessione - Prevista valutabilita' anche del periodo trascorso in stato di custodia cautelare nella forma degli arresti domiciliari - Impossibilita' in tal caso, di far luogo all'osservazione del comportamento del detenuto, presupposto della concessione del beneficio - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai detenuti ristretti in carcere che a tale osservazione sono soggetti - Violazione del principio della funzione rieducativa della pena - Riferimento alla ordinanza della Corte costituzionale n. 327/1989. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma, modificato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.11 del 13-3-1991 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza relativo alla concessione della liberazione anticipata all'udienza del 5 ottobre 1990 premesso che il detenuto Catalano Angelo nato il 25 agosto 1966 a Catania, ristretto nella casa circondariale di Torino in espiazione pene anni 2 mesi 8 di reclusione inflittegli con sentenza 17 giugno 1988 del Tribunale di Torino conf. 7 febbraio 1989 C.A.T. difeso dall'avv. Giriboni di Torino in rapp. avv. Molinengo di fiducia; Visto il parere favorevole del p.g.; Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato; Verificata, preliminarmente, la regolarita' delle comunicazioni relative ai prescritti avvisi al rappresentante del p.m. all'interessato ed al difensore; Considerate le risultanze delle documentazioni acquisite, delle investigazioni e degli accertamenti svolti della trattazione e della discussione di cui a separato processo verbale; O S S E R V A Con sentenza 7 febbraio 1989 della Corte di appello di Torino Catalano Angelo e' stato condannato ad anni 2 e mesi 8 di reclusione. In data 22 marzo 1990 Catalano Angelo ha presentato istanza di liberazione anticipata con riferimento al periodo espiato dall'8 giugno 1988 all'8 febbraio 1989 in carcere e dal 9 febbraio 1989 al 13 marzo 1990 agli arresti domiciliari e dal 14 marzo 1990 data del suo riarresto presso la Casa circondariale di Torino. Il Tribunale di Sorveglianza con ordinanza 5 ottobre 1990 ha concesso la riduzione pena di giorni 90 per il periodo 8 giugno 1988 - 8 febbraio 1989 e 14 marzo 1990 14 luglio 1990, trascorsi negli istituti penitenziari. In pari data il Tribunale con ordinanza a parte ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54 o.p. ultima parte che prevede la concessione della riduzione pena per il periodo trascorso dal Catalano agli arresti domiciliari 9 febbraio 1989 - 13 marzo 1990. D I R I T T O Diverse sono le finalita' della pena detentiva che gli studiosi hanno individuato nel corso della storia del diritto penale: retribuzione, afflizione, correzione, prevenzione, intimidazione, difesa sociale, rieducazione. Il costituente italiano nell'art. 27 ha cosi' delineato le finalita' della pena detentiva: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso della umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato. Questa norma ha dunque evidenziato in modo programmatico una delle finalita' della pena: la rieducazione del condannato. Il legislatore ordinario a sua volta ha dato una risposta positiva al precetto costituzionale disciplinando in modo organico il trattamento rieducativo del detenuto in alcune disposizioni della legge 26 luglio 1975 n. 354 ed in alcune norme del regolamento. Illuminanti a tale proposito sono le seguenti fondamentali disposizioni: legge n. 354/1975, art. 1, ultimo comma: "Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi il trattamento e' attuato secondo un criterio di individualizzazione nel rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti". Art. 13: "Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalita' di ciascun soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati e' predisposta l'osservazione scientifica della personalita' per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale. L'osservazione e' compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa. Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati dell'osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo da effettuare ed e' compilato il relativo programma, che integrato o modificato secondo l'evidenza che si prospettano nel corso dell'esecuzione. Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite, unitariamente ai dati giudiziari biografici e sanitari, nella cartella personale, nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati. Deve essere favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attivita' di osservazione e di trattamento" Art. 15: "Il trattamento del condannato e dell'internato e' svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attivita' culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilita', al condannato e all'internato e' assicurato il lavoro. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attivita' educative, culturali e ricreative, e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorita' giudiziaria, a svolgere attivita' lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica". Regolamento: art. 27, primo comma: "L'osservazione scientifica della personalita' e' diretta all'accertamento dei bisogni di ciascun soggetto connessi alle eventuali carenze fisiopsichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all'instaurazione di una normale vita di relazione. Ai fini dell'osservazione si provvede all'acquisizione di dati biologici, psicologici e sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilita' ad usufruire dell'intervento del trattamento". Art. 29: "La compilazione del programma di trattamento e' effettuato da un gruppo presieduto dal Direttore e composto dal personale e dagli esperti che hanno svolto le attivita' di osservazione indicate nel precedente articolo. Il gruppo di osservazione tiene riunioni periodiche, nel corso delle quali esamina gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati. La segreteria tecnica del gruppo e' affidata di regola, all'educatore"; art. 48 (Obbligo del lavoro); art. 49 (Attivita' artigianali, intellettuali o artistiche); art. 56 (Attivita' culturali, ricreative e sportive); art. 94, secondo comma: "La partecipazione del condannato all'opera di rieducazione e' valutata con particolare riferimento all'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunita' offertegli nel corso del trattamento all'atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari e alla qualita' dei rapporti intrattenuti con i compagni e con i familiari". Le misure alternative previste nella citata legge a favore dei detenuti, quali l'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47), la semiliberta' (art. 50) e la liberazione anticipata (art. 54) ne indicano il trattamento penitenziario come presupposto fondamentale ed essenziale. Art. 47 "il provvedimento e' adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalita' condotta collegialmente.. .. ..". Art. 50 "l'ammissione al regime di semiliberta' e' disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento.. .. ..". Art. 54 "al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione e' concessa.. .. ..". Art. 94 Regolamento "la partecipazione del condannato all'opera di rieducazione e' valutata con particolare riferimento all'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunita' offertegli nel corso del trattamento all'atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari e alla qualita' dei rapporti intrattenuti con i compagni e con i familiari". Dalla lettura delle citate norme risulta evidenziata una correlazione tra il dovere dello Stato di predisporre una serie di interventi nei confronti del detenuto, diretti inequivocabilmente a rieducarlo, e la risposta che il detenuto da' a quest'opera: quando la Magistratura di sorveglianza verifica una corrispondenza fra queste due entita' concede le misure alternative sopra illustrate. Questa disciplina normativa e' rispettosa al massimo grado dei precetti contenuti negli artt. 3 e 27 della Costituzione. Infatti offrendo a tutti i detenuti definitivi le identiche possibilita' trattamentali si rispetta il dettato contenuto nell'art. 3 della Costituzione, che tra l'altro prescrive che tutti i cittadini hanno diritto ad un trattamento normativo identico rispetto a situazioni paritarie. Le citate norme garantiscono l'accesso alle citate misure alterna- tive ai detenuti che, recependo le occasioni trattamentali previste dall'o.p. (lavoro, attivita' culturali, ricreative, sportive, rapporti con la famiglia, con i detenuti, instaurazione di rapporti con il mondo esterno, con gli agenti e tutti gli operatori penitenziari), possono cosi' ripensare criticamente il loro vissuto, ed attraverso le misure alternative escono dal carcere con il serio proposito di rispettare la legge. E' evidente dunque che in tal modo lo Stato realizza la finalita' indicata nell'art. 27 della Costituzione, concorrendo in modo fattivo alla rieducazione del condannato. La disciplina riguardante l'istituto della liberazione anticipata e' stata concepita nell'ottica di anzi illustrata. Al riguardo le espressioni contenute nelle citate norme (l'art. 54 della legge e l'art. 94 del regolamento) sono di grande significato. Peraltro la Cassazione, tutte le volte che e' stata chiamata a pronunciarsi in merito all'interpretazione delle citate norme, ha espresso il seguente orientamento: "La liberazione anticipata puo' essere concessa soltanto se attraverso un esame globale del comportamento tenuto dal condannato, sin dall'inizio dello stato di detenzione possa ritenersi acquisita la prova che egli abbia volontariamente cooperato per trarre vantaggio dall'opera di rieducazione, attivandosi per un'efficace reinserimento nella societa'; a tal fine non e' sufficiente un comportamento puramente passivo di supina e disciplinata osservanza delle norme che regolano la vita carceraria, ma occorre una condotta attiva che abbia elementi positivi di valore sintomatico rispetto all'effettivo conseguimento dello scopo rieducativo perseguito dalla legge; pertanto il giudice di merito, pur potendo liberamente apprezzare gli elementi di prova acquisiti deve osservare l'obbligo della motivazione sulla partecipazione del condannato all'opera di rieducazione nei senti indicati e non puo' limitarsi quindi, ad affermazioni apodittiche adattabili a qualsiasi caso" "presupposto indispensabile per la concessione del beneficio di cui all'art. 54 della legge n. 354 del 1975 e la partecipazione del condannato all'opera di rieducazione, a nulla rilevando la eventuale esistenza di un rapporto informativo, in specie se esso rapporto riguarda soltanto la regolare condotta carceraria del detenuto, che da sola non giustifica la concessione stessa" "l'istituto della liberazione anticipata postula al pari di tutte le altre misure alternative alla detenzione un congruo periodo di osservazione del condannato al fine di stabilire i progressi compiuti dallo stesso nell'opera di rieducazione". "Poiche' l'osservazione puo' riferirsi ai condannati, il periodo trascorso in stato di custodia preventiva non puo' essere valutato ai fini della concessione della riduzione di pena per la liberazione anticipata". "A fini della liberazione anticipata la semplice buona condotta e' irrilevante, occorrendo la dimostrazione di una partecipazione attiva e consapevole del condannato all'opera di rieducazione attuata nei suoi confronti dai competenti organi carcerari". "Ai fini della riduzione di pena prevista dall'art. 54 della legge n. 354 del 1975 il giudizio sulla partecipazione o meno del condannato all'opera di rieducazione va formulato sulla base dei risultati acquisiti nell'arco di tempo in cui si e' sviluppato il trattamento rieducativo, valutati nella loro globalita' ed avendo presente la partecipazione attiva del suddetto al processo di rieducazione e di reinserimento anticipato nella societa'". Dalle sentenze sopra illustrate si possono dunque enucleare i seguenti punti fermi in tema di liberazione anticipata: 1) il detenuto se vuole ottenere la riduzione pena deve attivarsi rispetto alle occasioni trattamentali che gli sono offerte durante la detenzione; 2) la decisione del tribunale di sorveglianza deve fondarsi unicamente alla luce dei risultati acquisiti nell'arco di tempo in cui si e' sviluppato il trattamento rieducativo del detenuto; 3) e' da escludere che il comportamento puramente passivo di supina e disciplinata osservanza delle norme che regolano la vita carceraria legittimi il detenuto ad ottenere la riduzione pena. Una siffatta interpretazione e' rispettosa della lettera e della ratio della legge: la liberazione viene concessa per premiare coloro che assecondano la finalita' rieducativa della pena ed e' negata a quei detenuti che con il loro comportamento contrastano l'attuazione di detta finalita' ovvero svolgono opera di mera acquiescenza al re- gime penitenziario. Tutto cio' richiede, a tutta evidenza, da parte dello Stato l'impegno di risorse umane ed economiche notevoli e costanti, e da parte dei detenuti la loro fattiva opera di partecipazione al programma rieducativo. Con siffatta disciplina si conseguono alcuni risultati coerenti con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. 1) Le opportunita' trattamentali sono offerte a tutte le persone detenute in istituti di pena (art. 3 della Costituzione). 2) Il coinvolgimento dei detenuti in tale attivita' e' una delle massime espressioni della funzione rieducativa della pena (art. 27 della Costituzione). 3) La pace sociale negli istituti di pena e' un dato di fatto incontrovertibile da oltre dodici anni. Si puo' dunque affermare che l'istituto della liberazione anticipata e' legato indefettibilmente al regime penitenziario. La Corte di cassazione ha ribadito questo legame con numerose decisioni, escludendo ad esempio che la liberazione anticipata possa essere riconosciuta a favore del libero vigilato durante la liberazione condizionale. Questa disciplina, il cui fulcro e' rappresentato dall'adesione del detenuto alle attivita' trattamentali del carcere, e' stata modificata dalla legge n. 663/1986 che ha previsto la riduzione anche per il periodo trascorso in stato di custodia cautelare espiato nella forma degli arresti domiciliari (art. 284 del c.p.p.). Questa innovazione e', a parere del collegio, contrastante con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. Con la novella e' stata introdotta una disciplina unitaria per situazioni del tutto soggettivamente ed oggettivamente diverse ed avulsa da qualsiasi funzione rieducativa. Il caso di specie e' significativo. Il Comando stazione carabinieri di Torino "Regio parco" in risposta ad una nostra richiesta, cosi' formulata "pregasi inviare relazione sul comportamento tenuto da Catalano Angelo durante gli arresti domiciliari (dal 9 febbraio 1989 al 13 marzo 1990), ha riferito nei seguenti termini: "Si comunica che Catalano Angelo durante gli arresti domiciliari ha mantenuto buona condotta in genere". A sua volta il gruppo di osservazione della Casa circondariale delle Vallette ha redatto la seguente relazione: "La condotta tenuta dal detenuto nelle diverse fasi della sua vicenda detentiva, puo' ritenersi regolare, non risultando alcuna sanzione disciplinare a suo carico, sia per quanto riguarda il primo periodo trascorso a Torino, sia per il periodo trascorso a Reggio Emilia. Per quest'ultimo tempo espiato presso questa C.C., a tutt'oggi (19 luglio 1990), risulta solo una ammonizione per danneggiamento del 17 aprile 1990. Gia' tossicodipendente, il detenuto segui' la terapia a scalare metadonica nel giugno 1988 presso il Centro clinico di questa C.C., non assumendo poi da allora alcuna sostanza stupefacente ne' altri farmaci sostitutivi. Nell'opera di allontanamento dalla tossicodipendenza, come viene riconosciuto dallo stesso soggetto, un ruolo importante ha svolto la propria famiglia, che si e' mostrata disponibile al sostegno morale e materiale anche nei momenti piu' difficili. Con i familiari i rapporti sono sempre stati buoni e anche oggi vengono effettuati regolari colloqui con tutti i componenti del nucleo familiare, che sono: il padre, ex carpentiere, invalido, in pensione; la madre, dipendente del comune come vigilante; le due sorelli minori, entrambe studentesse. All'interno dell'istituto ha lavorato per circa quindici giorni nel periodo iniziale di detenzione, mentre in seguito ha solo svolto sporadici lavori di tipo volontario e non retribuito. Sul piano delle attivita' socio- culturali, e' un frequentatore piuttosto assiduo della biblioteca, da cui preleva libri vari essendo la lettura il suo passatempo abituale, unitamente all'ascolto di musica; altri libri personali gli vengono riforniti dalle sorelle che studiano. Non prende parte con frequenza ad attivita' sportive, mentre partecipa a giochi ricreativi e a momenti di socialita' con i compagni. Al colloquio, il detenuto si e' mostrato disponibile, lucido, piuttosto aperto e franco nel dialogo. Non denota particolari problemi sul piano psicologico, sembra ben disposto ad essere aiutato ed alla collaborazione al trattamento, esprimendo una certa determinazione verso il cambiamento futuro e nuove opportunita' di esistenza dignitosa". Il tribunale di sorveglianza deve dunque formulare il giudizio sul conto del Catalano alla luce di due documenti: il primo redatto dal gruppo di osservazione che ha analizzato in modo approfondito la personalita' del detenuto e le risposte da costui date alle proposte trattamentali; il secondo redatto in modo estremamente sintetico dal comandante della stazione carabinieri di Torino in cui vi e' una semplice frase peraltro molto generica. Cosi' come sopra e' stato illustrato, la Corte di cassazione e la Magistratura di sorveglianza nell'interpretare le chiare disposizioni contenute negli artt. 54 della legge e 94 del regolamento hanno ribadito che "la regolare condotta da sola non giustifica la concessione della liberazione anticipata"; per contro con la novella legislativa del 1986 "la regolare condotta durante gli arresti domiciliari" e' sufficiente per ottenere la riduzione pena. Nel caso di specie se nella relazione redatta dal gruppo di osservazione del carcere fosse stato soltanto evidenziato che "il detenuto ha tenuto regolare condotta" il tribunale avrebbe dovuto respingere la richiesta di riduzione pena per il periodo detentivo espiato in carcere, mentre avrebbe dovuto accogliere la domanda per il periodo trascorso agli arresti domiciliari sulla base della nota dei carabinieri di Torino: "che il Catalano durante gli arresti domiciliari non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta in genere". In realta' la relazione redatta in istituto, che illustra la condotta del Catalano in modo completo ed esauriente, ha consentito al tribunale di esprimere un motivato giudizio positivo di accoglimento della domanda. Risulta cosi' evidente che l'innovazione legislativa ha introdotto una disciplina discriminatoria nei confronti dei detenuti che espiano la pena in carcere previlegiando coloro che espiano la pena agli arresti domiciliari. Tutto cio' ha la sua radice nelle diverse ed antitetiche concezioni che hanno ispirato il legislatore nel disciplinare la liberazione anticipata nell'anno 1975 e nella novella dell'anno 1986. Con la prima normativa si e' inteso perseguire lo scopo della rieducazione del condannato attraverso un trattamento penitenziario esteso a tutti i detenuti definitivi privilegiando coloro che dimostrano di aspirare ad un cambiamento radicale della vita; con la seconda si e' inteso unicamente ridurre il periodo detentivo. Peraltro questa finalita' e' stata espressa dal relatore della legge con la seguente espressione: "Sempre nella prospettiva del massimo contenimento del ricorso alle pene detentive che costituisce uno dei principi ispiratori del testo in esame". In tal modo, mentre con la normativa del 1975 il giudizio del tribunale di sorveglianza e' fondato su di uno strumento conoscitivo di grande rilievo professionale (nel caso di specie relazione redatta dal gruppo di osservazione di Torino); con la normativa dell'anno 1986 si e' vincolato detto giudizio ad un parere espresso dal comandante della stazione dei carabinieri di Torino di poche parole. Il ruolo di un collegio giudicante e' stato cosi' trasformato: da giudice a dispensatore di indulto (nel caso di specie di mesi tre). Il collegio non ignora che la Corte costituzionale con ordinanza n. 327/1989 ha dichiarato: "la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nel testo sostituito ad opera dell'art. 18 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzionale, dal tribunale di sorveglianza di Torino con ordinanza 18 aprile 1988". La motivazione di detta ordinanza e' stata cosi' articolata "considerato che, con specifico riguardo all'affidamento in prova al servizio sociale, questa Corte ha gia' avuto modo di precisare che tale misura 'costituisce non una misura alternativa alla pena, ma una pena essa stessa, alternativa alla detenzione, o, se si vuole, una modalita' di esecuzione della pena, nel senso che viene sostituito a quello in istituto un trattamento fuori dell'istituto, perche' ritenuto piu' idoneo, sulla base dell'osservazione, al raggiungimento delle finalita' di prevenzione e di emenda, proprie della pena', cio' in quanto 'il periodo trascorso in affidamento (nell'ambito della durata complessiva, che e' e rimane unica, della pena inflitta) comporta per il condannato l'osservanza di prescrizioni restrittive della sua liberta' e insieme la soggezione, pur se in un quadro di assistenza, ai costanti controlli del servizio sociale nonche' alla vigilanza del magistrato di sorveglianza' (v. sentenza n. 185/1985; e, analogamente, sentenze nn. 312/1985 e 343/1987); che le medesime argomentazioni sono estensibili alla detenzione domiciliare, costituendo anch'essa 'non una misura alternativa alla pena', ma una pena 'alternativa alla detenzione o, se si vuole, una modalita' di esecuzione della pena', caratterizzata - al pari dell'affidamento in prova - della soggezione a prescrizioni limitative della liberta', sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza e con l'intervento del servizio sociale, il tutto al fine di garantire le finalita' rieducative della pena stessa.. .. ...". Questi principi riguardanti la detenzione domiciliare non si possono applicare agli arresti domiciliari. Invero, cosi' come e' stato evidenziato dalla Corte costituzionale, durante la detenzione domiciliare si attivano in un costante controllo del detenuto il centro servizio sociale ed il magistrato di sorveglianza. Pertanto quando e' formulata un'istanza di liberazione anticipata dalla persona che e' in detenzione domiciliare il centro servizio sociale compila una relazione in cui e' riassunto il lavoro di controllo e sostegno svolto durante detto periodo. Per contro nel corso degli arresti domiciliari vengono effettuati saltuari controlli da un agente o carabiniere per verificare se la persona sia in casa. A costoro non e' affidato altro compito e pertanto essi nel redigere la relazione richiesta dal Tribunale in occasione della domanda di riduzione pena riferiscono negli stessi termini esemplificati dalla citata nota del comandante la stazione carabinieri di Torino. Pertanto si puo' affermare che durante gli arresti domiciliari non si garantiscono "le finalita' rieducative della pena" ed un trattamento identico a quello previsto per coloro che espiano la pena in carcere o in detenzione domiciliare. Alla luce delle suesposte considerazioni si deve pertanto denunciare l'illegittimita' costituzionale della citata normativa per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
P. Q. M. Ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 3 ed all'art. 27 della Costituzione, dell'art. 54, primo comma, della legge n. 354/1975 e modificata dalla legge n. 663/1986 nella espressione "a tal fine e' valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare" nella forma degli arresti domiciliari (art. 284 del c.p.p.) e cio' nei termini di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, cosi' deciso in data 5 ottobre 1990. Il presidente: FORNACE 91C0266