N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 1990

                                N. 130
   Ordinanza emessa il 5 ottobre 1990 dal tribunale di sorveglianza
                  presso la Corte d'appello di Torino
      nel procedimento di sorveglianza relativo a Catalano Angelo
 Pena   -   Riduzione  -  Beneficio  della  liberazione  anticipata  -
 Concessione - Prevista valutabilita' anche del periodo  trascorso  in
 stato  di  custodia cautelare nella forma degli arresti domiciliari -
 Impossibilita'  in  tal  caso,  di  far  luogo  all'osservazione  del
 comportamento   del   detenuto,  presupposto  della  concessione  del
 beneficio - Ingiustificata  disparita'  di  trattamento  rispetto  ai
 detenuti ristretti in carcere che a tale osservazione sono soggetti -
 Violazione  del  principio  della  funzione  rieducativa della pena -
 Riferimento alla ordinanza della Corte costituzionale n. 327/1989.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma, modificato dalla
 legge 10 ottobre 1986, n. 663).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.11 del 13-3-1991 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza   nel   procedimento   di
 sorveglianza  relativo  alla concessione della liberazione anticipata
 all'udienza del 5 ottobre 1990  premesso  che  il  detenuto  Catalano
 Angelo  nato  il  25  agosto  1966  a  Catania,  ristretto nella casa
 circondariale  di  Torino  in  espiazione  pene  anni  2  mesi  8  di
 reclusione  inflittegli  con sentenza 17 giugno 1988 del Tribunale di
 Torino conf. 7 febbraio 1989  C.A.T.  difeso  dall'avv.  Giriboni  di
 Torino in rapp. avv. Molinengo di fiducia;
    Visto il parere favorevole del p.g.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata,  preliminarmente,  la  regolarita' delle comunicazioni
 relative  ai   prescritti   avvisi   al   rappresentante   del   p.m.
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate  le  risultanze  delle documentazioni acquisite, delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti della trattazione e  della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                             O S S E R V A
    Con  sentenza  7  febbraio  1989  della Corte di appello di Torino
 Catalano Angelo e' stato condannato ad anni 2 e mesi 8 di reclusione.
 In data 22 marzo  1990  Catalano  Angelo  ha  presentato  istanza  di
 liberazione  anticipata  con  riferimento  al  periodo espiato dall'8
 giugno 1988 all'8 febbraio 1989 in carcere e dal 9 febbraio  1989  al
 13  marzo  1990 agli arresti domiciliari e dal 14 marzo 1990 data del
 suo riarresto presso la Casa circondariale di Torino.
    Il  Tribunale  di  Sorveglianza  con  ordinanza  5 ottobre 1990 ha
 concesso la riduzione pena di giorni 90 per il periodo 8 giugno  1988
 -  8  febbraio  1989  e 14 marzo 1990 14 luglio 1990, trascorsi negli
 istituti penitenziari.
    In pari data il  Tribunale  con  ordinanza  a  parte  ha  eccepito
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  54 o.p. ultima parte che
 prevede la concessione della riduzione pena per il periodo  trascorso
 dal  Catalano  agli  arresti  domiciliari  9 febbraio 1989 - 13 marzo
 1990.
                             D I R I T T O
    Diverse sono le finalita' della pena detentiva  che  gli  studiosi
 hanno   individuato  nel  corso  della  storia  del  diritto  penale:
 retribuzione,  afflizione,  correzione,  prevenzione,  intimidazione,
 difesa sociale, rieducazione.
    Il  costituente  italiano  nell'art.  27  ha  cosi'  delineato  le
 finalita' della pena detentiva: le pene  non  possono  consistere  in
 trattamenti  contrari  al  senso della umanita' e devono tendere alla
 rieducazione del condannato.
    Questa norma ha dunque evidenziato in modo programmatico una delle
 finalita' della pena: la rieducazione del condannato.
    Il legislatore ordinario a sua volta ha dato una risposta positiva
 al  precetto  costituzionale  disciplinando  in  modo   organico   il
 trattamento  rieducativo  del  detenuto  in alcune disposizioni della
 legge 26 luglio 1975 n. 354 ed in alcune norme del regolamento.
    Illuminanti  a  tale  proposito  sono  le  seguenti   fondamentali
 disposizioni: legge n. 354/1975, art. 1, ultimo comma: "Nei confronti
 dei  condannati  e degli internati deve essere attuato un trattamento
 rieducativo che tenda, anche attraverso  i  contatti  con  l'ambiente
 esterno,  al  reinserimento  sociale  degli  stessi il trattamento e'
 attuato secondo un criterio di individualizzazione nel rapporto  alle
 specifiche   condizioni  dei  soggetti".  Art.  13:  "Il  trattamento
 penitenziario  deve   rispondere   ai   particolari   bisogni   della
 personalita'  di  ciascun  soggetto.  Nei  confronti dei condannati e
 degli  internati  e'  predisposta  l'osservazione  scientifica  della
 personalita'  per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause
 del disadattamento sociale.  L'osservazione  e'  compiuta  all'inizio
 dell'esecuzione   e   proseguita  nel  corso  di  essa.  Per  ciascun
 condannato e internato, in base ai risultati dell'osservazione,  sono
 formulate   indicazioni  in  merito  al  trattamento  rieducativo  da
 effettuare ed e' compilato il relativo  programma,  che  integrato  o
 modificato   secondo   l'evidenza   che   si  prospettano  nel  corso
 dell'esecuzione.
    Le  indicazioni  generali  e  particolari  del  trattamento   sono
 inserite,  unitariamente  ai  dati  giudiziari biografici e sanitari,
 nella cartella personale, nella quale sono  successivamente  annotati
 gli  sviluppi  del  trattamento  praticato  e  i suoi risultati. Deve
 essere favorita la collaborazione dei condannati  e  degli  internati
 alle  attivita'  di  osservazione  e  di  trattamento"  Art.  15: "Il
 trattamento del condannato e  dell'internato  e'  svolto  avvalendosi
 principalmente  dell'istruzione,  del  lavoro, della religione, delle
 attivita' culturali, ricreative e  sportive  e  agevolando  opportuni
 contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.
    Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilita',
 al  condannato  e all'internato e' assicurato il lavoro. Gli imputati
 sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attivita' educative,
 culturali e ricreative, e,  salvo  giustificati  motivi  o  contrarie
 disposizioni   dell'autorita'   giudiziaria,   a  svolgere  attivita'
 lavorativa o  di  formazione  professionale,  possibilmente  di  loro
 scelta  e,  comunque,  in  condizioni  adeguate  alla  loro posizione
 giuridica".  Regolamento:  art.  27,  primo  comma:   "L'osservazione
 scientifica   della  personalita'  e'  diretta  all'accertamento  dei
 bisogni  di  ciascun  soggetto  connessi   alle   eventuali   carenze
 fisiopsichiche,  affettive,  educative  e  sociali, che sono state di
 pregiudizio all'instaurazione di una normale vita  di  relazione.  Ai
 fini   dell'osservazione   si   provvede   all'acquisizione  di  dati
 biologici,  psicologici  e  sociali  e  alla  loro  valutazione   con
 riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e
 alla  sua  attuale  disponibilita'  ad  usufruire dell'intervento del
 trattamento". Art. 29: "La compilazione del programma di  trattamento
 e'  effettuato  da  un gruppo presieduto dal Direttore e composto dal
 personale  e  dagli  esperti  che  hanno  svolto  le   attivita'   di
 osservazione   indicate   nel   precedente  articolo.  Il  gruppo  di
 osservazione tiene riunioni periodiche, nel corso delle quali esamina
 gli sviluppi  del  trattamento  praticato  e  i  suoi  risultati.  La
 segreteria  tecnica del gruppo e' affidata di regola, all'educatore";
 art.  48  (Obbligo  del  lavoro);  art.  49  (Attivita'  artigianali,
 intellettuali o artistiche); art. 56 (Attivita' culturali, ricreative
 e   sportive);   art.  94,  secondo  comma:  "La  partecipazione  del
 condannato all'opera di  rieducazione  e'  valutata  con  particolare
 riferimento   all'impegno   dimostrato   nel  trarre  profitto  dalle
 opportunita' offertegli nel corso del  trattamento  all'atteggiamento
 manifestato   nei  confronti  degli  operatori  penitenziari  e  alla
 qualita' dei rapporti intrattenuti con i compagni e con i familiari".
    Le misure alternative previste nella citata  legge  a  favore  dei
 detenuti, quali l'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47),
 la  semiliberta'  (art.  50) e la liberazione anticipata (art. 54) ne
 indicano il trattamento penitenziario come  presupposto  fondamentale
 ed essenziale.
    Art.  47  "il  provvedimento  e' adottato sulla base dei risultati
 della osservazione della personalita'  condotta  collegialmente..  ..
 ..".
    Art.  50  "l'ammissione  al  regime di semiliberta' e' disposta in
 relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento.. .. ..".
    Art. 54 "al condannato a pena  detentiva  che  ha  dato  prova  di
 partecipazione all'opera di rieducazione e' concessa.. .. ..".
    Art. 94 Regolamento "la partecipazione del condannato all'opera di
 rieducazione  e'  valutata  con  particolare  riferimento all'impegno
 dimostrato nel trarre  profitto  dalle  opportunita'  offertegli  nel
 corso  del  trattamento  all'atteggiamento  manifestato nei confronti
 degli  operatori  penitenziari   e   alla   qualita'   dei   rapporti
 intrattenuti con i compagni e con i familiari".
    Dalla   lettura   delle   citate  norme  risulta  evidenziata  una
 correlazione tra il dovere dello Stato di predisporre  una  serie  di
 interventi  nei  confronti del detenuto, diretti inequivocabilmente a
 rieducarlo, e la risposta che il detenuto da' a  quest'opera:  quando
 la  Magistratura  di  sorveglianza  verifica  una  corrispondenza fra
 queste due entita' concede le misure alternative sopra illustrate.
    Questa  disciplina  normativa  e'  rispettosa al massimo grado dei
 precetti contenuti negli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Infatti offrendo  a  tutti  i  detenuti  definitivi  le  identiche
 possibilita' trattamentali si rispetta il dettato contenuto nell'art.
 3 della Costituzione, che tra l'altro prescrive che tutti i cittadini
 hanno  diritto  ad  un  trattamento  normativo  identico  rispetto  a
 situazioni paritarie.
    Le citate norme garantiscono l'accesso alle citate misure alterna-
 tive ai detenuti che, recependo le occasioni  trattamentali  previste
 dall'o.p.   (lavoro,   attivita'   culturali,  ricreative,  sportive,
 rapporti con la famiglia, con i detenuti, instaurazione  di  rapporti
 con   il  mondo  esterno,  con  gli  agenti  e  tutti  gli  operatori
 penitenziari), possono cosi' ripensare criticamente il loro  vissuto,
 ed  attraverso  le misure alternative escono dal carcere con il serio
 proposito di rispettare la legge.
    E' evidente dunque che in tal modo lo Stato realizza la  finalita'
 indicata nell'art. 27 della Costituzione, concorrendo in modo fattivo
 alla   rieducazione   del   condannato.   La  disciplina  riguardante
 l'istituto  della   liberazione   anticipata   e'   stata   concepita
 nell'ottica di anzi illustrata.
    Al riguardo le espressioni contenute nelle citate norme (l'art. 54
 della legge e l'art. 94 del regolamento) sono di grande significato.
    Peraltro  la  Cassazione,  tutte  le volte che e' stata chiamata a
 pronunciarsi in merito all'interpretazione  delle  citate  norme,  ha
 espresso  il  seguente  orientamento: "La liberazione anticipata puo'
 essere  concessa  soltanto  se  attraverso  un  esame   globale   del
 comportamento  tenuto  dal condannato, sin dall'inizio dello stato di
 detenzione  possa  ritenersi  acquisita  la  prova  che  egli   abbia
 volontariamente   cooperato   per   trarre  vantaggio  dall'opera  di
 rieducazione,  attivandosi  per   un'efficace   reinserimento   nella
 societa';  a  tal  fine non e' sufficiente un comportamento puramente
 passivo di supina e disciplinata osservanza delle norme che  regolano
 la vita carceraria, ma occorre una condotta attiva che abbia elementi
 positivi  di  valore sintomatico rispetto all'effettivo conseguimento
 dello scopo rieducativo perseguito dalla legge; pertanto  il  giudice
 di  merito,  pur potendo liberamente apprezzare gli elementi di prova
 acquisiti  deve   osservare   l'obbligo   della   motivazione   sulla
 partecipazione  del  condannato  all'opera  di rieducazione nei senti
 indicati e non puo' limitarsi  quindi,  ad  affermazioni  apodittiche
 adattabili  a  qualsiasi  caso"  "presupposto  indispensabile  per la
 concessione del beneficio di cui all'art. 54 della legge n.  354  del
 1975  e la partecipazione del condannato all'opera di rieducazione, a
 nulla rilevando la eventuale esistenza di un rapporto informativo, in
 specie se  esso  rapporto  riguarda  soltanto  la  regolare  condotta
 carceraria  del  detenuto,  che da sola non giustifica la concessione
 stessa" "l'istituto della liberazione anticipata postula al  pari  di
 tutte  le altre misure alternative alla detenzione un congruo periodo
 di osservazione del condannato  al  fine  di  stabilire  i  progressi
 compiuti dallo stesso nell'opera di rieducazione".
    "Poiche'  l'osservazione  puo' riferirsi ai condannati, il periodo
 trascorso in stato di custodia preventiva non puo' essere valutato ai
 fini della concessione della riduzione di  pena  per  la  liberazione
 anticipata".
    "A fini della liberazione anticipata la semplice buona condotta e'
 irrilevante, occorrendo la dimostrazione di una partecipazione attiva
 e  consapevole  del  condannato all'opera di rieducazione attuata nei
 suoi confronti dai  competenti  organi  carcerari".  "Ai  fini  della
 riduzione  di  pena prevista dall'art. 54 della legge n. 354 del 1975
 il giudizio sulla partecipazione o meno del condannato  all'opera  di
 rieducazione   va   formulato  sulla  base  dei  risultati  acquisiti
 nell'arco  di  tempo  in  cui  si  e'   sviluppato   il   trattamento
 rieducativo,  valutati  nella  loro  globalita' ed avendo presente la
 partecipazione attiva del suddetto al processo di rieducazione  e  di
 reinserimento anticipato nella societa'".
    Dalle  sentenze  sopra  illustrate  si  possono dunque enucleare i
 seguenti punti fermi in tema di liberazione anticipata:
      1)  il  detenuto  se  vuole  ottenere  la  riduzione  pena  deve
 attivarsi  rispetto alle occasioni trattamentali che gli sono offerte
 durante la detenzione;
      2) la decisione del  tribunale  di  sorveglianza  deve  fondarsi
 unicamente  alla  luce  dei risultati acquisiti nell'arco di tempo in
 cui si e' sviluppato il trattamento rieducativo del detenuto;
      3) e' da escludere che il  comportamento  puramente  passivo  di
 supina  e  disciplinata  osservanza  delle norme che regolano la vita
 carceraria legittimi il detenuto ad ottenere la riduzione pena.
    Una siffatta interpretazione e' rispettosa della lettera  e  della
 ratio  della legge: la liberazione viene concessa per premiare coloro
 che assecondano la finalita' rieducativa della pena ed  e'  negata  a
 quei  detenuti che con il loro comportamento contrastano l'attuazione
 di detta finalita' ovvero svolgono opera di mera acquiescenza al  re-
 gime penitenziario.
    Tutto  cio'  richiede,  a  tutta  evidenza,  da  parte dello Stato
 l'impegno di risorse umane ed economiche notevoli e  costanti,  e  da
 parte  dei  detenuti  la  loro  fattiva  opera  di  partecipazione al
 programma rieducativo.
    Con siffatta disciplina si conseguono  alcuni  risultati  coerenti
 con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    1)  Le  opportunita' trattamentali sono offerte a tutte le persone
 detenute in istituti di pena (art. 3 della Costituzione).
    2) Il coinvolgimento dei detenuti in tale attivita' e'  una  delle
 massime  espressioni  della  funzione rieducativa della pena (art. 27
 della Costituzione).
    3) La pace sociale negli istituti di pena  e'  un  dato  di  fatto
 incontrovertibile da oltre dodici anni.
    Si   puo'   dunque  affermare  che  l'istituto  della  liberazione
 anticipata e' legato indefettibilmente al regime penitenziario.
    La Corte di cassazione ha  ribadito  questo  legame  con  numerose
 decisioni,  escludendo ad esempio che la liberazione anticipata possa
 essere  riconosciuta  a  favore  del  libero  vigilato   durante   la
 liberazione condizionale.
    Questa  disciplina,  il  cui fulcro e' rappresentato dall'adesione
 del detenuto alle  attivita'  trattamentali  del  carcere,  e'  stata
 modificata dalla legge n. 663/1986 che ha previsto la riduzione anche
 per il periodo trascorso in stato di custodia cautelare espiato nella
 forma degli arresti domiciliari (art. 284 del c.p.p.).
    Questa innovazione e', a parere del collegio, contrastante con gli
 artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Con  la  novella  e'  stata introdotta una disciplina unitaria per
 situazioni del tutto soggettivamente  ed  oggettivamente  diverse  ed
 avulsa da qualsiasi funzione rieducativa.
    Il caso di specie e' significativo.
    Il  Comando  stazione  carabinieri  di  Torino  "Regio  parco"  in
 risposta ad una nostra richiesta, cosi'  formulata  "pregasi  inviare
 relazione  sul  comportamento  tenuto  da Catalano Angelo durante gli
 arresti domiciliari (dal 9  febbraio  1989  al  13  marzo  1990),  ha
 riferito  nei  seguenti  termini:  "Si  comunica  che Catalano Angelo
 durante gli  arresti  domiciliari  ha  mantenuto  buona  condotta  in
 genere".
    A  sua  volta  il  gruppo di osservazione della Casa circondariale
 delle Vallette ha redatto la seguente relazione: "La condotta  tenuta
 dal  detenuto  nelle  diverse  fasi della sua vicenda detentiva, puo'
 ritenersi regolare, non risultando alcuna sanzione disciplinare a suo
 carico, sia per quanto riguarda il primo periodo trascorso a  Torino,
 sia  per il periodo trascorso a Reggio Emilia. Per quest'ultimo tempo
 espiato presso questa C.C., a tutt'oggi  (19  luglio  1990),  risulta
 solo  una  ammonizione  per  danneggiamento  del 17 aprile 1990. Gia'
 tossicodipendente, il detenuto segui' la terapia a scalare metadonica
 nel giugno  1988  presso  il  Centro  clinico  di  questa  C.C.,  non
 assumendo  poi  da  allora  alcuna  sostanza  stupefacente  ne' altri
 farmaci   sostitutivi.    Nell'opera    di    allontanamento    dalla
 tossicodipendenza,  come viene riconosciuto dallo stesso soggetto, un
 ruolo importante ha svolto la propria famiglia, che  si  e'  mostrata
 disponibile  al  sostegno  morale  e materiale anche nei momenti piu'
 difficili. Con i familiari i rapporti sono sempre stati buoni e anche
 oggi vengono effettuati regolari colloqui con tutti i componenti  del
 nucleo  familiare,  che  sono: il padre, ex carpentiere, invalido, in
 pensione; la madre, dipendente del  comune  come  vigilante;  le  due
 sorelli  minori,  entrambe  studentesse. All'interno dell'istituto ha
 lavorato  per  circa  quindici  giorni  nel   periodo   iniziale   di
 detenzione, mentre in seguito ha solo svolto sporadici lavori di tipo
 volontario  e  non  retribuito.  Sul  piano  delle  attivita'  socio-
 culturali, e' un frequentatore piuttosto assiduo della biblioteca, da
 cui preleva libri vari essendo la lettura il suo passatempo abituale,
 unitamente all'ascolto di musica; altri libri personali  gli  vengono
 riforniti  dalle sorelle che studiano. Non prende parte con frequenza
 ad attivita' sportive, mentre  partecipa  a  giochi  ricreativi  e  a
 momenti di socialita' con i compagni. Al colloquio, il detenuto si e'
 mostrato  disponibile, lucido, piuttosto aperto e franco nel dialogo.
 Non denota particolari problemi sul  piano  psicologico,  sembra  ben
 disposto  ad  essere  aiutato  ed alla collaborazione al trattamento,
 esprimendo una certa determinazione verso  il  cambiamento  futuro  e
 nuove opportunita' di esistenza dignitosa".
    Il tribunale di sorveglianza deve dunque formulare il giudizio sul
 conto  del  Catalano alla luce di due documenti: il primo redatto dal
 gruppo di osservazione che ha  analizzato  in  modo  approfondito  la
 personalita'  del detenuto e le risposte da costui date alle proposte
 trattamentali; il secondo redatto in modo estremamente sintetico  dal
 comandante  della  stazione  carabinieri  di  Torino in cui vi e' una
 semplice frase peraltro molto generica.
    Cosi' come sopra e' stato illustrato, la Corte di cassazione e  la
 Magistratura di sorveglianza nell'interpretare le chiare disposizioni
 contenute  negli  artt.  54  della  legge  e 94 del regolamento hanno
 ribadito  che  "la  regolare  condotta  da  sola  non  giustifica  la
 concessione  della liberazione anticipata"; per contro con la novella
 legislativa del  1986  "la  regolare  condotta  durante  gli  arresti
 domiciliari" e' sufficiente per ottenere la riduzione pena.
    Nel  caso  di  specie  se  nella  relazione  redatta dal gruppo di
 osservazione del carcere fosse stato  soltanto  evidenziato  che  "il
 detenuto  ha  tenuto  regolare  condotta" il tribunale avrebbe dovuto
 respingere la richiesta di riduzione pena per  il  periodo  detentivo
 espiato  in  carcere, mentre avrebbe dovuto accogliere la domanda per
 il periodo trascorso agli arresti domiciliari sulla base  della  nota
 dei  carabinieri  di  Torino:  "che  il  Catalano durante gli arresti
 domiciliari non ha dato luogo  a  rilievi  con  la  sua  condotta  in
 genere".
    In  realta'  la  relazione  redatta  in  istituto, che illustra la
 condotta del Catalano in modo completo ed esauriente,  ha  consentito
 al   tribunale   di   esprimere  un  motivato  giudizio  positivo  di
 accoglimento della domanda.
    Risulta cosi' evidente che l'innovazione legislativa ha introdotto
 una disciplina discriminatoria nei confronti dei detenuti che espiano
 la pena in carcere previlegiando coloro  che  espiano  la  pena  agli
 arresti domiciliari.
    Tutto   cio'  ha  la  sua  radice  nelle  diverse  ed  antitetiche
 concezioni che hanno ispirato  il  legislatore  nel  disciplinare  la
 liberazione anticipata nell'anno 1975 e nella novella dell'anno 1986.
    Con  la  prima  normativa  si  e' inteso perseguire lo scopo della
 rieducazione del condannato attraverso un  trattamento  penitenziario
 esteso  a  tutti  i  detenuti  definitivi  privilegiando  coloro  che
 dimostrano di aspirare ad un cambiamento radicale della vita; con  la
 seconda si e' inteso unicamente ridurre il periodo detentivo.
    Peraltro  questa  finalita'  e'  stata espressa dal relatore della
 legge con la seguente  espressione:  "Sempre  nella  prospettiva  del
 massimo  contenimento del ricorso alle pene detentive che costituisce
 uno dei principi ispiratori del testo in esame".
    In tal modo, mentre con la normativa  del  1975  il  giudizio  del
 tribunale  di sorveglianza e' fondato su di uno strumento conoscitivo
 di grande rilievo professionale (nel caso di specie relazione redatta
 dal gruppo di osservazione di Torino);  con  la  normativa  dell'anno
 1986  si  e'  vincolato  detto  giudizio  ad  un  parere espresso dal
 comandante della stazione dei carabinieri di Torino di poche parole.
    Il ruolo di un collegio giudicante e' stato cosi' trasformato:  da
 giudice a dispensatore di indulto (nel caso di specie di mesi tre).
    Il  collegio  non ignora che la Corte costituzionale con ordinanza
 n. 327/1989 ha dichiarato: "la manifesta infondatezza della questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 54, primo comma, della legge
 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla
 esecuzione  delle  misure privative e limitative della liberta'), nel
 testo sostituito ad opera dell'art. 18 della legge 10  ottobre  1986,
 n.  663  (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla
 esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzionale, dal
 tribunale di sorveglianza di Torino con ordinanza 18 aprile 1988".
    La  motivazione  di  detta  ordinanza  e'  stata  cosi' articolata
 "considerato che, con specifico riguardo all'affidamento in prova  al
 servizio  sociale,  questa  Corte ha gia' avuto modo di precisare che
 tale misura 'costituisce non una misura alternativa alla pena, ma una
 pena  essa  stessa,  alternativa alla detenzione, o, se si vuole, una
 modalita' di esecuzione della pena, nel senso che viene sostituito  a
 quello  in  istituto  un  trattamento  fuori  dell'istituto,  perche'
 ritenuto piu' idoneo, sulla base dell'osservazione, al raggiungimento
 delle finalita' di prevenzione e di emenda, proprie della pena', cio'
 in quanto 'il periodo trascorso  in  affidamento  (nell'ambito  della
 durata  complessiva,  che  e'  e  rimane  unica, della pena inflitta)
 comporta per il condannato l'osservanza di  prescrizioni  restrittive
 della  sua  liberta'  e insieme la soggezione, pur se in un quadro di
 assistenza, ai costanti controlli del servizio sociale  nonche'  alla
 vigilanza  del  magistrato di sorveglianza' (v. sentenza n. 185/1985;
 e, analogamente, sentenze nn. 312/1985 e 343/1987); che  le  medesime
 argomentazioni   sono   estensibili   alla   detenzione  domiciliare,
 costituendo anch'essa 'non una misura alternativa alla pena', ma  una
 pena  'alternativa  alla  detenzione o, se si vuole, una modalita' di
 esecuzione della pena', caratterizzata - al pari dell'affidamento  in
 prova  -  della  soggezione a prescrizioni limitative della liberta',
 sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza e con  l'intervento
 del  servizio  sociale,  il  tutto  al fine di garantire le finalita'
 rieducative della pena stessa.. .. ...".
    Questi principi  riguardanti  la  detenzione  domiciliare  non  si
 possono  applicare  agli  arresti  domiciliari. Invero, cosi' come e'
 stato evidenziato dalla Corte costituzionale, durante  la  detenzione
 domiciliare  si  attivano  in  un  costante controllo del detenuto il
 centro servizio sociale ed il magistrato  di  sorveglianza.  Pertanto
 quando  e'  formulata  un'istanza  di  liberazione  anticipata  dalla
 persona che e' in detenzione domiciliare il centro  servizio  sociale
 compila  una  relazione  in cui e' riassunto il lavoro di controllo e
 sostegno svolto durante detto periodo.
    Per contro nel corso degli arresti domiciliari vengono  effettuati
 saltuari  controlli  da  un agente o carabiniere per verificare se la
 persona sia in casa. A  costoro  non  e'  affidato  altro  compito  e
 pertanto  essi  nel  redigere la relazione richiesta dal Tribunale in
 occasione della domanda di riduzione pena  riferiscono  negli  stessi
 termini  esemplificati  dalla  citata nota del comandante la stazione
 carabinieri di Torino.
    Pertanto si puo' affermare che durante gli arresti domiciliari non
 si  garantiscono  "le  finalita'  rieducative  della  pena"   ed   un
 trattamento identico a quello previsto per coloro che espiano la pena
 in carcere o in detenzione domiciliare.
    Alla   luce   delle  suesposte  considerazioni  si  deve  pertanto
 denunciare l'illegittimita' costituzionale della citata normativa per
 contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale,  in relazione all'art. 3 ed all'art. 27
 della  Costituzione,  dell'art.  54,  primo  comma,  della  legge  n.
 354/1975  e  modificata  dalla legge n. 663/1986 nella espressione "a
 tal fine e' valutato anche il periodo trascorso in stato di  custodia
 cautelare"  nella  forma  degli  arresti  domiciliari  (art.  284 del
 c.p.p.) e cio' nei termini di cui in motivazione;
    Sospende  il  giudizio in corso ed ordina l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza sia notificata  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
      Torino, cosi' deciso in data 5 ottobre 1990.
                        Il presidente: FORNACE

 91C0266