N. 138 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 1990- 23 febbraio 1991

                                N. 138
        Ordinanza emessa l'8 gennaio 1990 (pervenuta alla Corte
                  costituzionale il 23 febbraio 1991)
  dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Ricotta
              Donatella ed altre e Ricotta Sesto ed altri
 Riforma fondiaria e agraria - Terreni anticipatamente  riscattati  ex
 lege  n.  379/1967  e  terre  automaticamente  affrancate  ex lege n.
 386/1976 - Previsione di un perpetuo vincolo di indivisibilita'  solo
 per  la  prima categoria di terreni e non per la seconda in relazione
 alla quale allo scadere del trentennio dalla assegnazione e' prevista
 la divisibilita' - Irragionevole previsione per le  stesse  terre  di
 riforma di una diversa disciplina.
 (Legge 30 aprile 1976, n. 386, art. 10, secondo comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.11 del 13-3-1991 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento civile
 iscritto al n. 64 del ruolo generale per gli  affari  contenziosi  in
 camera di consiglio dell'anno 1985 posto in deliberazione all'udienza
 del  16 ottobre 1989 e vertente tra Ricotta Donatella, Asmara, Luigia
 e Maria elettivamente domiciliate in Roma,  via  Faa'  di  Bruno,  4,
 presso  lo  studio  dell'avv.  Franco  Di  Maria che le rappresenta e
 difende per delega a margine del ricorso introduttivo, ricorrenti,  e
 Ricotta  Sesto  elettivamente domiciliato in Roma, via Barberini, 67,
 presso lo studio dell'avv. Ezio Calderai che lo rappresenta e difende
 per delega in atti, resistente, Ricotta Nicola e Luciano e  Marinucci
 Rituccia, resistenti non costituiti.
    Premesso che:
      1)  con ricorso depositato il 16 gennaio 1985 Ricotta Donatella,
 Asmara, Maria e Luigia esponevano che il loro  padre  Albino  Ricotta
 aveva  a  suo  tempo  ricevuto  l'assegnazione di un terreno ai sensi
 delle leggi sulla riforma  fondiaria,  dallo  stesso  poi  riscattato
 dall'ente  maremma  in data 6 luglio 1973; che lo stesso era deceduto
 in data 9 aprile 1983 e con due testamenti aveva proceduto prima alla
 divisione del podere tra i suoi figli e quindi ad attribuire loro  la
 quota  disponibile;  chiedevano  pertanto,  nella  loro  qualita'  di
 titolari della maggioranza delle quote ereditarie  l'assegnazione  in
 via esclusiva a loro e ai coeredi che intendevano vivere in comunione
 ai  sensi  degli  artt.  5  e 6 della legge n. 1078/1940 del fondo in
 questione;
      2) con autonomo ricorso depositato il 29  gennaio  1985  Ricotta
 Sesto, rappresentato che essendo l'unico tra i coeredi a possedere la
 qualita'   di  coltivatore  diretto  aveva  diritto  all'attribuzione
 esclusiva del terreno ai sensi delle citate disposizioni della  legge
 n.  1078/1940,  chiedeva  che  l'immobile,  dietro  pagamento  di  un
 conguaglio in denaro ai coeredi, venisse a lui soltanto assegnato;
      3)  le  due  procedure  venivano  riunite  e  veniva   espletata
 consulenza al fine di determinare il valore dell'immobile;
      4)  poiche'  nella  relazione  depositata  dal  c.t.u. si faceva
 riferimento alla possibilita' di divisione del fondo in  piu'  unita'
 poderali  organiche,  le  ricorrenti all'udienza dell'8 febbraio 1988
 chiedevano che, in via subordinata si procedesse alla  rimozione  del
 vincolo  di  indivisibilita'  e  quindi  alla  concreta divisione del
 fondo;
      5) a tale istanza si  opponeva  Ricotta  Sesto  sia  perche'  la
 stessa  costituiva  domanda  nuova  in  quanto tale inammissibile sia
 perche' comunque non accoglibile alla luce delle disposizioni  aventi
 ad  oggetto  i  fondi  in  questione  che sanciscono il prevalere del
 principio della conservazione dell'unita' poderale in capo al coerede
 munito dei requisiti per provvedere  alla  utile  coltivazione  dello
 stesso;
      6)  il  tribunale  con  provvedimento  in  data  11  marzo 1988,
 rigettata  l'eccezione  di  inammissibilita'  della  domanda   avendo
 ritenuto inapplicabili ai procedimenti camerali le preclusioni di cui
 agli  artt.  183  e 184 del c.p.c., rinviava la causa per l'ulteriore
 trattazione sulla domanda di divisione formulata dalle  ricorrenti  e
 quindi,  all'udienza  del 16 ottobre 1989, concesso ampio termine per
 note illustrative, riservava di decidere sulle  contrapposte  istanze
 delle parti.
                             O S S E R V A
    Da  molto  tempo  e  soprattutto dopo la fine della seconda guerra
 mondiale nello spirito dei rivolgimenti dalla medesima innescati,  lo
 Stato  ritenne  necessario  procedere  ad  una  riforma  del  sistema
 fondiario allo scopo di  realizzare  piu'  equi  rapporti  sociali  a
 garantire un migliore sfruttamento del suolo.
    Con varie leggi successive venne percio' disposta l'espropriazione
 di  una  serie  di terreni e l'assegnazione degli stessi ai contadini
 per un prezzo inferiore a quello di mercato.
    Tale prezzo agevolato avrebbe dovuto essere pagato in trenta  rate
 annuali senza possibilita' di riscatto anticipato.
    Fino  all'integrale  pagamento del prezzo, la proprieta' del fondo
 sarebbe   rimasta   all'ente   di   riforma   che   aveva   proceduto
 all'espropriazione ed all'acquisto.
    Saldata  l'ultima  rata,  la  proprieta'  del bene sarebbe passata
 invece all'assegnatario.
    Con legge 29 maggio  1967,  n.  379,  venne  apportata  una  prima
 modifica  al  regime  delle c.d. terre di riforma, stabilendosi che i
 contadini avrebbero potuto riscattare anticipatamente  i  fondi  dopo
 sei anni dall'immissione in possesso.
    Esercitando  il  diritto  di  riscatto,  gli assegnatari avrebbero
 potuto percio' acquistare la proprieta' dei terreni anche  prima  del
 trentennio dalla consegna.
    Quest'ultimo  termine,  tuttavia,  avrebbe  continuato  a  segnare
 ancora una scadenza  piuttosto  importante,  essendo  stato  previsto
 (art.  4)  che  fino  al termine del trentesimo anno dalla data della
 prima assegnazione, il fondo avrebbe potuto essere alienato  soltanto
 all'ente  di  riforma o a determinate categorie di coltivatori per un
 prezzo  non  superiore a quello riconosciuto congruo dall'ispettorato
 provinciale dell'agricoltura.
    Fino allo scadere del menzionato trentennio, inoltre, non  avrebbe
 potuto  essere apportata alcuna variazione alle dimensioni originarie
 dei terreni ne' avrebbe potuto essere stipulato, senza autorizzazione
 dell'ente, alcun atto di affitto o di cessione (totale o parziale).
    Sempre in base al citato  art.  4,  infine,  in  fondi  riscattati
 sarebbero  rimasti  soggetti  anche  a  vincolo di indivisibilita' ai
 sensi della  legge  3  giugno  1940,  n.  1078  (che  aveva  previsto
 l'infrazionabilita'  per  atto tra vivi o mortis causa di determinate
 unita' poderali).
    A differenza  tuttavia  degli  altri  divieti  e  limitazioni,  il
 vincolo  di  indivisibilita'  non  sarebbe  cessato  allo scadere del
 trentennio  ma  -  come  univocamente  ritenuto  in  dottrina  ed  in
 giurisprudenza  -  avrebbe continuato a gravare in perpetuo sui fondi
 che, di conseguenza, non avrebbero potuto mai  essere  smembrati  per
 atto fra vivi o morti causa.
    Nel  caso  di morte dell'assegnatario che avesse gia' proceduto al
 riscatto anticipato del terreno,  quest'ultimo  non  avrebbe  percio'
 potuto  essere  frazionato  fra i vari coeredi, ma stante il richiamo
 operato dall'art. 4 della legge n. 379/1967 a tutte  le  disposizioni
 della legge n. 1078/1940 (v. in tal senso Corte costituzionale del 17
 aprile  1985,  n.  103,  in  giur.  it. 1986, I, 363), avrebbe dovuto
 essere assegnato a quello designato dal testatore o, in mancanza,  ed
 in difetto di accordo tra gli interessati, dal tribunale in camera di
 consiglio.
    Con  successiva  legge  30  aprile  1976,  n. 386, venne apportata
 un'ulteriore modifica al regime delle terre di  riforma  stabilendosi
 all'art. 10, primo comma, che il riservato dominio degli enti sarebbe
 cessato col pagamento della quindicesima annualita' di prezzo.
    Pagata  tale  rata,  quindi,  gli  assegnatari  che non avessero -
 ovviamente - gia' esercitato  il  diritto  di  riscatto  ex  lege  n.
 379/1967 sarebbero divenuti automaticamente proprietari dei terreni.
    Anche  tale  categoria  di  assegnatari  avrebbe  dovuto  comunque
 attendere il solito trentennio dall'immissione in  possesso,  essendo
 stato  previsto  dal  secondo  comma del medesimo art. 10 che i fondi
 affrancati (dopo cioe' 15 anni) sarebbero rimasti soggetti per  altri
 15 anni "ai vincoli, alle limitazioni ed ai divieti di cui agli artt.
 4 e 5 della legge 29 maggio 1967, n. 379".
    Conformemente  alla  prevalente  dottrina  (per  la giurisprudenza
 edita v. trib. Pisa del 19 marzo 1986 in nuovo diritto agrario  1986,
 II.99)  la  predetta  norma  sembra  da  intendere nel senso che allo
 scadere del trentennio i  fondi  automaticamente  affrancati  possono
 essere liberamente divisi per atto tra vivi o mortis causa.
    La contraria lettura propugnata dalla dottrina minoritaria (e, per
 la  giurisprudenza  edita, dal tribunale di Civitavecchia del 5 marzo
 1987 in nuovo diritto agrario 1989, II,  133)  non  pare  sostenibile
 perche',  richiamando  i  "vincoli"  di cui alla precedente legge, il
 legislatore del  1976  intese  testualmente  riferirsi  proprio  alla
 indisponibilita'  che  era stata qualificata proprio come vincolo dal
 primo comma dell'art. 4 della legge n. 379/1967.
    Non essendo consentito all'interprete attribuire alla legge  altro
 significato  diverso  da quello fatto palese dalle parole usate, deve
 pertanto ritenersi che con l'art. 10, secondo comma, della  legge  n.
 386/1976  il  legislatore  abbia  voluto consentire il frazionamento,
 allo scadere del trentennio dei fondi automaticamente affrancati.
    Aggiungasi  inoltre  che per favorire lo sviluppo della proprieta'
 coltivatrice venne deciso con  legge  n.  590/1965  di  concedere  ai
 mezzadri,  coloni  parziari,  compartecipanti,  affittuari, enfiteuti
 coltivatori diretti ed agli altri  lavoratori  manuali  della  terra,
 mutui  della  durata di anni 40 al tasso annuo dell'1% per l'acquisto
 di fondi rustici aventi determinate caratteristiche (art. 19).
    Con successiva legge n.  817/1971  venne  estesa  la  portata  dei
 predetti  benefici,  precisandosi  pero'  all'art.  11  che  i  fondi
 acquistati con le facilitazioni creditizie  all'uopo  concesse  dallo
 Stato   sarebbero   rimasti  soggetti  per  30  anni  al  vincolo  di
 indivisibilita'.
    Trattandosi  di  situazioni  sostanzialmente  analoghe  e  per  la
 qualita'   dei   beneficiari   dei   mutui   e   per   le  condizioni
 particolarmente vantaggiose degli stessi (costituenti  in  definitiva
 un'agevolazione  molto  vicina  a  quella  prevista  dalle  leggi  di
 riforma),  l'inequivocabile  disposizione  sopra  richiamata   appare
 quindi  decisiva  riprova  della esattezza del convincimento dinnanzi
 espresso sul significato da riconoscere al secondo comma dell'art. 10
 della legge n. 386/1976.
    Lungi dal rappresentare una novita'  quest'ultimo  non  fu  altro,
 dunque,  che  la  conferma  di  una  tendenza  gia'  emersa  in  sede
 legislativa.
    Tanto puntualizzato devesi rilevare che il secondo comma dell'art.
 10   della   legge   n.   386/1976   prende   inequivocabilmente   in
 considerazione  soltanto  i  fondi  automaticamente  affrancati e non
 risulta percio' applicabile ai terreni riscattati anticipatamente  ex
 lege n. 379/1967 che continuano percio' a rimanere soggetti a vincolo
 perenne d'indivisibilita'.
    Ogni   possibilita'   d'interpretazione   estensiva  pare  infatti
 inesorabilmente   preclusa   dal   chiaro   disposto   della    norma
 espressamente  limitato  ai  soli  fondi  cosi'  affrancati e cioe' a
 quelli automaticamente passati in proprieta' degli assegnatari con il
 pagamento della quindicesima annualita' del prezzo.
    Le medesime terre di riforma risultano dunque oggi soggette ad una
 diversa disciplina: quelle  riscattate  anticipatamente  ex  lege  n.
 379/1967  sono  sottoposte al vincolo perpetuo di indivisibilita' con
 le  conseguenze  di  ordine  successorio  sopra  evidenziate;  quelle
 automaticamente affrancate ex lege n. 386/1976 sono invece divisibili
 allo  scadere  del  trentennio  con  la conseguenza che, decorso tale
 termine, potranno essere frazionate fra i  coeredi  dell'assegnatario
 nel frattempo deceduto.
    La  legge  n.  386/1976 ha quindi posto gli assegnatari di terreni
 automaticamente  affrancati  ed  i  loro  eredi  in  una   condizione
 indubbiamente  piu' favorevole di quella dei riscattanti anticipati e
 dei loro eredi.
    Trattandosi della medesima categoria di terreni e  della  medesima
 categoria  di  beneficiari,  la predetta differente disciplina appare
 priva di  valida  giustificazione  e  percio'  idonea  a  determinare
 un'irrazionale  disparita' di trattamento in violazione del principio
 costituzionale di uguaglianza.
    Non  sembrando  la  stessa  manifestamente infondata appare allora
 opportuno investire la Corte costituzionale della questione  relativa
 alla  legittimita'  dell'art.  10,  secondo  comma,  della  legge  n.
 386/1976 - in relazione all'art. 3 della Costituzione -  nella  parte
 in  cui non prevede il venir meno del vincolo di indivisibilita' alla
 scadenza  del  trentennio  anche   per   i   fondi,   anticipatamente
 riscattati.
    Tale  questione  assume rilievo essenziale ai fini della decisione
 della presente causa in quanto le ricorrenti con la domanda  ritenuta
 ammissibile  dal  tribunale proposta all'udienza dell'8 febbraio 1988
 hanno espressamente richiesto che si procedesse  alla  divisione  del
 bene contrastando l'opposta istanza proposta con autonomo ricorso dal
 coerede  Ricotta  Sesto di assegnazione in via esclusiva del medesimo
 bene, proprio invocando l'indivisibilita' del  terreno  a  suo  tempo
 assegnato  in  base  alle leggi di riforma al dante causa e da questi
 anticipatamente riscattato in data 6 luglio 1973 ex lege n. 379/1967.
    Poiche' all'epoca di introduzione della detta domanda di divisione
 erano gia' decorsi trent'anni dall'assegnazione (avvenuta il 6 giugno
 1955) il problema della legittimita' o  meno  dell'art.  10,  secondo
 comma,  della  legge  n.  386/1976 (nella parte in cui non prevede la
 cessazione del vincolo d'indivisibilita' alla scadenza del trentennio
 anche per i fondi  anticipatamente  riscattati),  gia'  sollevata  da
 questo  tribunale in analoga fattispecie con ordinanza del 6 dicembre
 1989,  viene  a  porsi  come  questione  preliminare  senza  la   cui
 risoluzione non potrebbe definirsi il giudizio.
    Come  rilevato anche dalla gia' citata Corte costituzionale del 17
 aprile 1985, n. 103, gli artt. 5 e segg.  della  legge  n.  1078/1940
 sono  la  necessaria  conseguenza del vincolo d'indivisibilita' ed in
 tanto possono essere invocati in quanto quest'ultimo sussiste ancora.
    La  verifica  della  permanenza  del  vincolo  al  momento   della
 introduzione della detta domanda costituisce pertanto un accertamento
 imprescindibile  da  compiere  prima di qualsiasi altro, ivi compreso
 quello della applicabilita' del regime di parziale rimovibilita'  del
 vincolo  di  indivisibilita'  di  cui  all'art.  10  della  legge  n.
 1078/1940,  atteso  che  l'accertamento  delle  numerose   condizioni
 procedurali  e sostanziali poste dal legislatore in tale disposizione
 sarebbe reso superfluo dalla  sussistenza  di  un  regime  di  libera
 frazionabilita'   del   fondo   che   scaturirebbe  dalla  dichiarata
 fondatezza della questione  di  incostituzionalita'  della  norma  su
 citata   che   il  tribunale  ritiene  pertanto  di  dover  sollevare
 d'ufficio.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, secondo comma,
 della  legge 30 aprile 1976, n. 386, con riferimento all'art. 3 della
 Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Cosi' deciso in Roma l'8 gennaio 1990.
                  Il presidente: (firma illeggibile)

 91C0279