N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 ottobre 1990

                                N. 163
       Ordinanza emessa il 12 ottobre 1990 dal tribunale di Roma
         nel procedimento penale a carico di Martignetti Romeo
 Stupefacenti  e  sostanze  psicotrope  -  Detenzione  di quantita' di
 stupefacenti eccedenti la dose  media  giornaliera  -  Previsione  di
 identica  pena  edittale  sia  per la ipotesi di detenzione a fine di
 consumo  che  per  l'ipotesi  di  detenzione  a  fine  di  spaccio  -
 Irragionevolezza - Violazione del principio di offensivita' del reato
 -  Individuazione  della  "dose  media giornaliera" mediante rinvio a
 provvedimento amministrativo (decreto del Ministro della  sanita')  -
 Violazione del principio della riserva di legge in materia penale.
 (Legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 72-quater, modificato
 dalla legge 26 giugno 1990, n. 162).
 (Cost., artt. 3 e 25).
(GU n.12 del 20-3-1991 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale nella causa penale iscritta al n. 3690/1990 r.g.
 trib. contro Martignetti Romeo nato ad Addis Abeba l'8 ottobre 1953 e
 residente  in Roma alla via Aurelia n. 372, imputato del reato di cui
 all'art. 71 della legge n. 685/1975, mod. dalla  legge  n.  162/1990,
 per  avere illecitamente detenuto gr. 0,389 di cocaina. In Roma, l'11
 ottobre 1989.
    Tratto  a  giudizio  direttissimo  per  rispondere  del  reato  in
 epigrafe,   Martignetti   Romeo,   dopo  la  convalida  dell'arresto,
 richiedeva  ai  sensi  dell'art.  444  del  c.p.p.,  tramite  i  suoi
 difensori,  l'applicazione  della  pena nella misura di anni uno mesi
 quattro di reclusione e lire duemilionitrecentomila  di  multa  (pena
 base anni tre e lire cinquemilioni, ridotta come sopra per effetto di
 attenuanti   generiche   e   diminuente   ex  art.  444  citato).  In
 applicazione della sentenza della Corte costituzionale  n.  313/1990,
 la  richiesta  veniva  rigettata  per  incongruita'  della  pena.  Si
 procedeva quindi nelle forme ordinarie.
    A conclusione del dibattimento,  il  tribunale  ritiene  di  dover
 rimettere a codesta Corte la questione di legittimita' costituzionale
 degli  artt. 71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre 1975, n. 685,
 siccome   modificata   dalla   legge   26   giugno   1990,   n.   162
 (corrispondenti,  rispettivamente,  agli artt. 73, 75 e 78 del t.u. 9
 ottobre 1990,  n.  309),  in  relazione  agli  artt.  3  e  25  della
 Costituzione. Ad avviso del collegio, infatti, l'art. 71 viola le due
 citate  norme costituzionali nei limiti in cui l'art. 71 viola le due
 citate norme costituzionali nei limiti in cui  sottopone  a  sanzione
 penale  la  detenzione,  in  quantita'  superiori  alla  "dose  media
 giornaliera", di sostanze stupefacenti destinate al consumo.
    Sul  punto  della  punibilita'   del   consumatore   di   sostanze
 stupefacenti  la  legge  n.  162/1990  ha  radicalmente modificato la
 disciplina previgente. La legge  n.  685/1975  configurava,  infatti,
 rispetto  alla  detenzione, un reato di pericolo presunto (art. 71) e
 un reato di pericolo concreto (art.  72).  La  detenzione  di  droga,
 cioe',  era  punita  solo  in quanto comportava il pericolo (presunto
 nell'art. 71 e da provare nell'art.  72)  di  una  destinazione  allo
 spaccio  e  costituiva  quindi una condotta potenzialmente lesiva del
 bene protetto  dalle  citate  norme  incriminatrici.  Il  consumo  di
 stupefacenti, invece, di per se' non era considerato reato.
    Il  principio  sopra  enunciato  discendeva  con evidenza non solo
 della non punibilita' della detenzione attuale di "modica  quantita'"
 di  sostanza stupefacente destinata al consumo personale, ma anche, e
 soprattutto, dalla non punibilita' del consumo  pregresso  quale  che
 fosse  la  quantita'  di droga consumata. Infatti, la ratio della non
 punibilita' della detenzione pregressa di quantita' anche non modiche
 di droga effettivamente consumata, sancita nella  seconda  parte  del
 secondo  comma  dell'art. 80 della legge n. 685/1975, risiedeva nella
 concreta   insussistenza   del   pericolo   di    spaccio    rivelata
 dall'effettivo   consumo   (cfr.   trib.   Roma,  27  novembre  1987,
 Russomando, in Cass. pen. 1988, p. 712; Cass.  sez.  I,  1›  dicembre
 1986,  ivi,  p. 709). E questo era anche il pensiero di codesta Corte
 che, nella sentenza n. 170/1982,  aveva  affermato  che  "nel  punire
 l'accumulazione  di  quantita'  di  stupefacenti,  anche quando se ne
 possa ipotizzare la destinazione ad uso personale, il legislatore  ha
 avuto  di  mira  l'oggettiva  pericolosita'  della  condotta..  .. ..
 L'argomento tratto dall'art. 80 della legge secondo cui  non  vengono
 puniti  coloro  che  abbiano  in passato detenuto quantita' anche non
 modiche di sostanze stupefacenti di cui  sia  stato  accertato  l'uso
 personale,  convalida quanto appena detto. E' infatti evidente che in
 questo caso, gia' esauritasi l'azione,  e'  cessata  altresi'  quella
 pericolosita' insita invece nella detenzione attuale".
    La legge n. 162/1990 rovescia questa impostazione e punisce con la
 sanzione    penale    la    detenzione   di   sostanze   stupefacenti
 indipendentemente da una situazione di pericolo - concreto o presunto
 -  di  destinazione  allo   spaccio.   Sarebbe   invero   palesemente
 irragionevole  presumere - in maniera assoluta - che la detenzione di
 una quantita' superiore al fabbisogno quotidiano  di  un  consumatore
 "medio" - calcolato peraltro con i criteri arbitrari e restrittivi di
 cui  si  dira'  -  integri  il pericolo di destinazione allo spaccio.
 L'esperienza giudiziaria  dimostra  al  contrario  che  di  regola  i
 consumatori,  specie  delle  droghe  c.d. leggere, si riforniscono di
 quantita' superiori al fabbisogno giornaliero, anche  per  evitare  i
 rischi connessi ai quotidiani contatti con il mondo del traffico.
    A  differenza  di  quanto  accadeva nella legge n. 685/1975 con la
 "modica quantita'" - la  cui  nozione  giurisprudenziale  consolidata
 (v.,  da  ultimo,  Cass.  sez.  VI,  25  novembre 1988, De Felicarie)
 corrispondeva alla quantita' che consentiva "ad un medio assuntore di
 soddisfare le sue necessita' per due/tre giorni"  -  la  "dose  media
 giornaliera" non costituisce un parametro ragionevole, corrispondente
 cioe'  all'id  quod  plerumque  accidit, su cui possa attendibilmente
 fondarsi una prognosi legale di pericolo di spaccio. Pertanto, ove il
 legislatore del 1990 avesse inteso configurare la fattispecie di  cui
 all'art.  71  come reato di pericolo (di spaccio), sarebbe incorso in
 un palese vizio di irragionevolezza, per evidente mancanza di  quella
 "oggettiva  pericolosita'  della  condotta"  che,  secondo  la citata
 sentenza di codesta Corte, rendeva compatibile con la Costituzione la
 sanzione  penale  prevista   dalla   legge   n.   685/1975   per   la
 "accumulazione"  di  sostanze stupefacenti, di cui fosse ipotizzabile
 la destinazione ad uso personale. La norma si troverebbe dunque,  per
 violazione del principio di ragionevolezza, in contrasto con l'art. 3
 della Costituzione.
    Ma  la  verita' e' che la suddetta fattispecie punisce non gia' il
 pericolo di spaccio, bensi' direttamente il consumo. Per quantita' di
 droga eccedenti la "dose media giornaliera",  la  sazione  penale  si
 applica  infatti  sia  alla  detenzione attuale di cui sia provata la
 destinazione al consumo, sia,  direttamente,  al  consumo  pregresso,
 cioe'  alla  detenzione  per  la  quale il pericolo di spaccio non e'
 neppure ipotizzabile.
    L'applicazione delle sanzioni penali previste  dall'art.  71  alla
 detenzione  per  uso  personale  e  al  consumo  sembra  estranea, in
 verita', alla soggettiva intenzione  del  legislatore.  Significativa
 sul punto e' la relazione all'originario disegno di legge governativo
 n. 1509, dove (pp. 3/4) si espongono le preoccupate ragioni, anche di
 natura  costituzionale,  che  sconsigliano  la  sanzione  penale  del
 consumo e si afferma che per esso si  prevedono  "sanzioni  che,  pur
 assumendo  il  carattere  di pena principale, sono tratte dal sistema
 delle misure sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1981,  n.  689
 (sospensione  della  patente  e del passaporto, obbligo di residenza,
 firma quotidiana  presso  i  registri  della  polizia".  Ancora  piu'
 esplicite  sono  le affermazioni dei relatori di maggioranza senatori
 Condorelli e Casoli. Afferma il primo nella seduta del Senato del  28
 novembre  1989  (resoconto stenografico pp. 50 e 51): "non intendiamo
 punire il consumo, perche' vogliamo che  il  tossicodipendente  possa
 curarsi  senza  incorrere  in pericoli di sanzioni.. .. .. Rischio di
 carcere per il tossicodipendente.. .. .. non ce n'e' quindi
  nel modo piu' assoluto".
    Insiste  il  secondo nella stessa seduta (ibidem p. 43): ".. .. ..
 tossicodipendenti che comunque in carcere per  il  solo  consumo  non
 andranno".
    Negli  stessi  sensi si esprime il Governo, per bocca del ministro
 Russo Jervolino, che nella seduta del senato  del  28  novembre  1989
 (res.  sten.  p.  62),  a  proposito  del tossicodipendente, afferma:
 "Quindi, sanzioni si'; criminalizzazione no".  E  nella  seduta  alla
 Camera  del  3  aprile 1990, ribadisce: "nel disegno del Governo, fin
 dal testo originario approvato dal Consiglio  dei  Ministri,  per  la
 sola   detenzione  di  droga  non  e'  stata  mai  prevista  la  pena
 definitiva" (recte: immediata e diretta).
    Sintomatica sul punto in  questione  e'  altresi'  la  "reticenza"
 delle  relazioni  di  maggioranza,  che  trattano  la questione della
 punibilita'  dell'assuntore  (occasionale  o  abituale)  di  sostanze
 stupefacenti,  con riferimento esclusivo alle sanzioni amministrative
 (art.  72)  o  alle  sanzioni  penali  indirette  (art.   72-   bis),
 trascurando  del  tutto  la  sopra dimostrata applicazione delle pene
 previste dall'art. 71 al consumatore di droga appena  superiore  alla
 "dose  media  giornaliera"  (cfr.  la relazione Casini/Artioli del 26
 marzo 1990 alla Camera, pp. 9-15 e la relazione Casoli/Condorelli del
 13 novembre 1989 al Senato, pp. 7-14).
    Appare dunque evidente che la  maggioranza  che  ha  approvato  la
 legge,  sembra  ritenere  che  la detenzione di sostanze stupefacenti
 destinate al consumo,  non  sia  in  nessun  caso  sussumibile  nella
 fattispecie  criminosa  di  cui  all'art.  71. L'equivoco e' tuttavia
 palese: si afferma di non voler punire il consumatore ma, sulla  base
 della  arbitraria equazione "detenzione eccedente la dmg=spaccio", in
 realta' lo si punisce.
    Il solo Guardasigilli (seduta del Senato del 28 novembre 1989 pag.
 76  res.  sten.)  sembra  rendersi  conto   di   questa   illegittima
 parificazione del consumatore allo spacciatore. Egli manifesta la sua
 preoccupazione  in proposito, ma ritiene che il problema possa essere
 sdrammatizzato in considerazione della lieve entita' della  pena  che
 puo'  essere  irrogata  al  consumatore,  con  il  ricorso  al potere
 discrezionale del giudice e ai benefici del nuovo codice di procedura
 penale. Tuttavia - a parte che i nuovi istituti del  predetto  codice
 non  sempre  si  rivelano  dei "benefici", come dimostra, nel caso di
 specie, la pena richiesta dai  difensori  e  accettata  dal  pubblico
 ministero   -   la  lieve  entita'  della  pena  non  ne  elimina  la
 illegittimita'. E il Guardasigilli preannuncia infatti sul  punto  un
 emendamento ed una revisione che pero' resteranno sulla carta.
    Al  di  la'  della  inconsapevole,  reticente  o  incerta volonta'
 soggettiva  del  legislatore,  l'oggettivo  dato   normativo   appare
 tuttavia  univoco:  la  detenzione  per  comprovato  uso  personale e
 addirittura l'effettivo consumo di sostanze stupefacenti in quantita'
 superiore alla "dose media giornaliera" sono sanzionati  come  reato.
 Ma  tale  inequivoca portata normativa degli artt. 71, 72 e 72-quater
 appare in contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione.
    Sotto il primo profilo, la disparita' di trattamento, nella  forma
 di  pari  trattamento  di  situazioni diverse, appare evidente. Basti
 considerare il caso in cui sia provato  che  Tizio  abbia  venduto  a
 Caio,  che  l'abbia consumata, una quantita' di sostanza stupefacente
 appena  superiore  alla  "dose  media giornaliera" (per esempio, come
 nella specie, piu' di una singola dose "media" di cocaina).  Entrambi
 saranno  assoggettati  alla  stessa pena che, trattandosi di un fatto
 minimo in senso  assoluto,  neppure  potrebbe  essere  differenziata,
 nella  concreta  applicazione,  con i criteri di cui all'art. 133 del
 c.p. (salvo a ritenere, con palese violazione dei criteri generali di
 applicazione della legge  penale,  che  alla  fattispecie  minima  di
 spaccio  di  stupefacenti  non  si  possa  mai  applicare  il  minimo
 edittale).
    Sotto il profilo dell'art. 25, le norme denunciate contrastano con
 la Costituzione in  quanto  violano  il  principio  della  necessaria
 offensivita'  del  reato.  E'  acquisizione  della  migliore dottrina
 costituzionalista, che il principio contenuto nell'art.  25,  secondo
 comma,  letto  alla  luce  dell'art. 13 e tenendo conto dello spirito
 dell'intera  Carta  costituzionale,  costituisca   un   limite   alla
 discrezionalita' del legislatore penale, nel senso che possono essere
 assoggettate a pena solo azioni che effettivamente ledano o espongano
 a   concreto  pericolo  beni  altrui,  la  cui  tutela  possa  essere
 efficacemente realizzata soltanto  con  la  minaccia  della  sanzione
 penale.  Assumendo  tale  principio  - si ritiene - il costituente ha
 voluto porsi  in  antitesi  con  quella  concezione  autoritaria  del
 diritto  penale che configura il reato come mera disobbedienza o come
 atto di infedelta', e che aveva portato alla elaborazione della  nota
 teoria del "tipo normativo d'autore", secondo la quale il soggetto va
 punito  per quello che e' e non per quello che fa, per il suo modo di
 essere e non per aver commesso fatti lesivi di beni altrui. Se questi
 sono i principi costituzionali che limitano il potere di  definizione
 delle  fattispecie  criminose da parte del legislatore ordinario, nel
 caso di specie occorre verificare se nella  detenzione  destinata  al
 consumo   o  nell'effettivo  consumo  di  sostanze  stupefacenti,  in
 quantita' superiori alla "dose media giornaliera", sia  configurabile
 la  lesione o l'esposizione a pericolo di un bene giuridico che possa
 giustificare, alla stregua dei suddetti principi, la sanzione penale.
    Iluminanti  sono  in  proposito  ancora   una   volta   i   lavori
 preparatori.
    La  citata  relazione Artioli/Casini (p. 6), nel contestare che la
 sanzione  dell'uso  della   droga   costituisca   una   inammissibile
 intrusione  nella  stera  di autodeterminazione del singolo, richiama
 l'imposizione,  da  nessuno  criticata,  dell'uso  del  casco  per  i
 motociclisti  e  delle  cinture  di  sicurezza per gli automobilisti;
 aggiunge che non solo l'art. 5 del nostro  codice  civile  vieta  gli
 atti  lesivi  della  propria  integrita'  fisica,  ma per impedire il
 suicidio e' consentito l'uso della forza.
    Tali affermazioni, in quanto riferite  alle  sanzioni  non  penali
 della  legge  in  discussione, non hanno pertinenza alla questione de
 qua, che riguarda la giustificazione  costituzionale  della  sanzione
 penale.
    Senonche'  il  relatore  Casini,  riprendendo gli stessi argomenti
 nella citata seduta alla Camera del 27 marzo 1990 (pp. 7/8),  afferma
 che  non  e'  vero che il consumo di droga costituisca un reato senza
 vittime e soggiunge che la prima vittima e' il  drogato.  A  conforto
 della  sua tesi (illiceita' degli atti contro se stesso) precisa poi,
 a proposito del suicidio, che  esso  costituisce  un  atto  illecito,
 gravato dalla sanzione della "impedibilita'".
    Si  impone  pertanto  di  chiarire  che  al  nostro diritto penale
 sostanziale e' estraneo qualunque esempio di reato contro se  stesso,
 tanto  e'  vero che, per restare agli esempi addotti dall'on. Casini,
 l'uso del casco e delle cinture non e' assistito da sanzione penale e
 la  lesione,  anche  gravissima,  della  propria  integrita'  fisica,
 vietata  sul piano civilistico, non costituisce reato (giurisprudenza
 pacifica: v., da ultimo, trib. Roma, 23 marzo 1989, De Luca, in Cass.
 pen., 1989, p. 1573, confermata da Cass.  sez.  V,  27  giugno  1989,
 inededita,  che  ha  escluso  la  configurabilita' del concorso della
 vittima consenziente nel reato di lesioni gravi). Quanto al suicidio,
 appare elementare osservare che la sua "impedibilita'" con la  forza,
 discende  non  gia'  da  una  sua  pretesa  illeicita',  bensi' dalla
 scriminante (stato di necessita') che assiste  l'intervento  violento
 spiegato  per impedirlo. In ogni caso, dall'assunto dell'on. Casini -
 se fosse fondato - discenderebbe se mai,  a  contrario,  la  liceita'
 dell'uso  della  droga, a meno che non si voglia sostenere che per il
 nostro ordinamento chiunque possa impedire con la forza a  taluno  di
 fumare uno spinello o di "bucarsi".
    Appare,  dunque,  evidente  che  in  base  ai  principi del nostro
 ordinamento, la salvaguardia della salute dell'assuntore di  sostanze
 stupefacenti - che non potrebbe neppure giustificare, secondo la piu'
 accreditata  interpretazione  dell'art.  32  della  Costituzione,  un
 trattamento sanitario coattivo (del resto neanche  previsto,  in  via
 diretta,  dalla  stessa  legge n. 162/1990) - non puo' legittimare la
 sanzione penale per l'uso personale delle sostanze stesse.
    Le norme denunciate, pertanto, nei limiti in cui costituiscono  il
 consumatore  di  stupefacenti  contemporaneamente  come  soggetto sia
 della tutela penale che della  sanzione,  contrastano  non  solo  con
 consolidati   principi   ordinari   e   costituzionali   del   nostro
 ordinamento,  ma  segnano  altresi'  un  salto   all'indietro   nella
 evoluzione  della  cultura  giuspenalistica,  la  quale nega ormai da
 alcuni secoli che la sanzione  penale  possa  essere  utilizzata  per
 imporre  all'individuo  "il dovere di costruirsi in modo da essere un
 bene sociale" (Casini, cit., p. 7).
    La relazione sopra  citata,  in  verita',  prospetta  una  seconda
 dimensione di tutela perseguita con la sanzione dell'uso della droga,
 evidenziando  che  di esso e' vittima "non solo il tossicodipendente,
 ma anche i suoi familiari, i suoi amici, la  comunita'  in  cui  egli
 vive, la societa' nel suo complesso".
    Su    questo   aspetto   insiste   particolarmente   il   Ministro
 guardasigilli che, nella seduta al Senato del 28 novembre  1989  (pp.
 74/75), sottolinea che l'assuntore di sostanze stupefacenti "e' fonte
 di  disperazione per i propri familiari, di tragedie, coinvolgimenti,
 devastazioni e miserie senza fine.. .. .. E' autore di gravi  delitti
 colposi,  lo  e'  di  gravi  delitti dolosi.. .. .. l'assunzione e la
 detenzione non sono mai indifferenti per due fondamentali beni  della
 societa',  la salute individuale e la sicurezza sociale.. .. ..". Ne'
 si tratta  "di  pericoli  remoti,  bensi'  di  pericoli  estremamente
 concreti,  come  la  diffusione  della  sindrome  da immunodeficienza
 acquisita, del  delitto  doloso  e  colposo  e  cio'  direttamente  e
 sicuramente  e non in via del tutto ipotetica e lontana, ma immediata
 e sicura della  commissione  di  delitti".  Non  si  puo',  pertanto,
 rinunciare  alla  sanzione  penale,  cosi'  come  non  si  puo'  "mai
 rinunciare, per esempio, a quella forma di prevenzione di delitti che
 sta nella punizione della detenzione di cose pericolose".
    Che  lo stato di tossicodipendenza possa comportare i rischi sopra
 enunciati, e' innegabile.  Ma  altrettanto  innegabile  e'  che  quei
 rischi  esulano del tutto dall'assunzione, anche abituale, delle c.d.
 droghe    leggere     (che,     com'e'     noto,     non     inducono
 tossicodipendenza),cosi'  come costituiscono un pericolo assai remoto
 dell'uso occasionale o "compatibile" degli oppiacei o della  cocaina.
 Dire  che  il  consumo  di  sostanze  stupefacenti  di  questo tenore
 comporti immediatamente, direttamente e  sicuramente,  lo  sconquasso
 delle   famiglie  e  della  societa',  la  diffusione  dell'A.I.D.S.,
 nonche', indefettibilmente,  la  commissione  di  delitti  colposi  e
 dolosi,  costituisce palesemente una enfatizzata generalizzazione del
 tutto priva di riscontro nella realta'.  Pertanto,  in  questi  casi,
 costituire  tali  pericoli  come  oggetto  della  tutela  della norma
 incriminatrice  del  consumo   di   sostanze   stupefacenti,   appare
 irragionevole ed arbitrario e percio' in contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione.
    Certo, nell'uso occasionale delle c.d. droghe pesanti e' insito il
 rischio    del    passaggio    all'uso   abituale   e   quindi   alla
 tossicodipendenza, che comporta a sua volta i pericoli paventati  dal
 Guardasigilli.  Ma  si tratta, all'evidenza, non gia' di un "pericolo
 concreto", bensi' di quel "pericolo di mera previsione, dal  quale  -
 gia'  secondo  il  Carrara (Programma, par. 352, p. 324) - non emerge
 ragione legittima di imputazione" e sul quale  la  migliore  dottrina
 penalistica   degli   ultimi   anni  ha  espresso  ampie  riserve  di
 costituzionalita'.Per le droghe c.d. leggere poi,  tale  pericolo  e'
 del  tutto  evanescente se e' vero che il passaggio dal consumo della
 cannabis a quello delle sostanze oppiacee (che sono tipiche di figure
 socio-culturali diverse se non pure antagoniste),  e'  oggi  fenomeno
 sporadico  e  raro,  come dimostra, tra l'altro, il rapporto numerico
 tra i due tipi di consumatori (secondo le stime piu'  accreditate,  i
 consumatori  di oppiacei sarebbero circa 2/300 mila, mentre quelli di
 cannabis supererebbero i 3 milioni).
    Come ben si vede se si tien conto della realta',  con  riferimento
 al  consumo  della  cannabis  e all'assunzione occasionale delle c.d.
 droghe pesanti, i pericoli che secondo l'intenzione  del  legislatore
 costituiscono  il  bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice
 dell'uso  di  sostanze  stupefacenti,  non  si  prestano  ad   essere
 configurati  come  "pericolo  concreto" (pericolo "corso", secondo la
 piu' pregante terminologia del Carrara), ma rappresentano al  massimo
 un "pericolo astratto" (o "pericolo del pericolo") come tale inidoneo
 a  legittimare  la  configurazione  di  una fattispecie criminosa. E'
 stato in proposito fondatamente osservato che "in tutti i casi in cui
 il pericolo concreto si presta a una prefigurazione legale tassativa,
 il suo accertamento tende  inevitabilmente  a  ricalcare  il  modello
 penale  del  tipo di autore", con la conseguenza che ad essere punita
 e' "la mera disobbedienza o violazione formale della legge  da  parte
 di  un'azione  di  per  se'  inoffensiva"  (L.  Ferrajoli,  Diritto e
 Ragione, Teoria del garantismo penale, 1989, p. 525). Che  e'  quanto
 puntualmente  accade nel caso in cui sia applicata la sanzione penale
 a chi detenga per il  consumo  o  addirittura  abbia  gia'  consumato
 nell'arco delle 24 ore, uno "spinello" in piu' dei due-tre consentiti
 dalla  "dose  media giornaliera" ovvero, come nel caso di specie, due
 singole   dosi  "medie"  di  cocaina  (come  si  vedra',  le  tabelle
 ministeriali  fissano  la  "dose  media   giornaliera"   in   due-tre
 "spinelli"  per  l'hashish  e  in  una  singola  dose  "media" per la
 cocaina.
    Quanto all'assunzione abituale di droghe "pesanti", rispetto  alla
 quale   i   pericoli  sopra  enunciati  assumono  una  dimensione  di
 concretezza, appare significativo che, a differenza del possessore di
 cose pericolose  evocato  dal  Ministro  guardasigilli  -  ammesso  a
 provare l'insussistenza nel caso concreto del pericolo tutelato dalla
 norma  incriminatrice  (cfr. art. 707 c.p.) - il tossicodipendente e'
 indefettibilmente punito per il consumo di sostanze  stupefacenti  in
 quantita' superiori alla "dose media giornaliera", anche se, nel caso
 concreto, i beni tutelati non hanno corso alcun pericolo. E' evidente
 pertanto  che,  come in tutti i casi di "pericolo presunto", il fatto
 "pericoloso" non  costituisce  l'oggetto  di  tutela  della  sanzione
 penale,  bensi'  la  semplice  occasione  per  assoggettare a pena la
 condizione soggettiva del suo autore. Una situazione classica, cioe',
 di punizione per "tipo di autore".
    A parte tali rilievi, lo stesso  legislatore  ordinario  riconosce
 che  nei  confronti  del  consumatore abituale le "sanzioni penali si
 rivelano pressoche' inutili avuto riguardo alla indifferenza  con  la
 quale   il   tossicodipendente,   soverchiato   dalla  sollecitazione
 irresistibile  della  droga,  si  rapporta  a  qualsiasi  prospettiva
 sanzionatoria..  ..  ..  Naturalmente  le sanzioni dispiegano il loro
 potenziale dissuasivo quasi esclusivamente nei  confronti  di  coloro
 che  non  hanno  alcun  rapporto  di  dipendenza con la droga.. .. ..
 Pressoche'  nullo  e'  invece  tale   effetto   nei   confronti   dei
 tossicodipendenti,  totalmente soggiogati dalla esigenza pressante ed
 incessante della droga, i quali, non distolti da questa irresistibile
 pulsione da  ben  note  drammatiche  prospettive,  ben  difficilmente
 presteranno  maggiore  attenzione al messaggio dissuasivo dato da una
 sanzione penale.. .. .."  (relazione Casoli/Condorelli, cit., pp. 8 e
 11).
    Le affermazioni sopra riportate, se da un lato  confermano  che  i
 redattori   della   legge  non  si  sono  resi  conto  della  portata
 sanzionatoria delle norme che andavano approvando, dall'altro lato si
 saldano con l'osservazione secondo la quale "il principio di utilita'
 e  quello  della  separazione  tra  diritto  e  morale  impongono  di
 considerare  ingiustificate  tutte  le  proibizioni di cui, qualunque
 cosa  si  pensi  non  solo  circa  l'immoralita'   ma   anche   circa
 l'offensivita'  delle  azioni  proibite, non sia comunque prevedibile
 un'efficacia  deterrente   a   causa   delle   profonde   motivazioni
 individuali,   o   economiche   o   sociali  delle  loro  violazioni"
 (Ferrajoli, cit., p. 475).
    In conclusione, la fattispecie criminosa che sottopone a  sanzione
 penale  la  detenzione  destinata  al  consumo  o lo stesso effettivo
 consumo di sostanze stupefacenti in quantita' eccedenti la "dose  me-
 dia  giornaliera",  e'  priva dei fondamenti costituzionali richiesti
 dagli artt. 3  e  25  della  Costituzione,  in  quanto  arbitraria  e
 irragionevole,  priva  di  offensivita'  e  lesiva  del  principio di
 uguaglianza.
    Il  meccanismo  normativo  attraverso  il  quale  il   legislatore
 individua  la fattispecie penalmente rilevante (ripetesi: detenzione,
 acquisto o importazione di quantita' eccedenti la  dmg,  ancorche'  a
 fine di consumo) appare in contrasto altresi' con la riserva di legge
 in materia penale sancita dallo stesso art. 25 della Costituzione.
    Invero  la Corte costituzionale, nei numerosi casi in cui e' stata
 chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' delle c.d. norme penali in
 bianco, ha costantemente affermato che "il rispetto del principio  di
 legalita' dei reati e delle pene esige che nella norma primaria siano
 indicati  con  sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri,
 il  contenuto  ed  i  limiti  dei  provvedimenti  dell'autorita'  non
 legislativa,  alla  trasgressione  dei  quali  deve  seguire la pena,
 perche' il reato sia  tassativamente  determinato  in  tutti  i  suoi
 elementi  costitutivi"  (v.,  per  tutte, sent. n. 492/1987). Piu' di
 recente la Corte (sent. n. 282/1990) ha ribadito che, a tutela  delle
 esigenze  di  certezza  e determinatezza delle fattispecie penali, e'
 costituzionalmente legittima "la funzione integrativa  svolta  da  un
 provvedimento  amministrativo,  rispetto  ad  elementi  normativi del
 fatto  sottratti  alla  possibilita'  di  un'anticipata   indicazione
 particolareggiata   da   parte   della  legge,  quando  il  contenuto
 d'illecito sia peraltro da essa definito (come accade ad esempio  per
 gli  elenchi  delle  sostanze  stupefacenti  contenuti  in un decreto
 ministeriale.. .. ..". Ma, tanto premesso, la Corte ha pure  ribadito
 che   resta  riservata  alla  legge  la  determinazione  del  "nucleo
 fondante" e del  "contenuto  essenziale  dell'illecito  penale",  non
 essendo    consentito    rimettere    all'atto    amministrativo   la
 individuazione degli elementi essenziali del reato, specie quando  il
 potere  dell'amministratore, come nel nostro caso (v. art. 72-quater,
 secondo comma), "rimanga libero di mutare sostituire  od  abrogare  i
 predetti  elementi  essenziali".  E', sulla base di tali premesse, la
 Corte ha dichiarato l'illegittimita' della norma allegata a sospetto,
 in quanto consentiva che "la condotta penalmente rilevante" emergesse
 "solo  in  connessione  coi  contenuti  specifici"  di   un   decreto
 ministeriale. E' quanto accade, puntualmente, nel caso di specie.
    Secondo   l'art.  71  della  legge  n.  162/1990  la  "dose  media
 giornaliera" e' il limite quantitativo  massimo  oltre  il  quale  la
 detenzione a qualsiasi titolo della sostanza stupefacente costituisce
 reato.  L'art.  72  demanda  "ai  criteri  indicati  al  primo  comma
 dell'art. 72-quater" la determinazione della dmg.  Quest'ultimo  che,
 secondo  la  rubrica, disciplina la "quantificazione delle sostanze",
 demanda a sua volta a un decreto del Ministro della  sanita',  previo
 parere dell'Istituto superiore di sanita', di determinare: a) le pro-
 cedure  diagnostiche  e medico-legali per accertare l'uso abituale di
 sostanze stupefacenti o psicotrope; b) le metodiche per  quantificare
 l'assunzione   abituale   nelle   ventiquattro   ore;   c)  i  limiti
 quantitativi  massimi  di  principio  attivo  per   le   dosi   medie
 giornaliere.
    La  previsione dell'art. 72-quater, sopra riprodotta, e' ben lungi
 dal soddisfare l'esigenza di predeterminazione ad opera  della  norma
 primaria   del  "contenuto  essenziale",  nonche'  dei  "presupposti,
 caratteri, contenuti e limiti", cui la  ricordata  giurisprudenza  di
 codesta  Corte  subordina  la  legittimita'  della integrazione della
 fattispecie penale ad opera del provvedimento amministrativo.
    Nel corso del dibattito parlamentare il Governo e  la  maggioranza
 avevano  mostrato  di  annettere  grande  importanza  alla dimensione
 personalizzata della dmg. Nella seduta del  Senato  del  28  novembre
 1989  il  Ministro  guardasigilli,  nel  preannunciare l'introduzione
 della  norma  che  prevede  i  criteri sopra elencati, afferma: "Cio'
 dovrebbe eliminare le lamentate equivocita' ed incertezze interpreta-
 tive a cui il testo attuale potrebbe dar luogo circa  il  riferimento
 oggettivo-soggettivo,   cioe'   personalizzato,   della   dose  media
 giornaliera" (v. resoconto stenografico,  p.  75).  A  sua  volta  il
 relatore  Condorelli, replicando ad alcuni interventi critici secondo
 i quali la sostituzione della modica  quantita'  con  la  dose  media
 giornaliera  avrebbe  lasciato le cose come stavano, afferma: "Non e'
 affatto vero, si tratta di una soluzione molto  differente.  Oggi  la
 scriminante  tra  lo spacciatore e il consumatore e' rappresentata da
 un mero fatto quantitativo: il peso, l'elemento peso. Con la dmg  no,
 c'e'   una   perizia  medica  sulla  persona,  un  accertamento,  che
 stabilisce innanzitutto se il soggetto e' un tossicodipendente. Cosi'
 anche il pericolo che paventava il senatore  Onorato  cessa,  perche'
 non  sara'  il  mezzo  grammo  in  piu'  o in meno, a discriminare il
 consumatore dallo spacciatore;  ci  sara'  una  valutazione  globale,
 medico-legale,  condotta dai sanitari, che potra' valutare l'esigenza
 di droga dei singoli soggetti. Per la modica quantita' esistono delle
 incertezze: ad  esempio  un  soggetto  puo'  aver  bisogno  di  cento
 milligrammi  di eroina, ma un altro potrebbe aver bisogno di assumere
 anche 5 grammi secondo alcuni esperti" (res. sten. p. 48).
    Senonche', nel testo definitivo della legge, ad onta di quanto  si
 era  cosi'  enfaticamente  affermato,  la  distinzione  tra assuntore
 occasionale e assuntore abituale - in relazione al quale la quantita'
 di cui era penalmente lecita la detenzione,  veniva  determinata  con
 riferimento alla dose abitualmente assunta nelle 24 ore - e' venuta a
 cadere. I criteri di cui ai punti a) e b) hanno perso cosi' qualsiasi
 rilevanza  ai  fini della determinazione della dose la cui detenzione
 per uso personale non  e'  soggetta  alla  sanzione  penale.  L'unico
 discrimine  tra il punibile e il non punibile (che non coincide, come
 sembra credere il relatore  Condorelli,  con  quello  tra  spaccio  e
 consumo) e' costituito dalla quantita', cioe' dal deprecato "elemento
 peso", secondo la giusta preoccupazione del senatore Onorato. I punti
 a)   e  b)  dell'art.  72-quater  null'altro  sono,  dunque,  che  la
 sopravvivenza verbale di  una  lodevole  intenzione  del  legislatore
 rimasta priva di sbocchi normativi.
    Quanto  al punto c), giova anzitutto chiarire che la formula della
 legge, sfrondata anche qui dalle sovrabbondanze verbali connesse alla
 originaria  previsione  di  concorrenti   criteri   soggettivi,   non
 significa  altro  che  questo:  al  provvedimento  amministrativo  e'
 demandato di stabilire la quantita' di principio  attivo  costituente
 la   "dose  media  giornaliera",  di  cui  e'  penalmente  lecita  la
 detenzione  per  uso  personale  del  detentore.  Senonche',   l'art.
 72-quater, ad onta della sua rubrica, non detta alcun criterio per la
 determinazione di tale quantita', con palese violazione del principio
 costituzionale  di  cui  all'art.  25  della Costituzione, secondo il
 quale, come si e' detto, nella norma  primaria  che  conferisce  alla
 p.a.  il  potere  di  integrare  la fattispecie penale, devono essere
 predeterminati "i presupposti, i caratteri, il contenuto e  i  limiti
 dei provvedimenti dell'autorita' non legislativa".
    La  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  72-quater, sotto il
 profilo della violazione della riserva di legge, balza  evidente  sol
 che  esso  si confronti con l'art. 12 della legge n. 685/1975, dove i
 "criteri per la formazione delle tabelle" sono indicati con una ricca
 e articolata specificazione di dettagli, che circoscrive l'intervento
 della  p.a. nei limiti propri di un'attivita' meramente tecnica (come
 giustamente riconosciuto da codesta Corte). Qui  non  puo'  dubitarsi
 che  "il  contenuto  essenziale  dell'illecito penale", connesso alla
 individuazione delle sostanze stupefacenti, risalga alla volonta' del
 legislatore. Ma e' estremamente significativo che il legislatore  del
 1975  abbia  avvertito l'esigenza di definire con tanta precisione di
 dettagli la nozione  di  "sostanza  stupefacente",  di  cui  pure  si
 riteneva che la scienza gia' offrisse una predeterminazione oggettiva
 idonea  ad identificare "l'oggetto materiale del delitto" (v. in tale
 senso, con riferimento alle tabelle previste dalla legge n. 104/1954,
 Corte costituzionale sentenze nn. 36/1964 e 9/1972).
    Niente di tutto questo si riscontra nell'art. 72-quater, in cui al
 vuoto di predeterminazione di criteri, si accompagna il rinvio ad una
 entita'  irreale  (la  "dose   media   giornaliera"),   assolutamente
 insuscettibile di definizione dal punto di vista tecnico-scientifico.
    Il  richiamo  ad  una entita' "media", in verita', sembrerebbe far
 riferimento ad un dato statistico, cioe' alla  quantita'  complessiva
 consumata  quotidianamente  dall'insieme  dei consumatori di una data
 sostanza stupefacente, divisa per il numero dei  consumatori  stessi.
 Un  tale  criterio,  per  quanto  impraticabile  e irrazionale per la
 determinazione del discrimine tra lecito e illecito  penale,  avrebbe
 tuttavia  il  pregio  di  conferire alla previsione della "dose media
 giornaliera" un carattere di predeterminazione legale ancorata a dati
 oggettivi, che consentirebbe all'intervento integrativo del  Ministro
 della  sanita'  di  mantenersi  nei  limiti di quelle "valutazioni di
 carattere tecnico e contingente" che, in quanto tali, "sono legittime
 manifestazioni  dell'attivita'  normativa  della  p.a."  (v.,   Corte
 costituzionale n. 9/1972). Ma e' del tutto pacifico che non e' questo
 il  senso  della citata lett. c), riferendosi invece la "medieta'" ad
 una  media  aritmetica  tra  una  dose  minima  e  una  dose  massima
 assumibile nelle ventiquattro ore.
    Senonche',  entrambi i termini di riferimento sopra indicati sono,
 per unanime  riconoscimento  della  letteratura  scientifica  che  si
 occupa  della  materia,  assolutamente  incerti,  a causa delle molte
 variabili da cui essi dipendono, in particolare il modo di assunzione
 e il grado di tolleranza del soggetto assuntore.
    Illuminante sul punto e' il  pare  espresso  nel  corso  dell'iter
 parlamentare   (30   novembre   1989),  su  richiesta  del  Ministro,
 dall'Istituto superiore di sanita', avente  ad  oggetto  "l'eventuale
 attribuzione  al  Ministero  della  sanita'  di  compiti..  ..  .. di
 individuazione delle dosi medie giornaliere",  nel  quale  si  legge:
 "tutti gli esperti in materia hanno ripetutamente riconosciuto che la
 definizione  della  dose  media  giornaliera non puo' servire a detto
 scopo (discrimine del penalmente rilevante, nda), data l'ampiezza del
 range dei  quantitativi  che  possono  essere  adoperati  da  diversi
 assuntori o dallo stesso assuntore in momenti differenti".
    A  proposito degli appiacei, cosi' continua il predetto parere: "a
 fronte di una dose farmacologicamente attiva di 0,01-0,02 g.i.v.  nel
 soggetto  non  assuefatto,  soggetti  assuefatti  possono arrivare ad
 impiegare anche piu' grammi al giorno";  e,  richiamandosi  a  J.  H.
 Jaffe   (in   Goodman  and  Gilman's  The  Pharmacological  Basis  of
 Therapeutics,  Macmillan,  1985),  cosi'   continua:   "un   soggetto
 adduefatto  puo' ricevere per via endovenosa due grammi di morfina in
 due ore e mezzo senza che si verifichino variazioni  della  pressione
 arteriosa, della frequenza del battito cardiaco e della frequenza del
 respiro".  Per quanto riguarda la cocaina, si legge: "a fronte di una
 dose di 0,04-0,01 g di cocaina cloridrato  farmacologicamente  attiva
 per  via  inalatoria,  gli  assuntori  'pesanti'  possono arrivare ad
 impiegare anche piu' grammi al giorno.  Jaffe  specifica  che  alcuni
 assuntori  ricorrono a due prese all'ora di 0,1 g ciascuna.. .. .. In
 una  tale  situazione  -  concludeva  il  parere   -   la   eventuale
 assegnazione  alla  autorita'  sanitaria di compiti di individuazione
 delle dosi medie giornaliere imporrebbe" scelte incongrue  sul  piano
 scientifico.
    Considerazioni  analoghe  svolgera' poi, dopo l'approvazione della
 legge n. 162/1990, lo stesso I.S.S. che, nella "premessa" ai "criteri
 per l'individuazione delle  dosi  medie  giornaliere",  trasmessi  al
 Ministero  della  sanita'  con  nota del 2 luglio 1990, cosi' scrive:
 "L'indicazione esplicitamente formulata nel disposto  legislativo  di
 distinguere  in  base  al solo dato ponderale di droga il consumatore
 dallo  spacciatore-trafficante  attribuisce  al  dato   numerico   un
 significato  che  puo'  essere  fortemente  penalizzante per alcuni o
 colpevolmente gratificante per altri.. .. .. La  composizione  quali-
 quantitativadella droga di strada e i rispettivi metodi analitici non
 sono  riferibili  a  campioni  (prototipi) standard come per i comuni
 oggetti e articoli merceologici.. .. .. sembra opportuno far presente
 che,  per  l'eterogeneita'  e   variabilita'   dei   parametri   (non
 standardizzabili ne' controllabili), ai valori riportati nel d.m. non
 sono da attribuire requisiti di accuratezza e precisione.. .. ..".
    Alla  luce  di tali osservazioni, particolarmente autorevoli sotto
 il  profilo  scientifico,  appare  evidente  che   la   "dose   media
 giornaliera"  e'  una  mera  formula  verbale,  del  tutto  priva  di
 riscontro nella realta', con la conseguenza che la sua determinazione
 e' rimessa alla totale discrezione della p.a., in  contrasto  con  la
 riserva  di  legge  prevista  dall'art.  25  della  Costituzione.  Il
 discrimine tra illecito ex art. 72 e delitto  ex  art.  71  e'  cosi'
 rimesso  all'autorita'  amministrativa,  senza  alcuna indicazione di
 criteri e principi direttivi. In altre parole "la condotta  punibile"
 emerge  dai "contenuti specifici" del provvedimento amministrativo, e
 quindi e' quest'ultimo che, a differenza  di  quanto  accade  per  le
 tabelle  emenate  in  base  all'art.  12  della  legge  n.  685/1975,
 determina "il contenuto essenziale dell'illecito penale", al di fuori
 di qualunque limite o paramentro precostituito  dalla  legge.  L'atto
 amministrativo    concorre   pertanto   alla   determinazione   della
 fattispecie punibile non in base a "valutazioni di carattere  tecnico
 e  contingente", ma in base a scelte di tipo meramente politico, come
 ebbe a riconoscere in senato il ministro Jervolino, firmataria  della
 legge,  che  nella  seduta  del  12  giugno  1990  (res. sten. p. 22)
 dichiarava senza infingimenti che la determinazione della dose  media
 giornaliera  "rimane(va) ascritta alla responsabilita' amministrativa
 e politica del Ministro della sanita'".
    Le concrete determinazioni adottate del Ministro con  il  d.m.  12
 luglio  1990,  n.  186, rappresentano del resto un'eloquente conferma
 che   la   "dose   media   giornaliera"   costituisce   una   entita'
 indeterminabile  dietro  la  quale  si  celano  non  gia' valutazioni
 tecniche, ma scelte di  politica  criminale  indebitamente  assegnate
 alla p.a. e da essa come tali esercitate.
    L'art.  3  di  tale  decreto  affida la quantificazione delle dosi
 medie  giornaliere  ad   apposite   tabelle,   corredate   da   "note
 esplicative",   che   dovrebbero   dar   conto   dei   parametri  cui
 l'amministrazione ha fatto riferimento nell'esercizio del suo  potere
 discrezionale.  Senonche'  le  predette  note esplicative - del tutto
 assenti in relazione ad alcune sostanze, come i  derivati  dell'acito
 lisergico  (c.d.  LSD)  -  si  riducono  in  realta' ad alcune scarne
 formule, la cui genericita' e vaghezza e' palesemente ascrivibile non
 gia' a carenze scientifiche dell'elaborato  tecnico,  ma  alla  ovvia
 impossibilita' di dar conto di parametri che non esistono.
    Limitando  l'esame  alle  note  esplicative relative alle sostanze
 piu' note, si rileva che per la cocaina e per l'eroina la nota  n.  1
 spiega  che  "le  quantita' riportate sono individuate sulla base dei
 dati epidemiologici relativi all'uso abituale".
    Cosa siano questi "dati epidemiologici", si  ricava  dalla  citata
 nota  (p.  5)  trasmessa  dall'I.S.S.  il  2  luglio  1990.  Essi "si
 riferiscono ai sequestri operati dalle forze dell'ordine  e  sono  in
 buon  accordo fra loro sulla base dei corrispondenti esami effettuati
 dalle strutture del S.S.N. e dagli istituti di medicina  legale".  La
 commissione  di  esperti  dell'Universita'  "La  Sapienza",  all'uopo
 nominata dal Ministro della sanita', nel parere  in  data  28  giugno
 1990  (p.  4),  spiega a sua volta di avere "individuato per le varie
 sostanze stupefacenti o psicotrope contenute nelle tabelle  I-IV,  le
 quantita'  giornaliere  che,  secondo l'esperienza maturata presso il
 servizi di assistenza  sanitaria  dei  tossicodipendenti..  ..  ..,le
 segnalazioni  provenienti  dall'I.S.S. e le statistiche dei sequestri
 effettuati dalle forze di polizia, sono consumate dalla maggior parte
 (moda statistica) dei tossicodipendenti, di  grado  medio,  nell'arco
 delle  24  ore".  Aggiunge  "a titolo di esempio" che, "valutata (dai
 rilevamenti presso Servizi Pubblici) in circa 0,5 grammi la  dose  di
 eroina  di  strada  piu'  frequentemente  assunta  nelle  24  ore dal
 tossicodipendente  con  'dipendenza  di  grado  medio'..  ..  ..   ed
 individuata   nel   20%   circa  la  percentuale  massima  di  eroina
 cloridrato, cioe' di  principio  attivo,  presente  nella  eroina  di
 strada  attualmente  circolante  secondo quanto risulta dalle analisi
 condotte dagli istituti  universitari  di  tossicologia  forense,  e'
 stato  proposto  intorno  ai  100 mg. di eroina base anidra il limite
 massimo di principio attivo per la dose media giornaliera".
    In altre parole, i "dati epidemiologici" sono stati ricavati da un
 dato soggettivo  (le  dichiarazioni  dei  tossicodipendenti  in  cura
 presso  i S.A.T.) per la determinazione della "media" quantita' delle
 assunzioni,  e  da  un  dato  oggettivo  (l'analisi  delle  "cartine"
 sequestrate  dalla  polizia  giudiziaria)  per  la  rilevanzione  del
 "medio" principio attivo.
    Una ricerca condotta negli anni 1976-1982 con gli stessi metodi di
 indagine su un campione di 949  "cartine"  e  106  tossicodipendenti,
 aveva   rivelato   una   "dose-consumo",   cioe'   una   "dose  media
 giornaliera", di "200-400 mg di  eroina  al  giorno"  (v.  Lopez,  de
 Zorzi,   Racalbuto,   Tossicomania   da   eroina,  Il  consumo  medio
 giornaliero e il problema della "dose", in "Zacchia", Arch.  di  Med.
 Leg., lu-set. 1983).
    Adottando   la   stessa  metodologia  di  indagine,  nel  1990  la
 commissione dei docenti indica in 100 mg (indicazione poi accolta nel
 d.m. n. 186) la "dose media giornaliera" dell'eroina, in  sostanziale
 accordo  con  l'I.S.S.,  che la indica in 80-100 mg, corrispondenti a
 3-4 "cartine" di droga "di strada". Tale quantita' - avverte tuttavia
 l'I.S.S. - e' stata determinata, "in linea puramente ipotetica e  con
 ampie   riserve   su   possibili   trasferimenti  automatici  a  casi
 individuali", con riferimento ad "un eroinomane ad uno  stadio  medio
 di  dipendenza (cioe' in una condizione di tolleranza gia' sviluppata
 ma ancora lontana da quella di eroinomani pesanti per  i  quali  sono
 note  assunzioni  anche  superiori  ad 1 gr di eroina al giorno". E',
 praticamente, la  descrizione  della  situazione  tipica  in  cui  il
 discrimine  tra  consumatore e spacciatore, fondato sulla "dose media
 giornaliera",   e'   "fortemente   penalizzante   per   alcuni"    (i
 tossicodipendenti   "pesanti",   cioe'   i   piu'  deboli  e  i  piu'
 indifferenti alla minaccia della sanzione penale, cui  tuttavia  sono
 inevitabilmente  esposti  pur  se mantengano l'approvvigionamento nei
 limiti del loro fabbisogno quotidiano) e "colpevole gratificante  per
 altri",  cioe'  per  i  piccoli  spacciatori, che siano eventualmente
 anche assuntori  occasionali  o  allo  stadio  iniziale,  i  quali  -
 potendosi  accontentare  dell'assunzione  quotidiana  di una/due dosi
 farmacologicamente attive, equivalenti a 5-10  mg  (nella  farmacopea
 ufficiale  la  singola  dose  di morfina, per la quale le tabelle del
 d.m. n. 186 fissano la dmg in 200 mg cioe' il doppio dell'eroina,  e'
 di  10 mg; secondo il citato "Goodman and Gilman's", p. 505, 10 mg di
 morfina corrispondono a 4 mg di eroina) - conservano un buon  margine
 per  una  proficua attivita' di piccolo spaccio, reso conveniente dal
 prezzo corrente di 100 mg di  eroina  "da  strada"  (circa  200  mila
 lire).  Ancor  piu'  della  deprecata  "modica quantita'", quindi, la
 "dose media giornaliera"  non  solo  e'  inidonea  a  distinguere  il
 consumatore dallo spacciatore, ma criminalizza le situazioni che, per
 stessa  ammissione del legislatore, non possono essere risolte con la
 sanzione penale e si presta ugualmente ad essere usata  come  schermo
 per  il  piccolo  spaccio,  specie da parte e verso i consumatori non
 tossicodipendenti.
    Quanto alla cocaina, la citata nota dell'I.S.S. (p. 6) osserva che
 per essa e' "ancora piu' difficile discriminare solamente sulla  base
 di  una  determinata  quantita'  il  consumatore  dallo spacciatore".
 Afferma tuttavia che sulla  base  dei  "dati  epidemiologici"  e  con
 riferimento  all'uso  abituale,  "le  quantita'  utilizzate  mediante
 aspirazione nasale rientrano in un intervallo da  100  a  250  mg  di
 cocaina cloridrato nell'arco di 2-3 ore". Ad onta di tali risultanze,
 la  "dose  media  giornaliera"  viene indicata in 100 mg, cioe' nella
 quantita' minima consumata  dall'assuntore  abituale  ogni  2-3  ore,
 evidentemente   in   applicazione   del   criterio,  enunciato  nella
 "premessa", secondo il quale "allo scopo di privilegiare il carattere
 di  prevenzione  della  normativa  e  per  disincentivare  le   prime
 assunzioni  e  l'avvio verso l'abuso, la scelta della D.M.G. e' stata
 orientata in alcuni casi verso livelli inferiori a quelli  mediamente
 risultanti   dai   dati   epidemiologici  sull'abuso  di  droga".  La
 commissione di esperti dell'Universita' di Roma,  nel  citato  parere
 (pervenuto   al   Ministero   della   sanita'  il  10  luglio  1990),
 contraddicendo  le  affermazioni  dell'I.S.S.,  annovera  invece   la
 cocaina  (p.  5)  tra  "le  sostanze  stupefacenti prive di riscontro
 epidemiologico", per le quali propone, "anche per scoraggiare la loro
 utilizzazione illegittima", che "la dose singola ne costituisca anche
 il  livello massimo delle 24 ore" (le sottolineature sono nel testo).
 La  "dose  media  giornaliera"  di  cocaina  cloridrato  viene  cosi'
 proposta  (p.  7) in 150 mg, corrispondenti in effetti alla quantita'
 costantemente indicata dai periti giudiziari come "singola  dose  me-
 dia". Con altra nota coeva al parere della commissione di esperti (10
 luglio 1990) l'I.S.S. precisa che "il valore indicato, ad esempio per
 la  cocaina,  pur  ritenendo  in  un intervallo aritmetico delle dosi
 medie rilevate nel traffico illecito, e' il risultato  di  una  media
 ponderata  tra i valori proposti dagli esperti" dell'istituto stesso.
 Il Consiglio di Stato, infine, nel parere in data 12  luglio  1990  -
 dopo   aver   rilevato  in  via  generale  che  laddove  l'I.S.S.  ha
 privilegiato "i fini della prevenzione e della disincentivazione.. ..
 .. i criteri  seguiti  appaiono  non  conformi  a  legge,  in  quanto
 dichiaratamente   si  discostano,  in  senso  rigoristico,  dal  dato
 obbiettivo del limite quantitativo massimo di principio attivo per le
 dosi medie giornaliere, di cui all'art. 72-quater legge n.  685/1975"
 -  suggerisce di adottare, tra le contrastanti indicazioni l'I.S.S. e
 della commissione di esperti, quelle di quest'ultima, che "infatti e'
 pervenuta all'unanimita' alle proprie conclusioni e non ha utilizzato
 alcun criterio finalistico".  In effetti il d.m. n. 182  adotta  come
 "dose  media  giornaliera"  della  cocaina  cloridrato  la  quantita'
 indicata dalla commissione dei docenti (150 mg,  equivalenti  ad  una
 singola  dose "media"). Ma tale soluzione non e' in alcun modo idonea
 a sanare  i  macroscopici  vizi  di  illegittimita'  che  viziano  il
 provvedimento.
    Si  potrebbe innanzitutto osservare che la querelle tra l'I.S.S. e
 la commissione di esperti circa i "dati  epidemiologici",  nasce  dal
 fatto  che  le  fonti da cui essi dovrebbero essere tratti, sono poco
 elequenti per quanto  riguarda  il  dato  soggettivo  (l'osservazione
 presso  i  S.A.T.)  e  praticamente  mute per quanto riguarda il dato
 oggettivo (le confenzioni seguestrate dalla polizia giudiziaria).  Da
 un  lato,  infatti,  il cocainista medio non si rivolge ai S.A.T. (in
 una ricerca relativa al periodo genn./marz. 1983 di de Zorzi, Lopez e
 Borza, pubblicato in Zacchia, cit., ott.-dic. 1983, si da'  atto  che
 il  campione  analizzato  -  129  "tossicomani abituali" che si erano
 rivolti ai c.t. dell'area romana - non appartiene alla  "tradizionale
 categoria  dei  cocainisti",  atteso che il 50% fa contemporaneamente
 uso di eroina e solo il 25% utilizza per  l'assunzione  "la  classica
 via   intranasale",  mentre  il  65%  utilizza  la  via  endovenosa).
 Dall'altro lato, il sequestro di polizia giudiziaria di confezioni di
 cocaina destinata all'immediato consumo e' fenomeno altrettanto  raro
 e comunque inidoneo a fondare una attendibile rilevazione statistica;
 e  cio'  perche'  sul  mercato  al  minuto, la cocaina non circola in
 confezioni corrispondenti a singole dosi, ma in quantita'  superiori.
 Forse,  perdurando  il  vigore  delle  norme  allegate  a sospetto di
 incostituzionalita', nel  lungo  periodo  il  mercato  della  cocaina
 finira'  con  l'adattarsi alle necessita' giudiziarie. Ma, a parte le
 pratiche difficolta' di tale adattamento (l'assuntore "medio",  cioe'
 di   singole   dosi   plurime,   dovrebbe   reiterare   l'acquisto  e
 immediatamente consumare la  dose  acquistata  piu'  volte  nell'arco
 delle  24  ore), sta di fatto che, allo stato, il consumatore "medio"
 di cocaina - che, secondo il parametro della legge,  dovrebbe  andare
 esente   da   sanzione  penale  -  e'  costretto,  dalla  illegittima
 determinazione  della  p.a.,  a commettere reato per approvvigionarsi
 della quantita' necessaria  al  suo  fabbisogno  quotidiano  (la  cui
 soddisfazione  e' considerata invece, nella legge, come mero illecito
 amministrativo).
    Si potrebbe altresi' considerare che non solo l'I.S.S.,  ma  anche
 la commissione, assegna dichiaratamente alla determinazione della dmg
 di  sostanze  come  la  cocaina  lo  scopo  di  "scoraggiare  la loro
 utilizzazione  illegittima",  e  quindi,  arbitrariamente,  fini   di
 "prevenzione e disincentivazione".
    Quel  che  appare  incontestabile,  tuttavia,  e' che la quantita'
 indicata nel d.m. (150  mg)  viola  anche  nominalmente  il  sia  pur
 evanescente  e indeterminabile criterio legislativo della "dose media
 giornaliera", giacche' corrisponde, per esplicita dichiarazione della
 commissione  proponente  e  per  comune  acquisizione  della   prassi
 giudiziaria,  ad  una singola dose, che un assuntore "medio" consuma,
 secondo lo stesso parere dell'I.S.S., nell'arco di un paio di ore. Il
 discrimine tra lecito e illecito  penale  e'  stabilito,  dunque,  in
 violazione  delle parole della legge, non gia' sulla base della "dose
 media giornaliera", bensi' sulla base della "singola dose media".
    Tale soluzione  determina,  altresi',  una  palese  disparita'  di
 trattamento  rispetto  alla  eroina,  di  cui e' lecito consumare 3/4
 singole dosi "medie" al giorno. Una disparita' di  trattamento  tanto
 piu'  incomprensibile se si considera che la singola dose di ciascuna
 delle due droghe ha un costo equivalente (circa  lire  50  mila),  ma
 l'una  (l'eroina)  e' molto piu' nociva della cocaina, ove questa sia
 assunta con il normale metodo dell'aspirazione nasale.
    A tale proposito, la nota esplicativa n. 5 delle tabelle  allegate
 al  d.m.  n.  186,  spiega  che  "per  la cocaina vengono specificate
 rispettivamente sia la dose come cocaina clroridrato sia la dose come
 cocaina base in quanto il  potere  tossicomanigeno  delle  due  forme
 chimiche  e'  molto  diverso".  In effetti le tabelle indicano la dmg
 della "cocaina base (crack)" in 20 mg, a fronte dei 150 della cocaina
 cloridrato (in un rapporto, quindi, di 1 a 7,50).  In  base  a  quali
 criteri  si  sia  pervenuti a tale determinazione, non e' dato sapere
 (sul punto tacciono i pareri sia dell'I.S.S. che della  commissione).
 Ma da uno studio recente sull'esperienza americana (Lopez-Potenza, Il
 "crack", la cocaina da fumo, un problema in arrivo, in Zacchia, cit.,
 giu.    1988),  si apprende che "a causa della breve durata dell'high
 con il  crack  sono  richieste  assunzioni  piu'  frequenti  rispetto
 all'uso  della cocaina intranasale, anche perche' l'esaurimento della
 fase di euforia porta ad uno stadio di depressione  profonda  (crash)
 che  induce  all'assunzione di successive dosi. La quantita' di free-
 base utilizzata e' dell'ordine  di  80-100  mg  per  ogni  inalazione
 (hit);  le  assunzioni  possono  essere ripetute anche ogni 5 minuti.
 Consumi individuali di 3-4 g in 4 ore, di 9-30 g in 24 ore e di 150 g
 in 72 ore sono riferiti da soggetti che hanno  richiesto  trattamenti
 terapeutici".  Alla  luce  di  questi dati, e in assenza di qualsiasi
 spiegazione nelle fonti ufficiali, la determinazione  della  dmg  del
 crack  in  20 mg cioe', secondo i suddetti dati, in 1/5 della singola
 dose minima reiteratamente assunta  nell'arco  delle  24  ore  da  un
 consumatore abituale, risulta al collegio del tutto incomprensibile.
    Tuttavia,  quel  che  piu'  sorprende  a  fronte delle tabelle, e'
 apprendere  dai  cultori  della  materia  che  il   diverso   "potere
 tossicomanigeno" della cocaina non dipende direttamente dalle diverse
 forme  chimiche  (cloridrato  a  base)  in cui si puo' presentare, ma
 dalle  diverse  vie  di  assunzione.  Il crack infatti, non e' niente
 altro che l'assunzione della cocaina base mediante la inalazione  dei
 fumi   che,   ottenuti   con   un   facile  processo  di  combustione
 (evaporazione),  raggiungono  rapidamente,   attraverso   le   grandi
 superficie  dei  polmoni,  i  recettori del sistema nervoso centrale.
 L'effetto stupefacente e' percio' rapido, violento e di breve durata,
 ma anche molto pericoloso (pericolosita'  ed  effetti  analoghi  sono
 connessi  all'assunzione  endovena).  Con  l'aspirazione intranasale,
 invece, la cocaina cloridrato, solubilizzata dal liquido della mucosa
 nasale e da  questa  assorbita,  raggiunge  i  recettori  del  s.n.c.
 attraverso  il  flusso  ematico.  L'effetto pertanto e' piu' lento ma
 piu' duraturo.
    Il diverso "potere tossicomanigeno" e' legato dunque, alle due di-
 verse forme chimiche solo nel senso che la  cocaina  base  si  presta
 piu' facilmente ad essere assunta per inalazione dei fumi, perche' si
 volatilizza  ad  una temperatura molto piu' bassa (97-98 gradi) della
 cocaina cloridrato, il cui alto punto di fusione (195-196  gradi)  ne
 determina  invece,  nel  corso  dell'operazione  di  assunzione,  una
 parziale distruzione. Ma cio' non toglie che cosi' come  una  miscela
 di   cocaina   base,  opportunamente  polverizzata,  potrebbe  essere
 "sniffata" al pari di una miscela di cocaina cloridrato, quest'ultima
 puo' essere a sua volta  assunta  per  inalazione  dei  fumi,  in  un
 duplice  senso:  o procedendo alla sua combustione (pagando lo scotto
 che si e' detto) ovvero trasformando la cocaina cloridrato in cocaina
 base, attraverso procedimento di facile accesso  (accanto  al  metodo
 tradizionale  - soluzione ed alcalinizzazione in acqua e bicarbonato;
 estrazione con etere successivamente evaporato - Lopez/Potenza, cit.,
 cosi' descrivono il metodo usato dai tossicodipendenti  negli  ultimi
 anni: "il crack si ottiene partendo dal cloridrato di cocaina, che e'
 la  forma  comune  della  cocaina presente nel commercio clandestino,
 mediante una procedura assai semplice e priva di rischi.  Le  attuali
 modalita'  di  preparazione,  possibili  anche  in  ambienti privi di
 attrezzature di laboratorio, consistono nello sciogliere  la  cocaina
 cloridrato  in  acqua,  alcalinizzare  con bicarbonato di sodio o con
 ammoniaca, e infine riscaldare. Si ottiene in  tal  modo  la  cocaina
 sotto  forma  di  base  libera;  con  raffreddamento  rapido si ha la
 separazione  della  parte  solida  dalla  parte  acquosa  che   viene
 scartata").
    Alla stregua di quanto esposto, appare evidente che le due diverse
 forme    chimiche    della    cocaina,   mentre   potrebbero   essere
 ragionevolmente considerate (insieme alla  confezione:  il  crack  si
 presenta di solito come un prodotto solidificato) elemento indiziante
 del  metodo  di  assunzione  della sostanza, non sono invece idonee a
 differenziare la dmg, e costituiscono percio' un criterio incerto  ed
 arbitrario di identificazione della fattispecie penale (nonche' della
 sua  gravita'  oggettiva,  solitamente tratta dal numero delle dosi).
 Infatti, richiamando quanto detto  piu'  sopra,  150  mg  di  cocaina
 cloridrato,  (equivalenti, secondo le tabelle, ad una dmg) potrebbero
 essere facilmente trasformati in cocaina base, ricavandone 7/8 dmg di
 crack; per converso, 150 mg di cocaina base  si  prestano  ad  essere
 assunti in un'unica soluzione (per aspirazione) ovvero, come "crack",
 in  piu'  soluzioni  (in  7  giorni e mezzo per un assuntore "medio",
 seconso  le  tabelle).   Le   paradossali   conseguenze   sul   piano
 sanzionatorio  sono evidenti: la detenzione di una miscela contenente
 tra i 20 e i 150 mg  di  cocaina  base,  alla  stregua  del  criterio
 puramente  chimico  adottato dal d.m. n. 162, costituisce il reato di
 cui all'art. 71, anche se ne fosse comprovata  l'assunzione  mediante
 un'unica  aspirazione  nasale; invece, la detenzione ad uso personale
 di 150 mg di cocaina cloridrato e' esente da pena anche se  destinata
 a  plurime assunzioni di crack (al fabbisogno di oltre una settimana,
 secondo le tabelle).
    Il  riferimento  alla  forma  chimica  della   sostanza   per   la
 determinazione della dmg, e quindi della punibilita' e della gravita'
 della  pena,  si  rivela ancor piu' arbitraria e priva di senso se si
 considera che la identificazione delle due specie, cloridrato e base,
 e' possibile, con i metodi normalmente usati  nell'indagine  chimico-
 giudiziaria,solo  per  la  sostanza  allo stato puro. In realta', nel
 mercato clandestino, la cocaina si trova allo  stato  puro  solo  per
 grossi   quantitativi;  nel  mercato  al  minuto,  quello  cioe'  cui
 attingono i consumatori, la cocaina si trova invece sempre  miscelata
 ad altre sostanze (di solito lidocaina cloridrato), sicche' l'analisi
 chimica  non consente di stabilire se la presenza dei ioni cloro - su
 cui si basa la distinzione fra le due specie -  provenga  da  diversa
 sostanza  o dalla cocaina, e quindi se quella contenuta nella miscela
 sia cloridrato o base (altri metodi di indagine - punto  di  fusione;
 "Nik-o-test"  -  segnalati  nel  citato  studio Lopez-Potenza, devono
 intendersi riferiti sempre alle sostanze ad alto grado  di  purezza).
 La  conseguenza e' che, proprio per quantitativi al limite della dmg,
 sulla base del mero criterio chimico e' impossibile dire se si e'  in
 presenza  di  una  fattispecie criminosa (cioe' al di la' o al di qua
 della dmg).
    Dalle considerazioni esposte, emerge non  solo  l'inconsistenza  e
 l'irrazionalita' del criterio legale (la "dose media giornaliera") di
 identificazione  della  fattispecie  penale  e  l'arbitrarieta' della
 concreta scelta della p.a., ma altresi' la preoccupazione  che  anche
 in  Italia possa insorgere la pericolosa pratica - che secondo alcuni
 osservatori avrebbe gia' preso avvio - di  assunzione  della  cocaina
 per  le  piu'  efficaci  ma piu' pericolose vie dell'endovena (che in
 alcuni casi si e' rivelata mortale) e  dell'inalazione  dei  fumi  di
 combustione  (crack).  Potrebbe  cioe'  verificarsi una "conversione"
 degli "aspiratori" di cocaina che vogliono mantenersi nei limiti  del
 lecito  penale,  verso  queste pericolose metodiche di assunzione, in
 particolare merce' la trasformazione della dmg di cocaina cloridrato,
 rinvenibile su un mercato  adattatosi  alle  nuove  dimensioni  della
 repressione   penale,  in  cocaina  base,  utilizzabile  per  plurime
 assunzioni di "crack", che attualmente, inteso come preparato  pronto
 per  essere  "fumato",  non  e'  ancora  praticamente rinvenibile sul
 mercato illecito del nostro paese.
    Quanto alla cannabis  e  derivati,  la  nota  esplicativa  (n.  4)
 informa che la "dose media giornaliera" - fissa nel d.m. in gr 2,5 al
 20% di T.H.C. per foglie e inflorescenza e in gr 0,5 al 10% di T.H.C.
 per  la  resina  (hashish)  -  e'  stata  calcolata "sulla base delle
 variazioni del contenuto medio di T.H.C. presente nei prodotti  della
 Cannabis".
    L'informazione  e'  idonea a far sapere che si e' tenuto conto del
 tenore   "medio"   di    tetraidrocannabiolo    (T.H.C.)    presente,
 rispettivamente  nella  misura  del  2%  e del 10%, nella marihuana e
 nell'hashish. Ma, a parte il valore fittizio di tale  "medieta'"  (e'
 noto che il tenore di T.H.C. subisce ampie variazioni in relazione al
 luogo  di  coltivazione,  all'epoca  del raccolto, ai tempi e modi di
 conservazione, ecc.), la nota nulla dice sul perche' si  e'  ritenuto
 di  determinare  in  50  mg  di T.H.C (gr 2,5 al 2% e gr 0,5 al 10%),
 equivalente  a  2-3  "spinelli",  la  "dose  media  giornaliera"  dei
 prodotti della cannabis.
    A spiegare le ragioni di tanto rigore - che peraltro contrasta con
 l'intento  legislativo,  dichiarato  nella citata relazione al senato
 (p.  13),  di  adottare  per  le  droghe  leggere  "un  minor  rigore
 sanzionatorio nei confronti di chi fa occasionalmente uso di sostanze
 stupefacenti  che,  di  regola,  non  inducono  a dipendenza fisica e
 psichica" - e'  ancora  una  volta  la  citata  nota  2  luglio  1990
 dell'I.S.S.,  dove  si legge (p. 7): "trattasi di prodotti utilizzati
 prevalentemente  da  gruppi  giovanili  si  e'   ritenuto   opportuno
 privilegiare il significato preventivo della normativa, con l'intento
 di  disincentivare  anche  l'uso sporatico e le prime assunzioni". La
 commissione dei  docenti  assume  da  parte  sua  (p.  5)  di  essere
 pervenuta  alla  determinazione  della  "dose  media  giornaliera"  -
 proposta in 30 mg di T.H.C.,  "corrispondente  al  contenuto  di  1-2
 sigarette"  - con procedimento analogo a quello seguito per l'eroina,
 cioe' sulla base dei  "dati  epidemiologici",  che  pero'  non  hanno
 lasciato  traccia  nel  d.m.  n.  186, se e' vero che ad essi le note
 esplicative,  per  i  prodotti  della  cannabis,  non   fanno   alcun
 riferimento  (la  nota  n.  1,  relativa  ai  "dati  epidemiologici",
 riguarda solo gli oppiacei e la cocaina).
    Anche qui, la querelle (a parti invertite) si spiega con il  fatto
 che,  come  per  la  cocaina,  anche  per  la  cannabis  le  fonti di
 rilevazione  (SAT  e  sequestri  di  polizia)  sono  poco  eloquenti,
 giacche'  nessun fumatore di canapa si e' mai rivolto ai SAT, dei cui
 servizi, specie se considerati nella loro concreta  realta',  non  ha
 alcun  bisogno;  e d'altra parte, i prodotti della cannabis raramente
 si rinvengono sul mercato (esposti  al  seguestro)  nelle  confezioni
 pronte  per  il  consumo  ("canne", "spinelli"). Ma, a prescindere da
 tali considerazioni tratte dalla  realta',  appare  per  tabulas  che
 anche   la   dmg  del  T.H.C.  e'  stata  determinata  dall'autorita'
 amministrativa contra legem.
    In proposito il Consiglio di Stato,  dopo  aver  rilevato  in  via
 generale,  come  si  e'  ricordato,  la  non  conformita' a legge dei
 criteri ispirati a finalita' preventive,  osserva  (p.d.  del  citato
 parere): "per quanto concerne specificamente la tabella II (cannabis,
 marijana,  hashish),  in  relazione  alla quale il parere dell'I.S.S.
 espressamente indica di avere utilizzato il criterio della  finalita'
 della   disincentivazione,   poiche'   la  quantita'  proposta  dalla
 commissione (30 mg T.H.C) e' inferiore a quella indicata  nel  parere
 obbligatorio  (50 mg T.H.C.), e' necessaria una nuova valutazione che
 prescinda  dal  criterio  finalistico  e  che  per  l'effetto  potra'
 condurre  ad  un  aumento  o  anche  ad  una conferma della quantita'
 indicata in decreto". Tale rivalutazione, a quanto risulta, non vi e'
 poi stata. Ma non sembra che occorra spendere parola per rilevare  la
 patente illegittimita' di una determinazione di natura amministrativa
 dichiaratamente ispirata non gia' a criteri tecnici, ma a valutazioni
 di  politica  criminale  che  spetta al legislatore (nei limiti della
 legalita' costituzionale), e non  gia'  alla  p.a.,  di  tradurre  in
 diritto positivo.
    La violazione dei profili formali dell'atto amministrativo, appare
 tanto  piu' grave se si considera che il maggior rigore che ne deriva
 alla configurazione della fattispecie  criminosa,  va  a  colpire  un
 comportamento  che, come s'e' visto e come dimostra l'esperienza, non
 crea  alcun  problema  ne'  medico  ne'  famigliare,   ne'   sociale,
 all'infuori    di    quello    della   sua   criminalizzazione.   Una
 criminalizazione che rischia di diventare di massa per i fumatori  di
 cannabis (valutati, come s'e' visto, nell'ordine di qualche milione),
 se e' vero che sul mercato al minuto dei prodotti della cannabis, ben
 difficilmente   e'   possibile   acquistare  soltanto  una  quantita'
 equivalente alla "dose media giornaliera", che  non  e'  praticamente
 commerciata a causa del suo basso costo (circa 10 mila lire) e quindi
 del suo irrisorio profitto per lo spacciatore.
    Sotto  questo profilo la scelta rigorista, se raffrontata a quella
 riguardante l'eroina,  diventa  ancora  pi,u  irragionevole,  ove  si
 consideri  che  spesso  proprio  il  valore economico distingue nella
 realta'  il  consumatore  dallo  spacciatore,   cioe',   secondo   la
 irrealizzata  volonta'  soggettiva  del  legislatore,  la  detenzione
 lecita (quella che non consente profitti mediante lo  spaccio)  dalla
 detenzione illecita (quella che li consente).
    Non  appare infine secondario considerare che la criminalizzazione
 in termini cosi' estesi e rigorosi della  detenzione  di  cannabis  a
 fine  di  consumo,  o  dello stesso consumo, appare ancora piu' grave
 perche'  ai  fumatori  di  cannabis  non  sara'  mai  applicabile  la
 sospensione  prevista  dall'art.  82-  bis (art. 90 del t.u.) per "le
 pene detentive commitate" (recte: irrogate)  "per  i  reati  previsti
 dall'art.  71  quinto  comma". La sospensione infatti e' condizionata
 all'attuazione di un "programma terapeutico e socioriabilitativo" che
 presuppone una tossicodipendenza nella specie con ipotizzabile,  come
 mostra di rendersi conto lo stesso legislatore.
    Con particolare riferimento al caso di specie, osserva il collegio
 che   il   Martignetti   e'   stato  trovato  in  possesso  -  mentre
 chiacchierava in macchina con una coppia  di  amici  (gli  agenti  di
 polizia  hanno  dichiarato che aveva destato in loro sospetti appunto
 la presenza di tre persone ferme in macchina in una  zona  di  solito
 frequentata da "coppiette") - di una boccetta farmaceutica contenente
 (come  dichiarato  a dibattimento dal consulente tecnico del p.m.) un
 miscuglio con cocaina cloridrato al  25%,  per  complessivi  389  mg,
 equivalenti  a circa 2.5 dosi medie giornaliere e ad altrettante dosi
 medie  singole  (il  predetto  c.t.  ha  esplicitamente  precisato  a
 dibattimento  che  "la  singola  dose d'uso a suo tempo era pari a mg
 150, che adesso e' stata fissata come dose giornaliera"). Il contesto
 oggettivo e soggettivo (l'imputato e' di media condizione  economico-
 sociale)  depone per una effettiva destinazione della cocaina all'uso
 personale.  E  tuttavia  il  Martignetti  dovrebbe  essere   ritenuto
 colpevole  del  reato  di cui all'art. 71, atteso che la quantita' di
 cui e' stato trovato in possesso supera la dmg fissata dalla p.a.  La
 rilevanza della questione di legittimita' costituzionale rimessa alla
 decisione  della  Corte  e' pertanto del tutto evidente, sia sotto il
 profilo (art. 3) della parita' di trattamento di situazioni disuguali
 (consumo/spaccio), che della disparita' di trattamento di  situazioni
 analoghe  (destinazione ad uso personale della eroina fino a 3-4 dosi
 singole),  sia  sotto  quello  della  violazione  del  principio   di
 offensivita'  (nullum  crimen  sine  danno)  e della riserva di legge
 (nullum crimen sine lege) in ordine alle fattispecie penali (art.  25
 della Costuzione).
    Sotto  quest'ultimo  profilo,  il collegio dubita che la questione
 possa essere risolta con  la  mera  disapplicazione  dell'illegittimo
 provvedimento  amministrativo  della  p.a.  (il  d.m.  n.  186)  e la
 determinazione  della  dmg,  in  base  ai  criteri  di  cui  all'art.
 72-quater,da  parte dello stesso collegio. Tali criteri, infatti, per
 quanto muniti della forza cogente della legge, non sono in  grado  di
 dare  consistenza reale ad una entita' in realta' indeterminabile (la
 "dose media giornaliera"). E pertanto, alla  illegittima,  ma  certa,
 determinazione   di   carattere  normativo  di  tale  elemento  della
 fattispecie da parte della p.a.,  si  sostituirebbe  una  altrettanto
 illegittima, perche' del tutto discrezionale, determinazione da parte
 del giudice, al cui potere (e non a quello della legge) finirebbe con
 il  risalire  la  configurazione,  caso  per  caso, della fattispecie
 punibile,  che  perderebbe  i   suoi   caratteri   di   tipicita'   e
 determinatezza.  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  per
 violazione  della  riserva  di  legge  stabilita  nell'art.  25,   si
 riaprirebbe, quindi, sotto il profilo della assoluta indeterminatezza
 della  figura  di  reato  prevista  nel  coordinamento disposto degli
 articoli 71, 72 e 72-quater. E si ricadrebbe  in  una  situazione  di
 incertezza  piu'  grave  di  quella  lamentata, sotto il vigore della
 legge 685/1975, in relazione alla "modica quantita'", che secondo  il
 giudizio  del  nuovo legislatore (v. sul punto la citata relazione al
 Senato, pp. 8 e 11  nonche'  l'intervento  del  sen.  Casoli  dell'11
 giugno  1990,  p.  7  del  res.  sten.),  aveva  costituito  la causa
 determinante del fallimento dell'intervento giudiziario sul  problema
 droga.
    Per  le  stesse  ragioni,  a  ricondurre  il  denunciato complesso
 normativo  nell'ambito   della   legittimita'   costituzionale,   non
 basterebbe  neppure  la  dichiarazione  di  illegittimita'  dell'art.
 72-quater nei limiti  in  cui  alla  p.a.,  senza  determinazione  di
 criteri,  la  quantificazione  della  "dose  media  giornaliera".  Il
 risultato  sarebbe,  infatti,  pur   sempre   la   rimessione   della
 determinazione  di un elemento normativo della fattispecie alla piena
 discrezionalita' del giudice, che quindi sarebbe investito  non  solo
 di  poteri di accertamento del fatto, ma anche di un improprio potere
 costitutivo della fattispecie medesima.
    La verita' e' che il  discrimine  tra  consumo  (non  punibile)  e
 spaccio  (punibile)  non puo' essere efficacemente determinato, senza
 violare la Costituzione, ne' in base alla finzione della dmg, ne'  in
 base  ad  altro  criterio  quantitativo.  Il  discrimine basato sulla
 quantita', infatti, non esce da questa alternativa: se e' fissato con
 criteri di larghezza, si rivela inutile, perche' si presta ad  essere
 utilizzato  come  copertura per l'attivita' di spaccio; se e' fissato
 invece con criteri di rigore, coinvolge  inevitabilmente  il  consumo
 nella  sanzione  penale,  con violazione dei principi costituzionali.
 L'unico modo di  ricondurre  la  materia  de  qua  nell'ambito  della
 legalita'  costituzionale e', dunque, quello di fondere il discrimine
 tra il punibile (lo spaccio) e il non punibile (il  consumo)  non  su
 arbitrarie  o  inutili  equazioni  tra  quantita' e spaccio, ma sulla
 realta', da accertarsi secondo  i  criteri  propri  dell'accertamento
 giudiziario,  nell'ambito  del  quale  la quantita' di droga detenuta
 potrebbe  costituire,  nel  concreto  contesto  del  fatto, uno degli
 elementi di prova. La previsione normativa di cui si denuncia in  via
 principale  l'incostituzionalita',  e'  pertanto  quella che fonda il
 discrimine  del  penalmente  rilevante  non  sul  tipo  di   condotta
 (destinazione  allo  spaccio  o  al  consumo),  ma  sulla "dose media
 giornaliera".  Tecnicamente   il   complesso   normativo   denunciato
 (articoli  71, 72 e 72-quater) potrebbe ricondursi a conformita' alla
 Costituzione, mediante l'eliminazione  dell'art.  72  del'inciso  "in
 dose  superiore  a  quella  media giornaliera, determinata in base ai
 criteri indicati  al  primo  comma  dell'art.  72-quater".  Quel  che
 occorre,  in  ogni caso, e' ripristinare il rispetto del principio di
 eguaglianza (che non consente di riservare al consumo  giudizialmente
 accertato   lo   stesso  trattamento  riservato  allo  spaccio),  del
 principio di necessaria offensivita'  (che  vieta  la  punizione  dei
 fatti  contro  se  stessi  o privi di concreta pericolosita' per beni
 altrui) e del principio di legalita' dei comportamenti  punibili  (la
 cui  determinatezza  non  puo'  essere  sostituita  da  una  certezza
 illegalmente determinata).
    Certo, venendo a mancare  l'ausilio  probatorio  costituito  dalla
 (arbitraria)  presunzione  di  spaccio  connessa alla eccedenza dalla
 dmg, la gia' infima percentuale di  piccoli  spacciatori  attualmente
 perseguiti  diminuirebbe  ulteriormente.  Ma  non  puo'  considerarsi
 secondario  il  fatto  che  ne  guadagnerebbe  per  converso  la  non
 punibilita' di altrettanti soggetti che - secondo l'opinione (sia pur
 normativamente  mal  tradotta)  del legislatore ordinario, secondo il
 comune sentire di quanti riflettono sul problema droga e, per  quanto
 qui  decisivamente  rileva, secondo la Costituzione - non meritano la
 sanzione penale.
    Del resto - se e' consentita in questa  sede  una  riflessione  di
 politica  criminale  -  la  flessione  della  repressione  penale del
 piccolo spaccio non muterebbe i termini generali del  contributo  che
 l'intervento  giudiziario  puo'  dare  alla  risoluzione del problema
 droga. Gia' oggi, infatti, nonostante il  supporto  probatorio  della
 dmg, l'area di impunita' del piccolo spaccio e' vastissima e, d'altra
 parte,  sulla  ben piu' grave manifestazione criminale costituita dal
 grande traffico, l'incidenza della repressione penale  e',  a  fronte
 della imponenza del fenomeno, poco piu' che simbolica.
    Il  fatto e' che la risoluzione di simili problemi non puo' essere
 affidata in via esclusiva (come accade oggi nella concreta  realta'),
 al   processo   penale,   giacche'   esso,  per  sua  natura  -  come
 autorevolmente osserva  il  Consiglio  superiore  della  magistratura
 (Relazione  al  Parlamento sullo stato della giustizia, 1986-1990, in
 quaderni del C.S.M. giugno 1990, p. 45), puo' e deve perseguire  "non
 gia'   il   fenomeno   criminale,  bensi'  i  concreti  comportamenti
 criminosi"". Il che "pone in luce i  limiti  del  contributo  che  la
 giurisdizione  penale  puo' fornire alla risoluzione dei problemi che
 hanno radici profonde e diffuse nella struttura della societa'".
                               P. Q. M.
     Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 71, 72 e 72-quater della legge 22 dicembre
 1975, n. 285, siccome modificata dalla legge 26 giugno  1990  n.  162
 (artt.  73,  75  e  78 del t.u. 9 ottobre 1990, n. 309), in relazione
 agli artt. 3 e 25 della Costituzione;
    Sospende  il giudizio in corso e ordina trasmettersi gli atti alla
 Corte costituzionale;
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
                        Il presidente: SARACENI

 91C0326