N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 aprile 1990

                                N. 209
 Ordinanza  emessa  il  27  aprile  1990 dalla Corte di cassazione sul
 ricorso proposto da Pieri Franco contro l'Ente Ferrovie dello Stato
 Impiego pubblico  -  Dipendenti  dell'Ente  Ferrovie  dello  Stato  -
 Destituzione  automatica a seguito di condanna passata in giudicato -
 Omessa previsione  del  procedimento  disciplinare  -  Ingiustificata
 disparita' di trattamento rispetto ai pubblici dipendenti.
 (Legge 26 marzo 1958, n. 425, art. 119).
 (Cost., art. 3).
(GU n.14 del 3-4-1991 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza su ricorso proposto da Pieri
 Franco, elettivamente domiciliato in Roma viale Mazzini,  25,  presso
 l'avv.  Luciano  Ventura che unitamente agli avv.ti Desiderio Cavalca
 ed A. Gracci lo rappresenta  e  difende  giusta  procura  speciale  a
 margine  del  ricorso, ricorrente contro l'Ente Ferrovie dello Stato,
 in  persona  del  legale  rappresentante  pro-tempore   elettivamente
 domiciliato  in  Roma,  via  dei  Portoghesi, 12, presso l'avvocatura
 generale  dello  Stato  che  lo  rappresenta  e  difende  ope  legis,
 controricorrente.
    Per l'annullamento della sentenza del tribunale di Firenze in data
 23 gennaio 1989, dep. il 14 febraio 1989 (r.g. n. 399/1988);
    Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 27 aprile 1990, la
 relazione della causa svolta dal consigliere relatore dott. Vaccaro;
    Uditi gli avv.ti Ventura, Gracchi e Sabelli;
    Udito  il  p.m.  nella persona del sost. proc. gen. dott. Giovanni
 Gazzara che ha concluso; sollevata la questione di  costituzionalita'
 rispetto all'art. 119 della legge n. 425/1958.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Il  pretore  di  Firenze  rigettava  il ricorso con il quale Pieri
 Franco  chiedeva   dichiararsi   illegittimo   il   provedimento   di
 sospensione  dal servizio disposto dall'azienda FF.SS. il 1› febbraio
 1982 in seguito alla carcerazione per delitti contro la  personalita'
 dello  Stato; in accoglimento di un successivo ricorso dichiarava poi
 illegittima la destituzione disposta in  applicazione  dell'art.  119
 della  legge  n.  425/1958  essendo  passata in giudicato, in data 23
 ottobre 1987, la condanna a due anni e nove mesi di reclusione per  i
 reati di associazione sovversiva e di partecipazione a banda armata.
    Il  Tribunale  di Firenze rigettava l'appello del Pieri avverso la
 decisione del primo giudice circa il provvedimento di sospensione  ed
 in  accoglimento dell'appello incidentale dell'Ente FF.SS. dichiarava
 legittimo il provvedimento di destituazione adottato in  forza  dalla
 norma  citata  osservando  in  proposito  che  non era applicabile il
 c.c.n.l.  5  febbraio  1988  che   ha   abrogato   l'istituto   della
 destituzione,  non rilevando che la delibera fosse adottata dall'Ente
 in dta 1› aprile 1988, costituente  la  stessa,  come  la  successiva
 comunicazione   dal   giorno   venti,  solo  atto  ricognitivo  della
 situazione di risoluzione  di  diritto,  correlata  al  passaggio  in
 giudicato della condanna (23 ottobre 1987).
    La   sospensione  dal  servizio,  ad  avviso  del  tribunale,  era
 legittima ex art. 146 primo comma, della legge n. 425/1958.
    Avverso  la  decisione  Pieri  Franco  ha  proposto  ricorso   per
 Cassazione.
    Resiste l'Ente Ferrovie dello Stato con controricorso.
    L'Ente ha presentato memoria e il Pieri note d'udienza.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    Il ricorrente denunzia:
    1.  -  Violazione  degli  artt.  1,  14  e 21 legge n. 210/1985 in
 relazione agli artt. 2093, 2106, 2110  e  2119  del  c.c.,  legge  n.
 300/1970  e  604/1966  e  deduce  che  erroneamente  il  tribunale ha
 ritenuto  ancora  sussistente  il  potere  dell'Ente  di   destituire
 d'ufficio  il  dipendente  che  si sia reso colpevole di partricolari
 delitti,  nonostante  che  la  norma  dalla   quale   l'istituto   e'
 disciplinato sia stata abrogata dagli artt. 1, 14 e 21 della legge n.
 210/1985  in  forza  delle quali, in fase di prima applicazione della
 legge, non puo' essere stabilita una disciplina  meno  favorevole  di
 quella  precedente in tema di cessazione del rapporto di lavoro (art.
 21) e, nel contempo, le precedenti  disposizioni  debbono  intendersi
 ancora  in  vigore  solo  se  non  contrastanti  con  le disposizioni
 inderogabili del codice civile e della stessa legge in discussione.
    Lamenta inoltre come il tribunale  non  abbia  tenuto  conto  che,
 agendo   l'ente  a  titolo  d'impresa  (v.  Corte  costituzionale  n.
 268/1987), il rapporto di  lavoro  deve  intendersi  svolto  su  basi
 paritetiche,   con   esclusione   di  "connotazioni  utoritativamente
 discrezionali";
    2. - Violazione degli  artt.  1334,  2118  e  2119  del  c.c.;  in
 relazione alle leggi nn. 604/1966 e 300/1970 sul rilievo che la norma
 sulla   destituzione   d'ufficio   avrebbe   dovuto  essere  ritenuta
 incompatibile con la necessita' delle garanzie procedimentali vigenti
 e con la necessita' di comunicare il  licenziamento  con  effetto  da
 questo momento;
    3.  -  Violazione  dell'art.  1334 del c.c. per avere il tribunale
 ritenuto legittima la destituzione nonostante  che  la  comunicazione
 del provvedimento sia stata effettuata in data successiva all'entrata
 in  vigore  del  recente  contratto  collettivo; e per avere, al fine
 suddetto, ritenuto che  la  stessa  nonche'  la  precedente  delibera
 costituissero  atti  ricognitivi  di una situazione di risoluzione di
 diritto;
    4. - Violazione della norma di cui all'art.  62  del  c.c.n.l.  23
 gennaio  1988  in  forza  della  quale la risoluzione del rapporto e'
 prevista soltanto come provvedimento disciplinare e, per di piu', non
 per i reati di tipo associativo quali quelli  di  cui  alla  condanna
 penale  che  qui  interessa,  ove  commessi  fuori  dal  servizio;  e
 violazione  altresi'  degli  artt.  68 e 69 del suddetto contratto in
 odine alla ritenuta legittimita' della sospensione d'ufficio prevista
 per ipotesi diverse.
    Ritiene la  Corte  che  il  ricorso  non  sia  fondato,  giacche',
 contrariamente  all'assunto  del ricorrente, la norma di cui all'art.
 119 legge n. 425 del 1958 non puo' dirsi  abrogata  dalla  successiva
 legge n. 210 del 1985. All'uopo ritiene il collegio di dover ribadire
 quanto  gia' affermato in precedenti giudicati (2050/1989 ed altri in
 corso di pubblicazione), dei quali condivide gli argomenti, stante la
 loro aderenza alla lettera e dalla ratio della  norma.  Infatti,  con
 riguardo all'art. 14, dove e' stabilito che "le disposizioni di legge
 e  di  regolamento  vigenti  all'entrata  in  vigore della legge. . .
 restano in  vigore  fino  all'adozione  dei  regolamenti  di  cui  ai
 successivi  terzo  e quarto comma" sotto la condizione che essi siano
 "compatibili" con la disciplina dettata dalla stessa legge o da norme
 non derogabili del codice civile o della C.E.E., e' agevole  rilevare
 che  l'ambito  di  applicazione  non  concerne  il rapporto di lavoro
 bensi' il diverso  campo  dell'"organizzazione",  come  da  esplicita
 espressione testuale.
    In  essa  a  ragione  e' stato ritenuto (decisione citata) doversi
 comprendere, in forza  dell'art.  20,  a  struttura  dell'ente  e  la
 ripartizione   in   funzioni   e   competenze,  ossia  la  necessaria
 articolazione, nonche' quanto specificato con i nn. 2,  3  e  4,  del
 quale  ultimo va sottolineato che per l'unica volta viene richiamata,
 ma solo con riferimento  alle  "relazioni  sindacali",  la  legge  20
 maggio  1970, n. 300. Per di piu' sembra chiaro, coordinando il primo
 comma con il  terzo  comma  dell'art.  14,  che  proprio  a  siffatta
 struttura  si  riferiscono  i  "regolamenti"  in  discussione, il cui
 oggetto puntualmente specificato dai nn. 1-5 del quarto  comma  esula
 dalla  materia  che  concerne  la  costituzione  e la risoluzione del
 rapporto di lavoro. A questo dovra' invece provvedersi (art.  21)  su
 bse   contrattuale  collettiva  ed  individuale,  la  cui  competenza
 esclusiva in materia e' evidenziata dal divieto di  deroga  da  parte
 dei regolamenti (art. 14, quarto comma).
    In merito alla norma suddetta va ancora ripetuto che con il scondo
 comma e' stato strabilito - diversamente dalla regola di cui all'art.
 14  - che le modifiche al regime vigente di costituzione e cessazione
 del raporto di lavoro, nonche'  alla  materia  della  responsabilita'
 civile  e  disciplianre,  non  possono  contenere una disciplina meno
 favorevole ai lavoratori di quella vigente all'atto  dell'entrata  in
 vigore  della  stessa  legge,  con  conseguente  applicabilita' degli
 ordinari principi  relativi  alla  efficacia  temporale  delle  norme
 giuridiche:  il  che  comporta  la  perdurante  vigenza  delle  norme
 esistenti al momento  della  entrata  in  vigore  della  legge  e  la
 graduale trasformazione nel tempo del rapporto.
    Discende  da  quanto  sopra  detto  la  non condivisibilita' delle
 censure  contenute  nel  ricorso,  e  l'adesione  del  collegio  alla
 decisione   impugnata  circa  la  legittimita'  del  provvdimento  di
 destituzione, con il quale - per effetto della irrevocabile decisione
 di condanna 23 ottobre 1987 - fu colpito il Pieri prima  dell'entrata
 in  vigore  del  contratto  collettivo  (1› gennaio 1983), e altresi'
 circa l'irrilevanza delle circostanze che la delibera di destituzione
 fu adottata il 1› aprile 1988 e comunicata il 20 successivo,  essendo
 entrambi atti dichiarativi di una risoluzione di diritto del rapporto
 verificatasi il 23 ottobre 1987 ed adottati doverosamente senza alcun
 margine di discrezionalita'.
    Ma  la infondatezza delle censure prospettate dal ricorrente rende
 all'evidenza rilevante il sospetto che l'art. 119 della legge n.  425
 del 1958 violi la norma di cui all'art. 3 della Costituzione in punto
 di destituzione di diritto non preceduta da procedimento disciplinare
 si'  da  determinare  l'applicazione  della  sanzione  con un sistema
 rigido che contrasta col principio generale della  graduazione  della
 sanzione alla gravita' del fatto reato.
   Ritiene  il  collegio  di  non  doversi inutilmente dilungare nella
 indicazione degli  argomenti  di  sostegno,  sui  quali  sovrasta  la
 considerazione  che  "l'indispensabile gradualita' sanzionatoria, ivi
 compresa la misura massima destitutoria, importa che  le  valutazioni
 relative siano ricondotte, ognora, alla naturale sede di valutazione:
 il  procedimento  disciplinare, in difetto di che ogni relativa norma
 risulta  incoerente,  per  i  suo  automatismo,  e   conseguentemente
 irrazionale  ex  art.  3 della Costituzione" (Corte costituzionale n.
 971 del 12-14 ottobre 1988).
    Aggiungasi che esiste ora, in seguito alla citata  decisione,  una
 irrazionale  distinzione  con effetti discriminatori per i dipendenti
 delle  Ferrovie  dello  Stato,  nella  vigenza  della  norma  che  si
 denunzia,  nei  confronti  dei  pubblici dipendenti: nel rapporto dei
 primi - pur permeato solo in parte da impronta pubblicistica -  viene
 esclusa  la  garanzia  procedimentale  proprio nella fase delicata di
 esso che si riferisce alla prosecuzione o non dello stesso rapporto.
    La vasta serie di disposizioni  incise  dalla  suddetta  decisione
 (artt.  236  del c.c.p. 29 ottobre 1955, n. 6, e 85, lett. a), d.P.R.
 10 gennaio 1957, n. 3, art. 247 t.u.  3  marzo  1934,  n.  383,  come
 modificato  dalla  legge  27  giugno 1942, n. 851; art. 66, lett. a),
 d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229; art. 1,  secondo  comma,  legge  13
 maggio  1975,  n.  157; art. 57, lett. a) d.P.R. 20 dicembre 1979, n.
 761; art. 8, lett.  a),  d.P.R.  25  ottobre  1981,  n.  737)  sta  a
 dimostrare  la  tendenza  ad armonizzare il sistema sanzionatorio nei
 rapoorti di natura pubblicistica, per cui non sembra razionale che un
 sistema piu' rigido permanga a danno di coloro  il  cui  rapporto  di
 lavoro partecipa solo in parte alla nutura pubblicistica.
    Pertanto   appare   rilente  e  non  manifestamente  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con l'art.  3
 della  Costituzione,  della  norma di cui all'art. 119 della legge 26
 marzo 1958, n. 425, nella parte in cui  non  prevede,  in  luogo  del
 provvedimento  della  destituzione  di  diritto,  lo  svolgimento del
 procedimento disciplinare.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  la  Corte
 dichiara  rilevante  e  non  manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 119 della legge 26 marzo  1958,
 n. 425, in relazione all'art. 3 della Costituzione;
    Ordina  sospendersi il giudizio e trasmettersi gli atti alla Corte
 costituzionale;
    Manda alla cancelleria di notificare la  presente  ordinanza  alle
 parti  al  Proc.  Gen.  c/o  la  suprema  Corte  di  cassazione ed al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e di comunicarla ai  Presidenti
 del Senato e della Camera dei deputati.
      Roma, addi' 27 aprile 1990
                  Il presidente: (firma illeggibile)

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