N. 145 SENTENZA 20 marzo - 5 aprile 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Nuovo  codice - Richiesta di rinvio a giudizio -
 Presunto non obbligo del p.m. di trasmettere al giudice  dell'udienza
 preliminare  l'intera  documentazione relativa agli atti compiuti nel
 corso delle indagini preliminari - Inammissibile interpretazione  nel
 senso   di  un  potere  discrezionale  del  p.m.  in  materia  -  Non
 fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 416, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 24, 101 e 102)
(GU n.15 del 10-4-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, avv. Ugo
 SPAGNOLI,  prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,
 prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.    Luigi  MENGONI,
 prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA; prof.  Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 416, comma
 secondo, del codice di procedura penale (d.P.R. 22 settembre 1988, n.
 447), promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre  1990  dal  Giudice
 per  le  indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di Bergamo nel
 procedimento penale a carico di Giovanni Linzola iscritta al  n.  727
 del  registro  ordinanze  1990  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 49 prima serie speciale dell'anno 1990;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  pubblico  ministero  presso  il  Tribunale  di  Bergamo
 chiedeva,  in  data  13 giugno 1990, il rinvio a giudizio di Giovanni
 Linzola e Giovanni Paolo Codazzi, imputati del reato di detenzione di
 sostanze stupefacenti. Successivamente, il giudice  per  le  indagini
 preliminari  segnalava al p.m. la mancanza nel fascicolo trasmesso di
 alcuni atti processuali (fra i quali quelli relativi  ad  un  ricorso
 per  Cassazione avanzato dallo stesso p.m.) e restituiva il fascicolo
 medesimo al p.m. sollecitandone l'integrazione.  Questi  con  propria
 missiva  del  5  luglio  1990  respingeva la richiesta sostenendo che
 l'elencazione degli atti da inserire nel fascicolo a cura del p.m. e'
 dettagliatamente prevista dall'art. 416, secondo comma, c.p.p. e  che
 essa non contiene l'obbligo di trasmettere al giudice per le indagini
 preliminari  l'intero  fascicolo  processuale.  Il  p.m.  motivava il
 diniego richiamandosi anche al ruolo che il giudice per  le  indagini
 preliminari  dovrebbe svolgere nell'udienza preliminare: poiche' tale
 ruolo  dovrebbe  ritenersi  limitato  ad un "giudizio di rito", cioe'
 alla valutazione  del  corretto  esercizio  dell'azione  penale,  non
 sarebbe  necessaria  da parte di tale giudice la cognizione piena del
 processo.
    Nel  corso  dell'udienza  preliminare,   le   parti   richiedevano
 l'applicazione  della  pena  ai  sensi  dell'art.  444  c.p.p., ma il
 giudice per le indagini preliminari,  con  ordinanza  emanata  il  15
 ottobre   1990   (r.o.   n.   727/90),   ha  sollevato  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 416, secondo comma, c.p.p.  in  relazione
 agli artt. 24, 101 e 102 della Costituzione.
    Secondo  tale  ordinanza la norma impugnata - nell'interpretazione
 seguita dal p.m., a  cui  lo  stesso  giudice  a  quo  dichiarava  di
 adeguarsi  -  sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  24 Cost. in quanto
 consentirebbe al p.m. di sottrarre taluni atti al contraddittorio con
 la difesa, violando cosi' il diritto dell'imputato a conoscere  tutti
 gli  elementi  a  proprio  carico e discarico, emersi nel corso delle
 indagini preliminari. Nonostante che la mancata  trasmissione  di  un
 atto  comporti  la  sua  inutilizzabilita'  nelle successive fasi del
 giudizio,  l'imputato  non  sarebbe,  comunque,  posto  in  grado  di
 conoscere   eventuali   elementi   contrastanti   con   l'accusa,  da
 utilizzare, nel corso dell'udienza preliminare, anche ai  fini  della
 scelta di riti alternativi.
    La  norma  impugnata violerebbe altresi' gli artt. 101 e 102 Cost.
 poiche' il potere del p.m. di negare la trasmissione di  alcuni  atti
 processuali   limiterebbe   la   cognizione   del   giudice  in  modo
 incompatibile con le attribuzioni proprie dell'organo giudicante, dal
 momento che lo stesso  giudice  si  troverebbe  nelle  condizioni  di
 assumere  delle  decisioni  (ad  es.  sul  rinvio  a  giudizio, sulla
 liberta' personale, sui riti alternativi), senza la certezza di  aver
 valutato  tutto  il  materiale  raccolto,  eventualmente  utile  alla
 questione stessa.
    2. - Nel giudizio ha  spiegato  intervento  l'Avvocatura  generale
 dello  Stato,  in  rappresentanza  del  Presidente  del Consiglio dei
 ministri, concludendo per l'infondatezza della questione.
    Secondo la difesa dello Stato, la  questione  in  esame  trarrebbe
 origine  da una interpretazione errata della norma impugnata. Invero,
 sia dal combinato disposto degli artt. 416, secondo comma,  c.p.p.  e
 130,  disp.  att.  c.p.p.,  sia  dai  lavori  preparatori emergerebbe
 chiaramente che il p.m. risulta tenuto  alla  trasmissione  integrale
 del  fascicolo  delle  indagini  con la sola eccezione degli atti che
 concernano imputati diversi o imputazioni diverse da quella  per  cui
 viene esercitata l'azione penale.
    L'intento  del legislatore di rendere chiara la doverosita' di una
 "discovery" integrale fin dall'udienza preliminare - sempre ad avviso
 dell'Avvocatura -  risulterebbe  palese  sia  dall'espressione  usata
 nell'art.  416, secondo comma, c.p.p., ("documentazione relativa alle
 indagini  espletate"),  sia   dalla   indicazione   specifica   della
 pertinenza al fascicolo di atti che precedono l'attivita' di indagine
 (es.  "notizie  di  reato")  o  che  non  si riferiscono direttamente
 all'attivita'  investigativa  del  p.m.  (es.  "verbali  degli   atti
 compiuti  davanti  al giudice per le indagini preliminari"). Pertanto
 la sottrazione di atti dal fascicolo da trasmettere al giudice per le
 indagini preliminari da parte del p.m., salvo i  casi  specificamente
 previsti  nell'art.  130  disp. att. c.p.p., sarebbe un comportamento
 illegittimo,  idoneo  a  determinare  una nullita' ex art. 178, primo
 comma, lett. c) del c.p.p.
                         Considerato in diritto
    1. - La questione di costituzionalita'  in  esame  investe  l'art.
 416,  secondo  comma,  del  codice  di  procedura  penale  (d.P.R. 22
 settembre 1988, n. 447), dove si dispone  che  con  la  richiesta  di
 rinvio  a  giudizio il pubblico ministero trasmette al giudice per le
 indagini preliminari "il fascicolo contenente la notizia  del  reato,
 la documentazione relativa alle indagini espletate ed i verbali degli
 atti  compiuti  davanti  al  giudice  per le indagini preliminari. Il
 corpo del reato e le  cose  pertinenti  il  reato  sono  allegati  al
 fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove".
    Ad  avviso  del giudice remittente, la disposizione in questione -
 ove risulti interpretata nel senso che dalla stessa non  discende  un
 obbligo  per  il  p.m.  di  mettere a disposizione del giudice per le
 indagini  preliminari,  ai  fini   dello   svolgimento   dell'udienza
 preliminare,  l'intero  fascicolo  processuale  -  dovrebbe ritenersi
 incostituzionale per violazione: a) dell'art.  24  Cost.,  in  quanto
 consentirebbe   al   p.m.   di   sottrarre  al  contraddittorio  atti
 utilizzabili dalla difesa anche ai  fini  della  scelta  di  un  rito
 alternativo;  b)  degli  artt. 101 e 102 Cost., in quanto limiterebbe
 indebitamente  le  attribuzioni  spettanti   all'organo   giudicante,
 costringendo  il  giudice  dell'udienza  preliminare  ad  assumere le
 proprie determinazioni senza la certezza della conoscenza di tutto il
 materiale raccolto, utile ai fini della decisione.
    2. - La questione non e' fondata.
    Ad  avviso  del  giudice  remittente  la   norma   impugnata   non
 determinerebbe  a carico del p.m. l'obbligo di trasmettere al giudice
 dell'udienza preliminare l'intera documentazione relativa  agli  atti
 compiuti  nel  corso  delle  indagini  preliminari,  consentendo allo
 stesso p.m. un potere di scelta degli atti da trasmettere ai fini del
 sostegno della domanda di rinvio a giudizio.
    Questa interpretazione non puo' essere accolta, dal momento che la
 norma impugnata  -  nel  fare  riferimento  sia,  in  generale,  alla
 "documentazione   relativa   alle   indagini   espletate"   sia,   in
 particolare, a taluni atti (quali quelli relativi  alla  notizia  del
 reato ed ai verbali raccolti dal giudice per le indagini preliminari)
 -  pone  a  carico  del  p.m.  l'obbligo  di  trasmettere  al giudice
 dell'udienza preliminare tutti gli  atti  attraverso  cui  l'indagine
 preliminare  si e' sviluppata e che concorrono a formare il fascicolo
 processuale nella sua interezza.
    A dare fondamento a tale lettura della norma concorrono - oltre ai
 lavori preparatori, dove il contenuto del  fascicolo  da  trasmettere
 con  la richiesta di rinvio a giudizio viene indicato con riferimento
 all'"intera  documentazione  degli  atti   compiuti   dalla   polizia
 giudiziaria  e  dal  pubblico  ministero" (cfr. Relazione al progetto
 preliminare, pag.  226,  sub  art.  413)  -  numerosi  e  convergenti
 elementi  di  ordine sistematico, da cui e' possibile desumere che la
 scelta operata su questo punto dal legislatore e' stata nel senso  di
 una  "discovery"  piena,  fin  dall'udienza  preliminare,  degli atti
 compiuti nel corso delle indagini preliminari.
    A questo  proposito  va,  in  primo  luogo,  sottolineato  che  la
 disciplina  espressa dalla norma impugnata trova il suo completamento
 nell'art. 130, primo comma,  delle  disposizioni  di  attuazione  del
 codice   di   procedura   penale,   secondo   cui,  quando  gli  atti
 dell'indagine preliminare riguardano piu' persone o piu' imputazioni,
 "il  pubblico  ministero  forma  il fascicolo previsto dall'art. 416,
 comma secondo, del codice, inserendovi gli atti ivi indicati  per  la
 parte che si riferisce alle persone ed alle imputazioni per cui viene
 esercitata  l'azione  penale". Questa previsione - se rappresenta una
 deroga all'obbligo generale che l'art. 416,  secondo  comma,  pone  a
 carico  del  p.m.  -  non  conferisce  allo  stesso  p.m.  un  potere
 discrezionale in ordine alla formazione del fascicolo da  trasmettere
 al  giudice  dell'udienza preliminare, dal momento che la separazione
 dei fascicoli viene dalla norma collegata non ad un potere di  scelta
 del p.m., ma all'esigenza oggettiva di procedere alla separazione dei
 processi  in relazione all'esistenza di diversi imputati o di diverse
 imputazioni.
    In secondo  luogo,  va  aggiunto  il  richiamo  alla  disposizione
 formulata  nel  terzo  comma dell'art. 419 dove, con riferimento agli
 atti  introduttivi  dell'udienza  preliminare,  si  prevede  che   il
 giudice,  nel  dare comunicazione al p.m. dell'avviso relativo a tale
 udienza, inviti lo  stesso  p.m.  "a  trasmettere  la  documentazione
 relativa  alle  indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di
 rinvio a  giudizio".  Anche  questa  norma  concorre  a  sottolineare
 l'esigenza che la documentazione da sottoporre al vaglio dell'udienza
 preliminare  non  presenti  lacune  cosi' da consentire al giudice ed
 alle parti una conoscenza piena di  tutte  le  attivita'  istruttorie
 fino a quel momento espletate.
    Occorre,  infine,  tener  presente  la  disciplina formulata negli
 artt. 431 e 433 c.p.p. ai fini della formazione del fascicolo per  il
 dibattimento  e  del fascicolo del p.m. Tale disciplina conferisce al
 giudice  delle  indagini  preliminari  il  potere  di  formulare   le
 "prescrizioni"  che  devono  guidare, dopo l'adozione del decreto che
 dispone il giudizio, la formazione da  parte  della  cancelleria  del
 fascicolo  per  il  dibattimento, nel quale vengono raccolti gli atti
 elencati nell'art. 431, mentre gli atti diversi  da  quelli  previsti
 dall'art.  431,  insieme agli atti acquisiti nell'udienza preliminare
 ed al verbale dell'udienza, vengono trasmessi al p.m. ai  fini  della
 formazione  del  suo  fascicolo. Anche da queste disposizioni risulta
 convalidata la tesi della completezza del fascicolo di cui il giudice
 per le indagini preliminari deve disporre ai fini  dello  svolgimento
 dell'udienza  preliminare.  Il  fascicolo per il dibattimento, di cui
 all'art. 431,  ed  il  fascicolo  del  p.m.,  di  cui  all'art.  433,
 raccolgono,  infatti,  l'intera documentazione assunta fino alla data
 del decreto che
 dispone il giudizio (non prevedendo la  disciplina  del  processo  la
 presenza di ulteriori fascicoli), ma tale documentazione non puo' non
 essere  conosciuta  dal giudice nella sua integralita', ove si voglia
 garantire allo stesso il potere, previsto dalla legge, di  impartire,
 dopo  il  rinvio a giudizio, le "prescrizioni" volte a indirizzare la
 cancelleria sia  ai  fini  della  formazione  del  fascicolo  per  il
 dibattimento  che  ai  fini  della trasmissione degli atti residui al
 p.m.
    3. - Una volta riconosciuto che l'art. 416, secondo comma, c.p.p.,
 nella sua corretta lettura, non  conferisce  al  p.m.  un  potere  di
 scelta   degli  atti  da  trasmettere  al  giudice  per  le  indagini
 preliminari insieme con la richiesta di rinvio a giudizio,  imponendo
 allo  stesso  p.m.  l'obbligo  di trasmettere l'intera documentazione
 raccolta nel corso delle indagini, vengono a cadere le censure formu-
 late con l'ordinanza di rimessione in riferimento sia  all'art.    24
 che  agli artt. 101 e 102 Cost. La trasmissione dell'intero fascicolo
 processuale da parte del p.m. comporta,  infatti,  da  un  lato,  che
 nessun   atto  inerente  alle  indagini  espletate  fino  all'udienza
 preliminare possa essere sottratto alla piena conoscenza delle parti;
 dall'altro, che nessuna indebita  limitazione  possa  essere  apposta
 alla  cognizione  del  giudice  per  le  indagini preliminari ai fini
 dell'adozione delle determinazioni allo stesso spettanti.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata,   con  l'ordinanza  di  cui  in  epigrafe,  nei  confronti
 dell'art. 416, secondo comma, c.p.p., in relazione agli artt. 24, 101
 e 102 della Costituzione.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 20 marzo 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: CHELI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 aprile 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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