N. 226 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 dicembre 1990

                                N. 226
 Ordinanza  emessa  il  18  dicembre  1990 dal pretore di Chieti nella
 procedura  esecutiva  promossa  da  Salvatore  Lidia  ed  altri   nei
 confronti di Febo Luigi ed altro
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. -
    Impignorabilita'    -    Sussistenza    (affermata   dalla   Corte
    costituzionale con sentenza n. 231/1989) di un  "regime  generale"
    dell'impignorabilita'  delle  pensioni - Ingiustificata disparita'
    di trattamento fra percettori di retribuzioni  (per  le  quali  e'
    prevista la pignorabilita' - sentenza n. 878/1988) ed i percettori
    di pensioni - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale
    nn. 89/1987, 878/1988 e 115/1990.
 (R.D.-L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128; legge 30 aprile 1969, n.
    153, art. 69).
 (Cost., art. 3).
(GU n.16 del 17-4-1991 )
                            IL VICE PRETORE
    Letti gli atti, sentite le parti e sciogliendo la riserva;
    Vista    la   formale   opposizione   alla   esecuzione   proposta
 dall'esecutato nella udienza del 25 settembre 1990,
                             O S S E R V A
    Il debitore Febo Luigi ed il  terzo  pignorato  I.N.P.S.  sede  di
 Chieti  hanno  eccepito  (non si comprende a quale titolo l'I.N.P.S.,
 atteso che il terzo pignorato non e' legittimato a farsi portatore di
 eventuali interessi del debitore: per tutte, cassazione sezioni unite
 3932/1987)  la  impignorabilita'  (fino  al  quinto),  per  qualsiasi
 credito,  delle pensioni corrisposte dall'I.N.P.S. - nel caso di spe-
 cie di vecchiaia - ex art. 128 del r.d.-l. 4 ottobre 1935, n. 1827  e
 successive  integrazioni  e  modificazioni  ed art. 69 della legge 30
 aprile 1969, n. 153.
    Va  innanzitutto  considerato  che  oggi  la  pensione,  sia   dei
 dipendenti   pubblici   che   di   quelli  privati,  e'  generalmente
 considerata una forma di retribuzione differita direttamente  legata,
 percio', alla natura ed agli aspetti del lavoro prestato.
    In   tale   ottica,  e  con  particolare  riferimento  ai  dettati
 costituzionali degli artt.  36  e  38,  la  Corte  costituzionale  ha
 costantemente  sottolineato  che  anche il trattamento di quiescenza,
 alla pari della  retribuzione  percepita  in  servizio,  deve  essere
 proporzionato  alla  quantita' ed alla qualita' del lavoro prestato e
 deve in ogni caso assicurare al soggetto  ed  alla  sua  famiglia  la
 possibilita'  di  una  vita  libera  e dignitosa (tra le tante: Corte
 costituzionale 26/1980, 275/1976, 25/1972, 144 e 147/1971 ecc.).
    Cosi' la pensione non e' piu' concepita e determinata in  funzione
 del  soddisfacimento  dei  soli  bisogni essenziali del cittadino (ai
 quali  fa  invece  specifico  riferimento  quella  sociale),  ma   in
 relazione  ai medesimi (o, quanto meno, assai simili) parametri delle
 retribuzioni dei lavoratori. Infatti:
      1)  la  sua  liquidazione  e'  legislativamente  collegata  alla
 anzianita' maturata ed alla retribuzione del servizio attivo, essendo
 determinata  con  riferimento  allo  stipendio  o  salario  spettante
 all'interessato al momento della cessazione del rapporto di lavoro;
      2) anch'essa comprende l'indennita' integrativa speciale;
      3)  conserva  nel  futuro  il collegamento ed il rapporto con la
 retribuzione precedente essendo soggetta a  periodico  ed  automatico
 aggiornamento  con  le  stesse scadenze e con riferimento ai medesimi
 indici (Istat) e periodi validi ai  fini  della  scala  mobile  delle
 retribuzioni dei lavoratori dell'industria.
    Ora,  in  tema  di  stipendi, salari, retribuzioni e indennita', a
 seguito  delle  sentenze  della  Corte  costituzionale  nn.  89/1987,
 878/1988  e  115/1990,  si  e'  giunti  ad  una  assoluta  e completa
 equiparazione del regime di sequestrabilita' e  pignorabilita',  fino
 alla  concorrenza  di  un  quinto,  di  tutte  le somme percepite dai
 dipendenti pubblici e privati, per  ogni  credito  vantato  nei  loro
 confronti, ex art. 2, primo comma, n. 3 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n.
 180  ed  art. 545 c.p.c., ed alla luce di tutto cio' appare incongrua
 ed ingiustificata la particolare tutela riservata ai  pensionati  che
 non sembra rispondere a particolari esigenze di giustizia.
    Poiche' tutti i cittadini sono uguali socialmente e giuridicamente
 nei  diritti,  non  possono non esserlo ugualmente nei doveri e nelle
 responsabilita' anche  patrimoniali,  maggiormente  in  relazione  al
 fondamentale  principio  sancito  dall'art.  2 della Costituzione che
 richiede  a  tutti  "l'adempimento   dei   doveri   inderogabili   di
 solidarieta' politica, economica e sociale".
    E  da questi doveri non e' certo escluso quello di pagare i debiti
 dovendo ognuno rispondere, a norma dell'art. 2740 del codice  civile,
 delle  obbligazioni  assunte con tutti i beni, presenti e futuri, con
 esclusione dei soli beni  che  il  legislatore  ritiene  "per  tutti"
 indispensabili  a  consentire una vita libera e dignitosa al debitore
 ed alla sua famiglia (art. 36 della Costituzione).
    Cosi' il pignoramento o il sequestro di una frazione limitata fino
 ad un quinto della pensione,  come  previsto  e  consentito  per  gli
 stipendi,  i  salari,  le  retribuzioni  e  le  indennita'  spettanti
 indistintamente a tutti i lavoratori, cui e' direttamente  collegata,
 non  appare  certamente  idoneo  ad  inibire  una  esistenza libera e
 dignitosa del beneficiario.
    D'altronde appare ictu oculi evidente l'incongruita'  dell'attuale
 differente  disciplina che nel caso della retribuzione del lavoratore
 ne consente il pignoramento fino ad un quinto per ogni suo debito,  e
 nel  caso  della  pensione, a volte persino maggiore della precedente
 retribuzione ed in ogni caso ad essa proporzionata, non lo consente.
    In tal modo si arriva al paradosso  che  lo  stesso  soggetto  fin
 quando  lavora  risponde di ogni suo debito con il quinto del proprio
 stipendio, e dal momento in cui va in pensione, quasi per il tocco di
 una bacchetta magica, si trova a non risponderne  piu'  e  ad  essere
 improvvisamente e legalmente al riparo da ogni possibile esecuzione.
    Per  tale  evidente  disparita'  di  trattamento  non si ravvisano
 plausibili  giustificazioni  o  spiegazioni   ne'   giuridiche   ne',
 tantomeno,  sociali in relazione al principio di eguaglianza e di non
 discriminazione  sancito  dall'art.  3  della  Costituzione  che  non
 consente  una  disparita'  di  trattamento  in  situazioni  uguali  o
 analoghe senza una valida e sufficiente ragione.
    Considerato  dunque  che tale principio "non puo' essere disatteso
 se non in  presenza  di  specifici  e  ben  individuabili  motivi  di
 pubblico  interesse,  cui  la  norma  derogatrice  sia funzionalmente
 correlata" (Corte costituzionale n. 878/1988) non si vede  come  tale
 trattamento di favore possa ritenersi "ragionevolmente e direttamente
 correlata a fini di pubblico interesse" (ibidem) e quindi legittimare
 un regime di privilegio per i pensionati.
    Tale  disparita',  d'altronde, e' stata gia' rilevata, sia pure in
 riferimento ad un aspetto diverso, dalla Corte costituzionale che con
 sentenza  n.  1041  del   1988   ha   dichiarato   costituzionalmente
 illegittimo  proprio  l'art. 128 r.d.-l. 1827/1935 nella parte in cui
 non consentiva, entro i limiti  stabiliti  dall'art.  2,  n.  1,  del
 d.P.R.  n.  180/1950,  la pignorabilita' per crediti alimentari delle
 pensioni erogate dall'I.N.P.S.
    Ne' si comprende infine, in relazione ai  principi  costituzionali
 sopra  richiamati,  perche'  mai  la  stessa  pensione  possa  essere
 pignorabile e sequestrabile, ex art. 2, nn.  1,  2  e  3  del  citato
 d.P.R.  n.  180/1950,  per crediti alimentari (addirittura fino ad un
 terzo), per crediti vantati dallo Stato e da altri enti e per tributi
 (fino ad un quinto) e non gia' per ogni altro credito.
    E' evidente la rilevanza del problema  per  la  risoluzione  della
 procedura  esecutiva  e  del relativo giudizio di opposizione insorto
 che non possono essere definiti indipendentemente  dalla  risoluzione
 della  questione  di legittimita' costituzionale (conseguendo ad essa
 l'assegnazione o meno  del  quinto  della  pensione  al  creditore  e
 l'esito  dell'opposizione)  e  non  si  ritiene  possibile  superarla
 altrimenti.
    Per  quanto  sopra  esposto  la  questione  appare  manifestamente
 infondata  e  va  dunque  rimessa  alla  Corte  costituzionale per il
 giudizio di legittimita', in riferimento al principio di  eguaglianza
 sancito  dall'art.  3 della Costituzione, dell'art. 128 del r.d.-l. 4
 ottobre 1935, n. 1827 e dell'art. 69 della legge 30 aprile  1969,  n.
 153.
                               P. Q. M.
    Il  vice  pretore di Chieti, giudice dell'esecuzione, visto l'art.
 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  in  riferimento
 all'art.   3   della   Costituzione   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 128 del r.d.-l.  4  ottobre  1935,  n.  1827
 (Perfezionamento   e   coordinamento   legislativo  della  previdenza
 sociale) e dell'art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione
 degli ordinamenti pensionistici  e  norme  in  materia  di  sicurezza
 sociale)  nella  parte  in cui non prevedono, analogamente all'art. 2
 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 ed  all'art.  545  del  c.p.c.,  la
 pignorabilita'  fino  ad  un quinto, per ogni credito, delle pensioni
 erogate dall'I.N.P.S. diverse da quella sociale;
    Dispone  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende i giudizi;
    Ordina  che  la  presente ordinanza sia, a cura della cancelleria,
 notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
      Chieti, addi' 18 dicembre 1990
                      Il vice pretore: PALAZZONE

 91C0432