N. 230 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 1991

                                N. 230
 Ordinanza emessa il 7 febbraio  1991  dal  tribunale  di  Genova  nel
 procedimento civile vertente tra la S.p.a. S.C.I. e l'Amministrazione
 delle finanze
 Tributi in genere - Imposte doganali - Rimborso delle imposte
    doganali,  indebitamente  versate, entro il termine di "decadenza"
    quinquennale  stabilito  con  la  norma  impugnata,  anziche'  nel
    termine prescrizionale ordinario (dieci anni) ritenuto applicabile
    dalla giurisprudenza della Cassazione anteriormente all'entrata in
    vigore  della  predetta norma - Ingiustificata deroga al principio
    della prescrizione decennale della ripetibilita'  dell'indebito  -
    Incidenza  sul  diritto  di  difesa,  per  l'introduzione  di  una
    preclusione all'esercizio del diritto  di  credito  -  Riferimenti
    alle sentenze della Corte costituzionale nn. 170/1984 e 113/1985.
 (Legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.16 del 17-4-1991 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  civile
 promosso dalla S.C.I. S.p.a.  in  persona  dell'amministratore  unico
 Luigino  Giuseppe  Beghetto, elettivamente domiciliata in Genova, via
 Cesarea, 5.16 presso e nello studio dell'avv. Fulvio Marelli  che  la
 rappresenta  in  giudizio, e con la difesa dell'avv. Piero Castellini
 del foro di Padova, attrice, contro l'Amministrazione  delle  finanze
 elettivamente  domiciliata  in  Genova, c/o l'avvocatura distrettuale
 dello Stato, domiciliataria ex lege, convenuta.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con atto di citazione notificato il 29  novembre  1985  la  S.C.I.
 S.p.a.,  corrente  in  Cittadella  (Padova),  sulla  premessa di aver
 corrisposto alle dogane di Genova, Imperia e Ventimiglia nel  periodo
 gennaio  1976-dicembre  1976 l'importo complessivo di L. 5.883.580, a
 titolo di diritti  sanitari  riscossi  all'atto  di  importazione  di
 merci,  riconosciuti illegittimi per effetto di varie pronuncie della
 Corte costituzionale e  della  Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
 europee nonche' dallo stesso legislatore nazionale (legge 14 novembre
 1977,  n.  889),  conveniva in giudizio dinanzi a questo tribunale il
 Ministero delle finanze per  sentirlo  condannare  alla  restituzione
 della somma anzidetta, interessi e rivalutazione monetaria.
    Si costituiva l'amministrazione convenuta formulando ampie riserve
 al  riguardo  della  legitimatio  ad  causam  e della titolarita' dei
 crediti vantati in capo all'attrice, cosi'  come  al  riguardo  degli
 asseriti  pagamenti, tutti da verificare sulla scorta degli originali
 delle bollette doganali.
    Eccepiva   la   prescrizione   decennale   di   quanto    riscosso
 anteriormente al 29 novembre 1985, l'inammissibilita' della richiesta
 degli interessi e l'infondatezza della rivalutazione monetaria.
    Nel  merito osservava che doveva presumersi l'avvenuta traslazione
 dell'imposta sui clienti della  societa'  importatrice  cui  comunque
 incombeva  dimostrare di non aver praticato la traslazione anzidetta;
 traslazione che sarebbe stata di ostacolo al chiesto rimborso che, di
 fatto, si sarebbe tradotto in  un  arricchimento  senza  causa  della
 societa' interessata.
    In  via  istruttoria  chiedeva  disporsi  c.t.u. per l'esame delle
 bollette doganali  che  parte  attrice  avrebbe  dovuto  produrre  in
 originale.
    In  corso  di  causa  le  parti si accordavano per far esaminare a
 mezzo di propri  incaricati  l'anzidetta  documentazione;  quindi  la
 causa,  sulle  conclusioni come sopra trascritte, e' stata trattenuta
 in decisione all'odierna udienza collegiale.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    1. - Sono noti al collegio i termini della controversia per essere
 stati piu' volte esaminati e risolti in altre cause consimili.
    Come e' noto il diritto di visita sanitaria sulle merci importate,
 previsto nella legislazione interna dal r.d. 27 luglio 1931, n. 1265,
 successivamente modificato dal d.l.C.P.S. 27 settembre 1947, n. 1099,
 dalla legge 23 gennaio 1968, n. 30 e dalla legge 30 dicembre 1970, n.
 1239,  e'  venuto  all'attenzione  della  giurisprudenza, nella nuova
 prospettiva comunitaria, quale tassa di effetto equivalente  ai  dazi
 doganali,  come  tale  contrastante  con  la  disciplina  dettata dal
 Trattato  di  Roma  e  dai  regolamenti  volti   specificatamente   a
 disciplinare   l'organizzazione   comune   dei  mercati  dei  singoli
 prodotti.
    Di questo e' stato consapevole anche il legislatore  nazionale  il
 quale,  con  legge  14  novembre  1979, n. 889, ha finalmente operato
 l'armonizzazione del diritto  italiano  con  il  diritto  comunitario
 abrogando  il  tributo  in  tutto  l'ambito  in  cui  la preesistente
 legislazione confliggeva con  il  divieto  posto  da  specifici  atti
 normativi   comunitari   (si   veda,  nel  settore  delle  carni,  il
 regolamento del Consiglio della C.E. 13 giugno 1967, n. 123).
    In seguito e' stato approvato il d.-l. 30 settembre 1982, n.  688,
 il  cui  art. 19 subordinava il diritto degli importatori al rimborso
 delle somme indebitamente pagate, anche anteriormente all'entrata  in
 vigore  di  quel  decreto,  per  effetto  di tributi contrastanti con
 l'ordinamento comunitario alla prova documentale  -  evidentemente  a
 carico dell'importatore - di non aver trasferito in qualsiasi modo il
 tributo su altri soggetti.
    E sono noti i gravi problemi sorti in sede di applicazione di tale
 disposizione,  sospettata  (a  ragione) di contrastare con i principi
 comunitari affermati da alcune sentenze interpretative della Corte di
 giustizia delle C.E.
    Quest'ultima, infatti, ha affermato (v. sentenze 10  luglio  1980,
 nn.  811  e 826) che nulla impedisce, dal punto di vista comunitario,
 che i giudici nazionali tengano conto conformemente al  loro  diritto
 interno  del  fatto  che tasse indebitamente percepite abbiano potuto
 essere incorporate nei prezzi dell'impresa assoggettata alla tassa  e
 trasferite  sugli acquirenti; ed ha riconosciuto che e' l'ordinamento
 giuridico interno di ciascuno Stato che designa il giudice competente
 e stabilisce le modalita' procedurali delle azioni giudiziarie intese
 a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle
 norme comunitarie aventi efficacia diretta. Ma ha poi  precisato  che
 tali  modalita'  (e  le  condizioni  cui  l'azione  di ripetizione e'
 subordinata) non possono essere meno favorevoli di quelle relative ad
 analoghe azioni del sistema processuale nazionale ne', in alcun caso,
 possono  essere  strutturate  in   modo   da   rendere   praticamente
 impossibile  l'esercizio  dei  diritti  che  i giudici nazionali sono
 tenuti a tutelare.
    Ancora, la  stessa  Corte  -  investita  della  questione  in  una
 controversia  vertente  (non  diversamente  da quella in esame) sulla
 ripetizione di oneri fiscali scontati indebitamente dagli importatori
 su merci soggette al regime del mercato comune (sentenza  9  novembre
 1983,  n.  199/82)  con  riferimento  all'art. 10 del d.-l. 10 luglio
 1982, n. 430,  poi  decaduto,  recante  disposizioni  sostanzialmente
 identiche  a quelle di cui all'art. 19 anzidetto - ha ribadito che e'
 incompatibile  con   il   diritto   comunitario   ogni   disposizione
 legislativa   nazionale  la  quale  in  punto  di  presunzioni  o  di
 condizioni di prova lasci al contribuente l'onere di dimostrare che i
 tributi indebitamente versati non  sono  stati  trasferiti  su  altri
 soggetti ovvero ponga particolari limitazioni in merito alla prova da
 fornire come l'esclusione di qualsiasi prova non documentale.
    E la Corte costituzionale, pur essa investita della questione, con
 due   sentenze   (nn.  170/1984  e  113/1985)  innovative  della  sua
 precedente giurisprudenza circa gli effetti nell'ordinamento  interno
 del  conflitto  tra  norma comunitaria e norma nazionale (considerato
 per il passato sotto il profilo della incostituzionalita' della norma
 interna successiva per violazione dell'art. 11 della Costituzione) ha
 stabilito che, in vista della immediata e diretta applicabilita'  sul
 territorio  nazionale delle disposizioni comunitarie la norma interna
 incompatibile con quella comunitaria non  viene  in  rilievo  per  la
 definizione della controversia dinanzi al giudice nazionale, donde il
 difetto  di  rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
 salvo che si tratti (ipotesi comunque  non  ricorrente  nel  caso  in
 esame)   di  disposizione  diretta  ad  impedire  o  pregiudicare  la
 perdurante  osservanza  del  trattato  istitutivo  della  C.E.E.   in
 relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi.
    Ed  ha  altresi'  stabilito come il principio secondo cui la norma
 comunitaria entra e permane in vigore nel nostro territorio senza che
 i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato vale
 non soltanto per la disciplina prodotta  dagli  organi  della  C.E.E.
 mediante  regolamento  ma  anche  per le statuizioni risultanti dalle
 sentenze  interpretative  della  Corte  di  giustizia  ed  ha  quindi
 dichiarato  inammissibili  le  questioni di costituzionalita' pure in
 riferimento agli altri parametri diversi dall'art. 11 che erano stati
 invocati nelle ordinanze di rinvio trattandosi  di  specie  ricadente
 sotto  il  disposto  del  diritto  comunitario  destinato  a ricevere
 immediata e necessaria applicazione  nell'ambito  territoriale  dello
 Stato.
    E'  poi  noto  che,  in  relazione all'orientamento espresso dalla
 Corte costituzionale,  la  Corte  di  cassazione,  procedendo  ad  un
 confronto  diretto ed autonomo dell'art. 19 del d.-l. anzidetto con i
 principi comunitari, ne ha constatato l'irrimediabile conflitto.
    Ha infatti identificato nell'art. 2033 del c.c. la norma  generale
 interna  che  regola la materia di ripetizioni di indebito in assenza
 di una disciplina comunitaria, la quale richiede  soltanto  la  prova
 del  pagamento indebito; ed ha constatato come l'art. 19 anzidetto si
 presenti,  invece,  con  spiccate  caratteristiche   di   specialita'
 richiedendo  che  il  solvens  provi,  anche retroattivamente, la non
 avvenuta traslazione dell'imposta su altri soggetti.
    L'anzidetta constatazione  discriminatoria  nei  confronti  di  un
 diritto  di  credito che impinge nella materia comunitaria ha, cosi',
 indotto  la  s.C.  ha  riconoscere  incompatibile  con   il   diritto
 comunitario  l'art.  19 del d.-l. n. 688/1982 anzidetto (cfr. Cass. 7
 aprile 1986, n. 2415).
    E'  saliente  rilevare  come,  sulla  scia  di   tale   autorevole
 orientamento,  all'applicabilita' della disciplina dell'art. 2033 del
 c.c. nell'ipotesi di ripetizione di imposte indebitamente corrisposte
 da importatori si derivata,  per  conseguenza,  anche  la  disciplina
 della  prescrizione ordinaria decennale; per cui ad ogni soggetto che
 abbia indebitamente versato  le  somme  anzidette  doveva  -  e  deve
 tuttora,  secondo  il collegio - ritenersi assegnato il normale lasso
 temporale di dieci anni per ripetere le somme versate.
    Cio' e' stato affermato  costantemente  sia  dalla  giurisprudenza
 della s.C. che di questo stesso tribunale; e cio' sino all'entrata in
 vigore della legge 29 dicembre 1990, n. 428, e di cui in appresso.
    3.  - In comparsa conclusionale la difesa erariale ha eccepito per
 la  prima  volta  la  decadenza  dell'attrice  domanda  per   effetto
 dell'art.  29  della  legge  n. 428/1990 anzidetta, entrata in vigore
 nelle more processuali pochi mesi prima della presente decisione.
    Tale disposizione stabilisce,  infatti,  al  primo  comma  che  il
 termine  quinquennale  di  decadenza  previsto dall'art. 91 del testo
 unico delle disposizioni legislative in materia  doganale,  approvato
 con  decreto  del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43,
 deve intendersi applicabile a tutte le domande ed  azioni  esperibili
 per il rimborso di quanto pagato in relazione ad operazioni doganali.
    Al  secondo comma il medesimo articolo prevede, tra l'altro, che i
 diritti doganali all'importazione nonche' i diritti erariali riscossi
 in applicazione di disposizioni  nazionali  incompatibili  con  norme
 comunitarie  sono  rimborsati  a  meno  che il relativo onere non sia
 stato trasferito su altri soggetti.
    Per effetto di tale ultimo comma, pertanto, viene legislativamente
 risolto,  per  quanto  possa  occorrere,  il  problema  del   riparto
 dell'onere  probatorio  in  tema  di  richiesta  di rimborso di somme
 indebitamente percette  al  riguardo  della  traslazione  del  carico
 tributario  afferente  ad  un prodotto importato e poi rivenduto, nel
 senso di attribuire tale onere all'amministrazione convenuta  che  ne
 eccepisca l'avvenuto trasferimento.
    E  nel  caso  di  specie a detto onere parte convenuta non risulta
 aver minimamente assolto poiche' essa si e' semplicemente limitata  a
 supporre,  in  comparsa  di  risposta,  il  riversamento  del  carico
 tributario senza fornire la  benche'  minima  dimostrazione  di  tale
 supposizione.
    Ne',  poi,  puo'  condividersi  la  tesi  sviluppata  in  comparsa
 conclusionale dalla  difesa  erariale  secondo  cui  la  prova  della
 mancata  traslazione graverebbe sempre ed ancora sull'importatore che
 agisce in ripetizione come condizione dell'azione.
    Siffatta    tesi,    infatti,    finirebbe     per     confliggere
 irrimediabilmente   con   i   principi   comunitari   precedentemente
 richiamati in  occasione  dell'esegesi  dell'art.  19  del  d.-l.  n.
 873/1982  del quale non potrebbe che condividere le sorti; e comunque
 essa non sembra affatto trasparire da una lettura dell'art. 29  della
 legge  n. 428/1990 dal quale, anzi, si ricava il postulato che - come
 d'altro canto e' canone fondamentale in materia  di  prova  per  cui,
 come  spetta  all'attore dimostrare i fatti costitutivi della propria
 pretesa, cosi' incombe al convenuto provare i fatti  modificativi  ed
 estintivi   della  domanda  -  grava  sulla  parte  che  contesti  la
 fondatezza dell'azione in ripetizione la dimostrazione  dell'avvenuta
 traslazione.
    Cio'   precisato   deve,  cosi',  rilevarsi  che  nessun  ostacolo
 sembrerebbe frapporsi all'accoglimento della domanda se si  eccettua,
 appunto,  l'innovativa  introduzione  da  parte  del  legislatore del
 termine di "decadenza" quinquennale previsto dall'art.  91  del  t.u.
 delle leggi doganali.
    Trattasi  di  una  disposizione  sulla  cui  costituzionalita'  il
 collegio e' indotto a dubitare.
    Va subito osservato che, se e' vero - come e' stato  affermato  da
 una  giurisprudenza  della  s.C.  ormai  consolidata - che l'istituto
 applicabile al rimborso di imposte doganali indebitamente versate  e'
 la  condictio  indebiti  modellata  sullo  schema  della  ripetizione
 dell'indebito  di cui all'art. 2033 del c.c., nessuna decadenza viene
 comminata in base al diritto comune a carico e a  danno  del  solvens
 che   abbia  indebitamente  pagato  somme  delle  quali  richieda  la
 restituzione all'indebito percettore (come sopra  rilevato,  infatti,
 l'unico   termine   imposto   dalla  disciplina  generale  e'  quello
 prescrizionale decennale).
    Nel caso di specie, invece,  il  legislatore  ha  introdotto,  tra
 l'altro   nel  corso  del  giudizio,  un  termine  di  decadenza  per
 l'esercizio di una azione di indebito nei confronti di un particolare
 soggetto (lo Stato) rendendo in tal modo deteriore la  condizione  di
 colui  che  agisce  in ripetizione verso di esso rispetto a tutti gli
 altri.
    Tale atteggiamento discriminatorio non puo'  che  essere  ritenuto
 contrastante  con  il  principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3
 della Costituzione poiche' viene a danneggiare un soggetto  creditore
 sol  perche'  vanta  un  particolare  credito  (una  imposta doganale
 indebitamente percetta) verso  un  particolare  debitore  (lo  Stato,
 indebito  percettore)  a  differenza di coloro che vantano un credito
 tout court verso un qualsiasi loro debitore.
    La disposizione di pone, poi, in contrasto  con  l'art.  24  della
 Costituzione  perche', imponendo a chi agisce in ripetizione per tali
 crediti l'osservanza di un termine di decadenza ormai abbondantemente
 scaduto  senza  colpa  del  creditore,  rappresenta  di   fatto   una
 insormontabile  preclusione all'esercizio del suo diritto di credito,
 pregiudicando   in   tal   modo   il   suo   diritto    di    difesa,
 costituzionalmente garantito.
    La  questione  e'  rilevante  nel  caso  in  esame perche', se non
 esistesse la norma di sbarramento sopradenunziata, nessun ostacolo si
 frapporrebbe all'accoglimento delle attrici  pretese;  e  non  appare
 manifestamente infondata per i motivi di cui innanzi.
    E',  quindi,  d'uopo  rimettere  gli  atti al giudizio della Corte
 costituzionale per la soluzione della questione di  costituzionalita'
 prospettata.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948, e 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  non  manifestamente  infondata,  nei  sensi  di  cui  in
 motivazione, la questione di costituzionalita'  dell'art.  29,  primo
 comma,  della  legge  29 dicembre 1990, n. 428, per contrasto con gli
 artt. 3 e 24 della Costituzione;
    Ordina sospendersi il giudizio in corso;
    Dispone che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Genova, addi' 7 febbraio 1991
                      Il presidente: PERRAZZELLI

 91C0436