N. 243 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 1991
N. 243 Ordinanza emessa il 30 gennaio 1991 dal magistrato di sorveglianza di Trento sull'istanza proposta dal Moser Ivano Ordinamento penitenziario - Remissione del debito per le spese di giustizia - Concessione - Condizioni - Necessita' che il condannato si trovi in disagiate condizioni economiche e che abbia tenuto regolare condotta nel corso della esecuzione della pena - Conseguente impossibilita' di concedere il beneficio a coloro che, pur avendo tenuto buona condotta, non hanno subito alcun periodo di carcerazione - Irragionevolezza - Richiamo alla sentenza n. 569/1989 della Corte costituzionale. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 56, e successive modificazioni). (Cost., art. 3).(GU n.16 del 17-4-1991 )
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modifiche. Con istanza depositata il 26 ottobre 1990 Moser Ivano, nato a Wetzikon (CH) il 31 marzo 1963 e residente a Pergine Valsugana (Trento) frazione Madrano n. 67, premesso che gli erano stati notificati gli avvisi di pagamento nn. 23239/40 e 23244/5/6 dell'ufficio campione penale del tribunale di Trento per spese di giustizia relative alla sentenza del tribunale di Trento, di data 12 febbraio 1988, con la quale era stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e L. 200.000 di multa, con i doppi benefici di legge; che l'importo di tali spese processuali ammonta a L. 25.744.472; che, dato l'ammontare del credito erariale gli era impossibile far fronte al pagamento e che il suo reddito da lavoro dipendente era ed e' insufficiente a garantire, oltre alle necessita' della vita quotidiana, anche il pagamento di cosi' ingente somma; che dalla data di commissione del reato egli si era sempre comportato correttamente, non dando piu' adito a rimarchi; tutto cio' premesso, Moser Ivano formulava istanza affinche' gli fosse rimesso il debito per le spese di giustizia. Questo magistrato trasmetteva gli atti al p.m. presso il tribunale di Trento, per il parere in ordine alla inammissibilita' della domanda, apparendo la richiesta manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, non potendo essere valutata, ai fini della deliberazione nel merito, la condotta carceraria serbata dall'istante, avendo il predetto fruito della sospensione condizionale della pena. Il pubblico ministero presso il tribunale di Trento chiedeve sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), in relazione all'art. 3 della Costituzione. Osservava il p.m. che appariva ingiustificata la disparita' di trattamento tra chi ha subito comunque detenzione per il reato in relazione alla cui condanna viene richiesta la remissione del debito e chi tale detenzione non ha subito, a parita' delle altre condizioni richieste per l'ammissione del beneficio, condizioni identificate nella condotta e nelle condizioni economiche. La eccezione e' rilevante e non manifestamente infondata. Rilevante perche' concerne la stessa norma che il magistrato di sorveglianza e' chiamato ad applicare per definire nel merito il presente giudizio. Non manifestamente infondata per le ragioni di seguito esposte. L'istituto della remissione del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere fu introdotto per evitare gravi inconvenienti che si verificavano in passato. Avveniva che il condannato, che avesse espiato con buoni risultai la pena e dimostrasse capacita' ed impegno di reinserirsi costruttivamente nella societa', improvvisamente e proprio nel momento in cui fronteggiava le difficolta' di ordine materiale per riorganizzare la sua vita, venisse perseguito civilmente per la esecuzione del suo adempimento dei debiti residui derivanti dalla sua vicenda processuale e penitenziaria. Tale beneficio consente di evitare la contraddizione, per cui lo Stato, da un lato ha prodotto ogni sforzo anche finanziario per il recupero del soggetto, dall'altro frustrerebbe il buon fine del suo impegno creando al soggetto liberato gravi difficolta' addizionali. La remissione del debito e' sottoposta alla condizione oggettiva di una situazione attuale di disagiate condizioni economiche e alla condizione soggettiva della regolare condotta tenuta nel corso della esecuzione della pena. Alla luce di quanto sopra desta perplessita' l'aporia non compatibile con i parametri costituzionali e soprattutto con l'art. 3 della Costituzione. Infatti, una grave sperequazione si viene a determinare nei confronti di chi, avendo commesso reato piu' lieve o presentando minore pericolosita' sociale, o per qualsiasi altra ragione anche indipendente dalla sua volonta', non abbia avuto la ventura di soffrire un periodo di carcerazione, vuoi in custodia cautelare, vuoi in espiazione di pena. Siffatta situazione, pertanto, sarebbe incompatibile con i parametri costituzionali invocati, perche' verrebbe escluso dal graduale reinserimento sociale, favorito dalla remissione delle obbligazioni civili derivanti dal credito erariale, colui che ne sembra piu' meritevole, costringendo a pagare somme anche ingenti, pur in presenza di condizioni economiche disagiate e di una condotta onesta e conforme ai canoni del retto vivere civile. Negli ultimi tempi il legislatore, nel rinnovato intento di attuare in maniera piu' decisa ed incisiva il dettato dell'art. 27 della Costituzione, ha proseguito sulla strada della personalizzazione della responsabilita' penale e della individualizzazione della pena nella fase della esecuzione, cercando di spogliare la pena stessa da quel "di piu'" in termini di afflittivita' che e' meramente fine a se' stesso e si traduce spesso in un fattore di desocializzazione. In questa prospettiva di fondo, vanno inquadrate varie novita' introdotte dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 (cosiddetta legge Gozzini). L'art. 47 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, terzo comma, consente di disporre l'affidamento in prova al servizio sociale senza procedere alla osservazione in istituto quando il condannato, dopo un periodo di custodia cautelare, ha serbato comportamento tale da rendere sufficienti, ai fini preventivi e riabilitativi, le emanande prescrizioni. L'art. 50 della stessa legge preclude al condannato a pena non superiore a mesi sei anche il minimo "assaggio di pena", evitandogli gli acclarati effetti criminogeni connessi alla esecuzione delle pene detentive brevi. Il presupposto cui la legge subordina la concessione immediata del beneficio consiste nell'avere il condannato "dimostrato la propria volonta' di reinserimento sociale". Il sistema normativo penitenziario, come delineatosi successivamente alla legge 10 ottobre 1986, n. 663, legge per altri versi ritenuta fin troppo permissiva, e' stato addirittura "scardinato" dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 569 del 13-22 dicembre 1989, che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), cosi' come modificato dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale se, in presenza di altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio prognostico di non recidiva. In definitiva, la realta' e' che oggi, il condannato a pena non superiore a tre anni di reclusione (o per ipotesi a pena non superiore ad anni cinque, se andra' detratto condono di anni due) non varchera' mai le porte del carcere se la sua condotta in liberta' potra' legittimare la massima misura alternativa concedibile. Cio' che spesso conta nelle valutazioni che i tribunali di sorveglianza sono chiamati a esprimere nei casi sottoposti al loro giudizio, e' il comportamento tenuto dagli istanti in liberta'. Anche in termini statistici, e' divenuto rilevante in questi ultimi anni, per effetto delle anzidette modifiche normative, il numero di coloro che richiedono, dalla liberta', determinate misure alternative. Pertanto, se la normativa oggi vigente consente, in un numero statisticamente cospicuo di casi, che la pur imprescindibile valutazione della personalita' possa e debba essere piu' opportunamente condotta in liberta', ne consegue un insanabile contrasto con l'art. 3 della Costituzione dell'art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui si condiziona la remissione del debito a un indefettibile periodo di carcerazione. Sotto questo profilo non pare possa definirsi manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale sollevato.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modifiche, in rapporto all'art. 3 della Costituzione, come in motivazione; Sospende il giudizio in corso fino a decisione della detta questione di costituzionalita', rimettendo detta decisione alla Corte costituzionale ex art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e ordinando alla cancelleria l'immediata trasmissione alla Corte stessa degli atti, previa notificazione alle parti private, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Trento, addi' 30 gennaio 1991 Il magistrato di sorveglianza: FORLENZA 91C0449