N. 285 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 novembre 1990

                                N. 285
   Ordinanza emessa il 15 novembre 1990 dal giudice per le indagini
                    preliminari presso il tribunale
  di Ancona nel procedimento penale a carico di Marchi Paolo ed altro
 Processo  penale  -  Udienza  preliminare  -  Sentenza di non luogo a
 procedere - Tassativita' dell'elencazione delle formule assolutorie -
 Necessita' per talune di esse dell'"evidenza" della prova - Lamentata
 genericita'  di  tale  concetto  -  Mancato  coordinamento   con   le
 prescrizioni  dell'art.  422  del  c.p.p.    (richiesta  di ulteriori
 informazioni  da  parte  del  g.i.p.  ai  fini  della  decisione)   -
 Disparita'  di  trattamento  rispetto alla disciplina di attuazione -
 Violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della
 giustizia - Conseguente lesione del principio dell'accertamento della
 verita' materiale.
 Processo penale - Udienza preliminare - Discussione -  Richiesta  del
 p.m.  di  derubricazione  del  reato  -  Conseguente  mutamento della
 competenza - Mancata previsione, tra le  ipotesi  contemplate,  della
 sentenza  declaratoria  di  incompetenza  - Mancato coordinamento tra
 norme (artt. 22 e 424-425 del c.p.p.) - Lamentata diversa  disciplina
 rispetto alla fase precedente la discussione dell'udienza preliminare
 -  Violazione  del  principio  di buon andamento dell'amministrazione
 della giustizia.
 Processo penale - Udienza preliminare - Modifica della imputazione  e
 contestazione all'imputato da parte del p.m. - Ritenuta insufficiente
 specificazione  in  relazione alla "diversita' del fatto" - Lamentata
 disparita' di trattamento rispetto alla disposizione di cui  all'art.
 521 (correlazione tra imputazione contestata e sentenza).
 Processo    penale    -    Udienza   preliminare   -   Derubricazione
 dell'imputazione richiesta dal p.m. - Obbligatorieta' per  il  g.i.p.
 alla  "riduzione  della  sfera  dell'azione penale" su istanza di una
 parte processuale  -  Violazione  del  principio  di  soggezione  del
 giudice alla sola legge.
 (C.P.P. 1988, art. 425, in relazione agli artt. 22, terzo comma, 422,
 primo comma, 424, primo comma, e 423, primo comma, stesso codice).
 (Cost., artt. 2, 3, 97, 101, secondo comma, e 112).
(GU n.17 del 24-4-1991 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha   pronunciato  la  seguente  ordinanza  all'esito  dell'odierna
 udienza preliminare 15 novembre 1990;
    Ritenuta la estrema pregevolezza e  complessita'  delle  questioni
 giuridiche  in  oggetto,  per  le  quali si preannuncia fin d'ora una
 serie di eccezioni di illegittimita' costituzionale  della  normativa
 che segue, eccezioni che ovviamente lasciano del tutto impregiudicato
 l'esame  del  merito,  che verra' affrontato all'esito della presente
 rimessione, e sul quale naturalmente il  giudicante  ritiene  di  non
 potersi pronunciare allo stato degli atti, stante la prevalenza della
 interessante   problematica   prospettata   nel   corso  dell'udienza
 preliminare da tutte le parti, pubbliche e private;
    Dovendosi in primo luogo precisare  che  tutte  le  questioni  che
 seguono sono da ritenersi non manifestamente infondate e rilevanti ai
 fini  del  decidere,  e  che le stesse vengono sollevate d'ufficio da
 questa a.g.o.;
    Dovendosi tuttavia precisare  che  la  prima  eccezione  e'  stata
 implicitamente  ventilata  dalla  difesa  dell'imputato Nobili, cosi'
 come segue;
    Premesso che la dizione letterale dell'art. 425 del  nuovo  c.p.p.
 focalizza  le  ipotesi  in  cui  viene emessa sentenza di non luogo a
 procedere,  ipotesi  di  per  se'  tassative  ed  insuscettibili   di
 applicazione   analogica,   non   perche'   nel   nostro  ordinamento
 processuale   sia   preclusa  l'analogia  in  bonam  partem  (essendo
 logicamente vietata quella in malam partem) ma  perche'  il  discorso
 analogico appartiene piu' propriamente al diritto penale sostanziale,
 e  malamente  si  adatta  al  terreno del diritto processuale, stante
 comunque la formulazione letterale  della  norma  che  concepisce  il
 proscioglimento se sussiste causa estintiva del reato, o per la quale
 ricorrano  i presupposti della improcedibilita' dell'azione penale (a
 livello di inizio o prosecuzioni), nonche' qualora la fattispecie non
 sia prevista dalla legge come reato o qualora risulti l'evidenza  che
 il  fatto  non sussiste, che l'imputato non lo abbia commesso, che il
 fatto non costituisca reato, che si tratti di persona non  imputabile
 o non punibile per qualsiasi altra causa;
    Premesso  altresi'  che  la formulazione originaria dell'articolo,
 nella sua prima stesura, prevedeva che  la  sentenza  n.l.p.  dovesse
 pronunciarsi   soltanto   qualora,   all'esito   dell'udienza,  fosse
 risultata  una  causa  estintiva  del  reato  o  di  improcedibilita'
 dell'azione  penale,  ovvero  fosse  risultato  che  il fatto non era
 previsto dalla legge come reato o fosse  risultato  evidente  che  il
 fatto non sussisteva o che l'imputato non lo avesse commesso;
    Poiche'  tuttavia  il legislatore ha ritenuto preferibile una for-
 mula estensiva, tale da comprendere la casistica ulteriore (il  fatto
 non  costituisce  reato,  persona  non  imputabile o non punibile per
 qualsiasi causa), apparendo ragionevole prevedere quelle situzioni in
 cui   la   non   punibilita'   dell'imputato   appaia   in    termini
 probatoriamente   tali   da   raggiungere  la  soglia  dell'evidenza,
 scongiurandosi il rischio di un eccessivo e  strumentale  contenzioso
 nel  corso  della udienza preliminare, ben potendosi pervenire ad una
 soluzione anticipata del processo che eviti  la  celebrazione  di  un
 dibattimento   dall'esito  scontato,  ricalcando  la  norma  le  orme
 dell'art. 378, primo comma, parte prima, abrogato dal c.p.p., recando
 tuttavia la differenza, poco piu' che nominalistica,  concernente  la
 necessita' della "evidenza";
    Poiche'  quindi  l'evidenza riguarda soltanto la seconda parte del
 primo comma dell'art. 425;
    Poiche' tuttavia  deve  ritenersi  che  tale  evidenza  non  possa
 intendersi  un  duplicato  dell'art.  129, primo e secondo comma, del
 nuovo c.p.p., concernente l'obbligo della immediata  declaratoria  di
 determinate  cause di non punibilita', norma quest'ultima che ricalca
 l'art. 152 vecchio c.p.p.,  limitandone  tuttavia  l'operativita'  al
 vero  e  proprio processo, non anche all'intero procedimento, cio' in
 quanto il processo costituisce un tipo speciale di procedimento e  ne
 e'  prova  la  normativa particolare relativa all'udienza preliminare
 (artt. 416  e  segg.  stesso  cod.),  stante  il  principio  generale
 dell'ordinamento   giuridico,   nel  suo  complesso  e  non  soltanto
 processuale, secondo cui lex specialis derogat legi generali;
    Poiche' quindi deve intendersi che l'art. 121, laddove si  esprime
 con  la  dizione  "in  ogni  stato  e  grado  del  procedimento",  ha
 riferimento alla fase delle indagini  preliminari,  in  cui  non  sia
 stata   ancora  esercitata  l'azione  penale  dal  p.m.  nelle  forme
 stabilite dal codice, ex art. 50, da parte del p.m., non  sussistendo
 i   presupposti   per   la  richiesta  archiviazione  (forme  che  si
 concretizzano in procedimenti tipici, quali la richiesta di rinvio  a
 giudizio   finalizzata  all'udiienza  preliminare,  la  richiesta  di
 giudizio  immediato, la richiesta di applicazione della pena ex artt.
 444 e segg. stesso  codice),  essendo  al  contrario  la  fase  delle
 indagini   preliminari   caratterizzata  dalla  presenza  non  di  un
 autentico imputato, bensi' di una persona assoggettata alle  indagini
 stesse (indagata-indiziata);
    Poiche'  quindi  in  detta  fase  delle  indagini  preliminari  le
 situazioni    che    rientrerebbero    nell'art.    129     conducono
 all'archiviazione  per infondatezza della notizia di reato (art. 408)
 ovvero per gli altri casi previsti (art. 411);
    Poiche'  quindi  in  sintesi,  come  gia'  accennato  e  come   si
 ribadisce,  il  processo costituisce soltanto una fase ben avanzata e
 matura del procedimento, ragion per cui l'udienza preliminare,  anche
 se   non   aperta   al  pubblico  come  l'udienza  del  dibattimento,
 differisce, per le sue peculiarieta',  dalla  udienza  in  camera  di
 consiglio  di  cui all'art. 127 nuovo c.p.p. che caratterizza la fase
 delle indagini preliminari, e quindi costituisce  anche  una  udienza
 camerale, ma di tipo ben particolare;
    Poiche'  deve tracciarsi un parallelismo tra l'art. 425 del c.p.p.
 e  l'art.   125   delle   disp.   att.   stesso   cod.   che   tratta
 dell'infondatezza della notizia di reato di fronte alla non idoneita'
 degli  elementi  acquisiti  nelle indagini preliminari a sostenere in
 giudizio, formula quest'ultima che per la sua ampiezza assorbe  anche
 l'ipotesi  della  classica  insufficienza  di prove di cui al vecchio
 c.p.p., quella che al contrario non conduceva  all'archiaviazione  ex
 art.   74,   terzo  comma  ma  soltanto  a  sentenza  istruttoria  di
 proscioglimento con formula dubitativa, previo  necessario  esercizio
 dell'azione  penale,  mentre  d'altronde in sede di stesura del nuovo
 sistema processuale si e' ritenuto di non  agganciare  l'infondatezza
 della  notizia  di  reato alla assenza di "elementi sufficienti pe la
 condanna dell'imputato", il tutto per non snaturare i  caratteri  del
 sistema   accusatorio,   fra  i  quali  va  sicuramente  compresa  la
 "deflazione dibattimentale";
    Poiche' quindi deve intendersi che per "giudizio" l'art. 125 abbia
 inteso non riferirsi riduttivamente al solo dibattimento,  bensi'  al
 rinvio  a  giudizio  in  sede di udienza preliminare, finalizzato non
 necessariamente al dibattimento,  ma  comprendente  l'ipotesi  di  un
 proscioglimento,  magari  richiesto  (ma  non  necessariamente) dallo
 stesso p.m.;
    Ritenuto quindi che la formulazione piu'  elastica  dell'art.  125
 non  si  ripeta  nel  425,  ove la genericita' del termine "evidenza"
 denota una  macroscopica  lacuna  della  normativa  processuale,  pur
 concordandosi  con  chi  sostiene  che  il legislatore non puo' avere
 ritenuto il 425 un  mero  duplicato  del  129,  fatto  cioe'  di  una
 evidenza  lampante  ed  oculare,  di  una prova cioe' che sia gia' in
 atti, e che non richieda  quindi  la  ricerca  dell'evidenza  di  cui
 all'art.  422  del  nuovo  c.p.p.  laddove  il  giudice, terminata la
 discussione puo' indicare alle parti  temi  nuovi  o  incompleti  sui
 quali  si  rende  necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini
 della decisione, ammettendosi le  prove  richieste  dal  p.m.  o  dal
 difensore   della   parte  civile  quando  ne  risulti  manifesta  la
 decisivita' ai fini dell'accoglimento della  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio, e le prove a di scarico richieste dai difensori delle altre
 parti  private quando appaia evidente la loro decisivita' ai fini del
 non luogo a procedere.
    Ritenuto  tuttavia  che  la lettura del supporto di cui al 422, in
 sede di interpretazione esegetica e giurisprudenziale, non elimina la
 vistosa lacuna del 425, rimanendo il concetto di evidenza pur  sempre
 tautologico  ed  eccessivamente  discrezionale,  in  contrasto con la
 certezza del diritto;
    Poiche' quanto sopra, stante la discriminazione tra le  rispettive
 fattispecie  di  cui  ai  riferiti  425  e  125,  viola la parita' di
 trattamento di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione;
    Poiche'  inoltre  in  tal   modo   l'udienza   preliminare   viene
 penalizzata  e  non  adempie  a  quella  funzione di autentico filtro
 selettore e di deflazione dibattimentale, limitando eccessivamente le
 ipotesi   di    proscioglimento    ed    incoraggiando    altrettanto
 eccessivamente  rinvio  a giudizio, violando in tal modo anche l'art.
 97 della Costituzione relativamente alle norme di organizzazione  dei
 pubblici  uffici (quali nella specie le norme processuali) ed il buon
 andamento-efficienza  della  p.a.  (in  cui  non  e'  possibile   non
 comprendere anche l'Amministrazione della giustizia);
    Poiche' inoltre il tutto lede anche il principio dell'accertamento
 della  verita'  materiale,  rinviando  detto  accertamento in sede di
 dibattimento,  ed  anche   questo   si   inquadra   nella   normativa
 costituzionale violata;
    Poiche',  per  di piu', l'art. 422, primo comma, del nuovo c.p.p.,
 si riferisce nella  sua  sfasata  seconda  parte  alla  audizione  di
 testimoni  e  di  consulenti tecnici, senza menzionare esplicitamente
 l'eventualita' che, prima dell'apertura della discussione,  siano  le
 stesse parti a prospettare al giudice la necessita' di non dichiarare
 chiusa  la  discussione  stessa  onde  consentire  la acquisizione di
 ulteriori informazioni ai sensi del successivo art. 422;
    Poiche', stante una lettura  letterale  della  norma,  sembra  che
 l'impulso probatorio delle parti venga a dipendere a sua volta da uno
 stimolo-impulso  da  parte  del g.i.p., ledendo in tal modo l'art. 24
 della Costituzione sul diritto di difesa  delle  parti,  pubbliche  o
 private  che  siano,  diritto  che  viene  leso  anche  dalla mancata
 indicazione tassativa (nel 422 primo comma nella dizione  "Consulenti
 tecnici")  della c.t.u., sembrando riduttivo il termine "audizione di
 consulenti tecnici" che sembrerebbe limitato  all'audizione  di  c.t.
 gia' nominati dalle parti, mentre al contrario la normativa di cui al
 nuovo  c.p.p.  ed  in  particolare  agli artt. 220 e segg. in tema di
 perizia e' compresa nella parte generale e non nella  parte  speciale
 del  codice,  e  in  sede  di  art.  227  si privilegia di per se' la
 risposta orale immediata, fatta salva la complessita' dei  quesiti  e
 quindi   la   difficolta'  delle  indagini  peritali,  conconseguente
 concessione di un termine per il deposito dell'elaborato;
    Poiche' detta perizia - c.t.u. non reintrodurrebbe la  figura  del
 g.i.,  e  quindi  il  procedimento  inquisitorio, in quanto la c.t.u.
 rimarrebbe nella sfera endoprocessuale  delle  indagini  preliminari,
 sarebbe  cioe'  finalizzata  o  al rinvio a giudizio o al non luogo a
 procedere, non utilizzabile quindi  in  sede  dibattimentale,  e  non
 costituirebbe  quindi un doppione della perizia che viene disposta in
 sede di incidente probatorio ex artt. 392 e segg.  del  nuovo  c.p.p.
 allorche'  la  prova  riguardi una persona, una cosa, un luogo il cui
 stato sia soggetto a modificazione non evitabile, o si tratti di  una
 perizia   che,  se  fosse  disposta  nel  dibattimento,  ne  potrebbe
 determinare apposita sospensione  superiore  a  sessanta  giorni,  in
 quanto  in tal caso e' ben noto che le prove anticipatamente raccolte
 dal g.i.p. su richiesta delle parti sono predibattimentali  e  quindi
 in detta sede utilizzabili;
    Ritenuto  che  le  pregresse  considerazioni  in  materia peritale
 attengono alla necessita' di ulteriori  informazioni  ai  fini  della
 decisione  sulla circostanza se il trattamento chirurgico costituisse
 nl caso concreto l'unica terapia applicabile e praticabile, questione
 sulla quale tanto la perizia di ufficio  quanto  la  c.t.p.  si  sono
 pronunciate in modo generico, evasivo e comunque non approfondito;
    Premesso  che  si  apre una ulteriore problematica alla luce della
 richiesta del p.m. in sede  di  udienza  preliminare  di  derubricare
 l'ipotesi  criminosa  in senso riduttivo, cioe' da lesioni volontario
 gravissime a lesioni colpose gravissime, quest'ultime  di  competenza
 della pretura;
    Preso atto che a fronte di tale richiesta la difesa del r.c. INRCA
 deduce  non  esservi  altra via se non quella obbligata di dichiarare
 l'incompetenza per materia e di restituire gli atti al p.m. affinche'
 a sua volta ne investa la procura circondariale;
    Ritenuto che detta pregevole  questione  investe  da  un  lato  il
 rapporto  ed  il  coordinamento  fra l'art. 22 e l'art. 425 del nuovo
 c.p.p., dall'altro  l'art.  423  sulla  modifica  dell'imputazione  e
 l'art. 112 della Costituzione sull'esercizio obbligatorio dell'azione
 penale;
    Poiche'  dette questioni debbono essere trattate separatamente per
 via della differenza peculiare ed intrinseca inerente a  ciascuna  di
 esse;
    Non  potendosi  intendere  la  lettera  e lo spirito dell'art. 425
 senza una lettura contestuale del precedente 424, autentico punto  di
 riferimento;
    Rilevato  che  il  primo  comma  del 424 statuisce che il giudice,
 subito dopo aver dihchiarato la chiusura  della  discuzione,  procede
 alla  deliberazione  pronunciando sentenza di non luogo a procedere o
 decreto che dispone il giudizio, fattispecie di per  se'  antitetiche
 fra  le  quali  non  sembra,  allo stato lacunoso della norma citata,
 potersi desumere l'esistenza di un  tertium  genus  quale  l'apposita
 sentenza  declaratoria  di  incompetenza  per  materia, non sembrando
 detta stensione  analogica  potersi  dedurre  proprio  dal  carattere
 antitetico  degli  sbocchi  dell'udienza preliminare, e non potendosi
 del resto qualificare l'improcedilbilita' o  la  non  proseguibilita'
 dell'azione  penale  come una ipotesi che si adatti alla declaratoria
 di incompetenza, in cui l'azione penale, gia' esercitata, tale rimane
 e  viene  semplicemente  differita  nel  tempo  investendone  tramite
 pronuncia  del  g.i.p. un altro p.m., per la quale investitura dovra'
 attivarsi il primo p.m. e dovra' farlo comunque;
    Poiche'  l'art.  22,  primo  comma  contempla  il  caso   in   cui
 l'ordinanza  declaratoria  d'incompetenza  per  qualsiasi  causa, con
 conseguente restituzione degli atti al p.m.,  venga  pronunciata  nel
 cosro  delle  indagini  preliminari  mentre  il  terzo  comma prevede
 l'ipotesi della declaratoria  d'incompetenza,  sempre  per  qualsiasi
 causa,  pronunciata nella forma della sentenza dopo la chiusura delle
 indagini preliminari, ragion per cui nulla osterebbe di per  se',  se
 di  contrario  avviso  non  fosse  la  dizione  tassativa  del 424, a
 ritenere che proprio nel corso dell'udienza  preliminare  il  giudice
 possa,  anzi debba, pronunciare autentica sentenza declaratoria della
 detta incompetenza, riconoscendosi d'altronde, tanto nella fase delle
 indagini   preliminari,   quanto  dopo  la  chiusura  delle  indagini
 preliminari il giudice, per pervenire al concetto in incompetenza per
 qualsiasi causa, non abbisogni dell'impulso del p.m. o del  sollecito
 delle  parti  private, ma possa e debba pronunciarsi anche d'ufficio,
 ove si intenda egli ritenga di doversi pronunciare in  tal  senso,  e
 che quindi sia soltanto una coincidenza, come nel caso di specie, che
 il p.m. eserciti il suo impulso in tal senso;
    Poiche'  ad  ogni  modo la novita' di cui all'art. 22, terzo comma
 consiste nella pronuncia in forma di sentenza anziche' di  ordinanza,
 in  quanto,  nell'ipotesi  di  richiesta  di  giudizio immediato o di
 decreto penale di condanna, gli artt. 455 e 459 del cod. non lasciano
 altra alternativa al giudice, ove  ritenga  di  non  accogliere  tale
 richiesta,  se non quella di restituire gli atti al p.m., con la sola
 eccezione, nella sola ipotesi  della  richiesta  di  decreto  penale,
 della    eventuale    applicazione   dell'art.   129   con   apposito
 proscioglimento, non essendovi quindi  in  tal  sede  apazio  per  la
 pronuncia di una sentenza sulla competenza;
    Poiche' tuttavia la formulazione originaria dell'art. 23 prevedeva
 l'ipotesi in cui il giudice dell'udi,enza preliminare poteva ordinare
 il  rinvio a giudizio davanti alla pretura qualora ne avesse ritenuto
 la competenza in materia, analogamente a quanto previsto per il  g.i.
 dall'art.  374,  primo  comma,  del  vecchio  codice,  e  pertanto la
 soppressione di questa disposizione ha eliminato il detto potere, non
 ricavabile, al di fuori di una  specifica  previsione,  dai  principi
 generali;
    Poiche'   tuttavia,   malgrado   detta   eliminazione,  rimane  un
 antitetico conflitto, non colmabile fra le  due  tassativita'  quella
 del  22 e quella del 424 - 425 con violazione degli artt. 2 e 3 della
 Costituzione, in via  interpretativa  ragione  per  cui,  dal  tenore
 riduttivo  della  detta normativa, sembra che il riconoscimento della
 propria incompetenza per  qualsiasi  causa  dopo  la  chiusura  delle
 indagini  preliminari possa essere dichiarato con sentenza soltanto e
 limitatamente nelle more intercorrenti fra la richiesta  tecnica  del
 p.m.  di  rinvio  a  giudizio  finalizzato  all'udienza preliminare e
 l'udienza preliminare stessa, anteriormente quindi a  detta  udienza,
 in  quanto  comunque  il  giudice, trovandosi di fronte il caso di un
 imputato e non piu' di una persona sottoposta a indagini preliminari,
 resterebbe legittimato ad emettere il suo provvedimento  nella  forma
 della sentenza anziche' dell'ordinanza;
    Poiche'   comunque,   ancora   una   volta  e'  anche  l'art.  97,
 penalizzandosi gli sbocchi  dell'udienza  preliminare  e  rinviandosi
 all'eventuale dibattimento ogni decisione, ad essere violato;
    Dovendosi  a tal punto illustrare l'ultima, ancora piu' rilevante,
 eccezione di illegittimita', attinente  alle  lacune  dell'art.  423,
 primo comma laddove specifica che il p.m. modifica l'imputazione e la
 contesta  all'imputato  presente,  o  la comunica al difensore che lo
 rappresenta ai fini della contestazione, ove lo stesso  imputato  non
 sia  presente,  se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da
 come e' descritto nell'imputazione, non essendo specificamente  detto
 se tale diversita' attenga alla materialita' del fatto con differenti
 conseguenze  giuridiche  od anche all'ipotesi in cui detta differente
 conseguenza  scaturisca  da  un  fatto  materialmente   identico   ma
 diversamente qualificabile sotto il profilo del diritto;
    Ritenuto   che   la   problematica   di   cui  alla  insufficienze
 formulazione del 423 primo comma, comporta il parallelo esame del 429
 sul decreto che dispone il rinvio a giudizio;
    Pur tenendosi conto che  il  problema  della  competenza  e  della
 risoluzione  della  precedente  eccezione  si  configura estremamente
 importante e pregiudiziale; dovendosi trattare della  possibilita'  o
 meno,  a  proposito  del  429 di enunciare nel decreto che dispone il
 giudizio una imputazione  diversa  dsa  quella  formulata  dal  p.m.,
 possibilita'  pacificamente  riconosciuta,  nel  sistema  del vecchio
 codice, al g.i.,  non  espressamente  prevista  da  alcuna  norma  ma
 ricavata dai principi generali (ved. in tal senso, ad es. Cass. I, 21
 febbraio 1979, n. 522);
    Stante  il  fatto  che  il  potere di modificare la qualificazione
 giuridica del  fatto,  pur  trattenendo  il  giudizio,  era  previsto
 dall'art.   477,   primo   comma   unicamente   per  il  giudice  del
 dibattimento, mentre nel nuovo codice la  situazione  sembrerebbe,  a
 prima vista, del tutto simile, prevedendo un rinvio a giudizio frutto
 di  un provvedimento giurisdizionale sollecitato dal p.m., riservando
 tuttavia al solo giudice del dibattimento in  sede  di  art.  521  la
 possibilita'  di  dare  al fatto una definizione giuridica diversa da
 quella enunciata dell'imputazione, purche' il reato non ecceda la sua
 competenza mentre il secondo comma prevede  l'ipotesi  che  il  fatto
 risulti diverso ma che non venga contestato in dibattimento;
    Poiche'  comunque  non  puo'  attribuirsi  di per se' rilievo alla
 circostanza che il provvedimento che dispone il rinvio a giudizio non
 abbia piu' forma di ordinanza motivata, inoppugnabile, ma di semplice
 decreto (parimenti inoppugnabile);
    Poiche' cio' configura contrasto fra  il  423,  primo  comma,  pur
 nella  sua  iniziale  genericita', ed il 429, sempre al riguardo agli
 artt. 2 e 3 della Costituzione, stante la dizione tassativa di cui al
 521, primo comma;
    Dovendosi coordinare il tutto  al  potere  di  integrazione  e  di
 correzione  della  iniziativa  delle parti e marcatamente della parte
 pubblica, p.m.,  potere  connaturato  alla  figura  del  giudice  nel
 procedimento   di  tipo  inquisitorio  e  tuttavia  ad  avviso  dello
 scrivente non da  escludersi,  pur  con  gli  opportuni  adattamenti,
 nell'attuale  modello  accusatorio,  stante  l'indiscutibile silenzio
 della norma circa la possibilita' o meno, per il giudice, nel momento
 in cui dispone il passaggio del procedimento alla fase del  giudizio,
 di   modificare   a  tal  fine  ed  in  funzione  di  tale  passaggio
 l'imputazione formulata dal p.m., dovendosi tener conto che l'attuale
 sistema accusatorio non e'  integrale  ma  temperato  dal  correttivo
 dell'art.  112  della  Costituzione sull'esercizio obbligatorio della
 azione penale, la quale,  nel  caso  di  specie  verrebbe  ad  essere
 menomata e comunque ridotta, giacche' la discrezionalita' dell'azione
 penale,  pur  ancora  esercitata,  verrebbe ad essere compressa da un
 impulso di parte, inibendosi al giudice del  merito  ogni  esame  sul
 fondamento o meno della richiesta di derubricazione;
    Poiche' non si ritiene che le pregresse considerazioni contrastino
 con  il  principio  processuale,  valido tanto nel processo inquisito
 quanto nel processo  accusatorio,  del  ne  procedat  iudex  officio,
 principio  che  deve  riferirsi alla titolarita' dell'azione penale e
 quindi al suo effettivo inizio e  non  alla  pronuncia  su  un'azione
 penale  inizialmente dilatata, come da richiesta di rinvio a giudizio
 in questa sede per l'udienza preliminare, e successivamente compressa
 sempre  in  questa  sede, ragion per cui appare iniquo che il giudice
 non possa disporre il rinvio a giudizio (anche se il decreto  sarebbe
 inoppugnabile) enunciando una imputazione diversa da quella formulata
 dal  p.m.,  con  il  rischio  di  nullita'  assoluta rilevabile anche
 d'ufficio ex artt. 178, lett. b), primo ip., e 179 del nuovo c.p.p.;
    Poiche' una differente  interpretazione  finalizzerebbe  l'udienza
 prelimninare   ad  uno  sbocco  limitato  ed  unilaterale,  quale  la
 obbligatoria declaratoria di incompetenza e quindi violerebbe  da  un
 lato  l'art.  112  della Costituzione, gia' preannunciato dall'art. 6
 del  d.l.l.  14  settembre  1944,  n.  288,  modificativo  del  testo
 originario  dell'art.  74  del  vecchio c.p.p., normativa che nel suo
 complesso instaura un  autentico  controllo  sull'operato  del  p.m.,
 dall'altro vincolerebbe il giudice, terzo ed indipendente, alle parti
 o  piu' precisamente ad una singola parte, pubblica che sia, violando
 l'art. 101, secondo comma,  della  Costituzione  stante  il  quali  i
 giudici sono soggetti soltanto alla legge;
                               P. Q. M.
    Letti  gli  artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.
 1, 9 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e 23 della legge
 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti processuali alla Corte
 costituzionale, non potendosi il presente  giudizio  essere  definito
 indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
 costituzionale, sollevata d'ufficio e da non ritenersi manifestamente
 infondata, concernente:
      1) la violazione, per  quanto  riguarda  l'art.  425  del  nuovo
 c.p.p.,  nella  parte  in cui non specifica il concetto di evidenza e
 non lo coordina con l'art. 422 stesso cod., degli artt. 2 e  3  della
 Costituzione  rispetto al piu' favorevole trattamento di cui all'art.
 125 delle disp. att. del nuovo c.p.p.,  nonche'  dell'art.  97  della
 Costituzione;
      2)  la  violazione,  per quanto concerne sempre il 425 ed il 424
 primo comma, degli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione,  il  tutto  in
 relazione all'art. 22, terzo comma, dello stesso cod.;
      3)  la violazione, per quanto attiene all'art. 423, primo comma,
 degli artt. 2 e 3 della Costituzione per insufficiente specificazione
 del periodo "se nel corso della udienza il fatto risulta  diverso  da
 come  e'  descritto  nell'imputazione",  stante  il  piu'  favorevole
 trattamento di cui all'art. 521 dello stesso cod.;
      4) la violazione, sempre per quanto concerne l'art.  423,  primo
 comma,  dello  stesso  cod. degli artt. 112 e 101, secondo comma, del
 nuovo c.p.p. nella parte in cui vincolano il  g.i.p.  alla  riduzione
 della  sfera  dell'azione  penale  effettuato dal p.m. tramite il pur
 legittimo ed incontestabile diritto di richiedere  la  derubricazione
 dell'imputazione;
    Ordina   la  sospensione  del  giudizio  in  corso,  sollecita  al
 presidente  della  adita  Corte  la  procedura   d'urgenza   per   la
 trattazione del processo;
    Ordina  altresi'  che  a  cura  della  cancelleria  l'ordinanza di
 trasmissione degli atti sia notificata alle parti in causa ed al p.m.
 nonche' alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e comunicata anche
 alla Presidenza delle due Camere del Parlamento.
      Ancona, addi' 15 novembre 1990
            Il giudice dell'udienza preliminare: BONIVENTO

 91C0500