N. 23 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 12 aprile 1991

                                 N. 23
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 12
                              aprile 1991
                        (della regione Veneto)
 Istituzione della riserva naturale dello Stato Monte
    Pelmo-Mondeval-Passo  Giau  -  Affidamento  della  gestione  della
    riserva ai comuni di S. Vito di Cadore e di Borca di Cadore e alle
    regole di S. Vito e di Borca con costituzione di un consorzio  tra
    gli  stessi  con l'eventuale adesione anche della regione Veneto e
    della provincia di Belluno - Accollo  alla  regione  Veneto  degli
    oneri  finanziari  per  la gestione della riserva - Imposizione di
    misura di salvaguardia  e  sottoposizione  ad  autorizzazione  del
    Ministro  dell'ambiente, d'intesa con la regione, degli interventi
    nell'area  predetta  fino  alla  costituzione  del  consorzio   di
    gestione - Indebita invasione della sfera di competenza regionale,
    trattandosi  di  riserva  infraregionale di zona gia' classificata
    come "area di massima tutela paesaggistica" dal piano territoriale
    regionale di coordinamento e, come tale, sottoposta a salvaguardia
    - Illegittimo uso del decreto ministeriale anziche'  dell'atto  di
    indirizzo  e coordinamento del Governo - Violazione dell'autonomia
    finanziaria della regione - Riferimento alla sentenza della  Corte
    costituzionale n. 346/1990.
 (Decreto del Ministro dell'ambiente 28 dicembre 1990, pubblicato
    nella Gazzetta Ufficiale 2 febbraio 1991, n. 28).
 (Cost., artt. 81, 117, 118 e 119).
(GU n.18 del 8-5-1991 )
    Ricorso per conflitto di attribuzione della regione del Veneto, in
 persona   del   presidente   della   giunta   regionale  pro-tempore,
 rappresentato e difeso,  come  da  mandato  a  margine  del  presente
 ricorso,   giusta   deliberazione  g.r.  8  febbraio  1991,  n.  753,
 esecutiva, dagli avvocati prof. Vittorio  Domenichelli  di  Padova  e
 Vitaliano  Lorenzoni  di  Roma, con domicilio eletto nello studio del
 secondo in Roma, via Alessandria n. 130,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  per  la  dichiarazione che non spetta allo
 Stato  il potere esercitato dal Ministro dell'ambiente con decreto 28
 dicembre 1990 avente ad oggetto "Istituzione della  riserva  naturale
 dello  Stato  Monte  Pelmo,  Mondeval,  Passo Giau", pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  italiana  il  2  febbraio  1991
 (serie  generale  n.  28),  nonche'  per  l'annullamento  del decreto
 stesso.
                               F A T T O
    Con  il  decreto  28  dicembre  1990   (doc.   1),   il   Ministro
 dell'ambiente ha stabilito:
       a)  di  istituire la riserva naturale dello Stato "Monte Pelmo,
 Mondeval, Passo Giau" nei comuni di S. Vito e  Borca  di  Cadore,  ai
 sensi dell'art. 5 della legge n. 349/1986;
       b)   di   vietare   determinate  attivita'  nell'area  protetta
 individuata;
       c) di affidare la gestione della riserva ai comuni di  S.  Vito
 di Cadore, di Borca di Cadore, alle Regole di S. Vito e di Borca "che
 costituiranno  a  tal fine un apposito consorzio cui potranno aderire
 anche la regione Veneto e la provincia di Belluno, ove  lo  ritengano
 opportuno";
       d)  di  porre  a carico anche alla regione gli oneri finanziari
 per la gestione della riserva;
       e) di imporre determinate misure di  salvaguardia  sottoponendo
 ad  autorizzazione  del  Ministero  dell'ambiente,  l'intesa  con  la
 regione, ogni intervento nell'area predetta, fino  alla  costituzione
 del consorzio di gestione.
    Va subito sottolineato come lo Stato intervenga a tutelare un'area
 interamente   compresa   nel   territorio  Veneto  e  niente  affatto
 sprovvista  di  tutela,  sia  perche'  i  comuni  interessati   hanno
 regolamentato da tempo ogni attivita' rilevante sul piano ambientale,
 sia  perche'  la  regione Veneto ha preso in considerazione nel piano
 territoriale  regionale  di  coordinamento   gran   parte   dell'area
 classificandola come "area di massima tutela paesaggistica".
    Va  ricordato,  infatti,  che  il  p.t.r.c. adottato dalla regione
 Veneto con delibera g.r. 23 dicembre 1986, n. 7090, ha valenza di pi-
 ano paesistico e che le prescrizioni e direttive  in  esso  contenute
 sono   soggette  a  salvaguardia,  nel  senso  che  non  puo'  essere
 autorizzato alcun intervento con esse in  contrasto  (cfr.  art.  124
 della l.r. n. 61/1985).
    Nonostante  l'area  sia  dunque  gia'  ampiamente  protetta  dalla
 regione Veneto, appare incomprensibile per quali motivi il  Ministero
 dell'ambiente  ritenga, cosi' pervicacemente, di sottoporre a vincolo
 l'area in questione, esorbitando dai poteri che competono allo  Stato
 in subiecta materia.
    S'e'  scritto  "pervicacemente"  giacche'  analoghe prescrizioni a
 quelle contenute nel  decreto  avversato  il  Ministro  dell'ambiente
 aveva  gia'  imposto con d.m. 7 settembre 1989 (doc. 2) contenente la
 "dichiarazione   di    importanza    naturalistica    nazionale    ed
 internazionale"  della  medesima  area  ove  oggi  viene istituita la
 riserva naturale. E  tale  decreto  -  impugnato  dalla  regione  del
 Veneto, oltre che dai Comuni interessati avanti il t.a.r. Veneto - e'
 stato  annullato  dal  giudice  amministrativo  con  sentenza,  prima
 sezione n. 16/91 depositata il 26 gennaio 1991 (doc. 3) nella quale -
 in perfetta corrispondenza ai principi in materia piu' volte indicati
 da questa Corte e da ultimo con sentenza 11-20 luglio 1990, n. 346  -
 il  giudice  Veneto  ha  ritenuto  invasivo della sfera di competenza
 riservata alla regione e comunque proceduralmente scorretto - perche'
 non esercitato dal Governo nelle forme dell'indirizzo e coordinamento
 - il potere utilizzato dal  Ministro  dell'ambiente  con  il  (primo)
 decreto dichiarativo dell'importanza naturalistica della zona.
    Tale  sentenza  -  e  insieme la giurisprudenza costante di questa
 Corte  (cfr.  praecipue  la  sentenza  n.  346/1990)  -  il  Ministro
 dell'ambiente  ha inteso, dunque, manifestamente eludere con il nuovo
 d.m.  28  dicembre  1990  che  espressamente  dichiara   infatti   di
 sostituire  il  precedente  d.m.  7  settembre  1989  (gia'  peraltro
 annullato in sede giurisdizionale).
    Tale nuovo decreto deve  dunque  essere  avversato  dalla  Regione
 Veneto,  avanti a questa Corte, affinche' venga da questa annullato e
 affinche' la Corte dichiari che il potere esercitato non spetta  allo
 Stato nei termini in cui il Ministro ha inteso servirsene. E cio' per
 i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1.  -  Violazione  degli  artt.  117  e  118  della  Costituzione.
 Violazione e falsa applicazione dell'art.  5  della  legge  8  luglio
 1986,  n.  349,  dell'art.  7  della  legge  3  marzo  1987, n. 59 in
 relazione  all'art.  83  del  d.P.R.  24   luglio   1977,   n.   616.
 Incompetenza, difetto di motivazione e di istruttoria adeguata.
    La  materia  dei  parchi e delle riserve naturali e' stata, com'e'
 noto, radicalmente ridisciplinata in linea  generale  dal  d.P.R.  n.
 616/1977 in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    L'art.  83  del  d.P.R.  citato  ha  trasferito  alle regioni ogni
 funzione riguardante i parchi e le riserve naturali, inquadrando  gli
 uni  e  le  altre  come  "settori",  o  meglio  parti  della  materia
 "urbanistica", rispetto alla quale le  regioni  a  statuto  ordinario
 hanno  un'autonoma competenza legislativa e amministrativa, garantite
 rispettivamente dagli artt. 117, primo comma,  e  118,  primo  comma,
 della Costituzione.
    Lo  stesso  art. 83 (ultimo comma) riserva allo Stato, nell'ambito
 della funzione di indirizzo e coordinamento, il potere di individuare
 territori   nei   quali   istituire   riserve   naturali   e   parchi
 esclusivamente di carattere interregionale.
    Per  quanto  riguarda  i  parchi  e  le  riserve  dello Stato gia'
 esistenti, il medesimo art. 83 (secondo comma) rinvia ad  una  futura
 legge  statale  (non  ancora  emanata)  di  disciplina  generale  che
 definira' la ripartizione di  competenze  amministrative  fra  Stato,
 regioni  e  comunita'  montane  (ripetesi, per quanto riguarda i soli
 parchi nazionali oggi esistenti).
    A seguito dell'emanazione del d.P.R. n. 616/1977,  in  definitiva,
 la  "submateria"  parchi  e  riserve  naturali  e'  da  ritenersi  di
 competenza regionale, salvo che per quanto concerne parchi e  riserve
 interregionali  e i parchi nazionali gia' in precedenza istituiti con
 specifiche "leggi-provvedimento". Cosicche', com'e' stato rilevato in
 dottrina, dopo l'emanazione dell'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977 e' da
 escludere la possibilita' per lo Stato di istituire  nuovi  parchi  o
 riserve  nazionali  sia  mediante atti di legislazione singolare (del
 tipo di quelli che hanno  creato  i  parchi  nazionali  attuali)  sia
 ovviamente   mediante   atti   amministrativi,   confliggendo  simili
 iniziative con la norma generale di riassetto dei rapporti fra  Stato
 e regioni (cfr. Ferri, voce Parchi in Enc. del Dir. vol. XXXI p. 625;
 Capaccioli  Satta,  Commento  al  decreto 616, Milano 1980, p. 1288 e
 segg.).
    Se l'istituzione di nuovi parchi  e  riserve  naturali  statali  e
 interregionali  deve  esplicarsi,  a  partire dal d.P.R. n. 616/1977,
 nell'ambito della funzione di indirizzo e coordinamento,  (cfr.  art.
 83,  ultimo  comma)  in  quanto  ricompresa all'interno di competenze
 trasferite  alle  regioni,  deve  radicalmente  escludersi   sia   la
 possibilita' di un intervento statale riguardo a territori ricompresi
 nell'ambito  di una sola regione (cosi', Commento al decreto 616 cit.
 p.  1301)  sia   l'istituzione   di   parchi   e   riserve   naturali
 ultraregionali   al   di   fuori  della  procedura  dell'indirizzo  e
 coordinamento (cosi', esattamente, ha  statuito  questa  Corte  nella
 citata sentenza n. 346/1990).
    Tale  prospettiva non viene mutata dalla successiva legislazione e
 in particolare dalla legge  n.  349/1986,  istitutiva  del  Ministero
 dell'ambiente,  ne'  dalla  legge n. 59/1987, contenente norme per il
 funzionamento del Ministero stesso.
    Invero, l'art. 5, primo comma, della legge n.  349/1986,  consente
 al  Governo  di  individuare "i territori nei quali istituire riserve
 naturali e parchi di carattere interregionale a norma  dell'art.  83,
 quarto  comma,  del  d.P.R.  n.  616/1977  su  proposta  del Ministro
 dell'ambiente", nell'ambito dunque  della  funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento  (e  pertanto  mediante  procedure  collaborative e non
 certo con provvedimenti autoritativi).
    Egualmente  l'art.  7,  primo  comma,  della  legge  n.   59/1987,
 attribuisce  soltanto  al  Ministro  dell'ambiente di adottare, nelle
 aree individuate come zone da destinarsi a parchi nazionali e riserve
 naturali statali, le necessarie misure di  salvaguardia  al  fine  di
 evitare qualsiasi trasformazione dei luoghi.
    Invero,  nonostante  la  pessima  formulazione,  l'art.  7  non ha
 certamente reintrodotto il potere dello  Stato  di  istituire  parchi
 nazionali o interregionali al di fuori della procedura dell'indirizzo
 e  coordinamento. La normativa sul funzionamento del Ministero (posta
 dalla  legge  n.  59/1987)  non  puo'  infatti  confliggere  con   la
 disciplina  generale  dei rapporti fra Stato e regioni introdotta dal
 d.P.R. n. 616/1977 ne' revocare il trasferimento (non  delega)  delle
 funzioni  operato  dall'art. 83: tesi confermata dall'interpretazione
 della Corte costituzionale sia in ordine al portato dell'art. 5 della
 legge n.  349/1986  (Corte  costituzionale  sentenza  n.  830/1988  e
 346/1990)   sia   propriamente  in  ordine  all'art.  7  (cfr.  Corte
 costituzionale sentenza n. 617/1987 e 83/1988) che mantiene  siffatto
 potere  di  salvaguardia  all'interno  della  funzione di indirizzo e
 coordinamento, e aderente  all'art.  5  della  legge  n.  349/1986  e
 all'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977.
    In  definitiva,  poiche' il d.m. avversato ha inteso istituire una
 nuova riserva, naturale, il provvedimento  va  denunziato  anche  per
 violazoine  dell'art.  7, primo comma, della legge n. 59/1987 nonche'
 dell'art. 5 della legge n. 349/1986, giacche' nuove riserve  naturali
 possono  essere individuate dal Governo solo mediante la procedura di
 cui all'art. 83, quarto comma (indirizzo e coordinamento),  spettando
 al Ministro dell'ambiente ai sensi dell'art. 5 citato un "mero potere
 di  proposta"  (cosi'  Corte  costituzionale  sentenza nn. 830/1988 e
 346/1990) e non di diretta istituzione di parchi e  riserve  mediante
 atti  amministrativi (sul punto cfr. anche sentenze n. 123/1988, 1029
 e 1031 del 1988).
    Alle argomentazioni che precedono potrebbe obiettarsi che, sebbene
 compresa  nei  confronti  di una sola regione, la riserva naturale il
 Ministero ha inteso istituire ha ugualmente "carattere" nazionale per
 la rilevanza scientifica o paesaggistica del territorio protetto.
    Tale obiezione va - ad avviso di questa difesa - rivocata in serio
 dubbio perche' il carattere nazionale-interregionale o regionale  dei
 parchi  non  puo'  derivare  che  dalla  sua  dimensione:  a  maggior
 diversamente   non   sussisterebbe    altrimenti    alcun    criterio
 discriminatorio  sicuro  nel  riparto  delle  competenze  operato dal
 d.P.R. n. 616/1977.  Infatti,  se  lo  Stato  potesse  dichiarare  di
 interesse  nazionale  qualsiasi  territorio,  ancorche'  compreso nel
 territorio di una sola regione, e istituirvi una riserva o  un  parco
 la  competenza  regionale  costituzionalmente garantita e riconoscuta
 dal d.P.R. n. 616/1977 in attuazione degli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione verrebbe totalmente compromessa.
    Ma  anche  ad  ammettere  tale  diversa lettura della normativa in
 materia - ad ammettere cioe' che nell'area tutelata  potrebbe  essere
 costituita  una  riserva  naturale  di livello nazionale ancorche' di
 dimensione infraregionale - va contestato allora l'uso  che  di  tale
 potere ha fatto o Stato attraverso il Ministro dell'ambiente.
    Appare,  infatti,  evidente  che  se  l'istituzione di una riserva
 statale  deve  avvenire  mediante  la  procedura   dell'indirizzo   e
 coordinamento  -  mediante  cioe'  una  formula  collaborativa  e non
 autoritativa  nei  rapporti  fra  livelli  di  competenze  statali  e
 regionali  - lo Stato potrebbe intervenire solo in via sostitutiva, e
 cioe' mediante un  atto  governativo  emesso  a  seguito  di  inutili
 sollecitazioni  ad  adempiere  dirette alla regione interessata senza
 che questa abbia provveduto. Non solo, ma lo Stato dovrebbe  comunque
 suffragare  la  propria  decisione  di intervenire in via sostitutiva
 mediante rigorosi argomenti di ordine motivatorio sia in ordine  alla
 sussistenza  dell'interesse nazionale o di un obbligo internazionale,
 sia  in  ordine  all'inerzia  regionale  (cfr.  Corte  costituzionale
 sentenze nn. 346/1990, 830 e 633 del 1988, 407/1989 e 139/1990).
    Nel  caso  nostro,  non  e' dato di rinvenire nel d.m. 28 dicembre
 1990 alcuna adeguata motivazione in ordine alla sussistenza  di  tale
 interesse  nazionale o internazionale - non essendo certo sufficienti
 le tralaticie e generiche indicazioni invi contenute sugli  interessi
 ambientali,   morfologici,  naturalistici,  geologici  della  zona  -
 soprattutto in considerazione del  fatto  che,  come  si  diceva,  la
 regione del Veneto gia' ha considerato l'area come "di massima tutela
 paesaggistica" nell'ambito del p.t.r.c. adottato, piano che non viene
 nemmeno  considerato  nel  d.m.  sebbene  debitamente  trasmesso agli
 organi del Governo e a tutti i Ministri interessati.
    Il d.m. avversato deve dunque ritenersi invasivo delle  competenze
 regionali non solo perche' il Ministro ha inteso esercitare un potere
 di  istituzione di una nuova riserva, mentre avrebbe dovuto limitarsi
 ad esercitare il potere di proposta nei confronti del Governo,  nelle
 forme  dell'indirizzo  e coordinamento, ma anche perche' ha istituito
 una riserva naturale in area infraregionale senza indicare per  quali
 motivi  il  Ministro  abbia  inteso  sostituirsi  nell'esercizio  dei
 potersi regionali in materia e senza dimostrare che la regione Veneto
 - del resto neppure interpellata - non dispone di mezzi e  di  poteri
 adeguati  alla  tutela  dell'area  ovvero che, pur disponendo di tali
 poteri, non abbia inteso esercitarli.
    Quanto,  specificatamente,  alle  misure di salvaguardia stabilite
 nel d.m. avversato deve ribadirsi che il Ministro avrebbe solo potuto
 adottare misure di  salvaguardia,  con  le  quali  vietare  qualsiasi
 trasformazione  dei  luoghi, ma esclusivamente nelle aree individuate
 dal  Governo.  Le  misure  concretamente  stabilite   sono   peraltro
 illegittime  anche  perche'  appaiono  cosi'  stabilite sono peraltro
 illegittime anche perche' appasiono cosi' minuziose (cfr. art. 3  del
 d.m.)  e  indeterminate nel tempo, da costituire non una salvaguardia
 limitata  e  temporanea,  ma  una  vera  e  propria  regolamentazione
 dell'uso  del  territorio, slegata dal fine essenziale cui dovrebbero
 essere preordinate (evitare la trasformazione dei luoghi). Non  solo,
 ma  anche  quelle  -  fra  le  misure di salvaguardia - che realmente
 possono ritenersi dirette ad evitare una  trasformazione  dei  luoghi
 sono  altresi'  inutili  giacche'  si  sovrappongono  alle  misure di
 salvaguardia  derivanti   dal   piano   territoriale   regionale   di
 coordinamento  per  l'area  di cui trattasi, creando cosi' un inutile
 doppione normativo, che rende giuridicamente incerta la  fonte  e  la
 portata   delle   prescrizioni.  Inoltre  l'aver  dettato  misure  di
 salvaguardia  che  replicano  quelle  gia'  assunte  dalla   regione,
 contrasta  con  il principio stabilito da questa Corte (cfr. sentenze
 nn. 346/1990 e  830/1988)  che  lo  Stato  puo'  intervenire  in  via
 sostitutiva solo nel caso di persistete inattivita' delle regioni e a
 seguito di inutili sollecitazioni ad adempiere.
    Poiche'  nel  caso  la  regione  del  Veneto  non e' stata affatto
 inerte, avendo provveduto ad adottare precise misure di  salvaguardia
 relativamente  alle  medesime aree comprese nell'ambito del p.t.r.c.,
 debitamente comunicato al Governo e a tutti i Ministri interessati, e
 non e' stata  comunque  ne'  sollecitata  a  provvedere,  ma  neppure
 interpellata  (|), le misure di salvaguardia imposte costituiscono un
 illegittimo uso del potere  sostitutivo  dello  Stato,  mancandone  i
 presupposti legittimanti.
    Tale  profilo di illegittimita' va ulteriormente sviluppato, sotto
 un  aspetto  parzialmente  diverso,  sottolineando   l'illegittimita'
 dell'operato  ministeriale  per  difetto assoluto di motivazione e di
 istruttoria. Il Ministero, invero, che pur  aveva  sicura  conoscenza
 del  p.t.r.c.  Veneto  -  giacche'  la regione Veneto glielo trasmise
 all'atto dell'adozione - non ha tenuto  in  alcuna  considerazione  i
 vincoli e la salvaguardia imposti dalla regione.
    Il  Ministero, cioe', non ha ritenuto di motivare in alcun modo in
 ordine alla  necessita'  delle  (ulteriori)  misure  di  salvaguardia
 imposte,  in  correlazione  alle  misure di tutela gia' assunte dalla
 regione, incorrendo cosi'  in  un  vistoso  difetto  di  motivazione:
 atteso  che  la  motivazione e' elemento necessario dei provvedimenti
 amministrativi discrezionali, qual'e' certo quello  in  questione,  e
 tanto  piu'  necessaria  quanto  piu'  straordinario  o eccezionale e
 incidente su interessi diversi (pubblici  e  privati)  e'  il  potere
 esercitato.  E  crediamo  di  aver  gia'  dimostrato sopra perche' il
 potere esercitato dal Ministro sia straordinario,  giustificato  solo
 (e  sempre  che  lo  si  voglia giustificare) dalla totale assenza di
 protezione di un'area naturalisticamente importante, dal momento  che
 spezza  lo schema istituzionale del riparto di competenze fra Stato e
 regioni disegnato dal d.P.R. n. 616/1977 in  conformita'  al  dettato
 costituzionale (sul punto cfr. sentenza n. 346/1990).
    La   verita'   e'  che,  in  un  malinteso  spirito  di  emergenza
 ambientalista,  frettolosamente   e   senza   alcuna   considerazione
 dell'operato   delle   regioni  piu'  attente,  il  Ministro  non  ha
 minimamente  considerato  se  l'area   non   avesse   gia'   ottenuto
 sufficiente  protezione  da  parte  dell'ente regionale preposto alla
 tutela ordinaria dei beni  ambientali  e  non  s'e'  conseguentemente
 preoccupato di giustificare la propria scelta.
    Tant'e' che il d.m. avversato prevede una perimetrazione del tutto
 casuale  seguendo  versanti,  tagliando a meta' monti e divagando per
 valli senza alcuna logica, senza che sia dato di  capire  se  vi  sia
 stato  qualche  approfondimento geomorfologico, botanico, zoologico e
 forestale.
    2. - Violazione degli artt. 81, 117, 118 e 119 della Costituzione.
 Illogicita' manifesta e  violazione  del  principio  di  tipicita'  e
 nominativita' degli atti amministrativi.
    Come si ricordava nelle premesse, il d.m. qui avversato, oltre che
 invadere  palesemente  le competenze regionali, ha fin'anche ritenuto
 di  poter  sottoporre  all'autorizzazione  dello   stesso   Ministero
 dell'ambiente,  di  intesa  con  la  regione  interessata (rectius la
 regione Veneto) le  eventuali  varianti  agli  strumenti  urbanistici
 regionali e, comunque, determinati "interventi" ritenuti di rilevante
 trasformazione del territorio che lo stesso decreto elenca (cfr. art.
 9).
    Non  occorre  spendere molte parole per dimostrare l'abnormita' di
 simile previsione autorizzativa, che (in questi  termini)  non  trova
 base  in  alcuna  disposizione  legislativa  ed anzi contrasta con le
 competenze regionali, sia legislative sia amministrative, in  materia
 urbanistica  e  di  opere  pubbliche  di interesse regionale previste
 dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Solo la legge, infatti, puo' attribuire - e comunque nel  rispetto
 delle  norme  di  riparto  delle competenze fra Stato e regioni - una
 competenza autorizzatoria in capo al  Ministero,  da  esercitare  con
 l'intesa  della  regione  interessata in una determinata materia. Non
 puo' invece, il Ministro - in assenza di disposizioni  legislative  -
 autoattribuirsi   tale  competenza  in  una  materia  regionalizzata,
 ancorche'  ritenga  di  autolimitarsi  prevedendo   l'esercizio   del
 medesimo  potere  di  intesa  con la regione. Vista dalla parte della
 regione,  invero,   l'intesa   costituisce   egualmente   una   grave
 limitazione  delle  competenze regionali nelle materie (urbanistica e
 lavori pubblici) che le spettano in base agli artt. 117 e  118  della
 Costituzione.
    Non  solo,  ma  prevedendo  (cfr.  art.  5)  che la gestione della
 riserva naturale statale - istituita per iniziativa autonoma (e, come
 s'e' visto, nei  motivi  che  precedono,  illegittima)  del  Ministro
 dell'ambiente  - venga finanziata non solo con interventi finalizzati
 dallo Stato, ma altresi' con i proventi dalla regione Veneto e  dalla
 provincia  di  Belluno  (proventi che non vengono considerati nemmeno
 come eventuali, a differenza dei contributi di altre  amministrazioni
 pubbliche),  il  d.m.  viola altresi' i principi costituzionali posti
 dagli artt. 81 e 119  della  Costituzione:  l'art.  81  giacche'  non
 vengono  indicati (ne' forniti) i mezzi con i quali gli enti locali e
 la regione dovrebbero fra fronte agli oneri  della  gestione;  l'art.
 119,  giacche'  l'autonomia finanziaria attribuita dalla Costituzione
 alla regione, nelle forme e  nei  limiti  stabiliti  da  leggi  della
 Regione,  nonche'  puo'  essere evidentemente conculcata mediante una
 semplice  provvedimento  amministrativo  che  impone  una  spesa  non
 deliberata autonomamente dagli organi alla regione.
    Violazioni  particolarmente  evidenti  se si considera che il d.m.
 pretende di porre a carico (anche) della regione la gestione  di  una
 riserva  statale,  dallo  Stato  decisa  e dallo Stato affidata ad un
 consorzio di gestione del quale la regione puo' anche non  far  parte
 (cfr. art. 4).
    Illegittimita'   che,   alla   stregua  di  quest'ultimo  rilievo,
 manifesta anche una evidente illogicita'.
   Tutto cio' premesso, la regione del Veneto, ut supra  rappresentata
 e  difesa chiede: voglia la Corte costituzionale adita dichiarare che
 non spetta allo Stato il potere esercitato dal Ministro dell'ambiente
 con d.m. 28 dicembre 1990 (in Gazzetta Ufficiale n. 28 del 2 febbraio
 1991) e conseguentemente annullare il d.m.  stesso  perche'  invasivo
 delle competenze regionali in relazione agli artt. 81, 117, 118 e 119
 della  Costituzione,  come  attuati  dall'art.  83, ultimo comma, del
 d.P.R. 14 luglio 1977, n. 616, dall'art. 5 della legge 8 luglio 1986,
 n. 349, dall'art. 7 della legge 3 marzo 1987, n. 59,  ed  illegittimo
 per gli ulteriori profili denunziati nel ricorso.
     Padova-Roma, addi' 26 marzo 1991
      Avv. prof. Vittorio DOMENICHELLI - Avv. Vitaliano LORENZONI

 91C0517