N. 313 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 marzo 1991

                                N. 313
 Ordinanza emessa il 7 marzo 1991 dalla corte di assise di appello di
                                Trieste
          nel procedimento penale a carico di Ragagnin Pietro
 Processo penale - Procedimenti speciali - Rito abbreviato - Sentenza
    di  condanna  -  Appello  -  Procedimento in camera di consiglio -
    Condannato  detenuto  fuori  della  circoscrizione   del   giudice
    competente - Comparizione - Omessa previsione - Audizione delegata
    al  giudice  di  sorveglianza - Disparita' di trattamento rispetto
    agli  imputati  detenuti  nello  stesso  luogo  del   giudizio   -
    Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, artt. 127, terzo e quarto comma, 599, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.18 del 8-5-1991 )
                     LA CORTE DI ASSISE D'APPELLO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
                               F A T T O
    Pietro   Ragagnin,   imputato   di   uxoricidio   aggravato  dalla
 premeditazione, commesso il 21 aprile 1990, il  31  ottobre  1990  e'
 stato   giudicato   con  rito  abbreviato  dal  giudice  dell'udienza
 preliminare presso il tribunale di Pordenone e condannato  alla  pena
 di  30  anni  di reclusione. Quel giudice gli ha negato le attenuanti
 generiche ed inflitto  anche  le  pene  accessorie  dell'interdizione
 perpetua  dai  pubblici uffici, della decadenza dalla sua potesta' di
 genitore e della pubblicazione della sentenza di  condanna,  oltre  a
 condannarlo  al  risarcimento  dei danni verso le figlie minori ed il
 suocero, parti civili nel processo.
    Proposto appello, il Raganin - detenuto a  Padova  -  ha  reso  al
 giudice  di  sorveglianza  dichiarazione agli atti, seguita da un suo
 scritto difensivo. Con la convocazione delle Parti ai sensi dell'art.
 127 del c.p.p. non venne disposta la sua  traduzione  a  Trieste  per
 l'udienza in camera di consiglio; ha tuttavia chiesto di presenziare,
 come  da  istanza che la direzione della casa circondariale di Padova
 ha fatto pervenire tempestivamente a questa Corte.
    Nell'udienza camerale, prima della relazione,  i  difensori  delle
 parti  private  hanno  mosso eccezione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 127,  terzo  e  quarto  comma,  599,  secondo  c.p.p.  in
 rapporto agli artt. 3, 24 della Costituzione giacche' sarebbe violato
 il  principio  di  uguaglianza  ed il diritto di difesa dell'imputato
 che, per essere detenuto in luogo non compreso  nella  circoscrizione
 del  giudice,  ha  soltanto  diritto di essere sentito dal giudice di
 sorveglianza  del  luogo   anziche'   quello   di   essere   presente
 nell'udienza  davanti  al giudice dell'appello e di fare in camera di
 consiglio le dichiarazioni che ritiene opportune a sua difesa.
    Il  procuratore  generale  si   e'   associato   al   rilievo   di
 incostituzionalita'.
                             D I R I T T O
    Le  norme  di cui si tratta disciplinano in vario modo gli effetti
 del mancato intervento delle parti in camera di  consiglio.  Premesso
 che,  in generale, la presenza in udienza dei destinatari dell'avviso
 non e' necessaria (art. 127/3) ed  essi  possono  presentare  memorie
 (art.  127/2),  l'assenza  dell'imputato (o del condannato) impone il
 rinvio dell'udienza se abbia chiesto di essere sentito  personalmente
 e  sussista  un suo legittimo impedimento (art. 127/4). Tuttavia tale
 rinvio e' consentito soltanto se egli, detenuto o internato,  non  si
 trovi in un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice.
    Con  riguardo  al  giudizio  di  appello  le disposizioni predette
 trovano applicazione in virtu' del richiamo di cui all'art. 599/1 del
 c.p.p. nondimeno (secondo comma) "l'udienza e' rinviata  se  sussiste
 un legittimo impedimento dell'imputato che ha manifestato la volonta'
 di comparire".
    Il confronto fra le due norme rende gia' manifesta una diversita':
 nella  prima  si  e'  tenuto  conto  della richiesta dell'imputato di
 "essere  sentito  personalmente",  nella  seconda   ha   rilievo   la
 manifestata  "volonta'  di  comparire",  sufficiente  a  far rinviare
 l'udienza in caso di legittimo  impedimento.  Ma  la  distinzione  in
 realta' non ha pratico effetto in quanto, se compare, l'imputato deve
 essere sentito (art. 127/3).
    Si sa che il diverso trattamento fra l'imputato detenuto nel luogo
 in  cui  ha  sede  il  giudice  e  quello  detenuto altrove era stato
 rilevato a proposito dell'art. 630 del c.p.p. abr. (procedimento  per
 gli  incidenti  di  esecuzione)  e  che  la  Corte  costituzionale si
 pronuncio'  per  l'infondatezza  della  questione   di   legittimita'
 costituzionale  (sentenze  n.  5/1970  e  n. 208/1972). In seguito la
 Corte corresse il proprio giudizio e con sentenza 7/20 maggio 1982 n.
 98 dichiaro' l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  630  secondo
 comma  del  c.p.p.  "nella  parte  in cui non prevede il rinvio della
 trattazione  dell'incidente  di  esecuzione  ove  l'imputato   o   il
 condannato,  che  abbia  fatto domanda di essere udito personalmente,
 non compaia per legittimo impedimento".
    Di tale ultima sentenza della Corte costituzionale ha tenuto conto
 il legislatore del nuovo codice con  la  norma  dell'art.  599/2  del
 c.p.p.  (v.  relazione  in  Gazzetta  Ufficiale n. 93/1988 pag. 131).
 Tuttavia il richiamo al legittimo impedimento non appare  comprensivo
 del  caso  in  cui  l'imputato  sia  detenuto, in quanto disciplinato
 esaurientemente dall'art. 127, terzo e quarto comma del c.p.p. di cui
 lo stesso art. 599/1 prevede l'applicazione. In contrario si potrebbe
 osservare come la formulazione dell'art. 599/2,  che  ricalca  quella
 dell'art. 127/4 ma senza le limitazioni che questo contempla, sarebbe
 pleonastica  se  la  norma  non  si  intendesse  nel  senso che nella
 procedura camerale in appello qualsiasi impedimento  legittimo  valga
 ad  imporre  un  rinvio  dell'udienza, dunque anche quello costituito
 dalla detenzione in luogo diverso.  Tale  interpretazione,  tuttavia,
 non  si  puo' condividere in quanto, nel coesistere dell'applicazione
 di ambo le norme nell'art. 599, si deve tener conto della specialita'
 dell'impedimento  a  carico  dell'imputato   detenuto,   diverso   da
 qualsiasi   altro   e   disciplinato   in   modo  autonomo  in  forza
 dell'esigenza di speditezza cui e' ispirata la procedura camerale.
    Scartata, quindi, la possibilita'  di  interpretare  l'art.  599/2
 c.p.p.  nel  senso  esposto,  la  Corte rileva che la questione posta
 dalle Parti private e' rilevante e non manifestamente infondata.
    La presenza dell'imputato attiene al  suo  diritto  di  difendersi
 anche  con  le sue dichiarazioni, oltre che con la difesa tecnica. Il
 fatto che egli non fosse stato  tradotto  in  udienza  e  che  se  ne
 fossero acquisite soltanto le dichiarazioni riportate nel verbale del
 giudice  di  sorveglianza  e'  rilevante  ai fini della decisione con
 riguardo  non  solo  al  diritto  di  difesa  in  se'  ma  pure  alla
 particolare  composizione  del collegio giuidicante, costituito anche
 da  giudici  non  professionisti  con  possibile  maggiore  influenza
 dell'autodifesa sul formarsi del loro convincimento.
    Le  norme  denunciate si presentano in contrasto con quelle di cui
 agli artt. 3, 24 della Costituzione.
    Infatti contrasta  con  il  principio  di  eguaglianza  la  citata
 disciplina  dell'art.  127/3›  e  4›  del  c.p.p.  in  quanto prevede
 diversita' di trattamento fra imputati che siano  detenuti  in  luogo
 diverso  da quello dove ha sede il giudice oppure nello stesso luogo.
 Nel primo caso sono sentiti dal giudice di sorveglianza, nel  secondo
 dallo  stesso  giudice  del  fatto  per  il  quale  sono accusati. La
 disparita' di trattamento, se ispirata  da  esigenze  di  speditezza,
 viola  il  principio  di  uguaglianza  e  non e' neppure sostenuta da
 ragionevolezza. Infatti la traduzione  di  imputati  detenuti  oramai
 poco intralcia il regolare corso dei processi, e' sempre possibile ed
 e'  regolarmente  eseguita  nei processi ordinari. In piu' il diverso
 luogo nel quale  l'imputato  e'  detenuto  dipende  da  provvedimenti
 discrezionali dell'amministrazione penitenziaria, alle volte sorretti
 da  oggettive  esigenze  di  distribuzione  dei  detenuti  fra i vari
 istituti di detenzione, ma in sostanza sottratti a verifica.
    Il contrasto delle citate norme si pone anche con l'art. 24  della
 Costituzione  in  quanto  la  loro applicazione pregiudica il diritto
 inviolabile dell'imputato di difendersi, con l'impedirgli  di  essere
 presente   nell'udienza   davanti  al  giudice  e  confiscandogli  la
 possibilita' di esprimere direttamente davanti a lui  le  sue  difese
 orali (v. Corte costituzionale n. 98/1982 cit.).
    Pertanto il processo deve essere sospeso e la questione rimessa al
 giudizio della Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale,  sollevata  dal  difensore  dell'imputato e da quello
 delle parti civili, degli artt.  127,  terzo  e  quarto  comma,  599,
 secondo  comma  del  c.p.p.  nella  parte  in  cui  prevedono che nel
 giudizio abbreviato in grado di appello l'imputato, detenuto in luogo
 posto fuori della circoscrizione del giudice e  che  ne  abbia  fatto
 richiesta,  debba  essere  sentito  prima del giorno dell'udienza dal
 magistrato di sorveglianza del luogo, per contrasto con le  norme  di
 cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Sospende il procedimento nei confronti di Pietro Ragagnin.
    Ordina  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e che
 la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio  dei
 Ministri, alle parti, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del
 Parlamento.
      Trieste, addi' 7 marzo 1991
                  Il presidente: (firma illeggibile)

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