N. 202 SENTENZA 23 aprile - 7 maggio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sanita'  pubblica  -  C.d.  fumo  passivo  -  Divieto  di  fumare  in
 determinati locali pubblici  -  Estensione  -  Mancata  previsione  -
 Difetto di rilevanza della questione - Discrezionalita' legislativa -
 Diritto  alla  risarcibilita' del danno ingiusto alla salute comunque
 garantito - Invito al legislatore ad apprestare una piu'  incisiva  e
 completa tutela della salute dei cittadini - Inammissibilita'.
 
 (Legge 11 novembre 1975, n. 584, art. 1, lettere  a) e  b)).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 4, 17, 32 e 97).
(GU n.19 del 15-5-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici:  prof.  Giuseppe  BORZELLINO,  dott.  Francesco GRECO, prof.
 Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.   Francesco   Paolo
 CASAVOLA,  prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,  dott.    Renato
 GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lett. a) e
 b), della legge 11 novembre  1975,  n.  584  (Divieto  di  fumare  in
 determinati  locali  e  su mezzi di trasporto pubblico), promosso con
 ordinanza emessa l'8 settembre 1990 dal giudice Conciliatore di  Roma
 nel procedimento civile vertente tra De Russis Vito Nicola ed altro e
 U.S.L. RM/4 ed altri iscritta al n. 718 del registro ordinanze 1990 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 49, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti gli atti di costituzione di  De  Russis  Vito  Nicola  e  di
 Candidi Franco;
    Udito  nell'udienza pubblica del 19 marzo 1991 il Giudice relatore
 Francesco Greco;
    Uditi gli avvocati  Carlo  Rienzi,  Roberto  Canestrelli,  Nicolo'
 Paoletti  per  De  Russis  Vito Nicola, nonche' Paolo Ferrari e Carlo
 Mezzanotte per Candidi Franco;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da Vito De Russis  e
 Francesco  Spiga,  danneggiati  dal  c.d.  fumo  passivo,  nel pronto
 soccorso di un ospedale, nell'ufficio postale, e  in  un  ristorante,
 nei  confronti  del  Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni,
 del direttore dell'Ufficio postale di Roma, via Collatina, n. 78, del
 titolare del ristorante, nonche' della USL  RM/4,  onde  ottenere  il
 risarcimento  dei  danni  subiti,  il giudice Conciliatore di Roma ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale:
       a) dell'art. 1, lett. a), della legge 11 novembre 1975, n. 584,
 nella  parte  in  cui  prevede il divieto di fumare solo nelle corsie
 degli  ospedali  e  non  anche  in  tutti  gli  ambienti,  in  quanto
 sussisterebbe  una  irragionevole  differenziazione tra locali pur in
 presenza  di   una   identica   necessita'   di   protezione   e   si
 discriminerebbero  altresi'  i  soggetti costretti, per necessita' di
 cure  o  per  motivi  di  lavoro,  a  permanere  nei  diversi  locali
 dell'ospedale,  bisognevoli di una stessa incisiva tutela (violazione
 dei principi di ragionevolezza ex art.  3  della  Costituzione  e  di
 tutela della salute ex art. 32 della Costituzione);
       b) dell'art. 1, lett. a), nella parte in cui prevede il divieto
 di  fumare  "nei  locali  destinati alla istruzione e nei vari luoghi
 frequentati  dagli  utenti   di   diversi   servizi   di   trasporto,
 consentendosi,  invece,  la diffusione degli effetti del fumo, nocivi
 alla salute, nei locali nei  quali  si  eroga  il  servizio  pubblico
 postale;   gli  utenti  di  quest'ultimo  sarebbero  illegittimamente
 discriminati  rispetto  agli  utenti  degli  altri  servizi  pubblici
 protetti (sanita', istruzione, trasporto, ecc.), essendo pari la loro
 rilevanza  costituzionale  (ulteriore  violazione  degli artt. 3 e 32
 della Costituzione).
       c) dell'art. 1, lett. b), nella parte in  cui  non  prevede  il
 divieto di fumare all'interno dei ristoranti.
    Sussisterebbe una immotivata disparita' di trattamento e di tutela
 tra  i  frequentatori  di sale da ballo e di sale corse, tutelati dal
 fumo passivo, e coloro che si  recano  nei  ristoranti,  non  affatto
 tutelati (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione). Inoltre,
 la   suddetta   disposizione,  interpretata  secondo  il  parere  del
 Consiglio di Stato n. 540 del 1976, nel senso della applicabilita' ai
 soli casi in cui vi sia un incontro di piu' persone in luogo pubblico
 per un tempo  definito  e  per  uno  scopo  consentito,  importerebbe
 violazione  degli  artt. 2 e 3 della Costituzione che garantiscono la
 realizzazione dell'individuo anche in aggregati sociali,  quali  sono
 favoriti  da  tutti i luoghi di svago e di riposo dei cittadini e dei
 lavoratori, nonche' dell'art. 17 della Costituzione che  riconosce  a
 tutti i cittadini l'identico diritto di riunirsi pacificamente, anche
 a  seguito  e per effetto della predisposizione di un medesimo regime
 giuridico per tutte le forme attraverso  le  quali  tale  diritto  si
 realizza.
    In  punto di rilevanza, il Conciliatore ha osservato che l'esame e
 la decisione delle proposte domande risarcitorie  sarebbero  precluse
 dalle disposizioni censurate che considerano lecito fumare nei locali
 chiusi  nei quali si e' verificata la situazione dannosa subita dagli
 attori.
    2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata e  notificata,  e'  stata
 altresi' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    2.1.  - Nel giudizio si sono costituiti soltanto il De Russis e il
 Candidi.
    2.2. - La difesa del Candidi ha concluso per  la  declaratoria  di
 inammissibilita'   della   questione   o,   in   subordine,   per  la
 infondatezza.
    Ha osservato che la proposta questione e' irrilevante,  in  quanto
 l'azione   risarcitoria   proposta   nel  giudizio  a  quo  si  fonda
 direttamente sul combinato disposto degli artt. 32 della Costituzione
 e 2043 del codice civile, mentre la legge n. 584 del 1975, si  limita
 a   prevedere,   in   caso  di  violazione  del  divieto  di  fumare,
 l'applicazione di sanzioni amministrative.
    Non sarebbe stata valutata l'effettiva sussistenza del pregiudizio
 alla salute lamentato dagli interessati.
    La questione sarebbe meramente ipotetica ed eventuale, non essendo
 stati convenuti in giudizio gli autori del fatto  illecito,  cioe'  i
 fumatori.
    Nel merito, la questione sarebbe infondata perche':
       a) postula l'emanazione di una sentenza additiva in una materia
 nella quale si profila una pluralita' di soluzioni derivanti da varie
 valutazioni possibili;
       b)  si  assume  a  tertium comparationis il divieto secondo una
 norma derogatoria della liberta' di fumare;
       c) la citata legge non concerne  in  modo  alcuno  gli  aspetti
 risarcitori  connessi all'eventuale danno alla salute per esposizione
 al fumo cosiddetto "passivo";
       d) non e' chiarita  la  ragione  per  cui  le  limitazioni  del
 divieto  possano  impingere  sul  diritto  dei  cittadini di riunirsi
 pacificamente ovvero impedire il pieno sviluppo della persona umana.
    Nella memoria, la difesa del De Russis ha osservato  che  sussiste
 il  nesso  di causalita' tra la esposizione al fumo degli attori e la
 lesione del loro diritto alla salute; che  vige  nell'ordinamento  il
 principio  di ordine generale secondo cui i gestori dei locali aperti
 al pubblico, che si frequentano per necessita' o per  opportunita'  e
 ai quali si accede liberamente, devono garantire condizioni igienico-
 sanitarie  ottimali,  mentre  la  legge  impugnata, non prevedendo il
 divieto di fumare in detti locali, rende lecita la loro condotta;
      che la questione sollevata sarebbe  inammissibile  solo  se  nel
 nostro  ordinamento  dal  principio costituzionale della tutela della
 salute potesse derivare  il  divieto  di  fumare  nei  detti  locali,
 indipendentemente  da  una  apposita previsione normativa; mentre, il
 legislatore, a tutela dei  malati  e  dei  giovani,  ha  previsto  il
 divieto di fumare solo in determinati locali;
      che le finalita' perseguite impongono una interpretazione logica
 e  razionale  della  disposizione  secondo  cui  il divieto di fumare
 "nelle corsie degli ospedali" va interpretato nel senso che esso vale
 per tutti gli ambienti degli ospedali frequentati da malati; che  non
 puo'  essere ritenuta tassativa la elencazione della disposizione che
 sancisce il divieto di fumare solo in determinati locali ove  vengono
 erogati  i  servizi  sanitari,  scolastici  e  di  trasporto; mentre,
 logicamente e razionalmente il divieto dovrebbe  riguardare  tutti  i
 locali nei quali si erogano servizi pubblici, tra cui quello postale.
    Per quanto riguarda il divieto di fumare nei ristoranti, la difesa
 del  De  Russis ha osservato che l'interesse protetto dal legislatore
 importa che per riunione pubblica si debba intendere riunione di piu'
 persone in un luogo aperto al pubblico qualunque sia lo  scopo  della
 riunione  stessa;  che  la  discrezionalita' del legislatore sussiste
 solo in ordine alla scelta dei mezzi che non consentano la permanenza
 del fumo nei locali ove si fuma; che la nocivita'  del  fumo,  specie
 quello  c.d.  passivo,  e' generalmente ammessa anche nella Comunita'
 Europea sia  per  i  fumatori  che  per  i  non  fumatori  in  locali
 frequentati dai primi.
    Nelle   note  presentate  successivamente,  la  stessa  difesa  ha
 ulteriormente illustrato le suddette argomentazioni.
    La difesa del Candidi, in una  successiva  memoria,  ha  insistito
 sulla inammissibilita' della questione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  giudice  Conciliatore di Roma dubita della legittimita'
 costituzionale:
       a) dell'art. 1, lett. a), della legge 11 novembre 1975, n. 584,
 nella parte in cui prevede il divieto di  fumare  solo  nelle  corsie
 degli  ospedali  e  non  anche  in tutti gli ambienti pur frequentati
 dagli   ammalati,   in   quanto   sussisterebbe   una   irragionevole
 discriminazione  tra  i  locali  degli ospedali per i quali vi e' una
 identica necessita' di tutela e tra soggetti  costretti  a  permanere
 nei  diversi  locali  per  necessita'  di  cure  o  motivi  di lavoro
 (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione);
       b) dell'art. 1, lett. a), della stessa legge nella parte in cui
 prevede il divieto di fumare nei locali destinati alla istruzione e a
 vari servizi di trasporto e consente, invece, di fumare in quelli  in
 cui  si eroga il servizio postale, discriminandosi, cosi', gli utenti
 di quest'ultimo da quelli degli altri servizi  pur  essendo  pari  la
 loro  rilevanza  costituzionale  (violazione degli artt. 3 e 32 della
 Costituzione);
       c) dell'art. 1, lett. b), stessa legge, nella parte in cui  non
 prevede  il  divieto di fumare nei ristoranti mentre lo prevede nelle
 sale-corse e nelle  sale  da  ballo,  discriminandosi  in  tal  modo,
 irragionevolmente,   gli  utenti  degli  uni  e  quelli  delle  altre
 (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
    Inoltre, la stessa  norma,  interpretata  secondo  il  parere  del
 Consiglio  di  Stato  n.  540 del 1976, nel senso dell'applicabilita'
 solo nei luoghi pubblici in cui vi sia un incontro di  piu'  persone,
 per  un  tempo  definito e per uno scopo consentito, violerebbe anche
 gli artt. 2 e  3  della  Costituzione  non  risultando  garantita  la
 realizzazione  degli  individui  in alcuni aggregati sociali, nonche'
 l'art. 17 della Costituzione,  non  essendo  riconosciuto  ad  alcuni
 cittadini  il diritto di riunirsi pacificamente in una delle forme in
 cui il detto diritto si realizza.
    2.  -  La  difesa  di   uno   dei   convenuti   ha   eccepito   la
 inammissibilita' della questione.
    Ha rilevato che:
       a)  contrariamente  a quanto disposto dagli artt. 1 della legge
 n. 689 del 1971 e 12 delle preleggi, la richiesta sentenza renderebbe
 retroattivamente sanzionabile  un  comportamento  considerato  lecito
 dalla legge del tempo in cui e' stato posto in essere;
       b) non potrebbe ritenersi la colpa specifica, che e' l'elemento
 costitutivo  del  dedotto  illecito  civile,  per  l'inesistenza,  al
 momento in cui sono stati commessi i fatti, di  una  disposizione  di
 protezione che sancisse il divieto di fumare in pubblici locali;
       c)  l'azione  di  risarcimento  del  danno alla salute potrebbe
 fondarsi  soltanto  sul  combinato  disposto  degli  artt.  32  della
 Costituzione e 2043 del codice civile.
    3. - Le eccezioni meritano accoglimento.
    La sentenza che si chiede non puo' essere utile per la definizione
 del  giudizio  a  quo, a parte la considerazione che essa postula una
 scelta, tra le varie possibili, riservata alla  discrezionalita'  del
 legislatore,  alla  cui  attenzione,  pero',  deve  essere  posta  la
 necessita'  di  apprestare  una piu' incisiva e completa tutela della
 salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo anche cd.  passivo,
 trattandosi  di  un  bene  fondamentale e primario costituzionalmente
 garantito (art. 32 della Costituzione).
    3.1 - Nella specie, il fatto dedotto come causa di danni alla  sa-
 lute  dei  convenuti si fa consistere nella violazione del divieto di
 fumare  in  locali  pubblici  diversi  da   quelli   previsti   dalla
 disposizione  censurata  (tutti  gli  ambienti degli ospedali, locali
 frequentati dal pubblico per ragioni di  lavoro  o  di  svago  o  per
 fruire  dei  servizi  pubblici apprestativi) e da aggiungersi ad essi
 per effetto di una disposizione da introdursi nell'ordinamento con la
 richiesta sentenza, la quale  dovrebbe  sancire  anche  per  essi  il
 divieto di fumare.
    La  violazione  della  stessa  disposizione dovrebbe concretare la
 colpa, cioe' il connotato di  carattere  soggettivo,  necessario  per
 porre a carico degli agenti il risarcimento del danno cagionato.
    La  inosservanza  dei  doveri  imposti dalla suddetta disposizione
 renderebbe ingiusto il danno da risarcire.
    4. - Al contrario, si deve ritenere che la condotta di un soggetto
 puo'  essere  assunta  a  fonte  di  responsabilita'  civile  per  il
 risarcimento  dei  danni  solo se al momento in cui e' stata posta in
 essere sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da  una  norma
 conoscibile   dall'agente.  La  colpa  specifica,  consistente  nella
 inosservanza della  norma  che  pone  la  regola  di  condotta,  puo'
 rilevare  nel  giudizio  a  quo  solo  se la disposizione fosse stata
 vigente e conoscibile al tempo del fatto.
    Anche secondo il vigente indirizzo giurisprudenziale e qualora  la
 responsabilita'   venga   reputata  fondata  su  colpa,  seppure  sia
 sufficiente per affermare l'esistenza di tale elemento psicologico il
 richiamo alla inosservanza di  una  norma  giuridica,  e'  necessaria
 l'indicazione  espressa  delle  disposizioni  considerate,  le  quali
 devono essere vigenti all'epoca del verificatosi evento.
    Inoltre, anche la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (artt.
 5, 6, 7) e' interpretata  nel  senso  che,  per  la  rilevanza  delle
 trasgressioni  dei  doveri  generali  sanciti  da una disposizione di
 legge, occorre, per  il  comportamento  giuridicamente  corretto,  la
 conoscibilita' di essa al momento del fatto.
    Il  cittadino  deve  conoscere  quale  sia il comportamento che la
 norma richiede, specie se si tratta di limitazione ad un  diritto  di
 liberta'.
    5.  -  D'altra  parte,  la dedotta lesione del diritto alla salute
 (art. 32 della  Costituzione)  puo'  fondare  da  sola  il  richiesto
 risarcimento  dei  danni  ex  art. 2043 del codice civile.  L'art. 32
 della Costituzione, in collegamento con l'art. 2043 del codice civile
 pone il divieto primario e generale di ledere la salute.
    Il  riconoscimento  del   diritto   alla   salute   come   diritto
 fondamentale   della  persona  e  bene  primario,  costituzionalmente
 garantito, e' pienamente  operante  anche  nei  rapporti  di  diritto
 privato.  Dovendosi riconoscere che la lesione del diritto soggettivo
 garantito dall'art. 32  della  Costituzione  integra  la  fattispecie
 dell'art. 2043 del codice civile, non puo' dubitarsi dell'obbligo del
 risarcimento  per la violazione del diritto stesso. In altri termini,
 dal detto collegamento dell'art. 32  della  Costituzione  con  l'art.
 2043  del  codice  civile  discendono  l'ingiustizia  del  danno e la
 conseguente sua risarcibilita'.
    Si nota che il risarcimento riguarda non solo i danni patrimoniali
 ma  tutti  i  danni  che  potenzialmente  ostacolano   le   attivita'
 realizzatrici  della  persona  umana  (sentt. Corte cost. nn. 184 del
 1986 e 307 del 1990).
    La  questione  sollevata,  mancando  la  rilevanza,  deve   essere
 dichiarata inammissibile.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la  inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, lett. a) e b), della  legge  11  novembre
 1975,  n.  584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di
 trasporto pubblico) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 17,  32  e  97
 della  Costituzione,  sollevata  dal giudice Conciliatore di Roma con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1991.
                       Il Presidente: CORASANITI
                          Il redattore: GRECO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 7 maggio 1991.
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 91C0581