N. 341 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 gennaio 1991

                                N. 341
     Ordinanza emessa il 22 gennaio 1991 dal tribunale di Roma nel
       procedimento penale a carico di Panizzi Gabriele ed altri
 Regione Lazio - Sanita' pubblica - Convenzioni con istituti di cura
    privati  che  svolgono esclusivamente attivita' psichiatrica oltre
    il termine fissato dalle norme di  riforma  sanitaria  (artt.  64,
    secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e 3 del d.-l.
    30  aprile  1981,  n.  168, convertito in legge 27 giugno 1981, n.
    331) del 31 dicembre 1981 - Asserito contrasto  con  il  principio
    fondamentale  stabilito  dalla  normativa  statale  circa  la  non
    ulteriore proroga di detto termine  -  Riferimento  alle  sentenze
    della Corte costituzionale nn. 245/1984, 107/1987 e 274/1988.
 (Legge regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7, art. 1; legge regione
    Lazio 14 luglio 1983, n. 49, artt. 5, secondo comma, lett. a), 11,
    secondo comma, 12, primo e secondo comma, e 14, penultimo comma).
 (Cost., art. 117; legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 64, secondo
    comma; d.-l. 30 aprile 1981, n. 168, art. 3; legge 27 giugno 1981,
    n. 331).
(GU n.22 del 5-6-1991 )
                             IL TRIBUNALE
    Riunito  in  camera  di  consiglio  per  pronunziare  sentenza nel
 procedimento penale n. 5169/1989 nei confronti di Panizzi Gabriele ed
 altri;
                             O S S E R V A
    Gli imputati sono stati chiamati a  rispondere,  quali  componenti
 della  giunta  regionale del Lazio, di due distinti reati di peculato
 per distrazione - ai sensi del previgente art. 314  del  c.p.  -  per
 avere,  con  varie delibere, destinato fondi non alla creazione delle
 strutture pubbliche di assistenza psichiatrica previste  dalle  leggi
 13  maggio  1978,  n.  180  e  23  dicembre  1978,  n. 833, bensi' al
 pagamento delle diarie di degenza per  i  ricoverati  in  6  istituti
 psichiatrici  privati  (reato al capo A) e in 16 case di cura private
 "esclusivamente   psichiatriche"   (tali   l'accusa   considera,   in
 conformita'  al  giudizio  espresso  dai  periti,  le  case  di  cura
 "neuropsichiatriche" indicate al capo b).
    La condotta e' stata ritenuta delittuosa perche' in contrasto  con
 il  disposto degli art. 64 secondo comma della legge 833/1978 e 3 del
 d.-l. 30 aprile 1981, n. 168 convertito in legge 27 giugno  1981,  n.
 331,  in forza dei quali le convenzioni tra enti pubblici ed istituti
 di cura  privati  svolgenti  esclusivamente  attivita'  psichiatrica,
 dovevano improrogabilmente risolversi entro il 31 dicembre 1981.
    Il Tribunale, decidendo su istanza di proscioglimento immediato ex
 art.  152  del  c.p.p.  del  1930,  ha ritenuto, con ordinanza del 16
 giugno 1990, che la fattispecie astratta del peculato per distrazione
 e'  confluita  in  quella  dell'art.  323  del  c.p.  nella   attuale
 formulazione.
    E'  indispensabile,  pertanto,  accertare  se  le  citate delibere
 abbiano costituito o meno un  abuso  e  se  le  convenzioni  con  gli
 istituti  psichiatrici privati e con le case di cura fossero vietate,
 ai sensi  della  normativa  statale  citata  e  di  cui  ai  capi  di
 imputazione, o fossero invece consentite, come sostiene la difesa, in
 forza  delle  leggi  della  regione Lazio, 3 febbraio 1982, n. 7 e 14
 luglio 1983, n. 49.
    Invero l'art. 1 della citata legge regionale 7/1982 stabilisce che
 i 6 istituti psichiatrici privati, in  essa  specificamente  elencati
 (cioe'   quelli   indicati  al  capo  A),  continuano  ad  assicurare
 l'assistenza ai ricoverati presenti alla data del 31  dicembre  1981,
 alle  condizioni  in  atto  e  fino  alla  approvazione  del progetto
 regionale per i servizi di salute mentale.
    A sua volta la legge regionale n. 49/1983, all'art. 14  stabilisce
 un  graduale  superamento non soltanto per gli ospedali psichiatrici,
 ma anche per i 6 gia' menzionati istituti psichiatrici privati, per i
 quali   il   penultimo   comma   dello   stesso   articolo   sancisce
 l'applicazione  delle norme dettate per gli ospedali psichiatrici. In
 particolare tale legge con l'art. 5, secondo comma lettera a)  affida
 al  progetto previsto dal precedente comma un piano di "utilizzazione
 di strutture private convenzionate di cui  alla  deliberazione  della
 Giunta  regionale  n.  931,  del  24  febbraio 1981, che non svolgano
 esclusivamente attivita' psichiatrica ai  sensi  dell'art.  64  della
 legge  23  dicembre 1978 n. 833"; all'art. 11, secondo comma consente
 ricoveri volontari  nelle  strutture  private  convenzionate  di  cui
 all'art.  5,  secondo  comma  lettera  a); all'art. 12 stabilisce che
 "l'utilizzazione delle strutture private convenzionate e'  effettuata
 con le modalita' e nei termini previsti nel progetto degli interventi
 di  cui  al  precedente  art.  5"  e  che "fino alla approvazione del
 predetto progetto restano ferme le disposizioni impartite in  materia
 dalla Regione".
    Le  leggi  della  regione  Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 e 14 luglio
 1983, n.  49  sono  state  interpretate  ed  applicate  nella  prassi
 amministrativa, e, quindi, nel "diritto vivente", come vera e propria
 deroga  alla legge nazionale tanto che, nel territorio della regione,
 istituti privati, con certa o discussa  struttura  manicomiale,  sono
 sopravvissuti,  in  base  a  queste  leggi,  non  soltanto dopo il 31
 dicembre 1981, ma fino ai nostri giorni.
    Anche  secondo  l'interpretazione  datane   dalla   difesa   degli
 imputati,  la  legge  regionale  49/1983 indurrebbe a ritenere che e'
 consentita, fino all'approvazione del progetto, la prosecuzione delle
 convenzioni sia con i 6 istituti psichiatrici privati, sia con le  16
 case  di  cura neuropsichiatriche private indicate nelle imputazioni,
 poiche' esse  sono  nominativamente  elencate  nella  delibera  della
 giunta   regionale   n.   931/1981,  richiamata  nella  legge  49/83.
 Parimenti, l'art. 1 della legge regionale n. 7/1982 consentirebbe  la
 prosecuzione delle convenzioni con i 6 istituti.
    Se  la predetta interpretazione e' corretta, le leggi regionali n.
 7 del 1982 e n. 49 del 1983 si pongono  in  pieno  contrasto  con  la
 normativa statale.
    Essa,  invero, con il combinato disposto degli articoli 64 secondo
 comma della legge 833/1978 e 3  del  d.-l.  168/1981,  convertito  in
 legge  n.  331/1981,  disponeva  la risoluzione delle convenzioni con
 istituti di cura  privati  entro  la  data  non  prorogabile  del  31
 dicembre 1981.
    Si  pone  quindi,  di  ufficio,  il  problema  della  legittimita'
 costituzionale della predetta normativa  regionale,  per  superamento
 del  limite  dei  principi  fondamentali  stabiliti dalle leggi dello
 Stato.
    La  questione   appare   rilevante,   anche   se   una   eventuale
 dichiarazione  di  illegittimita'  della normativa regionale da parte
 della Corte costituzionale  non  potrebbe  determinare  una  condanna
 degli  imputati,  ai sensi dell'art. 2, primo comma del c.p. e 25 del
 secondo comma della Costituzione.
    In proposito la Corte costituzionale,  con  sentenza  n.  148  del
 1983,  ha  osservato  che  se  si negasse rilevanza alle questioni di
 costituzionalita'  di  norme  penali  di  favore  si  impedirebbe  il
 sindacato  della  Corte  su  norme  ritenute  dal  giudice  di dubbia
 legittimita'   costituzionale,   con   la   conseguenza   del    loro
 irrimediabile   permanere   nell'ordinamento   giuridico,   anche  se
 realmente in contrasto con la Costituzione.
    Ha osservato, ancora, che  da  un  lato  l'eventuale  accoglimento
 dell'impugnativa    verrebbe    ad    incidere   sulle   formule   di
 proscioglimento o, quantomeno, sui dispositivi delle sentenze penali,
 i quali dovrebbero imperniarsi, per effetto  della  pronuncia  emessa
 dalla Corte, sul primo comma dell'art. 2 del c.p.; dall'altro che una
 sentenza  interpretativa di rigetto potrebbe incidere sugli esiti del
 giudizio penale pendente.
    Le  predette  considerazioni  valgono  anche   nella   fattispecie
 concreta  poiche'  le  leggi  regionali  in  esame  potrebbero essere
 ritenute derogative della disciplina statale  tanto  da  ampliare  la
 sfera di liceita' nella attivita' dei pubblici ufficiali.
    Anche  nel  caso  di  specie, in conclusione, l'esito del giudizio
 della  Corte  appare  rilevante  perche'  idoneo  a  influire   sulla
 decisione   del   processo,  pur  se  unitamente  al  giudizio  sulla
 sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in
 esame.
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  appare  anche  non
 manifestamente  infondata  poiche'  le  norme  statali, rispetto alle
 quali  quelle  regionali  si  sono  poste  in  contrasto,  contengono
 principi fondamentali.
    Le  disposizioni  della  legge 23 dicembre 1978, n. 833 sono state
 ripetutamente qualificate dalla Corte  costituzionale  come  principi
 fondamentali  della  riforma  sanitaria  (sentenze  n.  245/1984,  n.
 107/1987, n. 274/1988) e costituenti, in  quanto  tali,  limite  alla
 autonomia  legislativa  delle  regioni  ai  sensi dell'art. 117 della
 Costituzione.
    Tale natura non puo' certamente essere negata agli artt.  33,  34,
 35,  64 della legge 833 che recepiscono integralmente le disposizioni
 della legge 13 maggio 1978, n. 180.
    La legge 180, come e' noto, volle  affermare,  con  decisione,  il
 definitivo   abbandono  dell'approccio  "custodiale"  della  malattia
 mentale, contenuto nella legge 14 febbraio 1904,  n.  36,  stabilendo
 che  il trattamento sanitario, anche se obbligatorio, fosse praticato
 con degenze in ospedali  generali  e  soltanto  in  casi  eccezionali
 (artt. 1, 2, 6 ripresi dalla legge n. 833, negli artt. 34, 35, 36).
    In attuazione di tale riforma le due leggi stabilirono:
       a)  per  il  futuro,  il  definitivo  abbandono della struttura
 manicomiale (art. 64, terzo comma della legge n. 833);
       b) il proseguimento, con particolari garanzie, dei ricoveri  in
 atto al 16 maggio 1978 nei soli manicomi pubblici (art. 8 della legge
 n. 180);
       c) possibilita' di "rientro", nei soli manicomi pubblici, per i
 ricoverati  prima  del 16 maggio 1978, fino al 31 dicembre 1980 (art.
 64 primo comma della legge n. 833) con proroga al  31  dicembre  1981
 (d.-l. 30 aprile 1981, n. 168 e legge 27 giugno 1981, n. 331);
       d)  obbligo  di  risolvere  le convenzioni con istituti privati
 entro il 31 dicembre 1980 (art. 64 terzo comma della  legge  n.  833)
 con proroga al 31 dicembre 1981 (legge n. 331/1981);
    Anche tali norme, ancorche' transitorie, sono da ritenere principi
 fondamentali   in  quanto  evidentemente  strumentali  alla  concreta
 realizzazione della riforma (Corte costituzionale n. 274/1988).
    In  particolare,  la  risoluzione  delle  convenzioni   costituiva
 l'unico strumento capace di indurre i privati ad adeguarsi alla nuova
 normativa,  e a trasformare i loro manicomi in strutture alternative;
 nel contempo si garantiva che ingenti risorse finanziarie non fossero
 impegnate per il mantenimento di strutture superate.
    Il legislatore statale si e' fatto carico  di  stabilire,  con  la
 disciplina  transitoria,  che  mentre  per i manicomi pubblici doveva
 attuarsi un superamento "graduale", ma senza termini, per contro  per
 gli  istituti  privati le convenzioni dovevano risolversi entro il 31
 dicembre 1981.
    Lo Stato, volendo garantire la scomparsa  delle  vechie  strutture
 psichiatriche   e   neuropsichiatriche,  ha  dettato  una  disciplina
 differenziata per il settore pubblico e per il settore privato, da un
 lato assicurando per i manicomi pubblici un blocco dei ricoveri e  un
 "graduale" superamento, dall'altro imponendo, entro un certo termine,
 la  inutilizzabilita'  delle  strutture  private  analoghe  a  quelle
 pubbliche da superare,  ben  sapendo  che  il  mantenimento  di  tali
 strutture  private  non  soltanto  era  contrario  allo spirito della
 riforma, ma  avrebbe  finito  per  compromettere  l'attuazione  della
 riforma  stessa,  cioe'  l'eliminazione  delle  vecchie  strutture di
 assistenza e la realizzazione di quelle di nuova concezione.
    La suddetta interpretazione appare confermata dalla lettera  delle
 norme. Invero il legislatore statale e' stato tanto consapevole della
 necessita'  di  risolvere  le  convenzioni  con  gli istituti di cura
 privati, al fine di far decollare la riforma, da fissare  un  termine
 espressamente  definito "improrogabile" proprio per imporre un limite
 insuperabile per il legislatore regionale.
    Quando, poi, il legislatore  statale  ha  ritenuto  indispensabile
 prolungare  il detto termine, e' intervenuto direttamente, con l'art.
 3 del d.-l. n.  168/1981.  Inoltre,  pur  consentendo  una  ulteriore
 proroga,  da  un  lato  l'ha riservata allo Stato, su richiesta della
 regione "corredata  dal  programma  dei  presidi  e  dei  servizi  di
 assistenza  psichiatrica  e  di  salute  mentale  con indicazione dei
 relativi tempi di realizzazione e di attivazione",  e  dall'altro  ha
 stabilito  che  tale proroga non poteva "in ogni caso" superare il 31
 dicembre 1981.
    Gli art. 64 della legge n. 833/1978  e  3  d.-l.  168/1981  hanno,
 quindi,  natura  di norme fondamentali, in quanto strumenti necessari
 per l'attuazione della riforma, e come tali idonee  a  costituire  un
 limite alla competenza regionale concorrente.
                               P. Q. M.
    Visto  l'art.  23  della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenutane la
 rilevanza,  dichiara  di  ufficio  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1 della legge
 della Regione Lazio 3 febbraio 1982 n. 7  e  degli  artt.  5  secondo
 comma  lettera  a),  11  secondo comma, 12 primo e secondo comma e 14
 penultimo comma della legge della regione Lazio 14 luglio 1983, n. 49
 nella parte in  cui  consentono  convenzioni  con  istituti  di  cura
 privati, che svolgano esclusivamente attivita' psichiatrica, oltre il
 termine fissato dalle norme di riforma sanitaria di cui agli art. 64,
 secondo  comma  della legge 23 dicembre 1978, n. 833 e 3 del d.-l. 30
 aprile 1981, n. 168 convertito in legge 27 giugno 1981, n.  331,  per
 contrasto  con  i  principi fondamentali espressi da tali norme e con
 l'art. 117 della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso e ordina la trasmissione degli  atti
 alla Corte costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  e  al Presidente della giunta Regionale del
 Lazio e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del  Parlamento
 e al Presidente del Consiglio Regionale del Lazio.
      Roma, addi' 22 gennaio 1991
                  Il presidente: (firma illeggibile)

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