N. 30 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 maggio 1991

                                 N. 30
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 21
                              maggio 1991
                        (della regione Marche)
 Previdenza e assistenza sociale - Trattamento di fine servizio del
    personale   degli   istituti  autonomi  per  le  case  popolari  -
    Reiterazione del rinvio al  consiglio  regionale  della  legge  26
    febbraio  1991, n. 16, gia' approvata in seguito al primo rinvio a
    maggioranza assoluta dei componenti del  consiglio  stesso  -  Non
    spettanza  allo Stato del potere esercitato con tale reiterazione,
    data la irrilevanza della riapprovazione della legge da parte  del
    consiglio  regionale  dopo  la  sua  rielezione - Riferimento alle
    sentenze della Corte costituzionale nn. 153/1976, 40/1977,  158  e
    973 del 1988 e 79 e 80 del 1989.
 Telegramma del commissario del Governo presso la regione Marche in
    data 16 marzo 1991, prot. n. 262/204/4AB.91).
 (Cost., art. 127).
(GU n.21 del 29-5-1991 )
   Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  della regione Marche, in
 persona del presidente  della  giunta  regionale  Rodolfo  Giampaoli,
 autorizzato  con  deliberazione della giunta regionale n. 1419 del 25
 marzo 1991, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Valerio  Onida  ed
 elettivamente  domiciliato  presso  l'avv.  Gualtiero  Rueca in Roma,
 largo della Gancia, 1, come da delega a margine  del  presente  atto,
 contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore in
 relazione al telegramma del commissario del Governo presso la regione
 Marche in data 16 marzo 1991, prot. n. 262/204/4AB.91,  nonche'  alla
 deliberazione  del Governo ivi comunicata, relativi al rinvio a nuovo
 esame del  consiglio  regionale  della  legge  regionale  concernente
 "Trattamento  di  fine servizio del personale degli istituti autonomi
 per le case popolari (IACP)",  riapprovata  senza  modificazioni  dal
 consiglio  regionale nella seduta del 26 febbraio 1991, n. 16, con la
 maggioranza assoluta ai sensi dell'art. 127 della costituzione.
                               F A T T O
    Nella  seduta  del 6 febbraio 1990, n. 210, il consiglio regionale
 delle Marche approvava una legge regionale concernente "modifiche  ed
 integrazioni   all'art.  69  della  l.r.  4  novembre  1988,  n.  42,
 concernente  il  trattamento  previdenziale  e  di   quiescenza   del
 personale  della  regione e degli enti pubblici non economici da esso
 dipendenti". La legge constava di due articoli, il primo relativo  al
 trattamento  previdenziale  e  di fine servizio del personale di vari
 enti dipendenti dalla regione; l'art.  2  enunciava  una  particolare
 previsione  relativa  ai  dipendenti  degli  istituti  autonomi  case
 popolari in servizio alla data del 31 dicembre 1988 (doc. 1).
    Con telegramma 10 marzo 1990, prot. n. 153/75/4AB.90 (doc.  2)  il
 commissario  del  Governo comunicava che il Governo aveva rinviato la
 legge a nuovo esame, ritenendo le norme degli artt. 1 e  2,  relative
 al  personale  degli I.A.C.P., in contrasto "con generali principi di
 uguaglianza  et  buona  amministrazione  cui  artt.  3  et  97  della
 Costituzione".
    Nella  seduta  del  21  marzo 1990, n. 226, il consiglio regionale
 approvava una legge concernente "Trattamento  di  fine  servizio  del
 personale  degli  Istituti  autonomi  per  le  case popolari", il cui
 articolo unico riprendeva, con modificazioni, il disposto dell'art. 2
 della legge precedentemente enunciata (doc. 3).
    Con telegramma in data 9  aprile  1990,  prot.  n.  284/237/4AB.90
 (doc.  4),  il  commissario  del  Governo  comunicava che il Governo,
 premesso che la nuova legge conteneva disposizioni nuove  rispetto  a
 quelle  della legge rinviata, aveva ritenuto che anch'essa si ponesse
 "in  contrasto   con   generali   principi   uguaglianza   et   buona
 amministrazione  cui  artt.  3  et 97 della Costituzione", e pertanto
 l'aveva rinviata al consiglio regionale per nuovo esame.
    Nella seduta del 26 febbraio 1991, n. 16, il consiglio regionale -
 nel frattempo rieletto nella consultazione elettorale  del  6  maggio
 1990  -  riapprovava  la  legge  rinviata, nell'identico testo, senza
 modificazioni,  con  la  maggioranza  assoluta  prevista   ai   sensi
 dell'art. 127 della Costituzione (doc. 5).
    Con  telegramma  in  data  16  marzo 1991, prot. n. 262/204/4AB.91
 (doc. 6), il commissario del Governo comunicava che il Governo  aveva
 rinviato la legge a nuovo esame del consiglio regionale, adducendo lo
 stesso  rilievo  che gia' era stato mosso nel precedente rinvio del 9
 aprile 1990. Il nuovo  telegramma  non  faceva  alcun  cenno  ne'  al
 precedente  rinvio  ne'  alla circostanza che la legge rinviata fosse
 identica a quella deliberata il 21 marzo 1990 e anche allora inviata,
 e fosse stata riapprovata con la maggioranza assoluta.
    Il rinvio reiterato e' pero' illegittimo e  lesivo  dell'autonomia
 della regione ricorrente, per le seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    Da  tempo  questa Corte ha affermato, con costante giurisprudenza,
 che  il  Governo,  di  fronte  ad  una  legge  regionale  rinviata  e
 riapprovata  a maggioranza assoluta dal consiglio regionale, non puo'
 reiterare il rinvio tanto meno per gli stessi motivi  del  precedente
 rinvio) ma ha la sola alternativa fra il consentire l'ulteriore corso
 della  legge  e  il  proporre, nei termini di cui all'art. 127, comma
 quarto, della Costituzione, la questione di  legittimita'  davanti  a
 questa  Corte,  o  la  questione di merito per contrasto di interessi
 davanti  al  Parlamento  (sentt. nn. 153/1976, 40/1977, 158 e 973 del
 1988, 79 e 80 del 1989).
    Le varie, successive manifestazioni di questa giurisprudenza hanno
 via via puntualizzato, anche in modi differenziati, il  problema  dei
 criteri  con  i  quali  si  deve valutare se la legge riapprovata dal
 consiglio regionale sia una legge "nuova", e come  tale  suscettibile
 di  essere  rinviata  dal  Governo,  oppure  non  nuova,  e come tale
 suscettibile solo di essere  impugnata;  e  hanno  precisato  che  la
 riapprovazione  della  legge  da  parte  del Consiglio dopo il rinvio
 reiterato preclude la possibilita' di far valere il vizio del secondo
 rinvio (sentenze nn. 158/1988, 80/1989; e che una nuova  approvazione
 della legge rinviata a maggioranza semplice anziche' assoluta, non e'
 idonea  a  porre  in  essere la riapprovazione ai sensi dell'art. 127
 della Costituzione, e a rendere la  legge  promulgabile  in  mancanza
 dell'impugnazione da parte del Governo (sentenza n. 70/1989).
    Qualsiasi   posizione  si  voglia  assumere  su  questi  ulteriori
 problemi  (nonche'  sulle  critiche   che   taluni   passaggi   della
 giurisprudenza  della  Corte hanno suscitato in dottrina) una cosa e'
 certa e pacifica: la riapprovazione, a  maggioranza  assoluta,  della
 legge  nel testo identico a quello rinviato, da' luogo per il Governo
 alla sola alternativa fra il consentire l'ulteriore corso della legge
 e il sollevare la questione di legittimita' o di merito.
    Una  reiterazione  del  rinvio,  in  questo  caso,  e'  del  tutto
 preclusa.
    Nella specie proprio questo si e' verificato: e l'atto governativo
 di rinvio non puo' dunque essere riconosciuto illegittimo.
    Poiche'  e'  ben difficile immaginare che ci si trovi di fronte ad
 una mera svista del Governo, e poiche' sull'identita' testuale  della
 legge  due volte rinviata, nonche' sulla maggioranza assoluta con cui
 il voto  di  riapprovazione  e'  intervenuto,  non  sussistono  dubbi
 possibili,  bisogna ritenere che la reiterazione del rinvio sia stata
 ritenuta possibile,  nella  convinzione  di  Governo,  in  base  alla
 circostanza  che  la riapprovazione e' stata deliberata dal consiglio
 regionale dopo la sua rielezione, mentre la  precedente  approvazione
 della   legge   era  stata  data  dal  consiglio  della  composizione
 precedente alle elezioni del maggio 1990.
    Se e' cosi', e' pero' evidente che tale circostanza  non  basta  a
 modificare  i  presupposti  per  l'applicazione  delle  regole di cui
 all'art. 127 della Costituzione.
    Il rinvio della legge al  consiglio  regionale,  e  la  successiva
 impugnazione   di   essa   davanti   alla  Corte  costituzionale,  si
 configurano come "fasi" di un  procedimento  di  controllo  e  di  un
 successivo   procedimento  giurisdizionale  in  cui  si  articola  il
 rapporto "esterno" fra Stato e regione.
    La regione viene in considerazione  come  tale,  indipendentemente
 dalla  successione  nel tempo dei titolari delle relative cariche. Il
 consiglio regionale, chiamato a riesaminare la legge  e  abilitato  a
 riapprovarla  a  maggioranza  assoluta, e' l'organo assembleare della
 regione in quanto tale, nella sua continuita' di esistenza.
    Non varrebbe certo richiamare la vieta teoria del  Parlamento  che
 diverrebbe organo "nuovo" ad ogni elezione, cosi' che ogni Parlamento
 dovrebbe  riprendere  da capo i procedimenti legislativi non conclusi
 nella precedente legislatura.
    A  parte  il  fatto  che  nello stesso Parlamento nazionale questo
 principio e'  ormai  abbandonato,  poiche'  i  regolamenti  prevedono
 viceversa  la  possibilita'  -  e  nel  caso dei progetti di legge di
 inziativa  popolare  l'obbligo  -  di   riprendere   i   procedimenti
 legislativi interrotti per la fine della precedente legislatura (art.
 107  reg.  Camera; art. 81 e art. 74, secondo comma, reg. Senato), la
 cosidetta "discontinuita'" dell'organo parlamentare  puo'  riguardare
 eventualmente,  la  capacita' rappresentativa dell'assemblea rispetto
 al corpo elettorale, non la identita' dell'organo  nei  rapporti  con
 gli altri organi e poteri.
    A maggior ragione, il consiglio regionale (il quale comunque, come
 questa  Corte ha piu' volte ritenuto, non e' interamente assimilabile
 alle Camere parlamentari), e'  organo  della  regione  e  ne  esprime
 l'unica volonta', indipendentemente dalla sua concreta composizione.
    Cio' che l'art. 127 della Costituzione ha voluto e' che il Governo
 possa  bloccare  col  rinvio  per una sola volta il corso delle leggi
 regionali, e che tale  blocco  possa  essere  superato  con  un  voto
 dell'assemblea dato a maggioranza assoluta.
    La  "doppia conforme" e' richiesta non in funzione di una conferma
 della capacita'  rappresentativa  dell'assemblea,  ma  esclusivamente
 come  condizione  per  far  prevalere  la  volonta'  della regione su
 quella, espressa dal rinvio, del Governo, salvo ricorso all'arbitrato
 costituzionale della Corte o del Parlamento.
    Rispetto a queste esigenze resta del  tutto  estraneo  l'eventuale
 mutamento   dei  titolari  dell'organo,  anche  a  seguito  di  nuova
 elezione.
    Se  cosi'  non  fosse,  d'altronde,  si  verificherebbe  l'assurda
 situazione  per  cui, nell'imminenza della scadenza del consiglio, il
 Governo potrebbe sempre bloccare definitivamente il corpo delle leggi
 regionali,  di  cui  sarebbe  impedita  la  riapprovazione  ai  sensi
 dell'art. 127 della Costituzione: trasformando cosi' in veto assoluto
 il  "veto  sospensivo"  che  si  esprime  nel rinvio con richiesta di
 riesame, previsto dalla Costituzione.
                               P. Q. M.
    La regione ricorrente chiede che la Corte  voglia  dichiarare  che
 non  spetta  allo Stato, e per esso al Governo, il potere di rinviare
 per la seconda volta la legge  regionale  riapprovata  a  maggioranza
 assoluta dal consiglio regionale nell'identico testo; e per l'effetto
 annullare i provvedimenti indicati in epigrafe del presente ricorso.
    Si producono i seguenti documenti:
      1) deliberazione legislativa del 6 febbraio 1990;
      2) telegramma del commissario del Governo in data 10 marzo 1990;
      3) deliberazione legislativa del 21 marzo 1990;
      4) telegramma del commissario del Governo in data 9 aprile 1990;
      5) deliberazione legislativa del 26 febbraio 1991;
      6) telegramma del commissario del Governo in data 16 marzo 1991.
                       Avv. prof. Valerio ONIDA

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