N. 220 SENTENZA 20 - 24 maggio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego  pubblico  -  Stipendi,  salari  e  pensioni  -  Sequestro  e
 pignoramento - Cessioni - Limitazione alla differenza  tra  la  meta'
 dello stipendio e la quota ceduta - Difetto di rilevanza -
 Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 2 e 68, secondo comma).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.21 del 29-5-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Ettore GALLO;
 Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott.
    Francesco GRECO, prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,
    prof.  Francesco  Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
    Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.
    Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 68, comma
 secondo,  del  d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 ("Approvazione del testo
 unico delle leggi concernenti il  sequestro,  il  pignoramento  e  la
 cessione  degli  stipendi,  salari  e  pensioni  dei dipendenti delle
 pubbliche amministrazioni"),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  4
 dicembre   1990   dal  Pretore  di  Pistoia,  sezione  distaccata  di
 Monsummano Terme nel procedimento civile vertente tra Santiloni  Luca
 ed  altro e Lupicchi Calistri Riccardo ed altri iscritta al n. 65 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  10  aprile  1991  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza del 4 dicembre 1990 il Pretore di Pistoia ha
 sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale  degli
 artt.  2  e  68,  secondo  comma,  d.P.R.  5  gennaio 1950 n. 180, in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, perche' - nel dettare  una
 disciplina   speciale   della   pignorabilita'   degli  stipendi  dei
 dipendenti delle pubbliche  amministrazioni  -  riserva  ad  essi  un
 trattamento  ingiustificatamente  piu' vantaggioso di quello previsto
 per i dipendenti privati con conseguente pregiudizio per i  creditori
 che  agiscano  in  via  esecutiva.  La  questione  e'  insorta  in un
 procedimento esecutivo promosso da Santoloni e Breschi nei  confronti
 di  Lupicchi  Calistri, dipendente del Comune di Montecatini Terme. I
 creditori procedenti - intendendo sottoporre  a  pignoramento,  nella
 misura  di  un quinto, tutti i crediti vantati da quest'ultimo, quale
 dipendente del Comune, sia a titolo di retribuzione  mensile  che  di
 qualunque  altra indennita' compresa quella per fine lavoro fino alla
 concorrenza di L. 23.618.860 - avevano citato innanzi al  Pretore  di
 Pistoia  il  Comune  suddetto, che, a mezzo del delegato del Sindaco,
 rendeva  la  dichiarazione  di  cui  all'art. 547 c.p.c. indicando la
 retribuzione  mensile  percepita   dal   Lupicchi   Calistri,   quale
 dipendente  di  ruolo, e precisando ulteriormente che il quinto dello
 stipendio erogato al Lupicchi Calistri era stato oggetto di  cessione
 in  favore della FINCRAL fino al mese di maggio del 1991. I creditori
 procedenti formulavano quindi istanza  di  assegnazione  del  credito
 pignorato,  chiedendo  che  la  misura  del  quinto  fosse  calcolata
 sull'importo  lordo  della  retribuzione,  senza  tener  conto  della
 cessione di credito fatta in favore della FINCRAL.
    2.  -  In tale situazione ritiene il giudice rimettente che l'art.
 68 cit. (norma che prevede che, qualora i sequestri ed i pignoramenti
 dei   crediti   di   un    dipendente    pubblico    nei    confronti
 dell'Amministrazione  abbiano  luogo dopo una cessione perfezionata e
 debitamente notificata, non sia possibile sequestrare o pignorare  se
 non la differenza tra la meta' dello stipendio o del salario valutati
 al  netto  delle  ritenute e la quota ceduta) comporterebbe che debba
 essere conteggiata la cessione fatta dal  Lupicchi  alla  FINCRAL  in
 termini   tali   da   determinare   un'ingiustificata  disparita'  di
 trattamento in ordine alla pignorabilita' dei crediti di  lavoro  tra
 pubblici  dipendenti  e  lavoratori subordinati privati. Infatti - ad
 avviso del  giudice  a  quo  -  mentre  per  il  dipendente  privato,
 allorquando in sede di dichiarazione ex art. 547 c.p.c. si specifichi
 l'esistenza di una cessione di parte dello stipendio, il quinto della
 retribuzione  assegnabile  deve essere calcolato sulla differenza tra
 la retribuzione globale (al netto delle ritenute) e  la  parte  della
 stessa  in  precedenza  ceduta;  invece per il dipendente pubblico il
 meccanismo  dell'art.  68  cit.  comporta  che  il  pignoramento  sia
 eseguibile  e  le relative somme assegnabili se non per la differenza
 tra la meta' dello stipendio valutato al netto delle  ritenute  e  la
 quota  ceduta,  fermi i limiti dell'art. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950
 cit. Di qui la censura di illegittimita' costituzionale dell'art.  68
 cit.  per  violazione dell'art. 3 Cost. per ingiustificata disparita'
 di trattamento.
    3.  -  Il  medesimo  Pretore  rimettente  ritiene   altresi'   che
 sussistano dubbi di legittimita' costituzionale anche dell'art. 2 del
 d.P.R.  n. 180 cit. nella parte in cui non consente la pignorabilita'
 (nel  limite  del  quinto)  dell'indennita'  di  fine  rapporto   del
 dipendente  comunale  se  non per i crediti espressamente indicati ai
 nn. 1, 2 e 3 della norma medesima, che pertanto e' censurabile  sotto
 il  medesimo  profilo della disparita' di trattamento rispetto al re-
 gime della pignorabilita'  dei  crediti  retributivi  del  lavoratore
 subordinato  privato.  Infatti  il  terzo  comma dell'art. 545 c.p.c.
 consente invece il  pignoramento  dell'indennita'  di  fine  rapporto
 corrisposta  al lavoratore subordinato per qualunque credito nei suoi
 confronti.
    4. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 tramite  l'Avvocatura generale di Stato, sostenendo l'infondatezza di
 entrambe le  questioni  sollevate.  In  particolare  osserva  che  la
 disparita'   di  trattamento  in  ordine  alla  pignorabilita'  degli
 stipendi in ipotesi di precedente cessione del quinto dello stesso e'
 solo eventuale e che rientra nella discrezionalita'  del  legislatore
 il  diverso regime di pignorabilita' del trattamento di fine rapporto
 del dipendente comunale, assimilabile  alla  buonuscita  ENPAS  degli
 statali (anch'essa non pignorabile per qualsiasi credito).
                        Considerato in diritto
    1.  -  Nell'ordinanza  di  rimessione del giudice a quo sono state
 sollevate due distinte questioni di costituzionalita'. La prima ha ad
 oggetto l'art. 68, secondo  comma,  d.P.R.  5  gennaio  1950  n.  180
 ("Approvazione  del testo unico delle leggi concernenti il sequestro,
 il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e  pensioni  dei
 dipendenti  delle  pubbliche  amministrazioni"),  norma questa che e'
 sospettata di essere in contrasto con l'art.  3  della  Costituzione,
 nella  parte  in  cui,  a differenza di quanto previsto dall'art. 545
 cod. proc. civ. per  il  pignoramento  dei  crediti  retributivi  del
 lavoratore   subordinato   privato,   stabilisce   che,   qualora  il
 pignoramento abbia luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente
 notificata dello  stipendio  di  un  dipendente  comunale,  si  possa
 pignorare  solo  la differenza tra la meta' dello stipendio (al netto
 delle ritenute) e la quota ceduta.
    2. - Va premesso che l'art. 68, secondo comma, citato dispone  che
 quando il pignoramento (od il sequestro) dello stipendio del pubblico
 dipendente  ha  luogo  dopo  una cessione dello stesso perfezionata e
 debitamente notificata non si possa pignorare (o sequestrare) se  non
 la  differenza  tra  la  meta' dello stipendio o salario, valutati al
 netto di ritenute e la quota ceduta, "fermi restando i limiti di  cui
 all'art. 2". Quest'ultima norma richiamata - quale risultante dopo le
 dichiarazioni  di  illegittimita'  costituzionale  pronunciate con le
 sentenze n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988  nella  parte  in  cui  non
 prevede la pignorabilita', limitatamente ad un quinto, degli stipendi
 dei pubblici dipendenti anche per crediti non qualificati - individua
 distintamente i limiti alla pignorabilita' secondo il tipo di credito
 azionato;  il  limite e' di un quinto dello stipendio (al netto delle
 ritenute) in caso di credito non qualificato; di un terzo in caso  di
 crediti  alimentari; di meta' dello stipendio nel caso di concorso di
 entrambe tali categorie di crediti. Parimenti l'art. 5, primo  comma,
 dello stesso d.P.R. n.180 del 1950 prevede un limite alla facolta' di
 cessione   di   quote  dello  stipendio  per  l'estinzione  di  mutui
 contratti, limite fissato in un quinto dello stipendio.
    La possibilita' che in concreto  concorrano,  sovrapponendosi  nel
 tempo,  le  due  fattispecie  (del pignoramento, o sequestro, e della
 cessione di  quote  dello  stipendio)  ha  richiesto  un  inevitabile
 raccordo  normativo  che  e'  posto dall'art. 68 cit. Tale norma - la
 quale persegue la  finalita'  di  evitare  che  per  il  concorso  di
 pignoramenti  (nonche'  sequestri)  e cessioni il pubblico dipendente
 risulti privo di un minimo di mezzi di sussistenza - regola al  primo
 comma   l'ipotesi  in  cui  la  cessione  segua  al  pignoramento  (o
 sequestro)  e  al  secondo  comma  l'ipotesi  inversa   in   cui   il
 pignoramento (o sequestro) segua alla cessione. In entrambi i casi la
 preesistenza  del  vincolo  del  pignoramento  o  della cessione puo'
 incidere rispettivamente sulla  cedibilita'  o  pignorabilita'  della
 residua quota dello stipendio.
    3.  -  Nella  prima  ipotesi (art. 68, primo comma) la cessione e'
 possibile - "fermo restando il limite di cui al primo comma dell'art.
 5" - solo "limitatamente" alla differenza  tra  i  due  quinti  dello
 stipendio  (sempre  al  netto delle ritenute) e la quota pignorata (o
 sequestrata). Quindi - come emerge dalla lettera  della  norma  nella
 parte in cui testualmente conferma il limite di cui all'art. 5, primo
 comma  -  questo  secondo  parametro quantitativo (differenza tra due
 quinti  dello  stipendio  e quota pignorata) si aggiunge al primo (un
 quinto dello stipendio) senza sostituirlo od alterarlo; si tratta  di
 un  limite  ulteriore talche' il dipendente, che intenda cedere quote
 di stipendio, per farlo utilmente deve  rispettare  non  soltanto  il
 limite generale del quinto dello stipendio ma - se c'e' stato gia' un
 pignoramento - anche il limite particolare della differenza tra i due
 quinti  dello  stipendio e la quota pignorata (in concreto poi questo
 secondo limite potrebbe  non  operare  ove  l'ammontare  della  somma
 pignorata lasci piena capienza alla cessione dell'intero quinto dello
 stipendio).
    Nella  seconda  ipotesi (art. 68, secondo comma) il legislatore ha
 operato analogamente prevedendo un limite  ulteriore  a  quello  gia'
 contemplato  dall'art.  2. Il pignoramento dello stipendio - se segue
 alla cessione di quota dello stesso - e' possibile limitatamente alla
 differenza tra meta' dello stipendio (sempre al netto delle ritenute)
 e la quota ceduta. Questo limite (particolare) si aggiunge  a  quello
 (generale)  previsto dall'art. 2, come e' reso evidente dalla lettera
 della norma nell'inciso "fermi restando i limiti di cui  all'art.  2"
 (che e' perfettamente parallelo all'analogo inciso del primo comma in
 cui  si  fa  salvo  il limite di cui all'art. 5, primo comma). Questo
 riferimento testuale, e, insieme, il parallelismo con il primo  comma
 della  medesima  norma fanno escludere che il secondo comma dell'art.
 68 modifichi (e non gia' integri) i limiti dell'art. 2  alterando  la
 base  di  computo della quota pignorabile (cosi' come sembra ritenere
 il  giudice  rimettente).  Quindi  il  creditore   che   procede   al
 pignoramento  presso  l'ente  datore  di  lavoro  deve  innanzi tutto
 rispettare il limite dell'art. 2  (puo'  pignorare  solo  un  quinto,
 oppure  un  terzo, oppure la meta' dello stipendio secondo le diverse
 categorie di crediti quali previste dalla norma  stessa);  inoltre  -
 ove  ci  sia  stata  una precedente cessione debitamente notificata -
 deve anche rispettare l'ulteriore limite del secondo comma  dell'art.
 68:  non  potra'  mai pignorare piu' della differenza tra meta' dello
 stipendio e la quota ceduta.  Al  pari  della  prima  ipotesi  (della
 cessione  che  segue  il pignoramento), questo secondo limite puo' in
 concreto non operare  ove  ci  sia  capienza  per  la  quota  che  il
 creditore possa pignorare in ragione del tipo di credito azionato.
    Pertanto,  il secondo comma dell'art. 68 cit., cosi' interpretato,
 si pone come norma differenziata per il pubblico dipendente  rispetto
 al  dipendente  privato  soltanto  in  quanto  appresta  al  primo la
 garanzia dello sbarramento della somma massima pignorabile (fissata -
 come detto - nella differenza tra meta' dello stipendio  e  la  quota
 ceduta),  ma  nel  rispetto  di tale limite la disciplina e' analoga,
 trovando applicazione sia il disposto  (processuale)  dell'art.  547,
 secondo  comma,  cod.  proc.  civ. (secondo cui il terzo che rende la
 dichiarazione deve  specificare  le  cessioni  che  gli  siano  state
 notificate  o che abbia accettato) sia quello (sostanziale) dell'art.
 2914, n. 2, cod. civ. (che prevede  l'incidenza  della  cessione  del
 credito  sulla  sua pignorabilita' stabilendo che non abbiano effetto
 in pregiudizio  del  creditore  pignorante  le  cessioni  di  crediti
 notificate    al   debitore   ceduto   o   accettate   dal   medesimo
 successivamente al pignoramento).
    4. - Nel caso di specie  -  come  risulta  dalla  parte  narrativa
 dell'ordinanza  del giudice a quo - i creditori pignoranti vantano un
 credito ordinario per il quale il limite di pignorabilita' ex art.  2
 cit.  e'  di  un  quinto  dello  stipendio (al netto delle ritenute);
 conseguentemente,  non  risultando  altri  precedenti pignoramenti ma
 solo la cessione di un quinto dello stipendio, in ogni caso vi  sara'
 capienza  perche'  la quota pignorabile non puo' mai essere superiore
 alla  soglia  massima  dell'art.  68,  secondo  comma,  (essendo   la
 differenza  tra  la  meta' dello stipendio ed il quinto ceduto sempre
 superiore ad un quinto dello stesso). Tale  capienza  invece  non  vi
 sarebbe se in ipotesi i creditori procedessero in via esecutiva anche
 per un credito alimentare perche' la loro pretesa di pignorare fino a
 meta'  dello  stipendio  (  ex art. 2 cit.) incontrerebbe l'ulteriore
 limite del secondo comma dell'art. 68.
    Puo'  quindi  conclusivamente  affermarsi  che   nella   procedura
 esecutiva di specie, pendente innanzi al giudice rimettente, la norma
 censurata  non  viene  in  rilievo e la determinazione della quota in
 concreto pignorabile e' assoggettata solo al limite della  disciplina
 (speciale)  dettata  dall'art.  2 nel concorso con quella (ordinaria)
 codicistica degli effetti della cessione del credito sul pignoramento
 quale applicabile  anche  in  caso  di  retribuzioni  del  dipendente
 privato assoggettate a pignoramento.
    Consegue  che  la  questione di costituzionalita' e' inammissibile
 non dovendo il giudice a quo fare applicazione della norma censurata,
 cosi' come sopra interpretata.
    5. - La seconda questione di costituzionalita' riguarda  l'art.  2
 d.P.R.  5  gennaio  1950 n. 180 cit. per contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione nella parte in cui, a differenza di quanto previsto  per
 il  pignoramento  dei  crediti retributivi del lavoratore subordinato
 privato, non consente  la  pignorabilita'  (nel  limite  del  quinto)
 dell'indennita'  di  fine  rapporto  corrisposta ai propri dipendenti
 dalle amministrazioni comunali per ogni credito vantato nei confronti
 del personale stesso anche se non rientrante tra quelli espressamente
 indicati ai nn. 1, 2 e 3 della norma censurata.
    Anche tale questione e' inammissibile per difetto di rilevanza.
    Risulta  infatti  dalla   stessa   narrativa   dell'ordinanza   di
 rimessione  che,  quale  terzo invitato a rendere la dichiarazione di
 cui all'art. 547 cod. proc. civ. , e' stato citato  solo  il  Comune,
 datore  di  lavoro  del debitore esecutato, e che conseguentemente la
 dichiarazione ha avuto ad oggetto unicamente lo stipendio mensile del
 dipendente; non e' stato invece evocato in  giudizio  l'I.N.A.D.E.L.,
 tenuto  al  pagamento  dell'indennita'  premio  di  fine  servizio ai
 dipendenti degli enti locali. Pertanto nel giudizio a quo non si pone
 in concreto il problema  dei  limiti  della  pignorabilita'  di  tale
 indennita',  ma  solo  quello  dei  limiti della pignorabilita' dello
 stipendio. La questione di legittimita'  costituzionale  della  norma
 censurata  si  appalesa  quindi  meramente  astratta  ed  ipotetica e
 conseguentemente  difetta  di  rilevanza  nella  procedura  esecutiva
 pendente innanzi al giudice a quo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 2 e 68, secondo comma, d.P.R. 5  gennaio  1950,  n.  180,
 ("Approvazione  del testo unico delle leggi concernenti il sequestro,
 il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e  pensioni  dei
 dipendenti delle pubbliche amministrazioni"), in riferimento all'art.
 3   della   Costituzione,   sollevate  dal  Pretore  di  Pistoia  con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1991.
                         Il Presidente: GALLO
                         Il redattore: GRANATA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 24 maggio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0652