N. 381 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 1991

                                N. 381
 Ordinanza  emessa  l'8  aprile  1991  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari presso la Pretura di Livorno  sugli  atti  relativi  alla
 morte per incidente stradale di Busti Marina ed altra
 Processo penale - Procedimento pretorile - Indagini preliminari -
    Richiesta  di  archiviazione del p.m. avanzata dopo il decorso dei
    termini - Mancata condivisione da  parte  del  g.i.p.  -  Ritenuta
    preclusione a richiedere con ordinanza al p.m. ulteriori indagini,
    fissando  un  termine  per  il  loro  compimento  - Violazione del
    principio di obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, artt. 409, quarto comma, 554, in relazione al c.p.p.
    1988, art. 407, terzo comma).
 (Cost., art. 112).
(GU n.23 del 12-6-1991 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letta la richiesta di archiviazione proposta dal p.m.,  depositata
 in data 26 marzo 1991;
    Esaminati gli atti;
                             O S S E R V A
    Le  norme  che  regolano  la  chiusura  delle indagini preliminari
 prevedono  che  il  p.m.  eserciti   l'azione   penale   o   richieda
 l'archiviazione  nel termine di sei mesi dalla data di iscrizione del
 nome della persona alla quale e' attribuito  il  reato  nel  registro
 delle notizie di reato.
    Il  termine  in  questione,  infatti, e' previsto non solo ai fini
 della utilizzazione degli atti di indagine (art.  407,  terzo  comma,
 del c.p.p.), ma, specificamente, anche in relazione alla richiesta di
 rinvio  a  giudizio  (art.  405,  secondo  comma,  del  c.p.p.), alla
 richiesta di archiviazione (art. 408 e, per il richiamo al primo, 411
 del c.p.p.) ed alla richiesta di archiviazione o di autorizzazione  a
 proseguire le indagini a carico di ignoti (art. 415 del c.p.p.).
    Questa disciplina si applica anche al procedimento dinanzi al pre-
 tore,  per il richiamo di carattere generale dell'art. 549 del c.p.p.
 e per quello specifico dell'art. 553, primo comma, del c.p.p.
    L'esistenza del termine e la sua operativita' in relazione a tutti
 i possibili esiti  delle  indagini  preliminari  e'  positivamente  e
 puntualmente  confermata  dalle  norme  che  prevedono la proroga del
 termine, che il giudice puo' disporre "prima  della  scadenza"  (art.
 406, primo comma, del c.p.p.).
    Un'ulteriore   conferma   e'  fornita  dalle  norme  che  regolano
 l'ipotesi in cui il giudice respinga la richiesta di proroga o quella
 di archiviazione. In questi casi, infatti, si prevede che il  giudice
 fissi  al p.m. un apposito termine non solo ai fini dello svolgimento
 di indagini (art. 409, quarto comma, del c.p.p.), ma  anche  al  solo
 fine  di  formulare  le  richieste  a  norma dell'art. 405 (art. 406,
 settimo comma,  del  c.p.p.  quanto  all'ordinanza  che  respinge  la
 richiesta  di  proroga)  ed  al fine di formulare l'imputazione (art.
 409, quinto comma, del c.p.p. nel caso di mancato accoglimento  della
 richiesta di archiviazione).
    Questa  disciplina  non  avrebbe alcuna giustificazione, sul piano
 logico e pratico, qualora il p.m. mantenesse il potere di  presentare
 le sue richieste anche dopo la chiusura delle indagini preliminari.
    Sempre  in  relazione  alla  disciplina  dei  termini  ed alla sua
 portata, si deve poi fare riferimento, per ulteriore  conferma,  alle
 previsioni   dell'art.   258   delle  disposizioni  di  attuazione  e
 transitorie del c.p.p., come modificate dal recente d.lgs. 7 dicembre
 1990, n. 369.
    Questa norma (in particolare cfr. il quarto comma), nel  prevedere
 una proroga dei termini, ne individua la apremessa nel fato che "alla
 scadenza   dei  termini  per  le  indagini  preliminari  il  pubblico
 ministero  non  abbia  esercitato   l'azione   penale   o   richiesto
 l'archiviazione"  e stabilisce che "il procuratore generale presso la
 corte di appello ha  facolta'  di  avocare  le  indagini  preliminari
 qualora  il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o
 richiesto l'archiviazione nei termini".
    La stessa relazione al codice parla espressamente, a tale riguardo
 di "decadenza del pubblico ministero  dal  potere  di  presentare  al
 giudice le richieste".
    La  previsione del termine non sembra compatibile con il principio
 di obbligatorieta' dell'azione penale previsto  dall'art.  112  della
 Costituzione, sia per quanto riguarda la preclusione allo svolgimento
 di  indagini,  sia  per  quanto  riguarda il promovimento dell'azione
 penale o la proposizione della richiesta di archiviazione, che impone
 al giudice il controllo della sua fondatezza,  anche  allo  scopo  di
 disporre  il  promovimento  dell'azione  penale  o  lo svolgimento di
 ulteriori indagini.
    La disciplina dei termini, in pratica, tenendo  conto  delle  sole
 norme gia' ricordate, produrrebbe la decadenza del p.m. dal potere di
 esercitare  l'azione penale, cosi' violando in modo evidente la norma
 costituzionale gia' ricordata.
    La previsione del potere di avocazione  spettante  al  procuratore
 generale  presso  la  corte  di  appello, contenuta nell'art. 412 del
 c.p.p., non sembra poter modificare le  conclusioni  appena  esposte,
 pur  trattandosi  di  una previsione che la relazione al codice, gia'
 citata, afferma essere stata introdotta proprio allo scopo di evitare
 la decadenza del p.m. dai poteri a lui attribuiti.
    La norma dell'art. 412, pur prevedendo che il procuratore generale
 disponga l'avocazione delle  indagini  preliminari  "se  il  pubblico
 ministero non esercita l'azione penale o non richiede l'archiviazione
 nel  termine stabilito dalla legge prorogato dal giudice", richiede a
 tale scopo l'emissione di "decreto motivato", e limita ad un  periodo
 di  trenta  giorni il tempo concesso al p.g. per svolgere le indagini
 indispensabili e formulare le richieste.
    L'avocazione, pertanto, come e' evidente  per  la  previsione  del
 termine  di  trenta  giorni, ha effetto dal momento dell'adozione del
 decreto motivato che la dispone, senza alcuna  retroattivita',  e  si
 deve  dunque  concludere  che,  anche nel caso in ci l'avocazione sia
 disposta, esista pur sempre un periodo di tempo, intercorrente tra il
 decorso del  termine  delle  indagini  prelimiari  e  l'adozione  del
 decreto  di  avocazione,  nel quale non e' individuabile alcun organo
 del p.m. competente all'adozione dei  provvedimenti  lui  attribuiti,
 provvedimenti  che  possono  anche  non  consistere  solamente  nello
 svolgimento di indagini differibili  ad  epoca  successiva  a  quella
 dell'avocazione  o  nelle  richieste  che  concludono  la  fase delle
 indagini, ma identificarsi in attivita' indifferibili. L'esistenza di
 un termine di operativita'  iniziale  dell'avocazione,  senza  alcuna
 retroattivita',   porterebbe   a  configurare  l'avocazione  prevista
 dall'art. 412 piu' come un'ipotesi di riapertura delle  indagini  che
 come  una  vera  e  propria forma di avocazione, se non si ammettesse
 che,  prima  dell'intervento   del   provvedimento   di   avocazione,
 permanesse  la  competenza  del  p.m.  competente  nel  periodo delle
 indagini preliminari.
    La disciplina dell'avocazione, in ogni caso, malgrado  l'apparente
 necessarieta'   dell'istituto,   ai   fini   della   definizione  del
 procedimento, non prevede  alcun  automatismo,  non  sol,  come  gia'
 osservato,  in  relazione  al  momento dell'avocazione, ma neppure in
 relazione alla stessa effettiva adozione  del  provvedimento  che  la
 dispone.
    L'art. 127 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. si limita a
 prevedere  la  trasmissione  settimanale  al  p.g.  dell'elenco delle
 notizie di reato contro persone  note  per  le  quali  non  e'  stata
 esercitata l'azione penale o richiesta l'archiviazione nel termine di
 legge, o in quello prorogato.
    E  si  consideri  che la disposizione dell'art. 413 del c.p.p. che
 regola la richiesta di  avocazione  rivolta  al  p.g.  dalla  persona
 sottoposta  alle indagini o dalla persona offesa (per gli stessi casi
 previsti  dall'art.   412)   sembra   in   contraddizione   con   una
 configurazione  dell'avocazione  come  strumento  necessario  per  la
 definizione del procedimento in caso di superamento dei termini,  non
 apparendo  giustificabile  se  non  in  relazione  ad  una avocazione
 semplicemente  facoltativa.  Anche  il  riferimento   alla   semplice
 "facolta'"   del   procuratore   generale  di  avocare  le  indagini,
 nell'ipotesi di proroga  legale  delle  indagini  prevista  dal  gia'
 ricordato   d.lgs.  n.  369/1990,  non  sembra  fornire  un  elemento
 decisivo, sul piano interpretativo, per concludere che,  negli  altri
 casi,  l'avocazione  sia  obbligatoria.  La  deroga  di  cui parla la
 disposizione, infatti, puo' correttamente essere  riferita  non  alla
 regola  ordinaria  della obbligatorieta' dell'avocazione, ma al fatto
 che,  trattandosi  di  indagini  prorogate,  non  sarebbe  legittimo,
 ordinariamente, procedere alla loro avocazione.
    Quello  che  sembra  determinante  agli  effetti  del  giudizio da
 formulare sulla efficacia del meccanismo dell'avocazione al  fine  di
 garantire  il  rispetto  dell'obbligatorieta'  dell'azione penale, in
 ogni  caso,  e'  che,  mancando  qualunque   termine   per   disporre
 l'avocazione,  ne' prevedendosi un apposito meccanismo che ricolleghi
 l'avocazione al superamento dei  termini,  automaticamente,  e  senza
 soluzione di continuita', non si puo' ritenere assicurata neppure una
 qualunque  definizione  del  procedimento, dato che, in ogni caso, il
 decreto di avocazione non potrebbe correttamente piu'  adottarsi  una
 volta  decorsi  i  termini  di durata massima delle indagini previsti
 dall'art. 407 del c.p.p., a meno di stravolgere  l'intero  meccanismo
 previsto dal codice.
    Il  problema  della  violazione  della  norma  del'art.  112 della
 Costituzione,   certamente    ipotizzabile,    sulla    base    delle
 considerazioni  che  precedono,  puo'  tuttavia trovare una soluzione
 interpretativa, cosi' escludendosi la sua rilevanza.
    Non esiste, infatti, alcuna specifica previsione che  sancisca  la
 decadenza  del  p.m.  dal  potere  di  chiedere  l'archiviazione  del
 procedimento o da quello di esercitare l'azione penale, e che imponga
 al giudice la declaratoria di  inammissibilita'  della  richiesta  di
 archiviazione,  o della richiesta di rinvio a giudizio, o del decreto
 di  citazione.  Trattandosi  di  decadenza,   infatti,   occorrerebbe
 riferirsi  ad  ipotesi  tassative, per quanto disposto dall'art. 173,
 primo comma, del c.p.p., considerando anche  che  si  tratterebbe  di
 giungere  ad  un'interpretazione  che  comporterebbe la non manifesta
 infondatezza della questione  di  legittimita'  costituzionale  delle
 norme che regolano i termini di chiusura delle indagini.
    Si  puo'  dunque  concludere che, anche in caso di superamento dei
 termini, ordinari o prorogati, delle indagini  preliminari,  il  p.m.
 conservi  il potere-dovere di richiedere al giudice l'archiviazione o
 di  promuovere  l'azione  penale,  salvo  il  potere  di   avocazione
 spettante al p.g.
    L'unico effetto preclusivo, dunque, almeno qualora si concordi con
 le  considerazioni  espresse  in  precedenza, si produce in relazione
 alla possibilita', per il p.m., di svolgere indagini utilizzabili.
    Nel caso concreto emerge,  appunto,  la  necessita'  di  ulteriori
 indagini,  a  seguito  della  richiesta di archiviazione proposta dal
 p.m.
    In particolare, nel caso concreto, il  procedimento  trae  origine
 dalla  morte di Rosa Frezza, che, alla guida di un'autovettura, sulla
 quale erano trasportate anche la madre, Giuseppa Zambella,  e  Marina
 Turelli  Busti,  anch'essa  deceduta dopo alcuni giorni, e' uscita di
 strada nel transitare su un ponte che attraversa il fiume  Fine,  nel
 territorio del comune di Rosignano Marittimo.
    Dalle   indagini   svolte   e  documentate  in  atti,  emerge  che
 l'autovettura stava percorrendo la strada  comunale  denominata  "via
 per  Rosignano",  e  che aveva iniziato l'attraversamento del "guado"
 sul  fiume  Fine,  costituito  da  una  struttura  in  cemento  della
 larghezza  di  ml  3,20  e  della lunghezza di ml 18,20, sul quale il
 traffico si svolgeva a  senso  unico  alternato.  Il  ponte,  che  e'
 realizzato  in  modo  tale che, in caso di piena, l'acqua lo sommerga
 senza incontrare un ostacolo che la faccia uscire dagli argini, e che
 si trova ad un livello inferiore a quello  della  strada  nei  tratti
 precedente  e successivo, era delimitato, in entrata ed in uscita, da
 grossi paracarri in cemento, ma era privo di protezioni laterali  per
 tutta  la  sua  lunghezza (cfr. comunicazione del corpo vigili urbani
 del comune di Rosignano Marittimo in data 16 luglio 1990).
    Secondo le dichiarazioni rese da Giuseppe Zampella alla sezione di
 p.g.  presso  la  procura  della   Repubblica   presso   la   pretura
 circondariale  di  Livorno  in  data  12 dicembre 1990, su delega del
 p.m., l'incidente si e' verificato  in  questo  modo:  mentre  l'auto
 sulla  quale  si  trovava,  condotta  dalla figlia Rosa Frezza, stava
 avvicinandosi al ponte sul fiume Fine, avevano visto  sopraggiungere,
 dalla  direzione  opposta,  a grande velocita', un'altra autovettura,
 che, dopo avere superato altre tre auto  che  la  precedevano,  aveva
 attraversato  il  ponte. La figlia, pur avendo diritto di precedenza,
 si era accostata al ciglio della strada  proprio  nel  punto  in  cui
 aveva   inizio   l'attraversamento  del  ponte.  Ripresa  la  marcia,
 l'autovettura condotta dalla figlia si muoveva con fatica, per un non
 meglio precisato ostacolo  sulle  ruote  posteriori,  superato  dalla
 conducente  accelerando  il  piu' possibile, senza accorgersi, pero',
 sempre secondo le dichirazioni, di G. Zampella, di essere  terminata,
 con le ruote di destra, anteriore e posteriore, al di la' del margine
 destro del ponte. Dopo pochi metri, urtato un piolo la conducente non
 era  riuscita  a  controllare  l'auto,  che era precipitata nel fiume
 (cfr. dichiarazioni in atti).
    Il p.m.  ha  richiesto  l'archiviazione  deducendo  che  la  causa
 dell'uscita  di  strada  dell'autovettura deve essere attribuita alla
 distrazione della  conducente  o  ad  un'errata  manovra  alla  quale
 quest'ultima  sarebbe  stata  costretta dal sopraggiungere dell'altra
 autovettura.
    A  parere  di  questo  giudice,  peraltro,  si   puo'   certamente
 ipotizzare  un  profilo  di  responsabilita'  collegato  alla mancata
 predisposizione di idonee protezioni laterali, sul ponte, al fine  di
 evitare l'uscita di strada dei veicoli che lo percorrevano.
    L'esistenza di tali protezioni, nel caso specifico, avrebbe potuto
 evitare l'incidente, almeno stando a quanto desumibile dagli atti.
    Tuttavia, non risulta, dagli atti, che siano state svolte indagini
 per  accertare,  in  primo  luogo, anche avvalendosi di esperti della
 materia,  le  caratteristiche  strutturali  del  ponte,  e   la   sua
 rispondenza   alle   regole   costruttive   e   di   sicurezza,   sia
 intrinsecamente, sia in relazione al collegamento con i due tratti di
 strada che congiunge, e, secondariamente, quali  fossero  i  soggetti
 tenuti   all'adozione   dei   provvedimenti   relativi   alle   opere
 eventualmente da eseguire sulla struttura, ai  fini  della  sicurezza
 stradale,  e  di quelli concernenti l'utilizzazione del ponte ai fini
 della circolazione, anche allo scopo di determinare se,  come  emerge
 dall'articolo  di  stampa  presente  in  atti  in  copia,  siano gia'
 accaduti altri incidenti sul ponte, e se  gli  organi  competenti  ad
 adottare  i  provvedimenti  sia sulle opere sia sulla circolazione ne
 fossero  a  conoscenza,  e  quali  iniziative  abbiano  eventualmente
 adottato.
    Sulla  base  di  tali  indagini,  a  parere  di questo giudice, si
 potrebbe   valutare,   in   concreto,   l'ipotizzabilita'   di    una
 responsabilita',  a  titolo  di  colpa,  a  carico dei soggetti cosi'
 individuati, qualora, naturalmente, le risultanze delle indagini  non
 impongano  di  escludere  l'esistenza  della  colpa,  o  del nesso di
 causalita'.
    Di  fronte  a  tale  necessita',  tuttavia,  si  pone   l'ostacolo
 rappresentato  dalla gia' ricordata norma dell'art. 407, terzo comma,
 del c.p.p., che esclude la possibilita' dello svolgimento di indagini
 oltre  il  termine  ordinario  o  prorogato,  o,   meglio,   sancisce
 l'"inutilizzabilita'"  delle  indagini  svolte  in violazione di tale
 divieto. Ed e' appena il  caso  di  notare  che,  nell'ipotesi  della
 richiesta  di  supplemento di indagini, si tratta di atti di indagine
 destinati ad essere comunque utilizzati,  ai  fini  della  successiva
 decisione   di   promuovere   l'azione   penale   o   di   richiedere
 l'archiviazione.
    In questo caso, la formulazione delle norme ed il dato sistematico
 impediscono,    secondo    questo    giudice,    qualunque    diversa
 interpretazione.
    Il dato ricavabile dal testo dell'art. 407, infatti, non si presta
 ad equivoci, non solo nel prevedere l'inutilizzabilita' degli atti di
 indagine,  ma  anche  nel  ricollegarla,  piu' che al superamento dei
 termini in assoluto, al fatto che il p.m., entro  tali  termini,  non
 abbia  esercitato  l'azione  penale  o  richiesto l'archiviazione. In
 altre parole, una volta richiesta  nei  termini  l'archiviazione,  si
 possono  certamente  svolgere  atti  di  indagine utilizzabili, e non
 esiste, pertanto, per il giudice, alcun ostacolo al  riguardo,  anche
 se  il  suo provvedimento fissi un termine per le indagini che superi
 quello ordinario, o prorogato (salvo esaminare se  tale  possibilita'
 comporti anche il superamento del termine di durata massima).
    In   ogni   caso,   peraltro,   occorre   che   le  determinazioni
 sull'esercizio dell'azione penale siano  state  prese  dal  p.m.  nei
 termini stabiliti.
    Un'interpretazione  diversa,  pertanto,  cozzerebbe contro il dato
 estremamente chiaro dell'art. 407, terzo comma.
    Si porrebbe, inoltre, contro l'intero sistema delineato dal codice
 in relazione alla chiusura delle indagini preliminari ed alle vicende
 successive.
    Non sembra che la  disposizione  possa  essere  interpretata  come
 riferita  solo  alle indagini disposte dal p.m., escludendosi il caso
 del supplemento di indagini disposto dal giudice. A parte la mancanza
 di qualunque eccezione in proposito, nel testo della norma, lo stesso
 riferimento alla tempestivita' delle determinazioni  del  p.m.  quale
 condizione  per  lo  svolgimento  successivo di indagini utilizzabili
 depone proprio nel  senso  contrario,  coordinandosi  in  modo  molto
 coerente  con  i  poteri  del  giudice  a  seguito della richiesta di
 archiviazione, e delineando un meccanismo che non  prevede  soluzioni
 di continuita'.
    Ritenendo   invece,  malgrado  gli  ostacoli  interpretativi  gia'
 ricordati, che il  supplemento  di  indagini  possa  essere  disposto
 sempre  e  comunque,  dal  giudice,  anche  nel  caso di richiesta di
 archiviazione presentata fuori termine, sembra  di  poter  concludere
 che  si  produrrebbe  una  evidente  violazione  sia  delle norme che
 regolano la proroga delle indagini, consentendo una proroga  tardiva,
 per  cosi'  dire,  sia  di  quelle  in  materia  di  riapertura delle
 indagini, riapertura che ha presupposti certamente  diversi,  e  che,
 comunque,  non  puo'  essere  disposta d'ufficio dal giudice. In ogni
 caso, non sembra che si possa  giungere  ad  una  simile  conclusione
 senza  una  specifica  pronuncia  della Corte costituzionale, e sulla
 base del semplice strumento interpretativo.
    Si deve pertanto escludere che la disciplina vigente  consenta  al
 giudice  di  fissare  al  p.m. un termine per provvedere ad ulteriori
 indagini, una volta che  la  richiesta  di  archiviazione  sia  stata
 presentata dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari o
 di quello prorogato.
    Nel  caso  concreto,  l'iscrizione  nel  registro delle notizie di
 reato risale a 16 luglio 1990, cosi' che,  anche  tenendo  conto  del
 periodo  di  sospensione dei termini, risulta superato, alla data del
 26 marzo 1991, data del deposito della richiesta di archiviazione, il
 termine semestrale per le indagini preliminari.
    In questo caso, pertanto, al giudice resterebbe l'alternativa, per
 il disposto dell'art. 554, secondo  comma,  del  c.p.p.,  cosi'  come
 formulato  prima  delle  sentenza  n.  445  del  26 settembre 1990-12
 ottobre 1990, tra l'archiviazione e la richiesta al p.m. di formulare
 l'imputazione, alternativa che la stessa Corte costituzionale,  nella
 citata sentenza n. 445, ha riconosciuto non coerente con il principio
 di   massima  semplificazione  dettato  dalla  legge  delega  per  il
 procedimento pretorile, comportando un innegabile appesantimento  del
 numero dei dibattimenti.
    L'inapplicabilita'  dell'art.  409,  quarto  comma, del c.p.p., in
 quanto applicabile al rito pretorile sulla  base  della  sentenza  n.
 445/1990   della  Corte  costituzionale,  in  caso  di  richiesta  di
 archiviazione presentata dopo il decorso dei termini per le indagini,
 sembra  porsi  in  contrasto  con  il  principio  di  obbligatorieta'
 dell'azione penale, previsto dall'art. 112 della Costituzione.
    Come  e'  generalmente  riconosciuto, infatti, il rispetto di tale
 principio esige non solo che  il  p.m.  eserciti  l'azione  penale  o
 richieda  l'archiviazione  in  relazione ad ogni notizia di reato, ma
 anche,  e  soprattutto,  che   il   giudice   svolga   un   controllo
 sull'esercizio di tale potere-dovere affidato al p.m.
    Tale   controllo,   per   poter   essere   veramente   tale,  deve
 necessariamente estendersi all'uso corretto e completo del potere  di
 accertamento  dei fatti da parte del p.m. In caso contrario, infatti,
 il giudice finirebbe con l'essere vincolato alla richiesta del  p.m.,
 essendo  quest'ultimo arbitro di fornire o meno al primo gli elementi
 indispensabili ai fini della decisione sulla fondatezza della notizia
 di reato.
    E' appunto la situazione che  si  prospetta  nel  caso  in  esame,
 poiche'   l'avvenuto   superamento   del   termine  per  le  indagini
 preliminari impedisce al giudice  l'esercizio  del  potere-dovere  di
 disporre  ulteriori  indagini  indispensabili ai fini della decisione
 sulla  richiesta  di  archiviazione,  potere  previsto  dal   codice,
 all'art.  409,  quarto  comma,  in  applicazione  del principio posto
 dall'art. 2, punto 50, della legge delega, ma che, per effetto  della
 preclusione  dell'art.  407,  terzo  comma,  e'  limitato  ai casi di
 tempestiva presentazione della richiesta di archiviazione.
    Appare  cosi'  non  manifestamente  infondata  la   questione   di
 legittimita' costituzionale degli artt. 409, quarto comma, e 554, del
 c.p.p.,  in  relazione  all'art.  407,  terzo comma, del c.p.p. nella
 parte in cui non prevedono che il giudice per le indagini preliminari
 presso la pretura  circondariale,  di  fronte  ad  una  richiesta  di
 archiviazione  proposta  dopo  il decorso del termine per le indagini
 preliminari, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con
 ordinanza al pubblico ministero, fissando il  termine  indispensabile
 per il loro compimento, in relazione all'art. 112 della Costituzione.
    La  questione  appare  rilevante, nel caso concreto, sulla base di
 quanto gia' esposto circa le indagini che appaiono indispensabili  in
 relazione alla richiesta di archiviazione presentata dal p.m.
                               P. Q. M.
    Visti  gli artt. 134 della Costituzione, n. 1, e 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 409, quarto comma, e 554, del
 c.p.p.,  in  relazione  all'art.  407,  terzo  comma,  del c.p.p., in
 relazione all'art. 112 della Costituzione, nella  parte  in  cui  non
 prevedono  che  il  giudice  per  le  indagini  preliminari presso la
 pretura circondariale, di fronte ad una  richiesta  di  archiviazione
 proposta  dopo il decorso del termine per le indagini preliminari, se
 ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi  con  ordinanza  al
 p.m. fissando il termine indispensabile per il loro compimento;
    Sospende il presente procedimento;
    Dispone  che  la  presente  ordinanza sia notificata, a cura della
 cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Livorno, addi' 8 aprile 1991
           Il giudice per le indagini preliminari: MARINARI

 91C0690