N. 388 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 1991
N. 388 Ordinanza emessa il 4 aprile 1991 dal tribunale militare di Bari nel procedimento penale a carico di Tinelli Antonio Reati militari - Diffamazione aggravata - Reato punibile su richiesta del comandante di Corpo - Consentito esercizio di tale potere anche da parte del comandante di Corpo che sia parte offesa del reato - Irragionevolezza - Incidenza sul principio della imparzialita' della pubblica amministrazione. (C.P.M.P., art. 260, secondo comma). (Cost., artt. 3 e 97).(GU n.23 del 12-6-1991 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di Tinelli Antonio, nato in Sammichele di Bari il 14 febbraio 1943 e residente in Rutigliano, via S. Francesco d'Assisi n. 17, coniugato, alfabeta, incensurato, maresciallo capo cc. comandante della stazione cc. di Rutigliano, libero, imputato di diffamazione aggravata duplice (artt. 227 e 47, n. 2, del c.p.m.p., 81, primo comma del c.p.), perche', maresciallo dei cc. presso la stazione cc. di Rutigliano, comunicando con il brig. g.d.f. Milone Antonio e con Battista Maria Marcella, il 3 novembre 1989, a bordo della propria autovettura, sul tragitto Bari-Giovinazzo, offendeva la reputazione del comandante della legione g.d.f. di Bari, tenente colonnello Luigi Del Gaudio, e del comandante della legione cc. di Bari, colonnello Agostino Lo Giacco, dicendo che "il tuo ed il mio comandante mi fanno un baffo perche' non capiscono un cazzo", cosi' violando piu' volte la medesima disposizione di legge con un'unica azione. Sentito il p.m., che ha sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del c.p.m.p., in relazione agli artt. 97 e 3 della Costituzione, e specificamente nella parte in cui non prevede che la potesta' di richiedere in procedimento non debba essere riconosciuta al comandante del corpo che sia anche persona offesa dal reato o dai reati di cui si tratti, siccome e' invece avvenuto nella specie; Sentita la difesa, che si e' associata; O S S E R V A Risulta dagli atti che il maresciallo cc. Tinelli Antonio e' imputato di duplice diffamazione aggravata (artt. 227, primo comma, e 47, n. 2, del c.p.m.p., 81, primo comma, del c.p.), per aver, con unica azione dilittuosa, commessa il 3 novembre 1989, offese la reputazione del colonnello cc. Lo Giacco Agostino e del ten. col. guardia di finanza Del Gaudio Luigi, comandanti delle rispettive legioni di Bari; e che la richiesta di procedimento, necessaria per la procedibilita' del reato de quo, punibile con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, e' stata proposta, in termini, dal suddetto colonnello Lo Giacco, nella sua qualita' di comandante di corpo. E' assodato, quindi, che ricorrono le condizioni di fatto richiamate dal p.m. Ora, rammenta il tribunale che la richiesta di procedimento, come disciplinata dal secondo comma del citato art. 260 del c.p.m.p., per quel che qui interessa - richiesta che autorevole dottrina afferma essere, in sostanza "un elemento di congiunzione tra il sistema penale ed il sistema disciplinare", altro non e', in estrema sintesi, che il mezzo che l'ordinamento giuridico si e' dato per consentire, nei casi concreti, un giudizio di convenienza e di oggettiva opportunita' del processo penale in ordine a fatti essenzialmente di scarsa rilevanza; giudizio che ha attribuito al "comandante di corpo o di altro ente superiore" (questi quando il primo sia l'autore del reato o dei reati, ritengono, concordi, dottrina e giurisprudenza) e che va formulato da tale pubblica autorita' avendo esclusivo riguardo alle circostanze tutte del fatto o dei fatti ed alla personalita' del soggetto attivo, valutata anche tenendo conto degli interessi di servizio e di coesione del corpo. Siffatto giudizio, che, secondo che si concluda con la decisione di mantenere il fatto o i fatti nell'ambito disciplinare ovvero di sottoporli all'esame giurisdizionale, e quindi con la decisione di non proporre o proporre la richiesta di procedimento, espone il militare a sanzione, rispettivamente, disciplinare o penale, e pertanto a conseguenze di natura e gravita' diverse l'una dall'altra, non e' richiesto che sia motivato, sicche' non e' sindacabile nel merito da parte del giudice. Ben si comprende, allora, come sia necessario che la valutazione del fatto e della personalita' del soggetto agente, avuti presenti gli interesi del corpo innanzi richiamati, sia improntata a criteri di serieta', di personale disinteresse e di imparzialita' nell'esercizio del pubblico potere, del che si rileva prima garanzia l'estremita' al fatto di colui che tale valutazione abbia la potesta' di compiere, onde possa presumersi che la decisione assunta risponda sempre, come deve, ad equita' e giustezza. Ne deriva, per generali ragioni di principio, che, quando la potesta' di proporre la richiesta di procedimento viene ad essere esercitata da chi sia stato offeso dal fatto o dai fatti oggetto della richiesta stessa, possibile e plausibile e' il dubbio che egli possa, anche inconsapevolmente, essere influenzato nel giudizio da sentimenti e considerazioni privati e personali, che non sono ammissibili alla luce di una retta azione di comando e di un corretto esercizio di tale pubblico potere, che la legge vuole sempre ispirato a criteri di imparzialita' nel pubblico interesse; sentimenti e considerazioni che tramutano una legale facolta' in sostanziale arbitrio e che in ogni caso non sarebbe possibile nemmeno provare, poiche' la legge non richiede la motivazione della richiesta. Tanto importa che si debba effettivamente dubitare che la norma, cosi' come ora strutturata, possa essere in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, il quale stabilisce che i pubblici uffici siano organizzati in modo che "siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione", cosa, quest'ultima, che deve essere privilegiata e in ogni caso tutelata nell'interesse del corpo sociale. Tanto importa, ancora, che mantenendosi l'attuale disciplina, sussiste realmente anche pericolo di disparita' di trattamento dei militari davanti alla legge, le quante volte essi, pur trovandosi nelle medesime condizioni di servizio e disciplinari e pur avendo commesso fatti analoghi, di pari lieve entita', il che sarebbe logicamente suscettibile di portare ad identici giudizi ai fini dell'art. 260 secondo comma, del c.p.m.p., subiscano in effetti trattamenti diversi, per essere stati taluni giudicati piu' gravemente degli altri solo perche' a farlo siano stati comandanti di corpo che abbiano ricevuto offesa dal reato e che da tale ragione siano stati indotti, pur senza volerlo, a dare una valutazione diversa e piu' severa di quella a cui abbiano ritenuto di dover, invece, pervenire gli altri comandanti di corpo competenti, estranei ai fatti da loro valutati. Ritiene, in conclusione, il tribunale che, sussistendo tali con- crete eventualita' ed esse ponendo in contrasto con gli artt. 97 e 3 della Costituzione l'esaminata norma, nei limiti denunziati dal p.m., e cioe' nella parte in cui non prevede che la potesta' di proporre la richiesta di procedimento non debba essere esercitata da chi sia persona offesa dal reato, non manifestamente infondata si rileva la questione di legittimita' costituzionale sollevata. La quale e' anche rilevante poiche', nel caso di dichiarata illegittimita' costituzionale della norma, invalida sarebbe la richiesta di procedimento avanzata nel processo e si dovrebbe di conseguenza disporre il proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 529 del c.p.p., poiche' l'azione penale non doveva essere iniziata.
P. Q. M. Letto l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del c.p.m.p. in relazione agli artt. 97 e 3 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Bari il 4 aprile 1991. Il presidente estensore: SCAGLIOLA Il cancelliere militare: PERRINI 91C0698