N. 393 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 1991
N. 393 Ordinanza emessa il 14 marzo 1991 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra S.p.a. Finshipping e United Nations High Commissioner for Refugees ed altra Procedimento civile - Interruzione del giudizio per intervenuto fallimento della parte attrice - Riassunzione - Termini - Decorrenza dalla data in cui il procuratore della parte attrice dichiara l'intervenuta perdita della capacita' di stare in giudizio - Difficolta', per gli organi preposti alla procedura fallimentare, di conoscere la circostanza - Prevista estinzione, cio' nonostante, del giudizio - Violazione del diritto di difesa - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 139/1967 e 159/1971. (C.P.C., art. 305). (Cost., art. 24).(GU n.23 del 12-6-1991 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile promosso dal fallimento della Finshipping S.p.a., in persona del curatore dott. Francesco Crupi, elettivamente domiciliato in Genova, via Assoratti, 5, presso e nello studio del prof. avv. Giorgio Schiano di Pepe che lo rappresenta e difende unitamente al prof. avv. Enrico Moscati del Foro di Roma per mandato in calce al ricorso per riassunzione, attore, contro l'United nations high commissioner for refugees (U.N.H.C.R.), con sede in Ginevra ed in persona del sig. Jean Pierre Hocke, rappresentato nel presente procedimento dall'avv. Renzo Berlingieri in unione disgiuntamente all'avv. Giuliana Rugani, elettivamente domiciliato presso quest'ultima, in Genova, via Roma, 10.3, per mandato rilasciato dal sig. Mohamed Benamar, delegato in Italia dell'Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati in calce alla comparsa di risposta, convenuto, e nei confronti di De Franceschi S.p.a. Monfalcone, corrente in Pordenone, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Genova, piazza Corvetto presso e nello studio degli avvocati prof. Nicola Balestra e Cristoforo Kielland che la rappresentano e difendono per mandato in calce alla copia notificata della citazione per chiamata di terzo in causa, chiamata in causa. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione in data 20 marzo 1987 la Finshipping S.p.a., corrente in Roma, esponeva avere assunto il trasporto da Monfalcone a Mogadiscio e Berbera a mezzo della m/n Vanil di un carico di sacchi di farina di grano turco destinato all'Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati (U.N.H.C.R.). Aggiungeva che la merce era stata sbarcata a Mogadiscio in ritardo sui tempi convenuti per fatto e colpa dei ricevitori che in un caso non erano stati in grado di esibire i documenti atti a consentirne la presa in consegna e nell'altro per due volte non avevano assicurato la presenza dei camions necessari al suo scarico, determinando una sosta forzata della nave in quel porto. Precisava che l'inattivita' del natante costituiva inadempimento agli obblighi contrattuali assunti dal ricevitore che doveva, conseguentemente, risarcire il vettore dei sofferti danni nella misura convenzionalmente stabilita (art. 7, lett. f) della polizza di carico) di 2 dollari statunitensi per tonnellata di stazza lorda della nave al giorno, per complessivi () USA 279.997. Tanto premesso conveniva in giudizio dinanzi a questo tribunale l'Alto commissariato anzidetto per sentirlo dichiarare tenuto a condannare al risarcimento dei danni nella misura sopraindicata, aumentata del maggior danno conseguente alla perdita di valore di cambio tra dollaro statunitense e lira italiana, interessi semplici e composti; produceva varia documentazione a sostegno dei propri assunti. Si costituiva l'ente convenuto eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione attiva in capo all'attrice sul rilievo che la polizza di carico avversariamente prodotta - e che documentava il contratto di trasporto - risultava sottoscritta dal comandante dell'armatrice-proprietaria della nave "Suisse Atlantique, Lausanne", a testimonianza che il trasporto era stato assunto da quest'ultima e non gia' dall'attrice Finshipping (circostanza documentata anche dalla presenza in polizza della clausola "identity of carrier clause"). Nel merito - ed in punto di fatto - contestava ogni propria responsabilita' nel ritardo rilevando che la sosta della nave oltre il tempo previsto era invece dipesa dalla scarsa ricettivita' del porto di Mogadiscio, dal gran numero di navi in attesa e dal locale regolamento portuale che concedeva precedenza a determinate categorie di navi tra le quali non figurava quella del natante di che trattasi. Osservava, inoltre, che sul recto della polizza anzidetta era stata dattiloscritta la clausola "free in - liner out" che letteralmente stava a significare che la caricazione era avvenuta a rischio del caricatore mentre la discarica avrebbe dovuto avvenire a cura e rischio della nave; da cio' traendosi da un lato l'inapplicabilita' della clausola a stampa n. 7/f avversariamente invocata - in base alla quale ogni ritardo cagionato alla nave a destino era addebitabile al "merchant" - e dall'altro l'esonero di ogni propria responsabilita' per la pretesa forzata inattivita' del natante a Mogadiscio. Lamentava, inoltre, di esser stato costretto a prestare garanzia bancaria in favore della Finshipping per il pagamento dei danni da ritardo onde consentire la prosecuzione delle merci destinate a Berbera sulle quali l'attrice aveva minacciato - in difetto - di esercitare il proprio diritto di ritenzione. Chiedeva, pertanto, rigettarsi le opposte pretese siccome infondate con la condanna dell'attrice al pagamento del costo della prestata garanzia bancaria nell'importo precisato in corso di causa. In via istruttoria chiedeva essere autorizzato a chiamare in giudizio la De Franceschi S.p.a. - che aveva vinto la gara di fornitura della merce indetta dalla Commissione CEE e che, contrariamente alle condizioni del bando, aveva accettato una clausola particolarmente onerosa quale quella menzionata nell'art. 7/f nel testo a stampa anzidetto - perche' fosse condannata a tenere indenne esso convenuto dalle conseguenze derivanti dall'accoglimento del reclamo attoreo. Autorizzata la chiamata si costituiva in giudizio la De Franceschi che subito faceva propria l'eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva in capo alla Finshipping, formulata dalla convenuta-chiamante. Nel merito rilevava che il ritardo doveva essere attribuito o a fatto incolpevole dell'ente convenuto (ed allora doveva escludersi ogni responsabilita', sia dell'ente che - conseguentemente - propria per effetto della clausola a stampa esonerativa "free in - liner out") ovvero a ritardo colpevole dell'Alto Commissariato (ed allora era parimenti da escludere ogni propria responsabilita' essendo in tal caso il ritardo imputabile esclusivamente all'ente convenuto). La causa, istruita documentalmente, veniva chiamata per essere assegnata a sentenza all'udienza collegiale del 22 dicembre 1980 e in quell'occasione interrotta per intervenuto fallimento della Finshipping, dichiarato dal suo difensore. Riassumeva il giudizio il curatore del fallimento con ricorso depositato il 21 febbraio 1990 a ministero di diverso difensore chiedendo fissarsi udienza per la prosecuzione del processo; e la causa, sulle conclusioni come sopra trascritte, e' stata trattenuta in decisione all'odierna udienza collegiale. MOTIVI DELLA DECISIONE La difesa dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha eccepito preliminarmente l'estinzione del processo sul rilievo che la riassunzione del giudizio interrotto per intervenuto fallimento dell'attrice, avvenuta a cura del fallimento della Finshipping S.p.a. mediante ricorso depositato il 21 febbraio 1990, non e' stata effettuata nel termine perentorio di sei mesi previsto dall'art. 305 del c.p.c., decorrente dalla data dell'udienza collegiale del 22 dicembre 1988 interruttiva del processo. Effettivamente, dall'esame della documentazione processuale, e' emersa la fondatezza in punto di fatto del rilievo atteso che dalla data dell'udienza collegiale nella quale l'avv. Cigolini, procuratore della Finshipping, dichiaro' l'intervento fallimento della propria cliente, alla data di deposito del ricorso per riassunzione avvenuto il 21 febbraio 1990 risultano trascorsi longe ed ultra i sei mesi imposti dall'art. 305 del c.p.c. quale termine perentorio per provvedere a tale incombente sotto pena dell'estinzione del processo. Il collegio, peraltro, dubita della legittimita' costituzionale di tale disposizione riferita all'ipotesi, quale quella di specie, nella quale una parte costituita abbia perduto la propria capacita' di stare in giudizio per l'evento fallimento. Come e' noto la Corte costituzionale, con due sentenze in data 15 dicembre 1967, n. 139 e 6 luglio 1971, n. 159 ebbe gia' a dichiarare l'incostituzionalita' dell'art. 305 del c.p.c. rispettivamente: a) nella parte in cui faceva decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione anche nei casi di morte e d'impedimento del procuratore costituito, regolati dal precedente art. 301 del c.p.c. e b) b1) nella parte in cui disponeva che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell'art. 299 del c.p.c. dello stesso codice decorreva dall'interruzione anziche' dalla data in cui le parti ne avevano avuto conoscenza) b2) nella parte in cui disponeva che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi del precedente art. 300, terzo comma, decorreva dall'interruzione anziche' dalla data in cui le parti ne avessero avuto conoscenza. Comune ad ambedue le decisioni e' stata la constatazione della mancanza di garanzia della tutela giurisdizionale e della difesa in ogni stato e grado del processo in disposizioni - quali quelle sopra citate - nelle quali il termine stabilito per la prosecuzione o riassunzione del processo veniva fatto decorrere dalla data dellevento interruttivo anziche' dalla data dell'effettiva conoscenza dell'evento stesso dalla parte interessata, con evidenti svantaggi per il soggetto che la norma intendeva invece proteggere. Nel caso di specie il termine viene fatto decorrere dalla data in cui il procuratore della parte che ha perso la capacita' di stare in giudizio a seguito di fallimento effettua in giudizio la dichiarazione dell'evento stesso; cio' che se assicura senz'altro alla controparte la conoscibilita' di tale circostanza ma non ne assicura la conoscenza alla parte che piu' di ogni altra avrebbe necessita' di apprenderla, vale a dire il fallimento stesso. Conoscibilita' che, nella specie, dovrebbe poi essere esclusa in punto di fatto, e a tacer d'altro, dalla diversita' dei difensori della societa' Finshipping e del suo fallimento che lascia presumere, al di la' di un possibile, ma non dimostrato, concerto dei due patroni, una reciproca ignoranza dei due procedimenti riguardanti la societa'. Ne' varrebbe opporre che per effetto dell'art. 300 del c.p.c. il procuratore della parte deceduta o della societa' fallita conserverebbe il potere di dilazionare nel tempo la dichiarazione dell'evento, con cio' assicurando la tutela dei successori del defunto o del curatore del fallimento che le succedera' i quali nessun pregiudizio potrebbero quindi subire fino a quando non fosse resa nota la causa dell'interruzione e non fosse chiesto che questa venga dichiarata. Siffatta interpretazione e', innanzitutto, dubbio che possa essere applicata, oltre che agli eredi della parte decaduta (effettivi successori della parte defunta) anche al fallimento che possiede spiccate qualita' di "terzo" rispetto al fallito e che gode di ben maggiore autonomia anche processuale rispetto alla posizione del fallito medesimo. In ogni caso il sistema cosi' delineato si fonderebbe pur sempre sullo zelo del procuratore della societa' fallita cui si imporrebbe di ricercare se e quando il fallimento indendesse coltivare le pretese della societa' fallita. Ed al fallimento verrebbero imputate, in buona sostanza le attivita' e/o le inattivita' del procuratore di un soggetto processuale non piu' esistente e terzo rispetto alla propria situazione giuridica, da questi seppure nominato e in tesi neppure conosciuto. Pare al Collegio che un sistema siffatto contrasti con l'art. 24 della Costituzione in quanto, mediante la grave sanzione dell'estinzione del processo, viene a pregiudicare gravemente il diritto di difesa di un potenziale soggetto processuale senza sua colpa. La questione non appare manifestamente infondata per i motivi dianzi esposti; ed appare rilevante nel giudizio in corso in quanto una conservazione giuridica della norma sospettata di incostituzionalita' imporrebbe senz'altro di dichiarare l'estinzione del processo. Gli atti devono, quindi essere rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio di costituzionalita' della norma denunciata; con sospensione del giudizio in corso sino all'esito di quello.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 305 del c.p.c. nell'ipotesi di cui all'art. 300 del c.p.c. (interruzione del processo a seguito di fallimento della parte attrice e dichiarazione in giudizio dell'evento interruttivo da parte del procuratore della parte fallita) per contrasto con l'art. 24 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Genova, addi' 14 marzo 1991. Il presidente: (firma illeggibile) 91C0703